Diciamolo subito: il punto non è quello che avverrà dopo la sentenza e la condanna di Silvio Berlusconi o quali saranno le ripercussioni sul governo e sulle larghe intese, il punto è quello che è già avvenuto, quel che le decisioni dei giudici di Milano significano per il paese oggi, un minuto dopo la lettura della sentenza.

Una sentenza non ha solo un valore in sé. Non è indirizzata solo all’imputato. Certo Silvio Berlusconi è il condannato, ma dietro quei sette anni di carcere per costrizione e prostituzione minorile, dietro quell’interdizione perpetua dai pubblici uffici c’è la condanna di un intero mondo, di un modo di vivere il proprio privato, ci sono le “Olgettine”, le cattive ragazze che ricevono doni e denaro, le feste a sfondo sessuale, i divertimenti osé, le danze scabrose. Era bello quel mondo? Era squallido sicuramente, mette tristezza, fa capire tanto sui rapporti fra il potere e il sesso. Il problema è che in uno stato di diritto, in un stato che non arroga a sé il potere di dettare la morale e il comportamento sessuale dei propri cittadini, non può essere oggetto di condanna in tribunale. Invece nel processo non ha avuto alcuna importanza il fatto che, a cominciare da Ruby, quelle ragazze abbiano negato di aver avuto rapporti sessuali. Anzi la minaccia ora è l’accusa di falsa testimonianza. Non è possibile che chi ha partecipato ai giochi e alle danze non si sia prostituita, hanno, di fatto, affermato i giudici. Non è possibile che non si sia prostituita la minorenne Karima El Mahroug che ha fatto come loro. Puttane e bugiarde. Questo sono quelle ragazze e le loro parole al processo ora sono rinviate alla procura perché le esamini ulteriormente. Perché trovi ulteriori colpe contro di loro.

Non considero delle “erinni” le donne giudici di Milano che hanno letto la sentenza, non considero una “strega” Ilda Boccassini. Non mi piace il modo in cui i tanti oppositori della sentenza oggi le apostrofano, ma hanno sicuramente fatto un danno enorme alle donne. Non solo a quelle cattive ragazze che hanno tutto il diritto di essere cattive, cattivissime e anche puttane. E che non sono considerate incapaci di intendere, ma solo furbe maliziose e bugiarde. Ma anche alle altre. A quelle che pensano di essere dalla parte giusta. Perché, come la storia e la cronaca insegnano, in uno stato etico sono le donne le prime a rimetterci, buone o cattive che siano. Sono loro che in uno stato che decide il comportamento morale si trovano a rinunciare alla loro libertà. E il fatto che in tanti e in tante oggi siano felici per la condanna di quel mondo, si sentano finalmente liberate dallo squallore, dal cattivo gusto, dall’odore di stantio che da esso emana la dice lunga non solo su chi ha pronunciato la sentenza, ma anche su quella diffusa mentalità che fa il doppio errore di giudicare immorali e quindi illegali i comportamenti diversi dai propri. Possibile che un’idea di libertà, di legalità separata dall’etica, oggi debba essere rappresentata solo dalle “cattive ragazze”? Ritanna Armeni, Il Foglio quotidiano, 25 giugno 2013

…….Tra tutti i commenti che oggi si possono leggere sui quotidiani a proposito della condanna inflitta ieri a Milano da un Tribunale composto da tre donne, abbiamo scelto,  per commentare una condanna che appare agli occhi di tutti, oltre che esagerata, molto discutibile (si può ancora in Italia discutere le sentenze o si corre il rischio di essere denunciati per lesa giustizia?) questo articolo di Ritanna Armeni. Che non è una giornalista al soldo di Berlusconi, nè sul suo libro paga, nè addomesticata in una delle cene di Arcore. Ritanna Armeni, che oggi scrive sul Foglio di Ferrara, è una giornalista di sinistra, anzi della sinistra extraparlamentare e di quella più agguerrita contro Berlusconi. Per questo la sua opinione ci sembra avere un peso maggiore dei tanti e delle tante che in queste ore si sono avvicendati nella “difesa2, spesso d’ufficio,  di Belrusconi. Anche perchè la Armeni senza giri di parole issa sul banco degli imputati, anzi delle imputate, le tre giudici che pur di condannare Berlusconi, si sono a loro volta issate sul cielo della difesa della etica e della morale pubblica, pretendendo di stabilire per legge se una donna, più donne, tante donne, possano o meno avere il diritto di fare del proprio corpo ciò che vogliono. Sia chiaro, non condividiamo del tutto le tesi della Armeni, ma ci pare che in  un Paese dove il femminismo è stata più che una moda e che in questi giorni, nel bel mezzo di un gran can can,  sta varando una legge che punisce la violenza contro le donne (e quella contro gli uomini da parte delle donne a quando?) è una sopresa che un Tribunale al di là di ogni altra questione si sia posto il problema di stabilire cosa una o più donmne possano fare nel proprio spazio personale del proprio corpo. C’è del fondamentalismo esasperato in questa sentenza, al di là delle colpe, ove davvero ci siano, dell’imputato al quale peraltro è stato riservato un trattamento al quale manca solo la condanna all’evirazione da eseguire sulla pubblica piazza con tanto di constatazione formale dell’avenuto taglio dell’arnese oggetto corpo del reato. Ovviamente a cura delle donne.g.