Archivio per la categoria ‘Costume’

IL DIRETTORE SALLUSTI AL PROCURATORE DI MILANO: CARO PROCURATORE MI MANDI IN GALERA

Pubblicato il 23 novembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Pubblichiamo la lettera-editoriale con cui oggi il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, si rivolge al Procuratore capo di Milano, invitandolo a”carcerarlo”. E’ un atto di profondo coraggio e di ammirevole determnazione, quale non siamo più abituatui a vederne in giro. Insomma, Sallusti si appresta ad andare in galera, dopo due mesi durante i quali il Senato, a maggioranza di centrodestra, non è riuscito a varare un provvedimento sensato di modifica di una legge fascista mantenuta in piedi nonostante  una settantina d’anni di declamata democrazia  e di sempre conclamata difesa della libertà di stampa. Con il carcere a Sallusti,  che ha solo due precedenti, come ricorda egli stesso, il carcere a Giovanni Guareschi che fu condannato per aver accusato di un reato infame l’allora presidente del consiglio De Gasperi, quello cioè di aver chiesto agli alleati di bombardare Roma – accusa che si rivelò falsa – per cui lo stesso Guareschi, dopo aver chiesto scusa a De Gasperi, andò volentuieri nel carcere di Parma per scontare la pena, e il carcere “graziato” da Ciampi a Lino Iannuzzi, si mette una pietra tombale sulla libertà di stampa, affondata sotto i colpi di una casta che pretende di essere immune dacritiche, quella dei giudici, e l’altra, la casta dei politici che pretendono di essere esenti dalle inchieste sulle loro malversazioni. Il caso di Sallusti, poi, si incrocia con il fatto che Sallusti è un giornalista di destra, un editorialista che a costo di provocare le vendette di cui egli stesso parla, ha difeso con coraggio, determinazione, talvolta al di là anche delle ragioni della politica, il centrodestra. Ora è proprio il centrodestra ad averlo abbandonato, ad aver rinunciato a varare almeno in Senato, dove ha ancora lamaggiranza, un provvedimento che riparasse alle dimenticanze di questi ultimi 70 anni per porre poi la Camera dei Deputati di fronte alle sue responsabilità, così come il ministro, il premier, il capo dello Stato. Su quest’ultimo che spande e sparge tante belle parole da “padre della patria” nonostantre le durissime parole che gli ha dedidcato Sallsauti, vogliamo ancora porre fiducia che tra stanotte e domanimattina riesca a comprendere che l’essere stato comunsita non lo esime,  oggi, dall’evitare che un uomo innocente vada in galera, graziandolo come fece Ciampi con Iannuzzi. Meno fiducia, anzi nessuna, poniamo nel partito politico per difendere il quale Sallusti oggi si ritrova a dover varcare tra poche ore le porte di una cella. Il PDL, impegnato a sopravvivere a se stesso, sul caso Sallusti misura la sua ragion d’essere. Se non è capace di difendere uno dei suoi migliori “propagandisti”, quale è sempre stato Sallusti,  come può pretendere di riconquistare la fiducia dei milioni di elettori che in questo ultimo anno, sopratutto, ha deluso e tradito? Abbia un soprassalto di dignità e mandi all’aria governo e sistema per restituire agli italiani di centrodestra la voglia di ritornare a combattere sotto le insegne della libertà. g.

Il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti
LA LETTERA DI SALLUSTI AL PROCURATORE CAPO DI MLANO
A mezzanotte scade la sospensione dell’ordine di carcerazione emesso nei miei confronti dopo la condanna a dodici mesi per un reato di opinione commesso da altri ai tempi incui dirigevo Libero.

Inutile ricordare che la cosa ha soltanto due precedenti, Guareschi e Jannuzzi (evitò il carcere con la grazia) nella storia della Repubblica, inutile ricordare come a mio avviso la sentenza sia stata motivata con dei falsi, inutile sostenere, come è, che si tratta di una vendetta nei miei confronti e dell’area politico-culturale cui appartengo da parte di una magistratura ideologica che se la fa e se la mena (la querela è di un pm).

