Matteo Renzi, Sergio Mattarella e Angelino Alfano (Ansa/Carconi)

Meno male che oggi parla Mattarella. Innanzitutto perché sono sette anni che non parlava; e questo già la dice lunga su un sistema politico che ha dovuto cercarsi l’arbitro più lontano possibile dal suo chiacchiericcio quotidiano. E poi perché, parlando il garante dell’unità nazionale, forse taceranno per un giorno tutti gli altri che hanno già ricominciato a darsele di santa ragione.

I due gruppi più rumorosi sono composti da quelli che negano di aver venduto tappeti e da quelli che rifiutano di essere usati come tappeti. Nel primo gruppo spicca Verdini, il quale respinge le accuse di «fallimento» che gli piovono addosso dal cerchio magico di Berlusconi ricordando che nel Patto con Renzi c’era, altroché se c’era, la scelta comune del nuovo presidente. Testimonianza autentica, visto che viene da uno degli apostoli del Nazareno; ma ormai utile solo per gli storici poiché, come lui stesso ha ammesso, in politica chi ha i numeri fa quello che vuole, e Renzi ha fatto di Berlusconi ciò che voleva.

Ma lo scontro in cui è coinvolto l’ex falco berlusconiano diventato colomba renziana non va sopravvalutato, poiché ha risvolti più interni che esterni. Comunque finisca, che l’ex Cavaliere torni in sella o continui a fare il fante, ormai non conta molto ai fini delle sospirate riforme istituzionali. Il più, infatti, è fatto. E per la minoranza pd non sarebbe decoroso rimetterle in discussione dando una mano alla vendetta berlusconiana. D’ altra parte al capezzale del Nazareno è subito accorsa il ministro Boschi, vera e propria crocerossina delle riforme, a ricordare e ribadire che la norma per la depenalizzazione dei reati fiscali, nota ormai come decreto tre per cento, si farà. Anche se, visto che il tutto era stato rinviato al 20 febbraio, e non foss’altro che per una ragione di stile, forse era meglio aspettare un attimo di parlarne con il nuovo capo dello Stato, cui spetterà firmarla trattandosi di un Decreto del Presidente della Repubblica.

Più interessante, e sorprendentemente perfino più delicata per gli equilibri della legislatura, è la tempesta che si è scatenata nel partito di Alfano ad opera di coloro che non vogliono essere trattati come tappeti, anzi come tappetini per usare l’espressione del ministro Lupi. La crisi interna di quel gruppo non è solo frutto di rabbia passeggera per il trattamento ricevuto, ma richiama per così dire una questione ontologica mai risolta da Alfano e i suoi. E cioè come può un partito che si chiama Nuovo centrodestra stare in un governo organico di centrosinistra proponendosi di andare alle prossime elezioni con il centrodestra. Nello sfavillio di maggioranze che Renzi ha messo in mostra in questi mesi (una per il governo, una per le riforme, una per il Quirinale), si tende infatti a dimenticare che al Senato ne ha ogni giorno una risicatissima appesa proprio a quel «partitino» delle cui convulsioni il premier dichiara di non volersi curare. Se per caso Ncd non reggesse alla prova da sforzo cui è stata sottoposto nel fine settimana, qualche conseguenza politica potrebbe infatti prodursi. E per quanto sembri improbabile che gli alfaniani al governo siano disposti ad aprire una crisi, i non alfaniani non al governo potrebbero tagliare la corda prima di finirci impiccati.

A parte il tran tran quotidiano, c’è in particolare un futuro appuntamento parlamentare in cui ogni voto conterà di nuovo moltissimo: la seconda lettura al Senato della riforma costituzionale. In quella occasione, che si proporrà comunque tra non meno di tre mesi, sarà richiesta la maggioranza qualificata di 161 voti al Senato. Alla portata del governo, ma certo non sicura se una forza politica di maggioranza vi arrivasse in via di dissolvimento.

Le incognite del circo politico non si sono dunque tutte sciolte nell’ovazione che ha accolto Mattarella presidente. Anche se il domatore, Matteo Renzi, sembra oggi più in comando che mai, zuccherino in una mano e frusta nell’altra. Antonio Polito, Il Corriee della Sera, 3 febbraio 2015

….Oggi trombe e  e trombettieri  hanno fatto a gara a tirare il fiato ai tanti laudatores dell’ennesima giornata storica e forse anche epica del nostro povero – in tutti i sensi! – Paese, parte del quale, una piccollissima parte ha pre4so parte attraverso la TV alla parata di Stato introino al nuovo presidente  della Repubblica che mentre da una parre guardava a sinistra -metaforicamente – alle delusioni e alle povertà degli italiani, dall0′altra, da destra, diciamo, ha preso parte, protagonista, allo spettacolo che più si adatta a un popolo felice piuttosto che ad un popolo malfermo sulle gambe, con tanto di corazzieri, cavalli, aerei che sfrecciano nel cielo, e, giusto per non farsi mancar nulla, anche  un cane scondizolante, mascotte dei carabinieri. Ma è solo lo spettacolo di un giorno, nel quale si è visto anche il baciamani di Berlusconi alla Bindi, e il sorriso ebete di Alfano mentre applaude il congterraneo che non voleva votare e che popi ha votato. E’ solo lo spettacolo di un giorno, perchè da domani con il Paese in deflazione e la ripresa che sta solo nel sorriso abatino del premier, si torna alla solita vita di tutti i giorni, con un paese legale sempre più lontano dal paese reale, con una classe dirigente che perpetua non solo i riti ma anche e sopratutto i privilegi più incredibili sui quali si sorvola, e solo interessata ai giochi e giochetti della politica, che nulla hanno a che vedere con i problemi della gente comune, con quella gente  che percepisce  poche migliaia di euro l’anno e non ce la fa ad andare avanti. g.