Sia Berlusconi ai suoi bei dì che Matteo Renzi da quando è al governo sono stati accusati di autoritarismo, di rappresentare una minaccia per la democrazia. Ma c’è una grandissima differenza. Berlusconi aveva contro (ferocemente contro) metà dell’Italia e, per conseguenza, anche una grande quantità di persone che contavano tantissimo sia dentro che fuori il Paese. Renzi, invece, è accusato di autoritarismo solo da una minoranza (sinistra pd, Cinque Stelle, una parte del sindacato), per lo più composta da sconfitti, molti dei quali presumibilmente in marcia verso una definitiva marginalità politica . Non è la stessa cosa. E infatti le campagne contro Berlusconi e il suo supposto autoritarismo videro impegnati eserciti sterminati, guidati da persone dotate delle risorse necessarie per alimentare un volume di fuoco elevatissimo, capaci anche, ad esempio, di arruolare nella crociata antiberlusconiana fior di cronisti stranieri, figure di spicco del Parlamento europeo, eccetera eccetera.

Niente del genere è accaduto e accade a Matteo Renzi. Eppure Renzi, ad esempio, ha predisposto una riforma della Rai di cui un aspetto non secondario è accrescere il controllo di Palazzo Chigi. Sta proponendo, con esiti ancora incerti, una stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni giudiziarie e uno dei suoi, per l’occasione, ha ipotizzato (pensate cosa sarebbe successo ai tempi di Berlusconi) il ricorso al carcere. R enzi, inoltre, ha messo in piedi una riforma elettorale che gli cade addosso perfettamente come fosse un vestito di alta sartoria (invece, la cattiva legge elettorale fatta a suo tempo da Berlusconi servì a lui ma anche, e forse soprattutto, ai suoi alleati). Infine, Renzi sta (finalmente) imponendo il superamento del bicameralismo paritetico. Quando Berlusconi tentava di fare cose simili, veniva giù il Paese, gli attacchi e gli allarmi contro il «nuovo fascismo» erano quotidiani, anche sulle reti Rai. O qualcuno si è forse dimenticato di cosa accadeva all’epoca dei governi Berlusconi?

Ci sono tre considerazioni da fare. La prima è che, molte volte, quanto più i «grandi principi» e i «grandi valori» vengono sbandierati con ossessione, quanto più ci si straccia pubblicamente le vesti in loro difesa gridando al lupo, tanto meno chi lo fa crede davvero in quei principi e valori. I principi vengono spesso usati in modo strumentale, piegati alle esigenze politiche del momento, sono, per molti, armi da usare contro il nemico politico e da rinfoderare quando è l’amico a fare ciò che faceva il nemico.

La seconda considerazione è che era insopportabilmente esagerata la «mobilitazione anti autoritaria» contro Berlusconi. È pertanto decisamente un bene che (sia pure a causa dell’opportunismo e del doppiopesismo di tanti) tale mobilitazione non ci sia, o coinvolga comunque assai meno persone, nel caso di Renzi.

La terza considerazione è che non c’è contraddizione fra volere un rafforzamento del governo (e dunque un accrescimento delle capacità d’azione di chi momentaneamente lo controlla) ed essere pronti a criticarne le singole decisioni e azioni. Proprio se si auspica, perché serve alla democrazia, un più forte potere esecutivo, occorre essere pronti a fargli le bucce ad ogni passo falso. Le democrazie hanno bisogno di governi forti (e chi scambia ciò per «autoritarismo» prende lucciole per lanterne). Non hanno invece bisogno di stuoli di cortigiani sdraiati ai piedi del suddetto governo forte. E il premier ne ha tanti.

Renzi ha un grande merito: sta abituando la democrazia italiana all’idea che «un uomo solo al comando» non equivalga, in quanto tale, e solo per questo, al fascismo. È anche possibile che i futuri libri di storia finiscano per ricordarlo soprattutto per questa eccellente, meritoria impresa. Ma questo non deve renderlo immune dalle critiche. Le lodi doverose per certe buone cose varate non possono oscurare i motivi di biasimo. Sia per il tanto fumo e poco arrosto che per certe scelte, le quali spacciano come «grandi innovazioni» banali, antiche, e collaudate, furbizie elettorali. Angelo Panebianco, Il Corriere della Sera, 29 marzo 2015

….Non dubitiamo della assoluta indipendenza di giudizio di una delle migliori “penne” del Corriere quale è Angelo Panebianco e dello stesso quotidiano la cui autorevolezza è fuori discussione, meno forse la sua costante equidistanza (sfogliavamo ieri una vecchia e preziosa  raccolta di “prime pagine” del più grande quotidiano italiano  del secolo scorso, unica e cara eredità di un nostro avo, povero ma galantuomo,   e una  di queste ci ha un pò stupito ma non più di tanto: il Corriere anunciava con toni a dir poco trionfalistici il successo di Hitler alle elezioni tedesche che lo issarono al canciellerato della Germania con tutto quello che ne seguì…). Perciò consideriamo le riflessioni di Panebianco nel raffronto tra Berlusconi e Renzi del tutto obiettive, sia lì dove sottolinea la potenza di fuoco posta in essere contro Berlusconi, sia lì dove evidenzia come contro Renzi il fuoco sia stato quello della carabine a due colpi, incapaci neppure di raggiungere l’obiettivo. E valutiamo positivamente anche la sottolineatura che Panebianco fa circa la opportunità delle iniziative  legislative in atto da parte dell’attuale governo in materia di riforme (talune, forse quasi tutte, attese da decenni), condividendo peraltro le critiche apertamente espresse  sulla riforma della Rai che riforma non è salvo un accentramento di potere nelle mani del governo, e quelle invece riferite a cosiddette “grandi innovazioni” che   Panebianco invece liquida come “banali, antiche e  collaudate furbizie elettorali”. Quel che invece Panebianco, ed è per un verso strano e per altro verso grave, ignora è l’atteggiamento assai diverso assunto dai due protagonsiti a confronto rispetto alle critiche. Berlusconi, sommerso da critiche violente e fatto bersaglio, come si è detto, di una potenza di fuoco degna della battaglia di Stalingrado, alle critiche rispondeva con modi e toni abbastanza temporeggianti e forse ammiccanti, come è nel carattere dell’imprenditore che è sempre stato; Renzi invece risponde con sufficienza, supponenza, talvolta con violenza, spesso con insolente presa in giro, usando termini dispregiativi con gli avversari e/o i critici, accusati di essere volta a volta gufi o qualcosa del genere, e comunque manifestando insofferenza alle critiche perchè lui “fa quel che deve”. Forse… Ma il diritto di critica non può essere estirpato da nessuno e nei confronti d nessuno, neppure nell’era del decisionismo per il momento ancora improduttivo del renzismo rampante. Il diritto di eprimere ciascuno la propria opinione e di manifestare la critica non può essere impedito a chicchessia, qualsiasi sia il livello di gradimento(nel caso di Renzi ancora tutto da misurare elettoralmente)  dell’uomo  solo al timone. In democrazia, non è neppure il caso di dirlo, la ruota elettorale è simile a quella della fortuna  (in cui un tempo era esperto Renzi)  e quindi gira, ora di quà, ora di là. Ciò dovrebbe indurre chiunque alla moderazione e al rispetto delle altrui opinioni, senza considerarsi “arrivato” per sempre. g.