La politica ha avuto due mesi di tempo per rimediare a questa barbarie. Non lo ha fatto. Non pochi senatori si sono prima messi il passamontagna (voto segreto) come comuni rapinatori per confermare il carcere ai giornalisti, poi hanno versato lacrime di coccodrillo approvando un comma ad personam che salva i direttori (ma, paradosso, non me) e infine si sono arenati nelle sabbie mobili. Il nostro Senato l’unica cosa che ha provocato è uno sciopero dei giornali italiani, al quale noi non aderiamo come spiega oggi su questa pagina Vittorio Feltri. Non parliamo di Napolitano, capo della magistratura, che non ha proferito parola in tutti questi giorni dimostrando di essere quello che è, un rancoroso comunista che pensa così di prendersi una squallida rivincita sulla storia che lo ha visto sconfitto. Non sono da meno il premier Monti, campione di liberismo a parole, e la ministra Severino che evidentemente ha una coscienza che sta alla Giustizia come la mia al greco antico.

Dunque non c’è via d’uscita, devo andare in carcere, è questione di ore. L’ordine lo deve firmare la Procura di Milano, il cui capo è Bruti Liberati. Mi dicono, ho letto su alcuni giornali, che lui non è entusiasta di rimanere con il cerino in mano e fare eseguire una condanna scritta da altri e che sporcherebbe il suo prestigioso curriculum. Procuratore, almeno lei non mi deluda. Ha il dovere di applicare la legge, senza inventare per me scorciatoie o privilegi non richiesti, tipo ulteriori dilazioni, arresti domiciliari diretti o cose del genere.

Glielo dico, glielo chiedo, perché lei non ha il diritto di infliggermi ulteriori pene rispetto a quella erogata. Che sia prolungare l’attesa (a questo punto lei si macchierebbe oltre che di omissione di atti d’ufficio anche del reato di tortura) o che si tratti di farmi entrare in una casta alla quale non voglio appartenere. Non si inventi balle o scuse. Nelle carceri italiane solo quest’anno sono entrate 6.095 persone con condanne simili alla mia (pena definitiva inferiore ai due anni) e altre diciassettemila potrebbero uscire per fine pena anticipata (residuo inferiore ai due anni). Io non ho alcun diritto di passare davanti a tutti questi disgraziati, neppure all’ultimo marocchino, solo perché dirigo un giornale. Non ci provi, procuratore, perché l’unico patrimonio che abbiamo noi giornalisti sono credibilità e coerenza. Se proprio c’è un problema di sovraffollamento faccia così: scarceri o mandi ai domiciliari un avente diritto con più anzianità di me e così si libera la branda.

Io e gli italiani, signor procuratore, ci aspettiamo che lei faccia fino in fondo il suo lavoro senza guardare in faccia nessuno e si prenda le responsabilità che le competono come io mi sono prese le mie. Se poi, per caso, si dovesse vergognare, sono affari suoi, non miei. Non mi rovini più di quanto abbiano già fatto suoi indegni colleghi. Mi creda, non me lo merito.  Alessandro Sallusti.



ITALIANI, POPOLO DI EUROSCETTICI

Pubblicato il 21 novembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Il 59% ha poca o pochissima fiducia nell’Unione Europea. Dal 2010 è scesa di 17 punti percentuali. Negli ultimi 7 anni dal 64 al 38%. I più severi gli elettori del Pdl e del M5S

Non sarà un divorzio conclamato e insanabile ma certo assomiglia molto a una separazione. C’era una volta un popolo di europeisti convinti, una nazione di innamorati della bandiera con le dodici stelle dorate in campo blu, pronta a commuoversi all’ascolto dell’Inno alla Gioia e dell’ultimo movimento della Nona Sinfonia di Beethoven.

Un sentimento guidato dall’incoscienza, legato forse non tanto a saldi principi ideali e culturali ma probabilmente alla speranza che le istituzioni comunitarie sapessero fare meglio dei nostri governi e l’euro si rivelasse un salvagente per l’economia.

