I l testo della Buona scuola, anche dopo la profonda revisione di queste ultime settimane, resta una proposta di riforma della professione di insegnante più che una riforma del sistema educativo. È un tentativo comprensibile e ambizioso di modernizzare la scuola attraverso gli uomini e le donne che ci lavorano. I due pilastri su cui si reggeva la proposta presentata a settembre non hanno retto al tentativo di essere trasformati in legge. Il primo, il sistema degli scatti solo premiali per i due terzi degli insegnanti di ogni scuola, è scomparso dal decreto in preparazione. Nelle intenzioni del governo, questo avrebbe dovuto innalzare il livello di preparazione, di impegno e di performance degli insegnanti italiani: si è capito che sarebbe stato impossibile da applicare e iniquo nei risultati, oltre che inutile. È stato sostituito da un sistema misto di scatti di anzianità e di scatti di merito assegnati con un più complicato sistema di valutazione della quantità e della qualità del lavoro e dell’aggiornamento degli insegnanti. Un sistema che funzionerà soltanto, nel suo intento di premiare i più bravi, se ci saranno fondi sufficienti a spezzare quel patto non scritto del «ti pago poco ma ti chiedo poco».
Il secondo pilastro era il mega piano di assunzioni di precari, pensato con la lodevole quanto illusoria idea di chiudere per sempre il problema dei supplenti nella scuola, si sta rivelando inattuabile, quanto meno iniquo ( lo dicono i sindacati) e addirittura dannoso (giudizio della Fondazione Agnelli) per il sistema scolastico perché riempirebbe le scuole di insegnanti spesso senza cattedra in quanto abilitati in materie secondarie e non utili. Mentre per materie fondamentali come la matematica gli studenti continuerebbero ad avere supplenti e altri precari. C’è da aspettarsi che nel decreto si trovi una soluzione migliore, magari quella dettata dai tribunali con le ultime sentenze: assumere a tempo indeterminato chi ha lavorato 36 mesi negli ultimi cinque anni.
La scelta fatta a settembre di impiegare tutti i fondi disponibili per le assunzioni – salvo briciole per gli altri capitoli come l’innovazione tecnologica – e di rinviare la formazione degli insegnanti e le loro nuove competenze al prossimo concorso autorizza a pensare che per una riforma vera anche della professione ci sarà ancora da aspettare.
Le parole chiave
Lo slogan affascinante – «La scuola che cambia l’Italia» – ha trasmesso l’idea che una riforma della scuola serva a far ripartire il Paese: ma qual è l’idea di scuola che guida la nuova legge? Le parole chiave scelte dalla Buona scuola sono: concorso, alternanza scuola-lavoro, laboratori, autonomia, inglese, Internet, programmi contro la dispersione, formazione, scuole aperte. Tutti istituti o programmi già in vigore da tempo (i concorsi dai tempi della Costituzione) o in via di sperimentazione, ma che finora non hanno funzionato per motivi vari, e che i provvedimenti del governo cercheranno di rilanciare. Norme complicate e la burocrazia hanno frenato le innovazioni ma principalmente sono mancati i fondi e questo si ripeterà.
Dei grandi temi della scuola, a partire da quello che dovrebbe essere il curriculum degli studenti – un’ora di musica alle elementari e una di economia e arte nei licei non bastano -non c’è traccia nelle bozze: davvero così come è impostata la scuola italiana è al passo con i tempi? In passato si era parlato di riformare i cicli, di cambiare le medie, di rendere più flessibile l’ultimo biennio delle superiori, di migliorare l’offerta scientifica, solo per citare i principali temi del dibattito. Ci si attenderebbe che le nuove proposte, contrariamente al testo presentato nei mesi scorsi, parlassero di questo.
Altrimenti, come spesso avviene in Italia, se non si troverà un futuro credibile per la scuola pubblica, la riforma la faranno nei fatti gli studenti. Come dimostrano già i dati anticipati ieri sulle scelte per le superiori: i genitori e i ragazzi considerano che oggi sia utile una formazione scientifica e che servano le lingue, tanto è vero che i due licei con più iscrizioni sono lo Scientifico e il Linguistico. Due genitori su 5 – sono dati della ricerca pubblicata ieri dal Corriere – pensano che i propri figli avranno un futuro professionale all’estero: sarà questa scuola all’altezza di prepararli? Gianna Fragonara, Il Corriere della Sra, 18 febbraio 2015
……Una delle tante riforme renziane, chiacchiere al vento e nesusn fatto concreto. Intanto la “buonascuola” a Pescara cade a pezzi sulle teste dei ragazzi, o, come a Toritto, tiene al freddo i ragazzi della scuola media dove, a due decenni dalla metanizzazione del paese, il riscaldamento della scuola va..si fa per dire…a gasolio. g.