L a questione delle alleanze elettorali è oggi il solo argomento di rilievo di cui si discuta pubblicamente nell’area moderata (Forza Italia, Ncd) del centrodestra. Forza Italia deve allearsi con Alfano e Casini o con la Lega di Salvini? O deve riuscire a tenerli tutti insieme? Le alleanze sono importanti ma è patologico che soltanto di questo si parli. Svela il vuoto di idee da cui quella parte del centrodestra è afflitto e mostra, più in generale, uno schieramento di destra che, sul piano nazionale almeno, potrebbe essere destinato a non toccar palla per un tempo assai lungo (cinque anni? dieci? di più?). Perché discutere di alleanze anziché delle cose che si intendono fare, significa non avere capito quali novità abbia introdotto nel discorso pubblico l’ascesa di Matteo Renzi.Lega di Salvini a parte (che invia messaggi chiari agli elettori sulle cose che vuole fare), se guardiamo agli stili comunicativi dei vari esponenti del centrodestra, solo pochissimi sembrano avere mangiato la foglia, sembrano aver compreso la novità.
Prima di Renzi, la politica elettorale funzionava così: si formavano l’una contro l’altra armata due coalizioni altamente eterogenee, attraversate da dissensi programmatici radicali, tenute insieme solo dalla volontà di battere il comune nemico. Così faceva Berlusconi, così faceva la sinistra. Chi vinceva le elezioni, naturalmente, non riusciva a governare. Mettendo insieme il diavolo e l’acqua santa, la Lega di Bossi e l’Alleanza Nazionale di Fini, gli ex democristiani di Casini e Mastella e i liberisti della prima Forza Italia, nel 1994 Silvio Berlusconi fece il miracolo di fare nascere uno schieramento politico di destra. In una Repubblica che un tale schieramento non aveva mai conosciuto la novità fu sconvolgente. Negli anni seguenti, però, i limiti di alleanze elettorali culturalmente e programmaticamente eterogenee vennero tutti fuori. Si faceva una grande fatica a governare, non parliamo poi della possibilità di mantenere le ambiziose promesse elettorali.
Chiedersi oggi se ci sarà o no una alleanza che comprenda i pro-euro di Alfano e gli anti-euro di Salvini, il liberoscambismo di Forza Italia (o di certi suoi settori) e il protezionismo economico duro e puro della Lega, i filo-americani e i filo-russi, significa ragionare nei termini antichi, quelli che hanno preceduto il ciclone Renzi. Alle Regionali ancora ancora, ma chi volete che possa prendere sul serio una simile armata Brancaleone nel caso di elezioni politiche nazionali?
Come e perché Renzi ha cambiato le carte in tavola? Le ha cambiate dicendo cosa avrebbe fatto o voluto fare, anche in barba ai maggiorenti del suo partito. Ha avuto successo (è stato premiato dall’opinione pubblica) perché ha rotto con la tradizione. Non ha detto alla sinistra, come si faceva prima di lui: mettiamoci tutti insieme intorno a un tavolo e troviamo un minimo comun denominatore. Ha detto invece: io voglio fare questo e quello, chi ci sta venga con me.
Non c’è bisogno di prendere per oro colato tutto ciò che Renzi ha detto e dice, o ha fatto e fa, per riconoscere il cambiamento radicale di cui è stato l’artefice. Si può anche pensare tutto il male possibile delle sue riforme, ma gli va comunque dato atto del fatto, ad esempio, che sta cercando di sconfiggere (eliminando il bicameralismo paritetico) il conservatorismo costituzionale tradizionalmente dominante a sinistra. Ancora, si possono anche fare le bucce al Jobs act ma si deve riconoscere che lo scontro fra Renzi da un lato e la Cgil e la sinistra del Pd dall’altro non è una pantomima, è un conflitto vero.
In queste circostanze, continuare, come fa Forza Italia, ad invocare alleanze fra gli opposti (come Alfano e Salvini) significa non avere capito che le regole del gioco sono cambiate.
