Se il gettito dipendesse da quante volte una tassa cambia nome, quello delle imposte sulla casa garantirebbe un record (sicuro) di entrate.
Invece non è così, nel tortuoso (e non ancora concluso) percorso della legge di Stabilità l’ormai (quasi ex) Imu, l’Imposta municipale unica, che già aveva preso il posto dell’Ici (Imposta comunale sugli immobili) stava per chiamarsi Trise (Tributo sui servizi comunali). A sua volta divisa in Tari (Tassa sui rifiuti) e Tasi (sui servizi indivisibili, che vanno dalla luce, all’arredo urbano agli stipendi della polizia municipale). Poi è comparsa nelle aule parlamentari la Tuc, il tributo unico comunale. Che evoca il nome di un biscotto un po’ salato un po’ dolce. E adesso nell’ultima (davvero?) versione si è trasformata nella Iuc, l’Imposta unica comunale. Fino al ‘92 si chiamavano in un altro modo, Invim e Ilor. Poi venne l’Isi, l’imposta straordinaria sugli immobili. Così straordinaria da trasformarsi in imposta permanente. Se li mettete in fila arriviamo a contare dieci nomi diversi, da fare invidia all’Accademia della Crusca (fiscale). Un rompicapo che aumenta la confusione. Non il gettito. Dal momento che il governo sta ancora cercando le risorse per coprire il taglio dell’Imu sulla prima casa. Durata appena un anno eppure così difficile da ribattezzare. Insomma, se non è zuppa è pan bagnato!