Designando Sergio Mattarella, l’assemblea dei grandi elettori del presidente della Repubblica ha scelto senz’altro una persona degna e irreprensibile. Non si può dire però di pari notorietà. Credo che fino a sabato scorso, infatti, ben pochi italiani avessero idea di chi fosse il futuro capo dello Stato, sapessero qualcosa di lui, ne conoscessero perfino l’aspetto. È questo, del resto, l’ovvio risultato dell’aver scelto un candidato del quale al momento dell’elezione – come ci hanno informato i giornali – non si conosceva alcuna manifestazione o dichiarazione pubblica successiva al 2008 (quindi ben prima di venir eletto alla Consulta), salvo una sua breve intervista a un gruppo di giovani dell’Azione Cattolica.

Alla lunga lista delle sue singolarità l’Italia ne ha aggiunta così un’altra: quella di avere un capo dello Stato che, pur avendo a norma della Costituzione il compito di «rappresentare l’unità nazionale», risulta però affatto sconosciuto alla stragrande maggioranza dei cittadini per non dire alla loro quasi totalità. Così come del resto anche la sua prima e più vera affiliazione politica – quella al cattolicesimo democratico rappresentato da Aldo Moro (un leader politico assassinato circa quarant’anni fa) – temo che non riesca a significare più molto per chiunque non faccia parte di un ristretto gruppo di seguaci o di addetti ai lavori.

Lo dico con il più grande rispetto, non di maniera, per la persona e per le istituzioni repubblicane, ma è così: la presidenza Mattarella reca il segno, ancor più di tutte le altre che l’hanno preceduta, di un frutto esclusivo del sistema politico-partitico. D i mediazioni, stratagemmi tattici, inclusioni ed esclusioni, tutte interne ad esso. In questo senso essa reca il segno inevitabile della massima separatezza tra quel sistema e il Paese, tra la sfera della politica e la gente comune.

Non si tratta di invocare in alternativa rovinosi plebiscitarismi. Non è questo il punto. Si tratta di convincersi che in un regime democratico, perché vi sia un minimo di autoriconoscimento dei cittadini nelle istituzioni è auspicabile – io aggiungerei necessario – che le istituzioni stesse siano rappresentate da persone in qualche modo note, con il cui volto, con le cui idee, vi sia da parte degli stessi cittadini un minimo di familiarità. E del resto non ebbe in mente precisamente un’idea del genere lo stesso attuale presidente della Repubblica quando oltre vent’anni fa propose, proprio lui, una legge elettorale (il ben noto Mattarellum ), largamente basata sul collegio uninominale maggioritario, cioè su un rapporto immediato e diretto tra eletto ed elettori?

Sono convinto che proprio per l’abito di sobrietà che è del suo temperamento, il presidente Mattarella avrà letto con un certo ironico distacco la valanga di dichiarazioni e di articoli di giornali gonfi di adulazione e di retorica che si è rovesciata sulla Penisola e sulla sua scrivania in questi giorni. Valanga che però non sarà certo servita a nascondere alla sua intelligenza il carattere di separatezza, di forte lontananza dalla pubblica opinione, sotto la cui insegna è nata la sua elezione. E di conseguenza la necessità di porvi rimedio utilizzando la grande quantità di risorse simboliche di cui il suo incarico dispone. Cominciando con il parlare superando il suo naturale ma forse eccessivo amore per le poche parole e rivolgendosi agli italiani nel modo in cui chi li rappresenta deve oggi fare: con semplicità, trovando reale novità d’accenti, animando il loro senso di appartenenza alla comunità nazionale, suscitando le loro speranze. Ernesto Galli della Loggia, Il Corriere della Sera, 6 febbraio 2015

……Dubito fortemente che le puntuali considerazioni del prof. Galli della Loggi sulla elezionje di uno “sconosciuto” al Quirinale  abbiano minimamante interessato sia i cittadini, sia quelli del “palazzo”. La gente comune, sempre più lontana dalle vicende del “palazzo” cui assistono con sempre maggior distacco e assoluto scetticismo non credo che sia più di tanto “toccata” dal fatto che il neo presidente della Repubblica sia più o meno uno sconosciuto; quelli del “palazzo” poi hanno compiuto scelte,a parer loro, in assoluta sintonia con i loro interessi di parte, del tutto lontani da ciò che la gente comune può ritenere più giusto. Del resto se l’attuale premier che un’ora si e l’altra pure annuncia cambiamenti e innovazioni,  se avesse voluto davvero cambiar pelle a questa repubblica lo avrebbe e potrebbe ancora farlo  sottraendo, attraverso la riforma costituzionale in gestazione,  la elezione del capo dello stato che è il “capo” di tutti,  ai giochi di partito, di correnti, di gruppi e sottogruppi, per affidarne la elezione al popolo elettore. Invece no. Non solo ha glissato in occasione della riforma costituzionale che si rivelerà alla fine una modesta rivenciatura dell’esistente, ma ha ignorato  che quella della  elezione diretta del Capo dello Stato è l’unica, vera “rivoluzione” copernicana  che potrebbe ricreare tra il popolo e la classe dirigente il necessario rapporto fiduciario che, esso solo,  può ricreare le condizioni di ritorno alla normalità in un Paese che da decenni vive in un clima di perenne straordinarietà. Ma forse è questo l’unico disegno vero della “casta” per perpetuare se stessa e i propri privilegi. Tra cui quello  di eleggere uno “sconosciuto” alla massima carica dello Stato. g.