Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, al termine dell’assemblea dei Grandi elettori di FI per il Quirinale (Ansa)

Nel giorno dell’elezione di Sergio Mattarella e del trionfo di Matteo Renzi, ciò che resta del centrodestra certifica la sua completa dissoluzione. Lo spettacolo umiliante di questi giorni non rivela infatti soltanto insipienza tattica, confusione mentale, goffaggine estrema nel perseguire un obiettivo, paralisi psicologica nel complesso e infido gioco parlamentare, incapacità di stabilire una strategia minima di alleanze.

Rivela nel modo più doloroso per chi nell’elettorato italiano ha guardato in passato al centrodestra l’evanescenza di ogni leadership. Un fondo di disperazione politica di fronte a un avversario forte che ha impresso una svolta impressionante nello scenario politico italiano. Un legame sempre più sottile con la società italiana: interi ceti sociali che abbandonano la rappresentanza berlusconiana, la quasi totalità degli enti locali (se si esclude il Veneto, una ridotta lombarda e qualche macchia nel Sud) in mano al Pd, un’opinione pubblica frastornata, muta, sconfortata, residuale. Un partito afasico, con un leader che le vicende giudiziarie hanno piegato e ferito molto più di quanto non si dica. Una classe dirigente mediocre e inadeguata che pensa al partito come a una corte in fuga, in attesa di una parola e di un favore elargiti da un monarca sempre più appannato, come nell’ Ancien Régime alla vigilia del 1789. Forza Italia nel caos. Il «Nuovo centrodestra» vissuto come un poltronificio, i «Fratelli d’Italia» prigionieri di un reducismo minoritario. E accanto l’unico leader in partita, in crescita, aggressivo, capace di mietere nuovi consensi: Matteo Salvini. Che però è l’opposto di un centrodestra di governo: è la destra di protesta, vociante ed energica ma che non potrà mai aspirare a contendere a Matteo Renzi l’ingresso a Palazzo Chigi.

Il centrodestra ha cominciato a morire nel novembre del 2011, con l’estromissione traumatica di Berlusconi dal governo. Il Pdl era già spaccato in fazioni, il leader sembrava sul viale del tramonto, ma solo la non vittoria di Bersani nelle elezioni del 2013 ha dato la sensazione che il centrodestra, dopo aver perso 16 punti percentuali in soli 5 anni, potesse risorgere. Intanto il Pd si rinnovava, con le primarie imponeva il suo dibattito nell’agenda politica e nel mondo dell’informazione e dell’immagine, con la vittoria di Renzi si dimostrava capace di parlare a un mondo che non era già rinchiuso nei recinti del centrosinistra classico. E nel centrodestra? Con il leader condannato ai servizi sociali e un Pd in vertiginosa ascesa, il centrodestra berlusconiano si è aggrappato al «patto del Nazareno» come ultima spiaggia per contare qualcosa e addirittura per cointestarsi la regia delle riforme istituzionali: Berlusconi a Cesano Boscone al mattino, ma Padre della Patria nel pomeriggio.

