Papa Francesco a Manila (Ap/Favila) Papa Francesco a Manila (Ap/Favila)

Volando dallo Sri Lanka alle Filippine, Francesco ieri ha pronunciato uno dei suoi detti veraci destinato alla massima risonanza: se offendi la fede altrui, ha detto in sostanza, è normale che ti arrivi un pugno. Stava rispondendo a una domanda sulla libertà di stampa e la libertà religiosa e ha detto con il suo stile diretto: «Andiamo a Parigi, parliamo chiaro». Ha difeso il diritto alla libertà d’espressione ma ha aggiunto che esso non contempla il diritto all’offesa e ha illustrato quella massima – già formulata dalla Santa Sede sotto Benedetto XVI in riferimento alle vignette danesi del 2005 – con il suo linguaggio pittoresco: «È vero che non si può reagire violentemente, ma se il dottor Gasbarri (è l’organizzatore dei viaggi papali e gli stava accanto, ndr.), che è un amico, dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno! Ma è normale! Non si può provocare. Non si può insultare la fede degli altri. Non si può prendere in giro la fede».

Prima di buttarsi a polemizzare su questo detto bergogliano conviene richiamare due antefatti: la posizione vaticana consolidata sulle vignette contro Maometto, che Francesco ha richiamato quasi alla lettera; la libertà di linguaggio del Papa argentino, anzi il gusto creativo per quella libertà, che spesso determina la fortuna delle sue omelie o delle sue interviste.

La posizione vaticana sulle vignette danesi fu così affermata dal portavoce vaticano Joaquín Navarro-Valls il 4 febbraio 2006, cioè nei giorni in cui la loro pubblicazione – che risaliva al settembre precedente – stava provocando violente reazioni nei paesi musulmani: «Il diritto alla libertà di pensiero e di espressione, sancito dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo, non può implicare il diritto di offendere il sentimento religioso dei credenti. Tale principio vale ovviamente in riferimento a qualsiasi religione (…) talune forme di critica esasperata o di derisione degli altri denotano una mancanza di sensibilità umana e possono costituire in alcuni casi un’inammissibile provocazione. Va però subito detto che le offese arrecate da una singola persona o da un organo di stampa non possono essere imputate alle istituzioni pubbliche del relativo Paese (…) Azioni violente di protesta sono, pertanto, parimenti deplorabili».

È proprio questo e tutto questo che ieri ha detto Francesco. Nella fedeltà a quanto già affermato sotto il predecessore è da vedere una riprova della tenuta del Papa argentino sulle questioni più dibattute: viene accusato di non nominare la matrice islamista degli attentati, o di mostrarsi in generale troppo rispettoso nei confronti della fede musulmana, ma non si tiene conto che in questo egli segue i predecessori.

Altrettanto istruttivo, per intendere il motto del «pugno» a chi gli offenda la mamma, è il richiamo alla passione bergogliana per le trovate linguistiche. Sempre nella parlata di ieri ha usato un neologismo, «giocattolizzare» (prendersi gioco), come ne butta là in continuità, che attiene proprio all’irrisione delle fedi: «Tanta gente che sparla di altre religioni o delle religioni, che prende in giro, diciamo giocattolizza la religione degli altri, questi provocano. E può accadere quello che accadrebbe al dottor Gasbarri se dicesse qualcosa contro la mia mamma! C’è un limite. Ogni religione ha dignità, ogni religione che rispetta la vita e la persona umana, e io non posso prenderla in giro. Questo è un limite. Ho preso questo esempio per dire che nella libertà di espressione ci sono limiti. Come quello della mia mamma».

Dunque il Papa argentino non giustifica in nessun modo gli attentati – «È vero che non si può reagire violentemente» – ma non giustifica neanche le vignette che irridono a un’intera religione. La sua linea è quella del «limite» nell’uso della libertà di espressione.

Lo scorso Giovedì Santo, parlando degli «olii santi» che quel giorno vengono benedetti, disse che essi non mirano a produrre prelati «untuosi, sontuosi e presuntuosi»: e aveva davanti i cardinali e l’intera Curia. Sempre alla Curia il 22 dicembre ha lanciato il monito dell’Alzheimer spirituale e altra volta aveva bollato come «cristiani pipistrelli» i fedeli che vedono sempre nero.

Dunque il Bergoglio che si lascia sedurre dalle invenzioni linguistiche e dal motto tranciante già lo conoscevamo. Ora siamo arrivati al «pugno» indirizzato a chi provoca, ma è certo che il Papa amico dei preti di strada non si fermerà qui.  Il Corriere della Sera, 16 gennaio 2015

…La saggezza di Papa Francesco indica la strada da seguire nel rapporto con le altre fedi religiose i cui simboli non possono essere oggetto di satire che sfociano nella blasfemia.  E se è pur vero che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, pure è dovere di chi non è cieco di  non offrire loro  occasioni che vengono trasformati in alibi. Ciò vale sia per i credenti che per i non credenti  quali erano molti dei redattori del settimanale francese  rimasti vittime dell’odio e del fanatismo la scorsa settimana a Parigi. Nè quei fatti possono giustificare l’accanimento satirico che lungi dall’essere quel che vorrebbe apparire, cioè la difesa della libertà di espressione, si trasforma in una inutile  provocazione che spesso si ritorce sugli innocenti. Questo ci pare essere il senso delle sagge parole del Pontefice che da Manila si è rivolto a tutti gli uomni di buona volontà nella speranza di essere ascoltato. g.