Oggi quel quadro si è ribaltato e il credito offerto dagli italiani verso le istituzioni comunitarie si è ristretto quanto quello messo a disposizione dalle banche alle nostre imprese. I numeri sono eloquenti. Il 59% degli italiani ha poca o pochissima fiducia nell’Unione Europea. Dal 2010 la fiducia nell’Ue è scesa di ben 17 punti percentuali. Negli ultimi 7 anni, addirittura, è scesa dal 64 al 38%: in pratica un dimezzamento. E’ questo il verdetto emesso dall’indagine Ispo, «Italia e Ue, un rapporto che cambia» presentato oggi presso la rappresentanza italiana della Commissione europea dal professor Renato Mannheimer, presidente dell’istituo, dal vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani e da Lucio Battistotti, direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione europea.

Il rapporto scandagli anche gli umori diffusi nei partiti politici. E rivela anche che la massima sfiducia verso Bruxelles alberga tra gli elettori del Pdl e del M5S. I più euroentusiasti sono, invece, nell’ordine i sostenitori dell’Udc, di Sel, dell’Idv e del Pd. Interessante anche la classifica della fiducia degli italiani verso le istituzioni. Al primo posto, nonostante le recenti campagne di stampa negative, resistono saldamente polizia e carabinieri. Al secondo posto si attesta il presidente della Repubblica. Al terzo posto la Chiesa. Queste sono le uniche istituzioni che raccolgono consensi superiori al 50%. A seguire: la magistratura; l’Unione Europea; i sindacati; il governo e il parlamento, uniti nella sfiducia. Ultimi e staccati i partiti politici.

La mappatura della fiducia degli italiani nei confronti dell’Unione Europea è ai livelli più alti nella fascia d’età tra i 18 e i 24 anni, tra i cittadini del Nord-Ovest, tra chi ha un titolo di studio elevato e tra gli impiegati e gli insegnanti. Molto bassa, invece, nella fascia di età sopra i 55 anni, nel Sud e nelle isole e tra i pensionati. Per quanto riguarda il sentimento di appartenenza, quattro italiani su dice dichiarano di sentirsi molto cittadini europei. Una quota inferiore a quella del senso di appartenenza verso l’Italia (5,6 su dieci) e verso le istituzioni locali (Comune, Provincia, regione). Nell’immaginario diffuso, gli italiani associano l’Unione Europea da un lato all’euro, e dall’altro alla possibilità di spostarsi liberamente per lavoro, studio e svago. Ma tra le risposte c’è anche chi lega l’idea europea alla democrazia e alla possibilità di avere un ruolo più importante nel mondo. Dall’Ue gli italiani si aspettano soprattutto interventi riguardanti l’occupazione e la protezione economica. Infine sei cittadini su dieci ritengono che l’euro abbia portato più svantaggi che vantaggi ma non vorrebbero comunque tornare indietro perché temono un disastro per la nostra economia. Gli italiani, insomma, da popolo di euroentusiasti si sono trasformati in un popolo di europrigionieri. Il Giornale, 21 novembre 2012

…………………..Così accade per i grandi amori seguiti da grandi delusioni. Si finisce con odiarli tanto quanto li si ha amati.g

CON IL NUOVO REDDITOMETRO PIU’ TASSE FINO A 9MILA EURO

Pubblicato il 19 novembre, 2012 in Costume, Economia, Politica | No Comments »

Il nuovo redditometro entrerà in vigore il primo gennaio 2013. La settimana prossima, martedì per l’esattezza, sul sito dell’Agenzia delle entrate sarà disponibile il programma con cui  ciascun contribuente potrà verificare se le tasse che paga e il reddito dichiarato sono «congrui». Vale a dire se sono in linea con il tenore di vita che ha. In attesa di fare la verifica c’è però una certezza: col nuovo «redditest» pagheremo più tasse. Come del resto ci hanno abituato da un anno a questa parte i Professori al governo. A fare il calcolo è stato l’ufficio studi della Cgia di Mestre che ha stimato gli effetti sulle tasche dei contribuenti dei nuovi meccanismi di calcolo presuntivo dei redditi. Identici per tutti, si tratti di lavoratori autonomi, dipendenti o pensionati.

