Poiché «l’era Renzi» promette di durare a lungo, una domanda diventa legittima: gli storici futuri ne parleranno come di un’epoca di buongoverno oppure di malgoverno? Si dirà un giorno che durante l’era Renzi vennero introdotte serie innovazioni a correzione dei nostri mali antichi, oppure se ne parlerà come di un periodo costellato da improvvisazioni demagogiche, capaci di suscitare consensi immediati ma anche di aggravare, nel medio termine, le difficoltà del Paese?
La risposta più ovvia a questa domanda («dipenderà da Renzi») è, almeno in parte, sbagliata. Perché molto, moltissimo, invece, dipenderà non da Renzi ma dall’opposizione, dalla qualità dell’opposizione. Se il premier sentirà sul collo il fiato di un’opposizione vigorosa (che non significa affatto agitata, scomposta o urlatrice) con serie possibilità di sconfiggerlo, di mandarlo a casa nelle elezioni successive, allora è probabile che egli venga costretto dalla forza delle cose a ben governare. Se Renzi dovrà invece fronteggiare un’opposizione non credibile, plausibilmente incapace di batterlo elettoralmente, se avrà la sensazione dell’impunità qualunque cosa egli dichiari o faccia, e qualunque errore commetta, allora non ci saranno santi: il suo diventerà rapidamente un malgoverno.
Poiché, come è noto, la storia non insegna mai niente a nessuno, sembra che oggi molti si apprestino a commettere, di fronte a Renzi, gli stessi errori che altri commisero durante la cosiddetta Prima Repubblica, quando giudicavano le performance dei governi della Democrazia cristiana. Allora, tanti commentatori, e tanti agitatori politici, si specializzarono nella critica del (vero o presunto) «malgoverno democristiano». Senza rendersi però conto del fatto che quel malgoverno dipendeva da una circostanza: la Dc non poteva perdere le elezioni, era inamovibile, e proprio per questo poteva dedicarsi in tutta tranquillità a ciò che i suoi critici chiamavano malgoverno. La ragione della sua inamovibilità aveva un n ome preciso: quello del Partito comunista. Poiché il Pci era al tempo stesso il più forte partito di opposizione e un’opposizione non credibile, incapace di vincere le elezioni, la Dc restava per l’appunto inamovibile, impunibile e impunita. Chi ce l’aveva con la Dc, in realtà, avrebbe dovuto prendere di petto il Partito comunista, avrebbe dovuto augurarsi che quel partito cessasse di essere il principale partito d’opposizione. Solo così, un giorno, si sarebbe potuto sconfiggere elettoralmente la Dc. E solo così i democristiani, temendo di perdere il potere, si sarebbero sforzati di migliorare la propria capacità di governo.
Oggi si fanno troppe chiacchiere su presunti sviluppi autoritari alle porte. Non è affatto quello il rischio che corre la democrazia italiana. Il rischio è quello di un governo Renzi senza rivali plausibili, spinto a mal governare (poiché mal governare è sempre molto più facile che governare bene) dall’assenza di serie sfide elettorali. Se nei prossimi anni i cosidetti principali sfidanti di Renzi saranno Beppe Grillo e Matteo Salvini, allora vorrà dire che Renzi non dovrà fronteggiare alcuna opposizione capace di batterlo. Certo, gli sbarchi continui di migranti gonfieranno plausibilmente i voti della Lega ma ciò, di sicuro, non basterà a farne uno sfidante vero.
Ciò che servirebbe all’Italia, allora, è una qualche soluzione (che ancora non si vede) della crisi innescata nel centrodestra dal declino politico di Berlusconi. Perché solo se rinasce una forte opposizione – conservatrice ma non estremista – Renzi si sentirà elettoralmente minacciato e sarà costretto a governare limitando al minimo indispensabile il ricorso ai trucchi da avanspettacolo, non sarà tentato di nascondere le difficoltà del governare ricorrendo ad armi di «distrazione di massa» (così il Sole 24 Ore di qualche giorno fa a proposito di tesoretti, bonus e altre tentazioni peroniste).
Qualcosa a che fare col tema che stiamo discutendo ce l’ha la legge elettorale che si andrà fra poco a votare. Non aiuterà la formazione di una forte e credibile opposizione la scelta di consentire a chiunque di entrare in Parlamento superando una misera soglia del tre per cento (come la proposta di legge prevede). Si è detto che una soglia così bassa è stata una concessione di Renzi ad Alfano e alle altre formazioni minori che sostengono il suo governo. Lo è ma non è solo questo. Perché favorisce, in prospettiva, una frammentazione dell’opposizione che a Renzi, forse, non dispiace. Fu Berlusconi ad accettare, ai tempi del patto del Nazareno, una soglia così bassa e commise un grave errore, un errore che, presumibilmente, in futuro, pagheranno proprio i suoi eredi politici.
Alla democrazia conviene che esista un’opposizione credibile. Converrebbe anche a Renzi, in realtà. Angelo Panebianco, Il Corriere della Sera, 19 aprile 2015
……Panebianco mette il dito nella piaga. Per fermare Renzi, la sua deriva autoriataria (che Panebianco gudica inesiustente) o il suo nullismo governativo che, questo si, è sotto gli occhi di tutti, occorre una opposizione vera, seria e combattiva, capace di interpretare e rappresentarela grande maggioranza degli italiani, cioè il mondo liberal-moderato. E questa opposizione è quella che si colloca naturalmente a destra, nel centrodestra, oggi fortemente spezzettato, incapace di una visione unitaria e oeganica del propriuo ruolo e delle proprie responsabilità difronte alla storia e al Paese. La maggiore responsabiità ricade su Berlusconi che ha legato uil suo declino personale a quello del centro destra, ma non ne sono da meno gli altri protagonisti o presunti tali dello scenario politico che ruota o ruotava intorno a Berlusconi. Tutti o comprendono che di fronte a Renzi va schierato un nuovo Berlusconi, alleggerito dat utto ciò che ha reso vulnerabile l’ultimo Belrusconi, oppure il centro destra è destinato alla marginalità a tutto vantaggio di Renzi e naturalmente a discapito del Paese, anzi, chiamamola come ci piace chiamarla, della Patria. g.