LA GUERRA DELL’ISIS E’ DI RELIGIONE, di Antonio Polito
Pubblicato il 6 agosto, 2016 in Costume, Politica | Nessun commento »
Papa Francesco sta facendo uno sforzo eccezionale, direi quasi sovrumano, per evitare che la Cristianità si senta in guerra con l’Islam. È un grande contributo alla causa della pace, ricorda e replica l’inflessibilità con cui Giovanni Paolo II respinse, anche dopo la strage delle Torri Gemelle, il tentativo di Bin Laden di trasformare la sua guerra in guerra santa, e di combatterla come guerra di religione. Però all’interno della più vasta Cristianità, alla cui dimensione globale appartiene un Pontefice per la prima volta nella storia non europeo, ma «venuto dalla fine del mondo», c’è una comunità di princìpi e di valori che affondano le radici nel Cristianesimo ma non si identificano tout court con esso. Questa comunità è l’Occidente, cristiano, laico e secolarizzato. E l’Occidente è invece certamente sfidato dal radicalismo islamico in una vera e propria guerra di religione, un conflitto cioè in cui chi uccide lo fa in nome di un credo, e a un dio con blasfemia dedica il sangue che versa. Sfruttando la duttilità e precisione della lingua italiana, si potrebbe dire che non è in corso una «guerra tra religioni», ma una «guerra di religione» sì. E l’Occidente, cristiano e non, deve saperla combattere come tale.
Questa guerra di religione sconvolge innanzitutto il mondo islamico, si svolge al suo interno prima ancora che rivolgersi a noi. Non è affatto la prima volta che accade nella Storia. Anche i cristiani hanno dato vita a un secolo di sanguinosissime guerre di religione. In cui certamente giocavano un ruolo anche «gli interessi, i soldi, le risorse della natura, il dominio dei popoli», come ha detto Francesco a proposito di quella in corso adesso. Ma la cui ideologia necessaria, vale a dire senza la quale la guerra non sarebbe stata possibile, era l’intolleranza religiosa e lo scontro tra cattolici e protestanti sull’interpretazione delle Sacre Scritture e sul ruolo della Chiesa. Così è oggi. Muoiono molti più sciiti e sunniti che cristiani per mano degli islamisti. E per questo sarebbe assurdo, oltre che pericoloso, considerare i musulmani che vivono da noi come i nostri nemici, antropologicamente dediti a odiarci. Bisogna piuttosto provare pietà per l’enorme sacrificio cui sono sottoposti loro malgrado, come sul lungomare di Nizza, dove a festeggiare la presa della Bastiglia e a finire sotto un Tir c’erano decine di francesi di fede islamica. Bisogna rispettarne lo sforzo culturale ed esistenziale per far convivere la religione dei padri con la vita all’occidentale dei figli, soprattutto quando chiediamo loro di denunciare i correligionari per proteggere il nostro stile di vita.
Papa Francesco sta facendo uno sforzo eccezionale, direi quasi sovrumano, per evitare che la Cristianità si senta in guerra con l’Islam. È un grande contributo alla causa della pace, ricorda e replica l’inflessibilità con cui Giovanni Paolo II respinse, anche dopo la strage delle Torri Gemelle, il tentativo di Bin Laden di trasformare la sua guerra in guerra santa, e di combatterla come guerra di religione. Però all’interno della più vasta Cristianità, alla cui dimensione globale appartiene un Pontefice per la prima volta nella storia non europeo, ma «venuto dalla fine del mondo», c’è una comunità di princìpi e di valori che affondano le radici nel Cristianesimo ma non si identificano tout court con esso. Questa comunità è l’Occidente, cristiano, laico e secolarizzato. E l’Occidente è invece certamente sfidato dal radicalismo islamico in una vera e propria guerra di religione, un conflitto cioè in cui chi uccide lo fa in nome di un credo, e a un dio con blasfemia dedica il sangue che versa. Sfruttando la duttilità e precisione della lingua italiana, si potrebbe dire che non è in corso una «guerra tra religioni», ma una «guerra di religione» sì. E l’Occidente, cristiano e non, deve saperla combattere come tale.
Questa guerra di religione sconvolge innanzitutto il mondo islamico, si svolge al suo interno prima ancora che rivolgersi a noi. Non è affatto la prima volta che accade nella Storia. Anche i cristiani hanno dato vita a un secolo di sanguinosissime guerre di religione. In cui certamente giocavano un ruolo anche «gli interessi, i soldi, le risorse della natura, il dominio dei popoli», come ha detto Francesco a proposito di quella in corso adesso. Ma la cui ideologia necessaria, vale a dire senza la quale la guerra non sarebbe stata possibile, era l’intolleranza religiosa e lo scontro tra cattolici e protestanti sull’interpretazione delle Sacre Scritture e sul ruolo della Chiesa. Così è oggi. Muoiono molti più sciiti e sunniti che cristiani per mano degli islamisti. E per questo sarebbe assurdo, oltre che pericoloso, considerare i musulmani che vivono da noi come i nostri nemici, antropologicamente dediti a odiarci. Bisogna piuttosto provare pietà per l’enorme sacrificio cui sono sottoposti loro malgrado, come sul lungomare di Nizza, dove a festeggiare la presa della Bastiglia e a finire sotto un Tir c’erano decine di francesi di fede islamica. Bisogna rispettarne lo sforzo culturale ed esistenziale per far convivere la religione dei padri con la vita all’occidentale dei figli, soprattutto quando chiediamo loro di denunciare i correligionari per proteggere il nostro stile di vita.
Ma se quella che abbiamo di fronte non fosse una guerra di religione, che senso avrebbe chiedere agli islamici europei di condannare e isolare i terroristi? Perché mai avremmo invitato i musulmani a pregare nelle nostre chiese, se a sconvolgerci non fosse un conflitto istigato da un centro operativo che si fa chiamare Stato Islamico e condotto da una minoranza di islamici per conquistare la maggioranza e trascinarla in una guerra civile europea? È stata da molti contestata a Francesco la mancata distinzione tra chi versa il sangue degli innocenti in nome di Dio e chi lo fa pur credendo in Dio, a proposito del suo equiparare un cristiano che uccide la fidanzata o la suocera a un islamico che fa strage gridando «Allah Akbar». È però difficile, e forse improprio, chiedere al vicario di Cristo di non condannare allo stesso modo l’assassinio, qualsiasi ne sia il motivo. A noi europei laici che non possiamo non dirci cristiani, spetta invece il compito di distinguere e capire, e di dare i nomi giusti alle cose, perché abbiamo il dovere di difendere la nostra civiltà da questa ennesima barbarie che la sta attaccando, come l’hanno difesa i nostri padri dai cristiani in camicia bruna durante la Seconda guerra mondiale e dagli atei con la bandiera rossa durante la Guerra fredda. Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 6 agosto 2016