Se gli ultimi tentativi di mediazione fallissero, se l’ultimo, accorato appello del presidente Napolitano cadesse nel vuoto e il Pdl optasse nelle prossime ore per la spallata finale al governo Letta, allora non ci sarebbe nemmeno un vincitore, ma sul terreno solo uno stuolo impressionante di vinti.

Sarebbe sconfitta innanzitutto l’Italia, la cui condizione economica preoccupa ancora l’Europa e il cui spread ha proprio ieri sorpassato quello spagnolo. Perderebbero le istituzioni, che nella scorsa primavera, quando i partiti in Parlamento avevano mostrato tutta la loro penosa impotenza, furono salvate con uno sforzo d’emergenza attraverso la rielezione di Giorgio Napolitano. E il capo dello Stato, come è noto, si è detto personalmente e istituzionalmente indisponibile, fino alle estreme conseguenze, a giochi e manovre che farebbero ripiombare l’Italia nel caos politico.

Non vincerebbe lo stesso Berlusconi, che non vedrebbe minimamente migliorata la propria condizione personale, drammaticamente invischiata in vicende giudiziarie il cui automatismo oramai non sarebbe recuperabile neanche da una linea di condotta ultra-aperturista del Pd nella Giunta del Senato.

Non vincerebbe il centrodestra, decapitato del suo leader, frastornato, illuso, incapace di capire che il burrone è molto vicino e che senza un rinnovamento radicale di leadership, di classe dirigente, di linguaggio la partita è perduta, per quante fantasmagoriche performance Berlusconi sia ancora in grado di esibire in campagna elettorale, il suo terreno preferito ma che da ora in poi dovrà affrontare come un’anatra zoppa.

Non vincerebbe il centrosinistra, già pronto ad inebriarsi per la scomparsa del Nemico da cui è stato battuto tanto frequentemente, ma che sembra condannato all’eterna ripetizione degli stessi errori. Non vincerebbe il Pd, che anche ieri ha dimostrato di intrattenere un rapporto morbosamente ambiguo con il movimento di Grillo, colpito sì dai suoi insulti ma anche segretamente tentato dall’idea di una pur sbrindellata alleanza per mettere definitivamente all’angolo il centrodestra. Svanirebbe la stessa idea di riforme costituzionali condivise, la prospettiva di una riduzione del numero dei parlamentari, di maggiori poteri al capo del governo, della fine del paralizzante bicameralismo perfetto, del ridimensionamento dei costi della politica, Province in primis, che sembrano inscalfibili.

Impallidirebbe la speranza che sia possibile in Italia una normale democrazia dell’alternanza, in cui gli schieramenti si contendano la guida del governo, ma non vogliano perseguire l’annientamento reciproco, come è accaduto in questi venti anni e come i coriacei detrattori della «pacificazione» vorrebbero che continuasse in una rissa infinita e inconcludente. Perderebbero tutti e si correrebbero gravi «rischi», come avverte Napolitano. C’è ancora pochissimo tempo per sperare che ci si voglia fermare un centimetro prima del precipizio. Pierluigi Battista, Il Corriere della Sera, 11 settembre 2013

……L’analisi è giusta, la diagnosi anche…quale terapia?