Matteo Renzi di certo ha portato una ventata di innovazione. Nella politica. Nello stile pubblico. Nella modernità dei riferimenti culturali. Nella composizione anagrafica del governo. Anche nel lessico. Con qualche dolorosa eccezione, però. Quando Renzi accusa i suoi critici di voler «remare contro» non sente che l’ha già detto qualcuno? Non percepisce forse il contrario dell’innovazione, un tuffo nel passato, un sapore di già detto, qualcosa che abbiamo già abbondantemente sentito in questi anni di Seconda Repubblica e anche prima, un tic mentale che identifica nel dubbioso, nel perplesso, non sia mai nell’oppositore, un sabotatore, un nemico della Patria? Il suo collega di governo Franceschini ha già riesumato la triste e bellicosa categoria del «disfattista». No, già dato. Occorre innovare di più: anche nel linguaggio.
E invece la sana spavalderia, il ritmo arrembante, l’energia che sprigiona dalla persona del giovane presidente del Consiglio ogni tanto, nella loro
Ci sarà pure la possibilità che qualche obiezione sia mossa da qualche buona intenzione e che non debba essere messa a tacere dal cerchio magico renziano
precipitazione, appannano gli usi buoni del linguaggio. Come è possibile che chi, legittimamente e giustamente, chiede quali siano le coperture finanziarie per ridurre il cuneo di 80 euro a dieci milioni di italiani, venga additato al pubblico scherno come un «gufo». E chi è perplesso su questa particolare riforma del Senato deve essere per forza bollato come uno «che rema contro»? Ci sarà pure la possibilità che qualche obiezione sia mossa da qualche buona intenzione e che non debba essere messa a tacere dal cerchio magico renziano pronto a indossare i panni del neo-arditismo giovanilista: «parruccone». Oppure prevale il modo manicheo: chi è con Renzi con entusiasmo è un patriota, chi obietta è un riottoso che «gufa» contro la Nazione, deve essere per forza un frenatore, insensibile all’alacre attivismo di chi si spende con tanta generosità alla guida del governo? Occhio, perché i «regimi» (linguistici) possono cominciare anche così, malgrado le migliori intenzioni.
Renzi fa bene ad accelerare, a imprimere un ritmo che metta fine alle inconcludenze del passato, alle infinite discussioni che paralizzano ogni attività e impediscono ogni riforma. Ma farsi qualche domanda non dovrebbe essere deprecata come malsana e patologica inclinazione «antidemocratica». C’è poi l’orribile predominio di una nuova parola, un tempo adoperata nella suburra romana e oggi assurta a sublime categoria politico: «rosicone». Rosicone è chi rosica, è chi gode delle disgrazie altrui ed è corroso («roso»: rosicone) da un’insana voglia di augurarsi l’insuccesso di chi merita successo. Ecco, un fiorentino orgoglioso, perché chi parla un buon italiano dovrebbe manzonianamente immergersi nell’Arno, non dovrebbe cedere al plebeismo del «rosicone». Anche «uccellacci del malaugurio» non va bene per niente. È vecchio, non è giovanile. È superstizioso, non è moderno.
Dubitare che dalla spending review annunciata vengano tutti i denari per le misure annunciate non è augurarsi il malaugurio, è essere realisti. E se alcune cose
Dubitare che dalla spending review arrivino tutti i denari necessari per le misure annunciate non è augurarsi il malaugurio, è essere realisti
annunciate non possono essere realizzate (il piano di edilizia scolastica rimandato, per esempio) non è perché qualche «gufo» l’ha tirata, ma più prosaicamente perché i soldi non bastano; lo dice la contabilità, non chi «rosica». Ecco, «rosicare» va bene per una curva, non per le opinioni politiche. Si «rosica» se la squadra odiata o temuta miete successi, non si «rosica» se si avanzano dubbi sulla fattibilità di mirabolanti progetti. Se poi si disseppellisce il luogo comune trito e consunto del «disfattismo» allora la democrazia e la pluralità di opinioni cominciano a venir percepite come un oltraggio. Un tradimento. E infatti il «disfattismo» diventa centrale nelle guerre quando la trasparenza di un dibattito libero e democratico è destinata ad appannarsi. Mentre invece Matteo Renzi vuole fare le riforme, non la guerra. Vuole realizzare programmi ambiziosi, non mettere il bavaglio (morale) a chi dissente. Anche lui è stato in minoranza e da lì ha combattuto una battaglia coraggiosa. Ora che è maggioranza non ha bisogno di umiliare le opinioni dissenzienti e concorrenti. Non sono «gufi», sono solo in cerca di risposte convincenti. Che male c’è? Domanda, non «rosicata». Pierluigi Battista, Il Corriere della Sera, 10 aprile 2014
…..Battista di fatto, finge di elogiare Renzi, ma di fatto lo bastona (con le parole), contestandogli ciò che uno statista, vero, in democrazia, non si può permettere: denigrare gli avversari, o anche gli amici, che nutrono dubbi, legittimi, sui provvedimenti che assume, anzi che sinora ha solo annunciato. Anche perchè lui non è il nuovo Messia, è solo uno dei tanti che si alternano in posti dove altri ci sono già stati e altri ci saranno nel futuro, sempre che il Renzi, magari, un giorno o l’altro, non decida che votare è inutile, perchè ci pensa lui. g.