Alla fine, seppure non per la via maestra elettorale, il sindaco d’Italia è davvero arrivato. I due sindaci anzi, visto che a Palazzo Chigi Matteo Renzi avrà al suo fianco Graziano Delrio. Il nuovo governo è una fotografia dell’ansia di novità del premier. Ma è anche la misura dei limiti di un esperimento che risente del mondo antico in cui è nato: un Parlamento privo di una maggioranza elettorale, una coalizione variopinta composta di nove sigle, un’Europa in cui siamo ancora osservati speciali. È finalmente ricco di donne, raggiungendo standard da Paesi nordici; ed è affollato di gente nuova, anche se in qualche caso sembra di seconda fila. Ma, allo stesso tempo, il premier ha dovuto cedere su due punti per lui simbolici. Il primo è Alfano, il dioscuro di Letta: resta nel governo che si voleva «delettizzare», seppure perdendo i galloni di vice; il secondo è il Tesoro, dove non va un uomo di Renzi, ma un uomo delle istituzioni finanziarie, quel Pier Carlo Padoan la cui carriera all’estero è stata considerata indispensabile, come fu con Grilli e Saccomanni, per sedere ai tavoli dove si decide e si parla inglese.
Si può insomma dire che la vera innovazione del «Renzi 1» è Renzi stesso, il più giovane premier, per giunta extraparlamentare, dall’Unità d’Italia a oggi, e uno dei più ambiziosi. È lui la forza gravitazionale su cui si basa il governo, perché se cade lui cade anche l’ultima chance della legislatura e si fanno male in tanti. Dunque solo lui può dare anima a un esecutivo che per il resto non ha né più voti né più star di quello di Letta.
Soprattutto è da sperimentare la troika economica, un po’ troppo assortita, con un’esponente di Confindustria allo Sviluppo e uno delle Coop al Lavoro, dove dovrebbe nascere la riforma chiave per aprire il cuore dei burocrati di Bruxelles. Ed è una vera e propria scommessa la scelta di cambiare nel pieno della crisi dei marò il ministro degli Esteri, sostituendo una delle italiane più note nel mondo, Emma Bonino, con una delle migliori giovani del Parlamento, Federica Mogherini, che dovrà ora imparare un mestiere nuovo e complicato.
Non a caso il parto è stato tra i più laboriosi di sempre. Lo si è capito da quanto tempo il premier ha passato nello studio del capo dello Stato, che per la Costituzione ha il potere di nominare i ministri. E lo si è capito dai nomi che non hanno resistito al vaglio, come quello di un procuratore della Repubblica, Gratteri, alla Giustizia.
Quanto durerà? Almeno fino alla riforma del Senato, ora saggiamente legata all’entrata in vigore della nuova legge elettorale. Ma non dipende solo da Renzi. Berlusconi ha in mano la seconda maggioranza, quella che deve fare le riforme. Il gioco è dunque a due. Speriamo non sia doppio. Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 22 febbraio 2014
…..Come è noto nei giornali esiste la figura del titolista, cioè colui il quale letto l’articolo, sceglie il titolo, ovviamente sulla scorta di ciò che vi è scritto. Cosicchè il titolo dell’articolo di fondo di questa mattina del maggior quotidiano italiano, del più letto, del più seguito in tutti i sensi, interpreta così – esuberante debolezza - la valutazione che Polito, attento e arguto analista della politica, dà del nuovo governo e del suo capo. E coglie nel segno Polito, non solo perchè egli di certo conosce fatti e retroscena che hanno accompagnato la nascia del Renzi n. 1, ma anche perchè taluni segnali ben chiari a tutti non lasciano spazi per un governo forte, capace, di punto in bianco, di realizzare obiettivi e raggiungere traguardi significativi, segnali che evidenzianio appunto la debolezza di un esecutivo targato PD ma nato sulle ceneri di un altro esecutivo targato anch’esso PD, gettato via senza nè riguardi nè cortesie. E in politica ciò ha un suo prezzo. Basta l’immagine dello scambio di muto gelo tra Letta e Renzi al momento dello scambio delle consegne, neppure minimamente nascosto, a dare contezza che questo governo nato sull’onda di una sfrenata ambizione di Renzi rischia di scivolare per la legge del contrappasso che da sempre regola le cose della politica. Chi rischia di rimanere nuovamente schiacciato è il Paese, la Nazione, il Popolo italiano cui importa poco che le donne siano in numero uguale agli uomini, che le fiorentine non siano solo le bistecche ma anche le dame bianche di Renzi, importa invece che si riparta. Senza fermarsi a Firenze dintorni. g.