Il tempo in cui viviamo, ricco di contraddizioni e segnato dall’incertezza sul futuro che ci attende, assomiglia a quello che aveva attraversato l’Europa nella prima metà dell’Ottocento.

Quello era stato il tempo della fine degli assolutismi e della progressiva affermazione della libertà e del liberalismo come principio di governo.

Questo, invece, pare caratterizzarsi per la progressiva crisi e dissoluzione della democrazia liberale e per l’instaurazione di governi retti da personalità inclini a imporre la propria volontà incuranti della legge e delle opposizioni.Della crisi della democrazia liberale, questi tempi paiono la premessa e il possibile sviluppo. Oggi, come allora, l’Italia è il laboratorio all’interno del quale si sviluppa il nuovo corso. Il governo Renzi, che piaccia o no, ne è l’epifenomeno.

La qual cosa non significa che – così come l’Ottocento era stato il secolo del liberalismo quale principio di governo -, l’epoca in cui viviamo debba essere necessariamente l’anticamera dell’instaurazione di regimi autoritari o totalitari. Lo vado scrivendo da tempo, con crescente insistenza, e me ne scuso. Da vecchio liberale, la prospettiva dell’arrivo di un regime di illibertà lo avverto «a naso», nell’aria. Me ne faccio portavoce perché tale mi sembra il mio dovere e anche il mio diritto. I regimi, non solo quelli autoritari e totalitari, anche quelli democratici, si logorano col tempo. Non vorrei fosse il caso del nostro, a soli settant’anni dalla fine del fascismo.

Non ci sono le condizioni interne e internazionali che, nella prima metà dell’Ottocento, avevano prodotto il successo del liberalismo, né quelle che nella prima metà del Novecento avevano favorito l’avvento del fascismo. Siamo una democrazia peraltro, ahimè, assai poco liberale consolidata e non si ravvisano condizioni favorevoli all’instaurazione di una qualche dittatura.Tutto questo non dispensa, evidentemente, dal denunciarne i pericoli. Poiché il mio mestiere è quello di analizzare la realtà politica come si presenta e come si prospetta, ed è questo che faccio da tempo, spero con non troppo fastidio da parte di chi mi legge. Dispensare ottimismo è assai più facile che predicare l’attenzione. Non è tempo per nutrire eccessive speranze sul futuro, facili ottimismi o spensierate illusioni. Le cose, almeno da noi, in Italia, non vanno così bene come si tende a sostenere.

Lo Stato manifesta ogni giorno che passa una volontà di dominio sulle libertà individuali che francamente preoccupa. La sua natura di compromesso fra liberalismo e sovietismo, che ne ha segnato la nascita, non depone per un eccesso di ottimismo. Non abbiamo colto l’occasione, nel 1945, di chiederci che cosa era stato il fascismo e perché fosse durato tanto a lungo. Paghiamo i costi di questo peccato originale dal quale è nata la Repubblica. Lo dico, e lo ripeto, sperando che la classe politica e quella intellettuale se ne facciano carico; ma il fatto stesso che nessuno paia preoccuparsene, accresce le mie preoccupazioni. I sintomi del degrado ci sono tutti, soprattutto da noi. Tutto sta nel prenderne atto e rifletterci sopra. Piero Ostellino, politologo ed opinionista