E’ inutile, ogni volta che il Fisco si muove, i contribuenti, in qualche modo, rischiano di perdere qualcosa. Anche quando appare animato dalle migliori intenzioni. Prendiamo l’abolizione dell’Imu sulle prime case non di lusso: un risparmio, certo. Ma poi tra le pieghe del provvedimento preso in esame dal Consiglio dei ministri, si scopre che c’è un passaggio dal titolo preoccupante: “Ripristino parziale della imponibilità ai fini Irpef dei redditi derivanti da unità immobiliari non locate”. Detto in modo più chiaro: era previsto il ritorno dell’Irpef e delle addizionali locali, seppure ridotte al 50%, sulle seconde case sfitte. Norma che ieri Palazzo Chigi ha assicurato che non verrà inserita nel testo in via di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Eppure quell’articoletto (numero 6 nella bozza) nascondeva un vizio antico dell’Erario, del quale non riesce proprio a fare a meno: quello delle tasse retroattive. Il pagamento dell’imposta doveva scattare da gennaio e non dalla data di pubblicazione del decreto legge (oggi). Con otto mesi d’anticipo. Troppi.
Tutto bene se in Italia non fosse (o forse si dovrebbe dire sarebbe) in vigore una legge di salvaguardia per i cittadini, il cosiddetto «Statuto dei diritti del contribuente». Una specie di scudo anti-soprusi. Un casco anti-balzelli iniqui. Leggiamo l’articolo 3: «…le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo». Un criterio minimo di tutela: le imposte vanno pagate ma soltanto per il futuro. Lo Stato non può cambiare le regole per il passato. Lo stesso principio che vale per le norme penali. Una protezione violata già centinaia di volte in nome del gettito. Una difesa che spesso lo Stato, con l’alibi dei vincoli di bilancio, aggira.
Come? Con una semplice parolina, che tanto spiega del modo tutto italiano di considerare i cittadini-contribuenti: basta infatti scrivere nelle norme fiscali la frasetta «in deroga» e, come d’incanto, lo Statuto del contribuente si trasforma da scudo scalcagnato in foglia di fico bucherellata. Esattamente quello che stava per accadere con la reintroduzione dell’Irpef sulle case sfitte passata nel consiglio dei ministri. Un caso isolato? Macché. Da poco è accaduto anche sul redditometro, il Fisco ha la possibilità di andare a verificare gli scostamenti sui redditi fino al 2009. Ma per avere uno Statuto così fragile e così facilmente aggirabile forse sarebbe più corretto (e serio) nei confronti dei cittadini gettarlo alle ortiche. Come si direbbe intermini giuridici: abrogarlo. Oppure rispettarlo. Senza trucchi. Il Corriere della Sera, 31 agosto 2013
……Questa si che srebbe una bella battaglia, quella per vietare che nelle leggi compaia la parolina “in deroga”, in nome della quale vengono commesse nefandezze di ogni genere. Se ne è occupato di recente anche un simpatico trattattello dal titolo appropriato: Privuilegium. Perchè ogni deroga è un privilegio che quando si tratta dello Stato è anche una vera e propria truffa, oltre che essere una inaccettabile violazione della certezza del diritto e della civiltà del diritto che vietano la retroattività di ogni norma quando in danno del cittadino, specie in materia fiscale. Ma c’è nel Parlamento, da destra a sinistra, passando per il centro qualcuno che se ne voglia intestare la titolarità? Non ci parem, visto che nessuna deroga è stata mai oggetto di ricorso alle supreme corti perchè ne cancellino gli effetti. Perciò…zitti mosca, non i contribuenti ma quelli che li rappresentano e che ad ogni occasione si dicono interpreti e difensori della “centrtalità” del cittadino…quale centralità? quella del pagatore! g.