Ebbene, le conseguenze rischiano di essere molto pesanti: con un maggior reddito stimato dal fisco pari a 10.000 euro, se il contribuente raggiunge un accordo con l’Agenzia delle entrate che gli sconta il reddito imponibile del 5%, tra maggiori imposte e sanzioni ridotte dovrà versare tra i 4.250  e i 5.640 euro. Se al contrario non accetta la proposta degli «sceriffi» di Befera e fa ricorso alla Commissione tributaria rischia una sanzione quasi doppia. Nel malaugurato caso in cui, alla fine dei due gradi di giudizio previsti per il contenzioso tributario dovesse perdere, sarà costretto a versare all’Erario e  se alla fine dei due gradi di giudizio dovesse malauguratamente perdere , il contribuente sarà chiamato a versare all’Erario tra i 6.815 e gli 8.906 euro.  Dunque sui 10.000 euro di «maggior reddito» presuntivamente accertato dall’Amministrazione finanziaria il contribuente potrebbe essere costretto a pagarne quasi 9.000 fra imposte e multe.

Le simulazioni, sottolinea l’ufficio studi del’associazione artigiani mestrini, sono state fatte su tre fasce di reddito lordo annuo: 20.000, 40.000 e 80.000 euro. Al di sotto dell’ultima soglia, fanno presente dalla Cgia, si trova il 98%  dei contribuenti italiani. Quindi non è per nulla un caso di scuola.

La nuova versione del redditometro ha affinato un meccanismo in base al quale l’Agenzia delle entrate ha la possibilità di ricostruire a tavolino i redditi degli italiani, autonomi o dipendenti che siano, sulla base delle spese che ciascuno di noi ha effettuato. Nel caso in cui il reddito presunto, ricalcolato cioé dagli sceriffi del Fisco anche in base a  serie di indici fissati a priori,  superi di almeno il 20%  quello dichiarato,  il contribuente verrà convocato e dovrà giustificare lo scostamento fra le spese effettuate e il reddito dichiarato. Con una precisazione: non tutte le spiegazioni saranno ritenute ammissibili dall’amministrazione finanziaria.  «La normativa – spiega  il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi  – limita la possibilità di dimostrare che le spese realizzate dal contribuente siano avvenute con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta». Per capire quali siano le spiegazioni accette e quali no non resta che aspettare qualche giorno. A poco vale ricordare che lo «Spesometro» ha carattere presuntivo. «Al contribuente – puntualizza Bortolussi – dovrebbe essere consentito di discutere anche su come sono state conteggiate le maggiori richieste avanzate dal fisco». LIBERO, 19 novembre 2012

.….Ecco cosa ci aspetta, uno Stato di polizia fiscale che ci costringerà a pagare anche quando abbiamo ragione per timore di pagare il doppio, proprio come avviene per le multe stradali: se ricorri al Prefetto contro u na mula e il Prefetto ti dà tgorto sulla scortta dello stesso ente che ti ha multato, paghi il doppio. Un modo piratesco per sconsigleire di ricorrere contro lo stato esoso e spesso “malavitoso”. E’ lo Stato che piace al signor Monti che se ne è andato a predicare sulle poche virtù  civiche degli italiani negli stati arabi dove come è noto la libertà pesonale, la democrazia, il rispetto delle persone è al massimo grado e dove comanda chi viene eletto dai cittadini ….sic, doppio, e triplo sic. g.


L’ANNIVERSARIO NERO DEL GOVERNO TECNICO. ECCO COME MONTI CI HA AFFOSSATO, di Renato Brunetta

Pubblicato il 18 novembre, 2012 in Costume, Economia, Politica | No Comments »

È passato un anno. E per favore, lasciamo perdere le strumentalizzazioni e i luoghi comuni. Lasciamo perdere la retorica e facciamo solo i conti, con onestà intellettuale e politica.

