Il meglio è nemico del bene. E invece in Italia la maggioranza parlamentare, anche più dell’opposizione, pullula di autorevoli esponenti che pur di avere un governo migliore minacciano di eliminare l’unico governo che abbiamo. Non che abbiano torto, nel sostenere che si può fare di più. Si vede che il governo Letta ha seri limiti congeniti, non disponendo di un programma votato dagli elettori, bussola di ogni esecutivo che si rispetti. E si vede anche che finora ha pensato più a rinviare i nodi fiscali lasciatigli in eredità dai governi precedenti che ad affrontare l’azione di tagli alla spesa pubblica che nessun governo precedente gli ha purtroppo lasciato in eredità. E però anche nella polemica politica dovrebbe vigere il principio alla base dell’istituto tedesco della «sfiducia costruttiva»: chi dice che se Letta non cambia marcia se ne va, dovrebbe anche dire per andare dove, per fare quale governo, e perché sarebbe migliore. Al momento, le due ipotesi più probabili in caso di caduta dell’esecutivo sono infatti nuove elezioni con la vecchia legge, un bis in idem , o nuova maggioranza basata sui trasformisti in uscita dal Movimento di Grillo. Chi pensa che per l’Italia una delle due soluzioni sia migliore della condizione attuale, alzi la mano.
L’ultimo aut aut è venuto dal senatore Mario Monti, che pure conosce così bene il sistema tedesco da aver chiesto al governo un Koalitionsvertrag , e cioè un vero e proprio contratto scritto come quello che regge le grandi coalizioni a Berlino. La sua iniziativa ha sorpreso tutti perché proviene da un uomo che ha prestato il suo servizio allo Stato, anche pagando un prezzo personale in termini di popolarità, proprio per garantire la stabilità politica interna e la conseguente credibilità internazionale. Ciò non di meno ha prodotto un «vertice di maggioranza» convocato per giovedì, che in Italia è sinonimo solo di maggiore confusione. Sono infatti proprio le tensioni e le divisioni dei partiti l’elemento di maggiore fragilità del governo. È da lì che nascono surreali assi tra Brunetta e Fassina, o inedite convergenze tra i falchi del Pdl e Mario Monti, oppure ancora lo stillicidio di Matteo Renzi, aspirante leader del Pd, contro i «piccoli passi» del compagno di partito che sta a Palazzo Chigi.
È evidente che il governo non ha avuto una partenza sprint, e che deve ancora trovare la sua missione in politica economica. I governi di grande coalizione servono a moltiplicare le virtù dei due partiti maggiori consentendo loro di fare le scelte dolorose che da soli non potrebbero fare, non certo a sommare le promesse demagogiche di entrambi. Al presidente del Consiglio dunque spetta di indicare al più presto degli obiettivi di riforma della spesa che giustifichino l’ambizione di ridurre la pressione fiscale, unico vero volano di crescita. Ma è altrettanto evidente che chi lo giudica dopo 60 giorni con il metro su cui hanno fallito governi che sono stati in carica per anni, lo vorrebbe balneare proprio mentre fa mostra di preoccuparsene. La durata non è tutto, per un governo. Ma senza durata non c’è niente, meno che mai le «grandi riforme» che tutti reclamano con urgenza dal governo.Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 2 luglio 2013