Ma in Italia esistono ancora i partiti? Dietro le etichette sopravvissute alla tempesta del voto, all’elezione del presidente della Repubblica e alla nascita di un governo vissuto come una camicia di forza è rimasto un vuoto politico, organizzativo e di leadership che ha pochi precedenti nella storia della Repubblica. Un deserto che va dalla formazione di Vendola all’ex destra di An, dal Pd a ciò che resta del Pdl. Per non parlare di Scelta Civica svanita nel nulla e della Lega sconfitta e messa alle corde perfino da Umberto Bossi.

Se dai partiti si passa a quello che orgogliosamente si considera un «movimento di cittadini» il panorama non cambia: dopo il successo del 24 febbraio i 5 Stelle hanno vissuto una serie interminabile di abbandoni, processi ai dissidenti, liti su soldi e scontrini. Ora siamo all’atto finale: tanti eletti sono pronti ad abbandonare il gruppo mettendo in discussione la figura di Grillo, trasformatosi da trascinatore dell’Italia ribelle in capo autoritario e bizzoso.

Ma è quello che accade nel Pd e nel Popolo della Libertà che deve più preoccupare. Il Paese ha bisogno di un’alleanza di governo che duri il tempo necessario a promuovere le misure contro la crisi. Riforme radicali per liberare le risorse utili alla crescita, promuovere l’innovazione, creare opportunità di lavoro per i giovani, rendere efficiente la pubblica amministrazione, cambiare le istituzioni e la legge elettorale. Compito al limite dell’impossibile.

Il Partito democratico è invece ancora immerso in una resa dei conti interni senza fine. È arduo seguire la scomposizione delle vecchie correnti e la nascita delle nuove, decifrare il dibattito sulla scelta del segretario e sul metodo per eleggerlo. C’è un unico punto certo: rendere più complicata la corsa di Matteo Renzi, leader popolare ma alieno alle liturgie degli ex comunisti. Si avverte l’assenza di una linea politica comune, la tentazione di buttare a mare le larghe intese per tornare ai lidi tranquilli di un’identità di sinistra rafforzata dall’iniezione di grillini dissidenti.

Ancora più indecifrabile è il confronto in corso nel Pdl. Da un anno si litiga sul ritorno a Forza Italia, una questione irrilevante dopo l’addio dei politici provenienti da An. Ci si accapiglia tra falchi e colombe filogovernative senza rispondere alle vere domande: come sopravviverà il partito senza la leadership (scossa dalle inchieste e calante nella presa elettorale) di Silvio Berlusconi? Quali dirigenti saranno in grado di interpretare le aspirazioni di un elettorato moderato in fuga verso l’astensione? E come potrà convivere il populismo movimentista con il progetto di una forza legata ai popolari europei?

Partiti seri, consapevoli della sfiducia totale del Paese approfitterebbero dell’attuale tregua per ripensare se stessi, ricostruire la credibilità perduta, promuovere nuove classi dirigenti. Invece non sanno neppure riconoscere che sono loro i malati gravi, scaricano sull’esecutivo tensioni e movimenti scomposti. La speranza di una «democrazia normale», con due poli (progressista e conservatore) che competono per conquistare il consenso degli elettori è sempre più lontana. Luciano Fontana, Il Corriere della Sera, 16 giugno 2013

…………………..Non nutra speranza l’autore di questo editoriale: i partiti, quel che resta di ciò che essi furono nel passato, nel bene e nel male, i protagonisti della rinascita nazionale, della trasformazione di un Paese demolito, non solo materialmente, dalla guerra al Paese che si rimboccava le maniche, ricostruiva il futuro, conquistava obiettivi e guardava lontano, quei partiti non esistono più e non esisteranno più neppure nel futuro. Tutti, nessuno escluso, sono ormai  conventicole che si rinchiudono in se stesse allo scopo, neppure tanto nascosto, di eternare ciascuno la propria  la classe dirigente costruita non come nel passato,  attraverso la selezione dal basso, ma attraverso cooptazioni e chiamate dall’alto. Anche per i  livelli più bassi dell’apparato, e ciò è caratteristica sia dei piccoli, sia dei grandi partiti, dal Pd al PDL. In quest’ultimo, poi cresce, ad onta dell’uragano che sempre più si avvicina,  una nuova  classe di “ras” che considerano i territori come conquiste da trattare come personali capisaldi da affidare ai peggiori  figuri che abbiano la caratteristica d essere assolutamente imbecilli. Di questo  passo è ovvio che  si scade nel nulla e si aggrava la malattia di cui i partiti sono affetti: la miopia, anzi la più totale cecità. Tanto da non accorgersi di essere sempre più impopolari e sempre più individuati come le vere calamità dell’attuale situazione socio-economica-politica-morale e quindi come l’emblema di ciò che deve essere rimosso, spazzato via.  Come potrà avvenire la rimozione è difficile pronosticarlo: ma avverrà. g.