Facciamo il bilancio di un’esperienza di governo eccezionale e di una politica economica, anch’essa eccezionale, che non abbiamo voluto noi, ma ci è stata imposta dalla Germania.

Tiriamo le somme di un riformismo forzato, massimalista e conservatore al tempo stesso, ma che ha finito per produrre più danni che benefici.
È giunto il tempo di giudicare il governo, i suoi ministri, per troppe volte apparsi più burocrati che autorevoli tecnici illuminati. Oppure personaggi in cerca di un futuro politico, che saltano da un convegno all’altro, da una dichiarazione all’altra, piuttosto che disinteressati servitori dello Stato.

Un nome per tutti: Corrado Passera, un misto di velleità, impotenza, luoghi comuni e presunzione. Con gli altri membri dell’esecutivo ostaggi, più o meno consapevolmente, dei loro ministeri, degli interessi costituiti, del gattopardismo romano. Viziati dai troppi decreti legge, dalle troppe fiduce, poste e ottenute, dal non dover rendere conto a nessuno. Garantiti solo dalla Sua persona.

Una politica economica che senza tante analisi ha sposato acriticamente un percorso di austerità che ha prodotto la recessione. Sbagliando pure i conti. Una recessione peggiore del previsto, che ha finito per far mancare gli obiettivi per cui il rigore era stato voluto. Ma questi tecnici, di Angela Merkel e di casa nostra, non studiano? Non leggono i rapporti internazionali? Non capiscono che il mondo è cambiato, e che quindi devono cambiare anche le ricette di politica economica?

Non un indicatore socio-economico, in quest’anno, ha mostrato segno positivo. Vorrà pur dire qualcosa? L’Eurozona è in recessione (-0,1%): ci può spiegare perché? Non sarebbe il caso di mettere un punto fermo, cominciare a ridiscutere quello che è stato fatto nell’Ue in questi 4 anni di crisi? Non sarebbe il caso di chiedere all’Europa se le politiche sangue, sudore e lacrime e i compiti a casa siano state e siano quelle giuste? Non è bello, non è onesto veder andare in crisi tutti i paesi tranne uno: la Germania, che migliora i conti, anche contro le sue stesse previsioni, sulla pelle di tutti gli altri. Adesso anche della Francia.

Il Suo riformismo fondamentalista e conservatore ha portato all’introduzione dell’Imu, con relativa contrazione del valore del patrimonio immobiliare degli italiani. Ha portato all’aumento della tassazione sulla proprietà, già ai massimi livelli nelle classifiche Ocse; alla riduzione della produzione nel settore delle costruzioni, fondamentale in economia; al crollo delle compravendite di immobili.

Insomma, è stato impoverito quell’oltre 80% di italiani che abitano nella loro casa. Non è giusto, professor Monti. Non è giusto.

La sua riforma delle pensioni ha creato il guaio tossico degli «esodati». Tossico perché mette insieme ingiustizie e opportunismi, producendo più costi che benefici. Forse era meglio non far nulla. Come era meglio non far nulla sul mercato del lavoro, la cui riforma sta facendo schizzare ai livelli più alti in Europa la disoccupazione giovanile, a causa del mancato rinnovo dei contratti a termine. Avevamo bisogno di più flessibilità nell’assumere, abbiamo prodotto solo un blocco. E la mitica spending review alla fine non si è concretizzata che in banali tagli lineari.

È stato un anno di consenso mediatico, ma di amarezza, impotenza e sconcerto nella gente. E di tanta retorica. La retorica per cui il governo di prima aveva portato l’Italia sull’orlo del baratro. La retorica del non riuscire a pagare gli stipendi pubblici del 2011 a causa dello spread, il grande imbroglio su cui non è stata fatta nessuna chiarezza.

