Che succede dentro la maggioranza? Ma soprattutto: a chi conviene far cadere il governo Conte? A nessuno, compresa l’opposizione. Quand’è stata l’ultima volta che avete sentito Salvini e Meloni chiedere ”elezioni subito”? Ciò non toglie che certi equilibri precari mostrino fratture e tensioni. Ma non abbastanza da metterne a rischio la sopravvivenza. La debolezza del governo resta la sua forza, e ora persino l’opposizione si è messa l’anima in pace.

Prendete l’intervista di Goffredo Bettini dell’altro ieri al Corriere. È stata letta come una presa di distanza o un vero abbandono di Zingaretti da parte del suo elefante parlante. Non è così, è che l’ex europarlamentare non vuole essere considerato solo l’intellettuale ventriloquo del muto segretario e quindi ha cercato un po’ di distinguersi.

Il suo ruolo di ideologo nel Pd ovviamente è osteggiato da molti: i suoi continui endorsement a favore di Conte hanno sortito un solo effetto: far incarognire Di Maio che si sente tagliato fuori dall’asse Conte-Zinga.

E riparte il solito duello in consiglio dei ministri: i 5stelle che contano il numero dei loro parlamentari (291) rispetto ai 126 del PD. A loro volta i dem scodellano i dati unanimi dei sondaggi che vedono i grillozzi dimezzati dal 32% al 15.

Uno dei temi che sembra ormai morto è quello dei due vice da affiancare a Conte. Il premier è riuscito a impallinare l’idea di essere stritolato dalla tenaglia PD-M5S. Una sponda gliel’ha data proprio Zingaretti che non ci pensa affatto a lasciare il Lazio (che il centrosinistra rischierebbe di perdere) per entrare nell’esecutivo con non si sa bene quale dicastero.

Se non è Zingaretti, allora dovrebbe essere Su-Dario Franceschini, e nessuno nel Pd vuole dar altro potere al loro malfido capodelegazione. L’arrivo dei vice avrebbe innescato un rimpasto generale, con i soliti nomi in ballo (De Micheli, Azzolina, Bonafede…), ma al momento nessuno può mettersi a fare giochi di palazzo. Basta un soffio per far crollare il castello di carte.

Ancora una volta, questa pandemia non solo allunga la vita del governo, ma ne pacifica anche la convivenza. Poiché ormai come tiri un filo, e viene giù tutto, la soluzione adottata da Pd e 5Stelle è di non tirare un bel niente.

Resta però per i dem il problema di Gualtieri, che è l’unico big del partito a non essersi schierato a favore del Mes. Anzi dopo aver fatto eco a Conte nei mesi scorsi, ora si è fatto superare dal premier in conferenza stampa, che ha messo sul piatto la parola che nessuno osava pronunciare: ‘’stigma”.

Gualtieri è in contatto con i suoi omologhi degli altri paesi del Sud Europa e sa benissimo che l’Italia sarebbe la sola a ricorrere al Fondo Salva-Stati. Cosa che provocherebbe immediatamente la speculazione dei mercati finanziari internazioni verso il nostro disgraziato paese.

E tra un po’ sarà pure l’unico paese europeo a usare la parte di loans del Recovery Fund (prestiti da rimborsare), visto che Spagna e Portogallo hanno già detto che si accontentano dei grants (la parte gratuita) ed eviteranno di indebitarsi con le condizionalità. Noi invece prenderemo tutto, vista la situazione economica tragica.

Conte e Gentiloni, attraverso la Merkel, ora si stanno muovendo per avere la prima tranche non più a febbraio bensì ad aprile. E trattano per prolungare il blocco dei licenziamenti fino a marzo. Il premier, insieme ai suoi due fedelissimi Goracci e Chieppa, monitora quotidianamente la situazione epidemiologica. Il suo nuovo mantra sono ”interventi mirati, il più possibile chirurgici”, e non più lockdown con soldi a pioggia in maniera indiscriminata (che poi sai quanti soldi erano…).

L’idea è di aggiustare i contributi in funzione degli interventi che penalizzano singole categorie (ristoratori, gestori di bar e locali notturni etc).

Nel Pd però l’atteggiamento nei confronti del premier non è più idilliaco come un tempo. In particolare, gli rimproverano di non aver fatto un singolo investimento infrastrutturale da quando è iniziata la pandemia. C’è stato il piano Colao (che fine ha fatto?), gli Stati Generali, le fregnacce e le promesse, ma di concreto non si è visto nulla. Ha mandato dieci ultimatum ad Autostrade, e abbiamo visto che paura ha scatenato nei Benetton.

Certo, i grillini possono replicare che buona parte di questa responsabilità è in capo a Paoletta De Micheli, che sarebbe il ministro delle Infrastrutture ma che con i suoi scudieri Stancanelli e Mauro Moretti è rimasta invischiata nella burocrazia, tra un premier che temporeggia su tutto e un governo che non sa più dove trovare i soldi per l’emergenza covid, figuriamoci per le grandi opere.

Al che nel Pd replicano ancora: e allora Arcuri? Com’è possibile che il commissario straordinario all’emergenza pandemica sia ancora amministratore delegato di Invitalia e che a questo dedichi non poco tempo, inclusi i giochi di potere e di poltrone sulla Popolare di Bari commissariata dal Mediocredito Centrale (che è di Invitalia al 100%). Lì c’è ancora un De Gennaro, fortemente voluto da Arcuri alla presidenza, che ancora deve superare l’esame di Bankitalia.

A proposito di Bari, Conte ha fatto nominare nel cda un avvocato pugliese del suo entourage, Bartolomeo Cozzoli, che conosce molto bene le banche in quanto ogni tanto va a versare un assegno e usa l’app per i bonifici online.

Alle recriminazioni su Arcuri rimpallano ancora dal M5S: e allora Zingaretti? Come può tenere la segreteria del Pd e allo stesso tempo guidare una delle regioni più colpite dal Covid, dove regna un assessore alla sanità (D’Amato) sul quale è meglio stendere un velo pietoso? Così all’infinito, in un gioco di recriminazioni incrociate e di incompetenza generalizzata che protegge il governo e le poltrone dei suoi inadeguati protagonisti. Tratto da DAGOPSIA DEL 22 OTTOBRE 2020