Antonio Carioti, scrittore e storico, commenta la uscita di una collana di  20 saggi sul fascismo a cura del Corriere della Sera il cui primo volume è “Fascismo, Storia e interpretazione”, di Emilio Gentile, il più illustre storico italiano  del Fascismo dopo DeFelice.

è Dalla caduta del fascismo deriva l’attuale ordinamento democratico del nostro Paese, la Repubblica «nata dalla Resistenza», come si usa dire. Perciò la discussione su quel periodo oltrepassa la dimensione storiografica e finisce inevitabilmente per mescolarsi con la lotta politica.
La destra italiana attuale, composta da forze estranee a quelle che scrissero la Costituzione (quando non eredi dell’esperienza neofascista missina), tende a presentare il periodo della dittatura in modo edulcorato, rimuovendone gli aspetti più atroci, dallo squadrismo omicida ai crimini coloniali, eccezion fatta soltanto per le leggi razziali. Un atteggiamento utile a rilanciare, in chiave anti-immigrati o anti-europea, un nazionalismo aggressivo e demagogico che rifiuta di imparare alcunché dai disastri del passato.

A sinistra è in voga invece da sempre l’uso di proiettare sui propri avversari l’ombra del regime di Mussolini per squalificarli. Così di volta in volta sono stati accusati di tendenze fasciste Mario Scelba, Amintore Fanfani, Bettino Craxi, Silvio Berlusconi. Un tempo si diceva che il fascismo è un prodotto del capitalismo, quindi solo chi vuole superare il mercato e la proprietà privata è davvero antifascista, ergo chiunque non condivida tale programma è sospetto di voler ripercorrere le orme del Duce. Dopo la bancarotta del comunismo, ragionamenti del genere sono difficilmente riproponibili, ma resta in un certo mondo intellettuale l’abitudine di presentare come «antifascismo» la propria ideologia di sinistra e di bollare come parafascista chi la critica.
Tutto ciò poco ha a che vedere con uno studio serio del fascismo in quanto fenomeno concreto, che nacque, si affermò e crollò in condizioni storiche specifiche, nell’Italia della prima metà del Novecento. A questo hanno provveduto invece, con diverse visioni interpretative, gli autori dei volumi che il «Corriere della Sera» offre ai propri lettori nella collana da domani in edicola. L’unica eccezione è il libro di Giacomo Matteotti, prezioso invece come testimonianza della lotta contro la tirannia nascente, che fu pubblicato dal leader socialista un anno prima di essere rapito e assassinato, il 10 giugno 1924, da sicari fascisti organizzati e foraggiati da strettissimi collaboratori di Mussolini.
Ad aprire la collana è un volume di grande importanza, Fascismo. Storia e interpretazione di Emilio Gentile, nel quale l’autore, uno degli storici italiani più noti nel mondo, ha raccolto contributi molto significativi, accompagnati da un’introduzione che chiarisce alcuni punti chiave.
Il primo è che non si può ridurre il regime littorio a una dittatura personale di Mussolini, presentata spesso come blanda se non bonaria, priva di una caratterizzazione ideologica forte. Al contrario si trattò di un sistema riconducibile alla categoria del totalitarismo: monopartitico, connotato da un’assoluta concentrazione del potere, teso a forgiare un nuovo tipo umano, a trasformare gli italiani in una «stirpe guerriera». E strutturalmente aggressivo.
Risulta limitativo, se non improprio, sostenere che Mussolini commise un «errore» con l’ingresso in guerra del giugno 1940. In realtà fu una scelta coerente con l’impostazione espansionista che il Duce aveva adottato da tempo e che solo la consapevolezza dell’assoluta impreparazione del Paese lo aveva trattenuto dal compiere nel settembre 1939, quando la Germania aveva aggredito la Polonia.
Allo stesso modo Gentile riporta il movimento delle camicie nere alla sua identità particolare, legata ad eventi come la Prima guerra mondiale e l’avvento della società di massa. Nega in questo modo validità alla formula bizzarra del «fascismo eterno», secondo la quale ogni manifestazione di razzismo o di tendenze liberticide sarebbe riconducibile al fascismo stesso, per cui il pericolo della sua ricomparsa sarebbe sempre attuale in qualsiasi circostanza storica.
Una tesi che, tra l’altro, ignora come il dispotismo e il razzismo non siano affatto monopolio di Mussolini e dei suoi seguaci. Della coalizione che sconfisse l’Italia del Duce e la Germania del Führer facevano parte l’Urss di Iosif Stalin, che certo non scherzava quanto a brutale soppressione di ogni libertà, e gli Stati Uniti, nei quali all’epoca vigeva in tutto il Sud un regime di pesante discriminazione razziale ai danni dei neri.
Il fascismo è stato spesso rimosso dalla coscienza collettiva. Abbiamo preferito credere che fosse pura barbarie, che il consenso di cui godeva fosse superficiale o estorto, che non avesse radici nella cultura. Ma l’analisi del passato porta a conclusioni diverse. Il totalitarismo mussoliniano è parte integrante del nostro retaggio storico. Quindi bisogna sforzarsi di conoscerlo, come c’invita e aiuta a fare Gentile, andando oltre le convenienze e le contingenze della politica. Antonio Caroti, Il Corriere della sera, 26 aprile 2020