Chi credeva che il punto più basso raggiunto dal trasformismo nazionale fosse l’invenzione della Casta – la trovata giornalistica che, per salvare l’ideologia controriformista e cattocomunista egemone, accusa moralisticamente gli uomini politici di badare solo a se stessi – si sbagliava. La Casta non è la causa della crisi di cui soffre (ovunque) la democrazia, bensì, da noi, è l’effetto indotto della cultura politica, fascista e comunista del Novecento, che presumeva di instaurare una libertà soggettiva e di realizzare una partecipazione collettiva più alta. Come siano andate, poi, le cose nel «secolo breve», lo si è visto e non è il caso di ripetere l’esperienza. Ma al peggio, da noi, non c’è, evidentemente, limite.
Così, il peggio del peggio lo ha raggiunto papa Francesco che, ricevendo i nostri parlamentari non ha neppure porto loro la mano, facendo allusivamente riferimento a una generica e onnicomprensiva corruzione della nostra politica che, se mai, del fascismo e del comunismo è figlia, ma senza dirlo. Diciamola, allora, noi tutta. Se, per guadagnare l’applauso della parte peggiore del Paese – già pronta a buttarsi fra le braccia del primo aspirante ducetto – il Pontefice offre uno spettacolo culturalmente e politicamente discutibile; se, per recuperare il proprio primato teologico, perso con l’Illuminismo, fa il verso a Mussolini del discorso sull’aula «sorda e grigia», il cattolicesimo ha evidentemente perso di vista il messaggio liberatorio di Cristo e si riduce a fare la cattiva imitazione di Stella e Rizzo o, peggio, di Grillo, quindi c’è qualcosa che non va anche nella Chiesa di Roma. Mussolini era stato, nelle condizioni sociali del suo tempo, (almeno) tragico.
Il liberalismo, nel Seicento e nel Settecento, contro l’assolutismo e il clericalismo dell’Antico regime e, nell’Ottocento, il grande secolo del suo consolidamento, aveva posto la libertà a temperamento delle tentazioni autoritarie della democrazia post ‘89 e a premessa della pacifica e civile convivenza fra gli uomini. Nel Novecento, la degenerazione della democrazia in democratismo e in populismo si era tradotta nella convinzione del più forte di essere nel giusto solo perché in maggioranza, o comunque di poter imporre la volontà cosiddetta collettiva. Era stata una sorta di estensione totalitaristica della «volontà generale» del Contratto sociale di Rousseau. Che Tocqueville aveva accusato di «tirannia»; Constant di essere la libertà degli antichi – concretantesi nella partecipazione coattiva del cittadino alla vita della Polis – rispetto a quella, liberale e individualistica, dei moderni, che si sostanziava nell’autonomia dell’Uomo che, (anche) come cittadino e credente, si affrancava dalla collettività della Polis.
Ma se l’idea di libertà cede il passo alla moltiplicazione dei diritti e a sempre più accentuate procedure assembleariste, come sta accadendo da noi, la democrazia è automaticamente esposta a distorsioni anti-democratiche. E la tirannia è già alle porte. Piero Ostellino, Il Corriere della Sera, 5 aprile 2014