Per il Pdl doveva essere il teatro dei tormenti, e ciascuno degli attori sulla scena, falchi e colombe, Santanchè e Augello, Schifani e Quagliariello, si era preparato un discorso, ognuno pronto a recitare le sue rimostranze da cuore infranto al sovrano e di fronte alle fazioni avversarie, quasi nemiche, a mostrare i denti persino, “vorrei che dal raccontarsi di oggi venisse un senso al nostro destino”, diceva Sandro Bondi, il coordinatore fedelissimo, prima di entrare a Montecitorio. Ma alla fine la riunione dei gruppi parlamentari del Pdl, in un’aula della Camera, silenziosa e cinerea, è stato lo spettacolo d’un uomo solo, Silvio Berlusconi sul palco, riflettori puntati, tutti gli altri zitti, un’attenzione, intorno, tesa, muta, a tratti feroce, ansia di rivelazione imminente. E il Cavaliere li ha lasciati poi così, i suoi deputati e senatori, ancora incerti e malmostosi, “Berlusconi ci lascia appesi”, si lagna Fabrizio Cicchitto. Il grande capo, senza tentennamenti e senza dibattito, ha detto loro che “l’esperienza di governo è finita”, “ora mi aspetto che si dimettano anche i sottosegretari”, ma poi ha pure ritirato le dimissioni di massa dei parlamentari, ha assicurato il voto sull’Iva e sulla legge di stabilità, e non ha nemmeno accennato – mai – a come votare, mercoledì, la possibile richiesta di fiducia al governo di Enrico Letta (che tuttavia appare improbabile senza prima le dimissioni del premier).

Dietro le parole di Berlusconi, nelle sue pause e nelle sue omissioni quasi dorotee, ciascuno degli uomini del Pdl ha potuto riconoscere ciò che voleva, la piega più in sintonia con i suoi desideri. Alcune colombe sono tornate a casa con un subbuglio di speranza, “forse è confuso, ma c’è un accordo”, dice l’onorevole Sergio Pizzolante, e c’è chi racconta d’una trattativa evanescente con Letta e Napolitano, mentre sul volto di Daniela Santanchè e Denis Verdini, la Pitonessa e l’architetto della linea dura, anzi durissima, si legge uno sguardo di trionfo che stona con i racconti delle colombe. “Il partito è tutto compatto intorno a Berlusconi”, dice al Foglio la Pitonessa, ma con un’inclinazione di voce che tradisce un’esultanza nervosa, dopo giorni d’aspra contesa con i ministri Alfano, Quagliariello, Lupi e Lorenzin arrivati sul crinale d’una minaccia senza ritorno, contenuta in una parola rimbalzata da un corridoio all’altro del partito e dei gruppi parlamentari: “Scissione”, Forza Italia da una parte e il Pdl dall’altra. Nel pomeriggio, circondato da un parlottio fastidioso, strattonato dalla baruffa tra il Giornale e la ex delegazione del Pdl al governo, Berlusconi, prima di riunire i parlamentari, aveva ricevuto i ministri immusoniti, ne aveva soppesato le intenzioni, per poi rassicurarli, pur concedendo pochissimo, “pensavo fossimo tutti d’accordo, sono rammaricato se c’è stato un malinteso. Ma dobbiamo restare insieme”. Per Verdini è tutto teatro, farsa, recita, “le elezioni sono l’unico sbocco possibile, le vogliono tutti, anche Grillo, anche il Pd”, dice lui, “l’avete sentito cosa pensa D’Alema? Vuole evitare il congresso”. Per i falchi non c’è rischio di scissione, e d’altra parte dicono che Berlusconi abbia commentato così: “E dove vanno senza di me?”. Dunque non preoccupano i titoli dell’Osservatore Romano e nemmeno il ribollire dei cattolici nel Pdl, in contatto, in queste ore, con Pier Ferdinando Casini e Mario Mauro, quell’agitazione che tanto ricorda l’adunata del 16 dicembre 2012 al teatro Olimpico di Roma, quando gran parte del gruppo dirigente berlusconiano sembrava pronta a consegnarsi a Mario Monti, con un manifesto che cominciava così, “noi vogliamo costruire subito una nuova alleanza riformista e modernizzatrice, la casa comune dei popolari italiani che si riconoscono nel Ppe”. Ad Arcore si mormora che Fedele Confalonieri ed Ennio Doris premano per un ripensamento del loro amico e socio, ma il Cavaliere sembra rincorrere l’idea che sia preferibile la crisi, e il rischio della morte, al ripetersi dell’identico e dell’inutile come dentro a un labirinto di specchi. Salvatore Merlo, Il Foglio, 1° ottobre 2013

…..Merlo non è una penna di sinistra e il Foglio è il quotidiano di Giuliano Ferrara, per cui nussuno può dubitare della assoluta non faziosità di questo commento di Merlo alla assembela dei parlamentari del PDL (non aveva cambiato nome?)  di ieri a Roma. A leggerlo, dopo aver visto e sentito i commenti di parte già ieri sera, balza agli occhi che la crisi del centrodestra berlusconiano non si è chiusa ieri sera con una assemblea dove a nessuno è stato consentito di parlare, ma, anzi, si è aperta ancora più profonda e forse in maniera irreversibile. Peccato. Ci avevamo creduto con la buona fede del militante, invece sembra sempre più probabile che  dobbiamo , noi popolo di centrodestra, riprendere una lunga traversata del deserto. Ma non cifa paura perchè ci sorreggono i nostri Valori che sono irrinunciabili. g.