Ma un «patto» prevede, se non la perfetta parità, almeno una passabile equivalenza dei due contraenti. Le vicende di questi giorni, con il metodo renziano del prendere o lasciare, hanno dimostrato che tra i due contraenti del patto, uno detta le condizioni, l’altro può solo rincorrere e accettare i ritmi e le forme che il contraente giovane, pieno di futuro, carico di energia, spavaldamente certo di giocarsi la grande partita della vita impone al contraente stanco, sfiduciato, nel pieno del declino, con un partito sempre più fragile, silente, stordito.
E ora? Ora tra un Ncd che ha misurato in questi giorni tutta la sua precaria irrilevanza, con Forza Italia dilaniata da scontri mortali e una Lega salviniana sempre più tonica ma che rischia di trascinare l’intero schieramento dietro le sirene dell’antieuro e della guerra santa contro l’immigrazione, o nel centrodestra ci si rende conto che bisogna cambiare tutto, oppure il tramonto sarà inevitabile e doloroso. Cambiare tutto significa rimettere in discussione la leadership, il modo di essere, l’identità culturale. Significa un salutare bagno democratico. Rimettersi a parlare con il mondo e non starsene rinchiusi nella fortezza sempre più asfittica di un cerchio magico ripiegato in se stesso a contemplare le rovine. Altrimenti il bipolarismo italiano si trasformerà in monopolarismo, e una democrazia ha bisogno di almeno due competitori per essere sana e vitale. Perciò la dissoluzione del centrodestra riguarda l’intera politica italiana. Non una questione interna alla galassia tardo-berlusconiana, ma un problema dell’intero sistema. Se vogliamo ancora il bipolarismo. Pierluigi Battista, Il Corriere della Sera, 1° febbraio 2015

…….Pur con qualche inevitabile forzatura, l’analisi di Battista è coerente con la realtà. Il centrodestra, che apperna 7 anni fa raccoglieva quasi il 50% degli elettori italiani e ne rappresentava forse anche di più, in pochi anni si è dissolto, e si è dissolto il grande sogno degli italiani moderati, anticomunisti, antistatalisti, fortemente sensibili ai Valori del trinomio Dio, Patria, Lavoro, di essere rappresentati e di riconoscersi in un unico grande contenitore politico-elettorale. Di quel contenitore è rimasto solo  l’involucro, con caratteristiche esclusivamente elettorali, ma privo del tutto di contenuti politici, programmatici, etici, proiettati verso il futuro. Come è ovvio i padri di questa debacle sono tanti, non il solo Berlusconi che ne ha la massima responsabilità ma i tanti che in questi anni chiudendo ostentatamente gli occhi su quel che accadeva intorno al partito e nel mondo, hanno favorito, giorno dopo giorno, l’eclissi di una stagione che non solo è lontana ma appare irripetibile. Quanto è accaduto negli ultimi mesi, poi, ha del surreale. Solo gli sciocchi chiudevano gli occhi per non vedere quello che stava accadendo e che poi è accaduto, la rovinosa caduta verso i piedi di Renzi la cui  scarsa affidabilità avrebbe dovuto  spalancare le orecchie. Invece. come i kamikaze giapponesi delle ultime ore di guerra, Berlusconi è stato lanciato verso il baratro da chi avrebbe dovuto aprirgli gli occhi e metterlo sul chi va là. Lo ha fatto Fitto, ma il suo tentativo di lanciare una OPA su Forza Italia era destinato all’insuccesso sia per lo scarso appeal personale fuori dalla Puglia, sia perchè in Puglia, in questi anni, Fitto ha fatto o ha lasciato fare le stesse cose che Berluscon ha lasciato fare nel resto d’Italia, cioè attorniarsi di utili idioti, sempre pronti a dirgli di si, in cambio di posizioni di potere mal utilizzati al momento opportuno e, sopratutto, a discapito del partito che se in Puglia non è arretrato come nel resto d’Italia è solo per l’antico e ancora diffuso sentimento quasi romantico che anima molti degli elettori di destra in una terra che la Destra ha sempre sentito molto più vicina della sinistra. E’ vero,  il centrodestra italiano è nelle macerie e non è ipotizzabile che dalle macerie sia facile tirarsi fuori per ricostruire ciò che malamente è andato distrutto. Anche perchè, ed è quel che più pesa, si avveertè l’assenza di un leader, un nuovo leader,   capace di intepretare i sentimenti del popolo e del mondo di destra, capace di restituire ad un esercito  ora stanco e sfiduciato la voglia di ritonare a combattere e di ritornare a vincere. Ed anche quando questa figura apparisse all’orizzonte,  la traversata nel deserto sarà lunga e difficile,  ricca  di nostalgie e di ricordi, sui quali però costruire il futuro. g.