A destra, solo Salvini parla di cose da fare anziché di alleanze. Proprio questo probabilmente, lo premierà elettoralmente. Solo che se ciò avvenisse, se a destra il baricentro si spostasse verso la Lega, il centrodestra nel suo insieme non sarebbe più competitivo per un lungo periodo. Se il suo più temibile avversario dei prossimi anni risulterà Salvini, Renzi potrà dormire tra due guanciali. Nessuno lo farà sloggiare da Palazzo Chigi per chissà quanto tempo.
Il centrodestra tornerà competitivo solo se e quando la parte più centrista di quell’area avrà appreso la lezione. Quando avrà capito, cioè, che per vincere non deve smussare le differenze fra i partiti, al fine di dare vita a alleanze elettorali incoerenti e purchessia, deve fare invece proposte chiare agli elettori. Per rendere di nuovo il centrodestra competitivo rispetto alla «sinistra dopo la cura Renzi» quelle proposte, presumibilmente, dovrebbero avere due obiettivi: il contrasto, sul piano culturale oltre che politico, in nome del libero scambio, all’impraticabile e irrealistico protezionismo economico propugnato dalla Lega, nonché il definitivo abbandono di quel corporativismo spicciolo (caro sia al Nuovo centrodestra che a settori di Forza Italia), quella vocazione a tutelare ogni categoria professionale «amica», che ha sempre impedito al centrodestra, quando ha governato, di aprire i mercati chiusi e protetti alla concorrenza. Se le proposte intercetteranno favori e umori dell’opinione pubblica, le alleanze seguiranno. È vero il fatto, naturalmente, che, proprio come ha dimostrato la sinistra, le nuove idee richiedono nuovi leader.
Stringere buoni accordi elettorali, in politica, è sempre cosa utile. Ma lo è di più capire come e perché il gioco sia cambiato e quali siano le nuove regole. Angelo Panebianco, Il Corriere della Sera, 6 marzo 2015
…..Il titolo dell’articolo di Panebianco era: Il complesso dell’altro Matteo. Lo abbiamo cambiato perchè in verità quella di Panebianco è una desolante rassegna dello stato attuale del centrodestra italiano che espulso dal potere, per tentare di ritornarci pensa solo a ripetere uno schema che se andò bene 20 anni fa, nel vortice di Tangentopoli, con risultati miserabili, acuiti da questioni private del leader che in queste ore tornano prepotentemente ed indecentemente alla ribalta, non è più attuabile oggi. Scrive Panebianco che mettere insieme il diavolo con l’acqua santa come accedde nel 1994 non solo non è più possibile ma non raggiungerebbe l’obiettivo, sempre che un elettorato ormai disilluso e in qualche modo “educato” dall’avventura renziana, sia disposto a tornare indietro e accontentarsi di slogan piuttosto che di risultati. Non sono gli slogan che possono aiutare il centrodestra nel secondo decennio del 21° secolo, in primo luogo a raccogliere consensi e quindi a riprendere la scena. Sono i programmi di lavoro che debbono corrispondere alle attese degli elettori dimostrandosi concreti e realizzabili. Ma ove pure il centrodestra fosse capace di elaborare ed esprimere un programma unitario in grado almeno in teoria di raccogliere il consenso, occorre che chi lo illustri agli elettori abbia le carte in regola. Cioè, scive Panebianco, le nuove idee, alias i nuovi programmi, hanno bisogno di nuovi leader. Di ciò ha bisogno il centrodestra, di nuovi leader in grado con il linguaggio e il comportamento, ripetiamo, con il comportamento oltre che con il linguaggio, di rendere credibile uno schieramento che ha fatto di tutto, nel linguaggio e nel comportamento, per alienarsi il voto di milioni di elettori. Ma non ci sembra nè che ce ne siano all’orizzonte, nè che ci sia chi, al centro o in periferia, sia disposto a far largo e spazio ai possibili protagonisti di una nuova aurora per il centro destra italiano. Anzi, al centro e in periferia, in ciascuna delle tante molecole in cui si è frammentato il centro destra, imperversa solo il “togliti tu che mi ci metto io”. Sic stantibus rerum, il peggio deve ancora venire. Purtroppo. g.