Siccome ne avrete lette e sentite tante fra giornali e tv proviamo a buttar giù un Bignami di questa epocale tornata elettorale. La vittoria di Matteo Renzi, straordinaria, senza precedenti, è la vittoria del premier e non del partito-apparato che mai ha raggiunto percentuali bulgare solo sfiorate con Berlinguer, mai ha sfondato al nord, mai è diventato il primo partito di sinistra in Europa. Renzi, e non il Pd, ha stravinto perché ha promesso qualsiasi cosa agli italiani e qualcosina l’ha già mantenuta (gli 80 euro in busta paga, per dire) perché ha violato tabù sinistri (ha sdoganato l’opposizione, ha preso di petto il sindacato, ha tenuto lontano l’estrema sinistra) e perché ha avuto il coraggio di rischiare in un Paese dove l’unico azzardo tentato è al poker on line. Ma soprattutto ha vinto perché l’Italia, da sempre a maggioranza moderata e democristiana, non chiede rivoluzioni, teste da ghigliottinare, tribunali speciali: vuole stabilità, soluzione ai problemi, fatti concreti e facce nuove che non sappiano di Casta. Ha vinto perché, paradossalmente, la protesta ha trovato uno sbocco in lui. Da qui la rottamazione di vecchi arnesi e il lancio di una generazione di quarantenni che alla maggioranza degli italiani ha ispirato fiducia, anche se 80 giorni di governo sono pochi e c’è tanto ancora da dimostrare.
Eppoi Renzi ha vinto perché al di là di un Grillo che ha seminato il panico in campagna elettorale, non ha avuto un competitor all’altezza. Con la sola eccezione di Fitto, straordinario interprete in Puglia, Forza Italia è crollata per più e più motivi: da un rinnovamento non all’altezza della sua classe dirigente alla diaspora di uomini e simboli di centrodestra, dalla mannaia giudiziaria del leader alla decisione di contrastare Grillo identificando in lui – e non in Renzi – il vero avversario da battere. Per un leader che non sembra più avere la capacità di rimonta e di attrazione, c’è un centrodestra da ricompattare e ricostruire. Più di una successione dinastica servono primarie di merito e di consenso. Perché come dimostra la Lega, dalle ceneri si può risorgere. Solo per Monti non sarà mai Pasqua. Grazie a Dio. Il Tempo, 31 maggio 2014