Matteo Renzi può consolarsi con la vittoria del Pd. Ma è la classica vittoria di Pirro, ottenuta mentre il grosso degli elettori ha optato per la ritirata. Di questo passo, dicevamo, saranno ancora più estreme le forme di insofferenza da parte dell’opinione pubblica.
Un tempo, quando la tassazione complessiva era lontana dagli attuali livelli di confisca, si votava col cuore e con la testa. Oggi si vota quasi esclusivamente con il portafogli. E siccome la classe politica, al centro e in periferia, non fa altro che prelevare danaro per sostenere non i servizi sociali, ma una struttura di potere degna di un Paese sovietico, ai poveri votanti non resta che decretare lo sciopero elettorale, nella speranza che le varie nomenklature invertano l’andazzo, non soltanto per dare un sollievo ai contribuenti, ma soprattutto per liberare risorse che le singole persone potrebbero destinare alle attività produttive. Checché ritenga il buon presidente del Consiglio, non sono i governi a creare ricchezza, bensì i produttori, cioè gli imprenditori e i lavoratori. I governi, quasi sempre, si distinguono nel dilapidare ricchezza, nel prelevare quel «plusvalore» al centro degli studi di Karl Marx (1818-1883). Forse non ha tutti i torti chi osserva che se, anziché con i capitalisti-imprenditori «sfruttatori», il filosofo di Treviri se la fosse presa con i governi «ingordi», la sua lezione avrebbe assunto una validità universale, fuori dai confini del tempo.
Sono in molti, dopo l’affluenza choc alle regionali in Emilia-Romagna e Calabria, a ritenere che se si fosse votato alle politiche, probabilmente il dato della (scarsa) partecipazione non sarebbe risultato così clamoroso. Forse. Più delle Province, da sempre, le Regioni rappresentano le istituzioni meno apprezzate dai cittadini. Del resto, i numeri non hanno bisogno di particolari esegeti: l’exploit del debito pubblico coincide con l’entrata a regime della riforma che, nel 1970, introdusse i venti staterelli. E il superdebito costituisce la causa primaria del prelievo fiscale record, un elemento che alleggerisce le tasche degli italiani più dell’infinito bollettino degli scandali. Di qui la reputazione, tutt’altro che esaltante, delle Regioni nelle case dei cittadini.
Ma lo sciopero del voto dell’altro ieri ha tutta l’aria di annunciare una sorta di preavviso alla classe dirigente: adesso si protesta non votando, in futuro si potrebbe protestare non pagando (le tasse). D’altronde, avvisaglie in tal senso già si avvertono in qualche Comune. E, si sa, che in questa materia basta poco per appiccare un incendio.
La classe politica tende a sottovalutare la questione fiscale nella speranza che la ripresa del Prodotto interno lordo possa ridare fiducia a tutti. Ma il Pil non dà segnali di rilancio, anzi viene da chiedersi qual è la condizione del Prodotto netto della nazione, visto che nel Prodotto lordo è compresa anche la spesa improduttiva.
Renzi ha trasferito buona parte dei compiti di riscossione impositiva dallo Stato agli enti locali, con la conseguenza che le addizionali locali sono salite alle stelle e le abitazioni delle famiglie costano meno di un viaggio di nozze. Indifferente all’incredulità generale, il governo intende fare cassa col canone televisivo, probabilmente l’imposta più avversata in circolazione. L’obiettivo dichiarato è combattere l’evasione, l’effetto pratico sarà raccattare quattrini con le bollette elettriche delle seconde e terze case, anche se quest’ultime fossero sprovviste di teleschermi.
Silvio Berlusconi era partito con l’idea di snellire lo Stato, ma strada facendo non solo se n’è dimenticato, ma ha dato il suo valido contributo all’aumento della spesa pubblica, tanto che negli ultimi anni il problema Fisco è pressoché sparito dalla sua agenda, per ricomparire a intermittenza e senza convinzione in situazioni particolari.
Beppe Grillo aveva esordito con unprogramma radicale di rinnovamento, lasciando in sospeso il tema delle tasse. Della serie: via chi comanda da 20 anni, ma i balzelli possono restare. Ma ai cittadini sta a cuore più il rinnovamento delle politiche che il ricambio dei politici. Di qui l’inizio della discesa anche per il movimento pentastellato.
Rimane Matteo Salvini, forse il vero vincitore del minitest emiliano. Salvini ha realizzato il miracolo, grazie alla memoria corta degli italiani. Non solo è riuscito a oscurare le bravate di Umberto Bossi e relativo cerchio magico di famigli, ma è riuscito innanzitutto a far dimenticare le responsabilità della Lega nella sbornia per il federalismo. Il che aveva portato alla Riforma (2001) del Titolo Quinto della Costituzione: una babele di competenze e di sovrapposizioni fra Stato e Regioni che ha innalzato vieppiù il vulcano del debito pubblico.
Qui la tragedia e la farsa si rincorrono senza fermarsi mai. Giuseppe De Tomaso, La Gazzetta del Mezzogiorno, 25 novembre 2014