Con molta buona volontà è possibile abbozzare un sorriso quando il presidente del consiglio – contraddicendo il Fondo Monetario Internazionale – annunzia che la ripresa è cominciata. Con qualche sforzo in più possiamo anche rallegrarci alla lettura dei dati sul Pil o sui nuovi contratti di lavoro anche se le percentuali ricordano quelle dei prefissi telefonici. Poi, però, la Svimez ha pubblicato l’ultimo rapporto sul Mezzogiorno nel quale si mostra come il sottosviluppo delle regioni meridionali sia ormai un dato strutturale e che la patologica disoccupazione non sia un fenomeno congiunturale ma una tragica e permanente caratteristica. Infine, ogni voglia di sorridere scompare quando le analisi Svimez dimostrano come la crescita del Mezzogiorno tra il 2000 ed il 2013 sia stata la metà di quella greca, di un paese, cioè, considerato il più disastrato dell’ Ue. Sperare che sole, mare e turismo possano invertire la tendenza è illudersi. Sembra passato un secolo dagli anni non lontani in cui molti ritenevano che, magari in tempi non così brevi, come affermavano gli economisti della Cassa per il Mezzogiorno ed i cosiddetti «meridionalisti di Stato» , il divario tra Nord e Sud sarebbe stato superato. Rincorrendo questo obiettivo – o sogno – è stata impiegata una quantità di risorse inimmaginabili. Denari in gran parte dilapidati perché spesso serviti per costruire il consenso ed alimentare ceti sociali improduttivi.
I canali nei quali gli enormi capitali destinati allo sviluppo sono stati dispersi sono innumerevoli: opere pubbliche inutili, costose e spesso neppure terminate, moltiplicazione di impieghi improduttivi, creazione di apparati politici ed amministrativi funzionali solo alla riproduzione di un ceto politico largamente parassitario. Per non parlare di una endemica e pervasiva corruzione. Il processo di sviluppo del Mezzogiorno, dovendo contrastare le tendenze del mercato, non poteva che essere pilotato politicamente dallo Stato e, soprattutto, dalle sue articolazioni locali (Regioni, Province, Comuni, credito pubblico, ecc. ). Il problema è che la logica con cui l’azione politica si è mossa soprattutto negli ultimi venti anni – senza apprezzabili differenze di schieramento o di regione – è stata fortemente autoreferenziale e lontana da qualsiasi strategia di sviluppo. Obiettivo costante è stato, invece, la costruzione del consenso ed attraverso questa l’autoriproduzione degli apparati. Anche il confronto politico ed il comportamento dei candidati in occasione delle ultime regionali in Puglia e Campania ha mostrato chiaramente la persistenza di questa logica. Se, come è stato spesso scritto, la politica è servizio, possiamo affermare che nel Mezzogiorno abbiamo il personale di servizio più caro e peggiore di Europa. G. Amendola, Il Corriere del Mezzogiorno, 6 agosto 2015