Non è stato spiegato agli italiani perché tutto sia cominciato a giugno 2011 dalla vendita, da parte di Deutsche Bank, di 8 miliardi di nostri titoli di Stato. Vendita seguita da tutti gli altri operatori, meno di una ventina di banche, che fanno il bello e il cattivo tempo. Altro che mercati. Perché quell’ordine? Cosa era cambiato nella nostra economia, nella nostra politica economica, che giustificasse quella decisione da parte della principale banca tedesca? Un anno di retorica. La retorica del «Salva Italia», il Suo primo decreto, che non ha salvato proprio un bel niente. La retorica della credibilità ritrovata, dello stile di governo, del rigore, dell’agenda Monti. Un’insopportabile bolla mediatica.

E che dire del «Cresci Italia», del «Semplifica Italia», dell’«Italia Digitale» e degli altri stucchevoli slogan che appaiono come vere e proprie prese in giro? Altro che credibilità. Altro che coesione. Altro che responsabilità. Altro che legalità. Altro che visione.

Un anno di pacche sulle spalle e apparente apprezzamento in campo internazionale, salvo poi vederci isolati in India, come a Bruxelles, o additati al pubblico ludibrio a Washington. Italia sempre più sola, soprattutto in Europa. Unico contribuente netto (cioè paghiamo all’Ue più di quanto riceviamo), che non sa con chi stare. A parole (quasi da sindrome di Stoccolma) con Angela Merkel e i rigoristi, ma con tanta voglia del contrario. E il risultato di rimanere soli.

Il governo era nato con 4 fondamentali obiettivi: aumentare la credibilità dell’economia italiana sui mercati; promuovere l’azione dell’Italia in Europa, per una politica economica a carattere comunitario; ridurre il debito pubblico, con misure di carattere strutturale; lanciare una strategia di sviluppo e di crescita per il Paese. Obiettivi riassunti nel Suo discorso sulla fiducia, le cui parole d’ordine sono state: rigore, sviluppo e equità.

A un anno dall’esordio, i fatti mostrano che ha fallito su tutti i fronti. La credibilità non è aumentata, perché i rendimenti dei titoli di Stato decennali sfiorano ancora il 5%, gli spread sono in altalena, e in ogni caso continuano a dipendere dall’azione della Bce. Si ricorda, presidente Monti, il 24 luglio 2012, quando il Suo maledetto spread, il nostro maledetto spread, è schizzato a 534, praticamente allo stesso livello che il 9 novembre 2011 ha fatto cadere Berlusconi? E si ricorda le ragioni? Le voci dell’uscita della Grecia dall’euro. Non un giudizio sulla Sua politica. Non sarebbe il caso di riconoscere che i nostri fondamentali c’entrano poco o nulla?

Il ruolo dell’Italia in Europa è rimasto marginale e l’egemonia della Germania è aumentata. Il debito pubblico continua a crescere, sia in valori assoluti (+72 miliardi), sia in rapporto al Pil (+4,4%). Non è stata lanciata nessuna strategia di sviluppo, tanto che il prodotto interno lordo si è inabissato, la produzione industriale precipita, i consumi sono in picchiata e l’inflazione continua a salire, come la disoccupazione. In un anno nulla è cambiato in meglio, ma è tutto peggiorato.

L’unica cosa buona del governo Monti l’ha fatta la maggioranza, riscrivendo la legge di stabilità per il 2013, cosa mai vista nella storia repubblicana, rendendo intelligente un provvedimento banale, inutilmente cattivo con i deboli (dai malati di Sla alle vittime di guerra) e demagogico. Quello spruzzo di diminuzione dell’Irpef, che aveva proposto nel Suo disegno di legge, professor Monti, e che abbiamo rispedito al mittente, era degno di miglior causa. Un inutile e costoso specchietto per le allodole. La tanto bistrattata maggioranza dei partiti ha sostituito il governo dei tecnici, coniugando rigore, equità e sviluppo. Proprio quello che Lei, presidente, e i Suoi ministri non siete riusciti a fare in un anno di governo. Un anno che può a buon titolo considerarsi un annus horribilis. Renato Brunetta, Il Giornale 18 novembre 2012

