La rapidità con cui è fallito il progetto di Scelta civica è sorprendente quasi quanto la velocità con cui si sta dissolvendo la speranza del Movimento 5 Stelle. Eppure, con tutte le loro diversità, si tratta delle due facce che la rivolta contro il sistema dei partiti aveva assunto alle elezioni di febbraio; dei vincitori (Grillo) e degli sconfitti (Monti) della cosiddetta «antipolitica». Sembra oggi di assistere alla nemesi storica dei due partitoni che, seppure ammaccati e logori, sono sopravvissuti all’assalto e si preparano a dare loro le carte di una possibile Terza Repubblica.
Ma mentre la crisi dei grillini avviene sotto gli occhi del pubblico come in una telenovela sudamericana, quella del partito di Monti si è avviluppata invece in bizantinismi incomprensibili, in una litigiosità tra correnti e personalità che stride con la modestia dei numeri e ricorda le battute sulla scissione dell’atomo. Non ci addentreremo dunque nelle ragioni per cui Monti e Casini stanno per divorziare (anche se in realtà il loro è piuttosto un matrimonio rato e non consumato, e in quanto tale spera di ottenere un più discreto annullamento). Ma è interessante capire che cosa è andato storto, perché tre milioni di italiani, e non i più impulsivi o disinformati tra gli elettori, avevano dato fiducia a Scelta civica nelle urne. Consegnandole un risultato che, seppure non un successo, era pur sempre una base accettabile per contare qualcosa.
Gli avversari dicono che il tentativo di Monti è fallito perché «tecnocratico». Ma è più probabile che abbia invece pagato proprio un eccesso di politicismo. La sua decisione di candidarsi alle elezioni è stata l’opposto di una scelta tecnocratica: ha chiesto all’elettorato il mandato a governare. Il Professore sarebbe stato più furbo, ma non più corretto, se avesse aspettato in panchina un pareggio elettorale per poter tornare a fare l’arbitro. Però Monti è entrato in campo portandosi addosso la soma della vecchia politica. In primo luogo accettando il ruolo di possibile stampella di una vittoria mutilata della sinistra. Chi ha rifiutato il governo di Bersani e Vendola ha dunque rifiutato anche lui, e questo ha chiuso a chiave il forziere dei voti moderati, così riconsegnati al redivivo Berlusconi. Il secondo handicap, forse anche più esiziale, è stato l’alleanza elettorale con i frammenti più vetusti del big bang della Seconda Repubblica, che ha spogliato Scelta civica di ogni credibilità come fulcro di un radicale rinnovamento del sistema.
L’errore nelle alleanze è stato così grave da aver prodotto effetti anche dopo il voto. Ciò che in natura non può stare assieme, prima o poi si divide. Quello che sta accadendo è la riprova che Monti e Casini non potevano e non dovevano stare insieme. ANTONIO POLITO, Il Corriere della Sera, 22 giugno 2013