LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE DI IERI: PROVINCIE “SALVE” E ITALIA PARALIZZATA
Pubblicato il 4 luglio, 2013 in Giustizia, Politica | Nessun commento »
Ne siamo certi: la Corte costituzionale avrà avuto le sue buone ragioni. Non per nulla molti davano per scontata la bocciatura sia della riforma delle Province contenuta nel decreto salva Italia, sia del successivo più morbido tentativo di riordino con l’accorpamento di alcuni enti. La Consulta ha ritenuto illegittimo il ricorso al decreto legge per interventi di tale portata, visto che quello strumento dovrebbe essere limitato ai casi di straordinaria necessità e urgenza.
Per avere una più completa conoscenza delle motivazioni bisognerà aspettare il deposito della sentenza. Certo, una riforma come l’abolizione delle Province, che doveva essere fatta più di 40 anni fa contestualmente alla nascita delle Regioni, non poteva essere ritenuta tanto impellente da giustificare un decreto. Anche se forse sarebbe il caso di ricordare il contesto in cui il decreto salva Italia vide la luce. C’era appunto, da salvare il Paese che in quel momento si trovava in una situazione così difficile da dover affidare il proprio destino a un governo tecnico, con la necessità di prendere nel giro di poche ore provvedimenti in grado di placare i mercati resi pazzi dalle furiose spallate della speculazione internazionale. Di più. Rimettere in carreggiata l’Italia era un passaggio cruciale per la sopravvivenza stessa della moneta unica, tanto erano drammatici i toni della lettera che il 5 agosto del 2011 arrivò all’Italia dalla Banca centrale europea.
Con suggerimenti di misure durissime da adottare immediatamente, e fra queste si citava proprio l’abolizione delle Province, sempre promessa da tutti i partiti ma mai realizzata. Alla luce dei fatti, quella riforma poteva essere o meno considerata urgente? Al di là del merito, comunque, la sentenza della Corte costituzionale conferma se ce ne fosse stato ancora il bisogno che l’Italia è un Paese in preda a una totale paralisi. Non c’è decisione che non corra il rischio di finire sotto la tagliola della Consulta, del Tar o del Consiglio di Stato. Può capitare indifferentemente alla riforma delle Province, come alla vendita di un immobile dell’Inps, o alla costruzione di un elettrodotto, oppure alla delibera di un’authority, quando non al licenziamento di un dipendente pubblico corrotto.
È successo perfino al taglio del 10 per cento degli stipendi dei magistrati, cassato dalla suprema Corte perché ledeva l’indipendenza dei giudici, Colpa di una legge scritta male, di una sciatteria burocratica, di un errore formale. Talvolta addirittura di una fantasiosa interpretazione delle norme. Una giustificazione c’è sempre. Fatto sta che non abbiamo più alcuna certezza: inutile lamentarsi del tempo biblico per fare un’opera pubblica, degli anni che necessari a risolvere un contenzioso, degli investimenti esteri sempre più impalpabili. Così non si va da nessuna parte. Ed è bene esserne tutti coscienti, giudici compresi. Sergio Rizzo, Il Corriere della Sera, 4 luglio 2013
………………Se non ci fosse la “firma” di Sergio Rizzo, autorevole fustigatore della “casta” e dei suoi privilegi insieme a GianAntonio Stella, questo commento alla sentenza di ieri della Consulta che ha di fatto annullato ogni intervento normativo sulle Provincie emanati dal Governo tra il 2011 e il 2012, potrebbe essere “”attribuito” a Berlusconi o qualche suo incaricato. E’ Berlusconi che da sempre denuncia le tante decisioni della Consulta che bloccano, annullandola, l’attività dei governi e del Parlamento, è Berlusconi che da sempre invoca una radicale riforma dei poteri di un organo che lungi dall’essere “tecnico” e quindi imparziale è sempre più “politico” quindi, se non fazioso, certamente di parte. Ma Berlusconi è rimasto inascoltato in nome di una presunta e certa “autorevolezza” dell’organo di controllo della legittimità della Repubblica; ora che mettere in dubbio sia pure con molta cautela questa presunta e non cereta autorevolezza è un giornalista di sicura fede non berlusconiana qualcuno, lassù, in alto, sul Colle più alto che più alto non si può, prenderà atto di tale realtà e autorizzerà – proprio così: autorizzerà!- una non più rinviabile riforma costituzionale del sistema dei pesi e dei contrappesi, insieme all’altra riforma ormai ineludibile, quella della giustizia? Vedremo. g.