.………………In economia, come sottolinea Brunetta,  le parole devono lasciare il posto ai numeri. E i numeri dimostrano chiaramente il fallimento del compito affidato a Monti, frettolosamente indicato e poi mdefinito, come il demiurgo capace di fare miracoli. I miracoli li fanno i Santi, a Monti era affidato, da fante,  il compito di ridurre drasticamente la spesa pubblica, follemente aumentata nel corso degli anni, complice della politica,  anche tanta alta burocrazia, nella quale lo stesso Monti può arruolarsi insieme al 99% dei suoi ministri e sottosegretari, chiamati in prima fila dopo aver tranquillamente usato nelle seconde, terze e quarte file, i vantaggi assicurati dalla politica a chi le teneva bordone. Appunto i burocrati. In questo campo, cioè nella riduzione della spesa pubblica, il compito a casa di Monti è risultato meritevole di zero. Dove invece può appuntgarsi un bel dieci sulla giacca è la pressione fiscale, aumentata in un anno, del 2,5%, portandosi a quota 44%, Cioè Monti ha usato, follemente, lo strumento della pressione fiscale per “rimettere ordine nei conti pubblici” senza rendersi conto che alzare le tasse per pagare i debiti, senza bloccare la fonte stessa dei debiti, è come il cane che si morde la coda. Infatti, non solo  il debito pubblico in uno anno è aumentato di 100 milioni, portandosi a 2000 miliardi, ma sono drasticamente diminuiti i consumi e cioà ha determinato il blocco della crescita, anzi la stagnazione della crescita, , visto che di crescita è un bel pò che in Italia non si può parlare. E allora quale è la ragione per cui benchè Monti abbia così clamoraosamente  fallito debba   essere riproposto come vogliono fare alcuni vecchissimi “giovani” della politica italiana come Casini che “indignato” grida alla luna che in 20 anni la politica italiana ha fallito (senza precisare dove egli fosse in questi 20 anni, cinque dei quali passati sullo scranno di presidente della Camera dei Deputati in virtù della sua appartenenza alla maggioranza parlamentare e governativa che ha governato il Paese dal 2001 al 2006)  e qualche giovane “vecchio” come Cordero di Montezemolo che dopo aver arraffato tanto di quel debito pubblico come manager di aziende private supportate dallo Stato si prova, all’età in cui di solito si andava in pensione prima della cura Fornero, a dettare le regole che lui per primo, nel recente passato,  mai ha rispettato per far ripartire il Paese. Insomma non è Monti la ricetta per il futuro con quella sua aria dottorale che dall’alto di una arrogante pretesa di modificare geneticamente un intero popolo ha cessato ben presto di essere faro per divenire rappresentazione  di una Italia tragicamente malinconica. E la malinconia non è il miglior viatico per l’avvenire perchè si coniuga  alla nostalgia. E l’Italia non ha bisogno  di nostalgia. Ma di speranza!



IL CARCERE PER SALLUSTI: PRIMA MARONI, E POI RUTELLI, TENTANO DI SALVARE LA FACCIA. MA SALLUSTI LI SMASCHERA.

Pubblicato il 16 novembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

È stato un errore, ha detto Roberto Maroni ieri al Giornale. La reintroduzione del carcere come pena per il reato di diffamazione votata l’altro giorno dal Senato (che la riforma in discussione stava eliminando) sta provocando fiumi di lacrime di coccodrillo.

