I RAGAZZI DEL (18)99: PERSERO LA GIOVENTU’ MA NELLE TRINCEE ONORARONO LA PATRIA
Pubblicato il 2 gennaio, 2018 in Storia | Nessun commento »
Non è facile raccontare una generazione. Allora tanto vale far parlare chi ne ha fatto parte.
E le generazioni, quando parlano, lo fanno con le canzoni, oggi come ieri. I ragazzi del ‘99 cantavano, tra le altre cose, anche questa: «Novantanove, m’han chiamato / m’han chiamato m’han chiamato a militar / e sul fronte m’han mandato / m’han mandato m’han mandato a sparar. / Combattendo tra le bombe / ad un tratto ad un tratto mi fermò / una palla luccicante / nel mio petto nel mio petto penetrò. / Quattro amici lì vicino/ mi portaron mi portaron all’ospedal / ed il medico mi disse / non c’è nulla non c’è nulla da sperar. / Croce Rossa Croce Rossa / per favore, per piacer, per carità / date un bacio alla mia mamma / e alla bandiera, alla bandiera tricolor».
All’inizio, nonostante il feroce carnaio della guerra, non sarebbe dovuto andare a finire così. Pur precettati quando non avevano ancora diciotto anni, i componenti dei primi contingenti, circa 80mila uomini, chiamati nei primi quattro mesi del 1917, avrebbero dovuto essere inquadrati solo nella milizia territoriale. Poi ne vennero chiamati altri 180mila e poi altri ancora. Era un modo di rimpolpare reparti di riserva, non operativi. Ma arrivò Caporetto e cambiò tutto. In tanti finirono dritti al fronte. Su una famosa cartolina militare, per enfatizzare l’importanza del loro sacrificio qualcuno pensò di stampare dei versi di Dante: «Piante novelle. Rinnovellate di novella fronda». Erano versi del Purgatorio e in un purgatorio atroce quei ragazzi finirono. E in purgatorio non mollarono, anzi. Così il generale Diaz: «Li ho visti i ragazzi del ‘99. Andavano in prima linea cantando. Li ho visti tornare in esigua schiera. Cantavano ancora». Una descrizione eroica, a tratti veritiera. Eroi bambini. Certo in Diaz prevale l’orgoglio, non la presa d’atto della mostruosità del sacrificio richiesto. Quella la capì meglio d’Annunzio: «La madre vi ravvivava i capelli, accendeva la lampada dei vostri studi, rimboccava il lenzuolo dei vostri riposi. Eravate ieri fanciulli e ci apparite oggi così grandi!».
Ma loro? Loro quando potevano scrivevano a casa. Alcune di queste lettere ci sono rimaste, la censura (altro che i post bloccati da Facebook) le ha violentate, ma molto di quel dolore è rimasto. Basti un frammento di un diciottenne originario di Laveno Mombello: «Troppo presto ci hanno voluto far diventare uomini e il nostro spirito ancora giovane non può fare a meno di ricordare le gioie passate e di rattristarsene come di una perdita troppo prematura». Ma c’era anche chi scrivere così di certo non sapeva. La trincea fu un crogiuolo che mise assieme il principe e l’ignorante, lo studente di liceo e il falciatore a giornata. Andò così anche per i ragazzi del ‘99. Tra loro c’era Fausto Pirandello, figlio dello scrittore e poi famoso pittore (troppo malato non arrivò mai al fronte); c’era Maceo Casadei, altro pittore, che al fronte andò e dipinse il famoso quadro Ritirata di Caporetto. Ma c’era anche Vincenzo Rabito contadino siciliano semi analfabeta autore di una delle memorie più strane del ‘900 italiano e a cui il fronte fece, forse, meno paura della miseria del dopoguerra.
Piacerebbe, l’Italia di oggi, a quei ragazzi? Non lo sapremo mai. L’ultimo pare sia morto nel 2007. Matteo Sacchi, Il Guornale, 2 gennaio 2018
…..Il Presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno 2017 ha ricordato i “Ragazzi del 99″ richiamati sul finire della prima guerra mondiale e si ritrovarono mandati al fronte, neppure dciotenni, a froneggiare la ritirata di Caporetto. Scrissero loro malgrado pagine di eroismo e di gloria cui nessun paragone con i giovani di oggi renderà giustizia. g.