Il taglio dei finanziamenti ai partiti è una beffa che ci costa 300 milioni: ai  230 milioni di fondi in vigore fino al 2016 vanno aggiunti 3 milioni per gli spot. Più l’affitto che diventa gratuito!

Finanziamenti ai partiti, stop che ci costerà 300 milioni

La grande ipocrisia è divenuta disegno di legge. Il consiglio dei ministri guidato da Enrico Letta ieri ha approvato un testo che scrive al suo primo articolo «È abolito il finanziamento pubblico dei partiti». Un’affermazione che già in sé è inutile, quando non falsa. Il finanziamento pubblico dei partiti è stato abolito da venti anni con un referendum, e in effetti non c’era più. Fino al 2012 era in vigore una legge per rimborsare a forfait le spese elettorali per le politiche, le europee e le regionali con un fisso che era arrivato a 182  milioni di euro l’anno. L’anno scorso, in mezzo a mille polemiche e con Beppe Grillo che stava già impazzando, i partiti hanno cambiato quella legge, dimezzandone la portata: 91 milioni di euro l’anno. Questa cifra era in gran parte (63,7 milioni di euro) il solito rimborso a forfait delle spese elettorali, e per 23,7 milioni una forma di “cofinanziamento” delle risorse private che i partiti sarebbero riusciti a racimolare: 0,50 euro pubblico ogni euro privato raccolto fino a quel tetto massimo. Una formula nuova, di cui sapremo poco o nulla perché di fatto non verrà applicata. Con la nuova legge voluta da Letta che pomposamente abolisce quello che formalmente non c’è, ai partiti andranno ora finanziamenti pubblici per la prima volta di  91 milioni nel 2013; 54,6 milioni  nel 2014; 45,5 milioni  nel 2015 e 36,4 milioni   nel 2016. Detto in poche parole: la legge che inizia con «è abolito il finanziamento pubblico» assicura per la prima volta dopo 20 anni un finanziamento pubblico e dichiarato ai partiti di 227,5 milioni di euro da oggi alla fine del 2016.

A quei 227,5 milioni di euro se ne aggiungeranno altri sempre a carico delle finanze pubbliche. Una piccola cifra inserita nel disegno di legge: 3 milioni di euro fra il 2014 e il 2016 per regalare ai partiti spot gratuiti da un minuto sulle reti Rai. E fanno già 230,5 milioni di finanziamento pubblico garantito. Poi sarà dato loro in ogni capoluogo di provincia ogni locale pubblico richiesto (prima era solo una facoltà) per «lo svolgimento delle attività politiche, nonché la tenuta di riunioni, assemblee e manifestazioni pubbliche» o gratuitamente o a «canoni di locazione tariffari agevolati».  Dunque, in ogni città ci sono italiani che perdono la casa e il lavoro e non sanno dove andare a dormire, spesso occupando le cantine delle case popolari. Prima che a loro ora si penserà ai partiti politici (a livello nazionale sono una decina almeno le sigle) che avranno diritto a locali assicurati in 118 città: quindi almeno 1.200 sedi trovate dallo Stato per loro. Un costo enorme, e non quantificato: ma sarà finanziamento pubblico pure questo, e a volere stare stretti vale almeno 6 milioni di euro l’anno (300 euro al mese per sede), 18 milioni da aggiungere, e fanno 248,5.

Terzo finanziamento pubblico: quello a carico della fiscalità generale. E qui raggiungiamo le vette dell’ipocrisia. Con il ddl ogni persona fisica potrà detrarre il 52% (quindi a costo dello stato) per ogni finanziamento fra 50 e 5 mila euro annui e il 26% fra 5.001 e 20 mila euro annui. Non solo: con un tetto di 500 euro si potrà detrarre anche il 52% della spesa “per l’iscrizione a scuole o corsi di formazione politica promossi e organizzati dai partiti”. Le persone giuridiche – le società che finanziano i partiti – possono detrarre il 26% per importi compresi fra 50 e 100 mila euro. Quale è l’ipocrisia? Solo un anno fa gli stessi sostenitori del governo Letta di oggi si erano scandalizzati in Parlamento per la disparità di condizioni sulle detrazioni fra partiti (i cui contributi oggi sono detraibili al 24%) e Onlus (i cui contributi sono detraibili al 19%). E avevano stabilito di parificarli tutti e due dal 2014 al 26%. Ora i partiti raddoppiano il vantaggio (52%) tanto per dimostrare che sono più eguali degli altri. E in effetti uguali non sono: i partiti politici occupano lo Stato, le Onlus invece sostituiscono lo Stato quando non riesce più a farcela. Quanto vale questa somma? Cifre non ce ne sono nel ddl, ma se consideriamo i 23,7 milioni di euro l’anno previsti dalla legge in vigore come metà dei contributi privati (soprattutto di eletti e iscritti) ricevuti dai partiti, il costo per le finanze pubbliche  sarebbe di 14 milioni di euro l’anno. In tre anni siamo già a 290,5 milioni di euro di finanziamento pubblico ai partiti garantito dalla legge che abolisce il finanziamento pubblico: quasi 100 milioni di euro l’anno, più di quelli di oggi.

Oltre a quei fondi a partire dal 2014 (e dal 2017 in via esclusiva) ci saranno anche i contributi volontari dei cittadini, che potranno destinare ai partiti il 2 per mille della propria dichiarazione dei redditi annuale. Qui le cifre sono impossibili da prevedere. Il governo ieri è sembrato essersi inventato questo nuovo sistema. Invece è preso pari pari dalla legge n.2 del 1997, firmata da Romano Prodi: quella sul 4 per mille ai partiti. Il meccanismo è identico a quello di allora, che fu il più clamoroso flop della storia dei partiti: scelse il 4 per mille solo lo 0,5% dei contribuenti, e l’incasso fu di 2 milioni di euro. I partiti si anticiparono 55 milioni, avrebbero dovuto restituirne 53, e naturalmente non lo fecero. Cambiarono la legge, e si inventarono quella sui rimborsi elettorali. Perché fece flop? Banale: sarebbe stato incostituzionale potere scrivere nel 740 il partito a cui devolvere i soldi, perché il voto è segreto. E non si può nemmeno oggi. Ma chiedere a un elettore di Fratelli di Italia di dare i suoi soldi a Sel, è obiettivamente difficile. Sarà un flop al 100% e dopo avere dato 100 milioni di finanziamento pubblico all’anno ai partiti, dal 2017 ci si inventerà un nuovo modo per continuare a darli.

Questa legge ipocrita e inutile per altro regala ai partiti locali e spot in Rai a patto che il governo (lo fa dettagliatamente nell’articolo 8) metta il naso in casa loro decidendo le regole della democrazia interna. Se non obbedisci, niente spot. Questo non solo è ingiusto, ma sicuramente anticostituzionale. E non vale la pena discuterne… Franco Bechis, Libero, 1° giugno 2013

……………..Lasciamo il commento, amaro!, a chi ci legge. g.