La gravità della crisi italiana non sta nell’inadeguatezza sia pur grave di questo o quel partito. Sta nella condizione di evidente provvisorietà che caratterizza l’intero sistema politico a causa della natura aleatoria e instabile di tutti i principali partiti. I cui retroterra culturali, alleanze, leadership e programmi, appaiono, potenzialmente in continua quasi incontrollabile evoluzione. Lo si vede bene oggi quando con ogni probabilità ci stiamo avvicinando a una svolta della legislatura, dovuta al fatto che l’attuale «strana maggioranza» – sottoposta com’è alle tensioni prodotte da un lato dalla procedura di espulsione di Berlusconi dal Senato, e dall’altro dall’aggravamento dei conti pubblici, che rende sempre più insostenibile la contemporanea cancellazione dell’Imu e il mantenimento al 21 per cento dell’Iva – non sembra in grado di resistere ancora a lungo.

Ma se la crisi del governo Letta getterà il Pdl/Forza Italia nella più totale incertezza, in balia dell’altalena di ire e di resipiscenze di Berlusconi, dei suoi cambiamenti di umori e di progetti, anche il destino del Pd non lascia presagire prospettive molto rassicuranti. Se Letta venisse costretto alle dimissioni in seguito al ritiro dei ministri della Destra, il cammino che si aprirà davanti ai Democratici sarà infatti tutto in salita. Esclusa l’ipotesi di elezioni anticipate, che Napolitano non vuole, o si aprirà la crisi ovvero il presidente del Consiglio tornerà alle Camere per cercare una nuova maggioranza. In entrambi i casi – essendo fuori gioco una riedizione delle «larghe intese», così come, auspicabilmente, di qualche pasticcio a base di «volenterosi» e transfughi di varia provenienza – il Pd dovrà rivolgersi a Sel e ai 5 Stelle. Come sei mesi fa: solo che questa volta è probabile che ci sia una spinta a concludere positivamente che allora invece fu assai minore o mancò del tutto, perché forse (sia pure molto forse) stavolta i grillini almeno un appoggio esterno finiranno per darlo.

Si aprirà però a questo punto, per il Pd, uno scenario tra i più scomodi: essere il cuore di una coalizione di governo tutta orientata a sinistra, prevedibilmente alle prese con continui fremiti movimentistici, esposta a sollecitazioni di tono e segno estremistico. Che non sarà davvero facile governare senza consumarsi in polemiche, ultimatum, scontri e armistizi, che verosimilmente renderanno la vita della coalizione stessa quanto mai precaria, povera di risultati apprezzabili (se non peggio: è facile immaginare quello che ne penseranno a Bruxelles o a Berlino), e destinata concludersi con nuove elezioni anticipate (diciamo entro la primavera del 2015).

Una competizione elettorale con la Destra e con il Centro che vedrebbe comunque i Democratici in una situazione scomodissima. E oltremodo contraddittoria. Nessuno, è vero, è oggi in grado di leggere nella sfera di cristallo delle vicende congressuali e delle relative lotte interne del Pd, ma che ne resterebbe del «partito a vocazione maggioritaria» dopo dieci mesi – un anno di governo Pd-Sel-5 Stelle? E che ne sarebbe a quel punto dell’immagine politica di Matteo Renzi, della sua credibilità e del suo appeal su settori elettorali non di sinistra, alla guida di un partito siffatto? In conclusione un semplice dubbio: già alla fine del 2011 il Partito democratico sbagliò clamorosamente a non chiedere le elezioni anticipate dopo la fine ingloriosa del governo Berlusconi; non capiterà che tra poche settimane sia destinato a ripetere il medesimo errore?Ernesto Galli Della Loggia, Il Corriere della Sera,21 settembre 2013