ALBERTAZZI, QUELL’ODIO INCIVILE DELL’ISTITUTO PARTIGIANO, di Giovanni Belardelli.
Pubblicato il 19 giugno, 2016 in Costume, Politica | Nessun commento »
Sul sito dell’Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea fa mostra di sé una critica post mortem a Giorgio Albertazzi che lascia senza parole, fin dal titolo: «Un bastardo che ci lascia». Ecco il testo: «Increduli e sgomenti per gli elogi e il cordoglio che si alzano — anche da parte delle più alte cariche dello Stato — in occasione della morte dell’attore Giorgio Albertazzi, vogliamo ricordarne la figura di milite della Tagliamento, di feroce rastrellatore di partigiani e civili, dal Grappa alla Valcamonica. In occasione dell’anniversario delle bombe di Piazza della Loggia ci pare doveroso sottolineare che quella orribile strage è opera dei figli e nipoti di quella splendida figura di italiano, che in questo smemorato paese si tende ad onorare. Che ognuno, per favore, pianga i suoi di morti». Il testo è firmato dagli organi direttivi dell’istituto, inserito in quella rete di istituti per la storia della Resistenza che rappresenta, grazie anche a finanziamenti pubblici, la maggiore struttura nel campo della ricerca storica al di fuori dell’università. Si tratta di istituti impegnati anche in varie attività educative: dall’aggiornamento degli insegnanti a iniziative nelle scuole, mostre, convegni ecc. Ma non si capisce quale mai attività educativa possa svolgere un istituto come quello bergamasco. Il punto non è, ovviamente, che si ricordi il fatto che il ventenne Albertazzi, come altri suoi coetanei, avesse servito nelle formazioni della Rsi. Le guerre civili, è perfino banale ricordarlo, sono tali appunto perché esistono due schieramenti che ferocemente si affrontano. E spesso, come fa dire Calvino a un partigiano nel romanzo Il sentiero dei nidi di ragno, «basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell’anima, e ci si trova dall’altra parte». Ciò che è inqualificabile, piuttosto, è che un’istituzione che dovrebbe essere volta ad attività educative e di ricerca possa produrre un testo improntato all’odio, come quello citato. Giovanni Belardelli, Il Corriere della Sera, 19 giugno 201
…..Si, è vero, Gorgio Albertazzi giovanissimo “scelse l’altra parte”, cioè la RSI di Mussolini nel 1943, e alla fine della guerra fu imprigionato e condannato a morte e salvato dall’amnistia Togliatti. Ed è anche vero che mai Albertazzi rinnegò quella scelta, sebbene mai più si interessò di politica e le poche volte nella sua lunga e straordinaria vita di artista leggendario del nostro Teatro che dedicò qualche parola a gli eventi di allora, non ebbe mai parole di recriminazione ma neanche di rimpianto. Ed è anche vero che Albertazzi non fu l’unico allora a scegliere quella strada, tantissimi furono i giovani che nel 1943 furono “i balilla che andarono a Salò″ come titola Carlo Mazzantini, scrittore e giornalista approdato al’altra paete della sponfa del fiume, cioè nella sinistra comunista, i suoi ricordi commoventi e onesti dei tanti suoi coetanei che scelsero l’altra parte. S ne potrebbero citare a centinaia, tra i più o meno noti e i tanti meno noti che infoltirono i ranghi dell’esercito di Salò. Ne ricordo due. Dario Fò e Walter Chiari. Il secondo come Albertazzi mai rinnegò o maledisse la scelta fatta a 20 anni, il primo con la stessa virulenza della prima fece la seconda di scelta, quella comunista a cui è rimasto fedele, facendosene alacre vessillo. Ma può la scelta fatta a 20 anni, essere ragione, 70 anni dopo la fine della guerra e le tante parole spese a proposito della riconciliazione nazionale, per rivolgere a chi non può più difendersi gli insuti che un istituto dedito alla ricerca storica rivolge ad Albertazzi dopo la sua morte con una violenza e una cattiveria che nulla può giustificare? Assolutamente no, per cui ha ragione Belardinelli a definire inqualificabile ciò che ha scritto l’istituto storico di Bergamo nei confronti di Albertazzi. E quindi nei confronti dei tanti ragazzi, i balilla di Salò, che non ebbero la fortuna di sopravvivere e che sul campo lasciarono la loro giovinezza sacrificata per un ideale che sebbene “perdente” era il loro Ideale. g.