«Una provocazione sfuggita di mano», piagnucola il segretario leghista. Ieri sera, a Otto e mezzo su La7, è toccato a Francesco Rutelli tentare di salvarsi la coscienza rimettendo assieme i cocci di una situazione che sta per portare in carcere Alessandro Sallusti, direttore del Giornale.
«Forse abbiamo trovato il sistema per risolvere il caso-Sallusti», ha annunciato il leader dell’Api prima di andare in onda ricordando di essere «pubblicista da trent’anni» e di «avere giornalisti in famiglia» (la moglie Barbara Palombelli). La soluzione, studiata con l’avvocato Nicola Madia, sarebbe depenalizzare il reato di omesso controllo e la responsabilità del direttore per gli articoli firmati con pseudonimi o privi di firma.
Un capolavoro di ipocrisia smascherato in diretta da Sallusti. «Ringrazio per l’interessamento, ma questa ipotesi eviterebbe il carcere ai direttori, non ai giornalisti. E se Rutelli avesse letto le carte processuali, avrebbe scoperto che il giudice che mi ha condannato (senza fare indagini) mi ha attribuito la paternità dell’articolo. Per la Cassazione l’autore sono io. Sono stato condannato al carcere come delinquente abituale a motivo delle sei precedenti condanne per omesso controllo e le oltre 60 cause in corso, mentre Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, ha 130 querele pendenti e un numero maggiore di precedenti condanne».
Nel pomeriggio erano stati i leghisti a mettere la retromarcia. L’ex Guardasigilli Roberto Castelli si è appellato al capo dello Stato: «Dia la grazia a Sallusti». «Le idee non vanno in galera», ha aggiunto l’eurodeputato Matteo Salvini.
Dall’Europa, la musa del governo Monti invocata a modello per tutto fuorché i reati di opinione, arriva un altro avvertimento. Secondo l’onorevole Luca Volontè (Udc) sarebbero pronte sanzioni per l’Italia se non verrà cambiata la legge e non si eviterà il carcere al direttore del Giornale. «Io stesso chiederò l’apertura di un dossier sulla legge italiana in tema di diffamazione», dice Volontè, che è presidente del gruppo popolare all’assemblea del Consiglio d’Europa.
La prossima settimana il magistrato di sorveglianza di Milano deciderà sull’esecuzione della pena (14 mesi di arresto) cui Sallusti è stato condannato alla fine dello scorso settembre. «In Italia i problemi si risolvono un minuto prima o un minuto dopo che succede il patatrac», ha detto ieri Sallusti intervenendo a Un giorno da pecora su Radio2. «Monti scenda dal suo piedistallo ipocrita e faccia un decreto legge che dica che per i reati di opinione non si va in carcere, punto».
Il direttore del Giornale ha rivelato che qualcuno, forse dei servizi segreti, gli ha proposto di fuggire in Francia per evitare il carcere. «Gli ho detto che non trattavo nulla», è stata la risposta. Dura anche l’ex sottosegretario Pdl, Daniela Santanchè a La Zanzara su Radio 24. «Si deve aprire un caso perché è una tragedia umana». Il Giornale, 16 novembre 2012

….……………..Lo abbiamo detto da subito. Che Monti avrebbe dovuto fare un decreto legge – ne ha fatti centinaia questo dittatore sudamericano in età da ospizio – per cambiare solo la norma fascista che prevede il carcere per  i giornalisti condannati per diffamazione,salvo in corso di esame in Parlamento arricchire il decreto degli ulteriori aggiustamenti necessari a rendere la legislazione italiana  in questa materia degna di un sistema di libertà, oppure che Napolitano, motu proprio, firmi la grazia per Sallusti. Monti, con il supporto della ministro Severino, ricca avvocatessa del sistema, si è rifiutat,  invocando, ipocritamente,  la competenza del Parlamento che salva i ladri, i delinquenti e i corrotti, ma manda in galera coloro che denunciano le malefatte del potere. Ora resta Napolitano. Vedremo se  in lui prevarrà l’antica fede comunista che i giornalisti non solo li mandava  in galera, ma, talvolta, li uccideva,   o prevarranno le più recenti manfiestazioni di rispetto dei valori della democrazia che contengono anche il più rigoroso rispetto per quelli che esercitano il diritto di denunciare le malefatte del potere? Dobbiamo aspettare poco per vedere come andrà a finire. g.

LA CASTA AGGIRA LA LEGGE CONTRO I VITALIZI E AL LORO POSTO SPUNTA LA PENSIONE…DA SUBITO, ALLA FACCIA DEI LAVORATORI CHE DEVONO ASPETTARE 67 ANNI.

Pubblicato il 16 novembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Modificata la legge che prevede i 66 anni di età con 10 di mandato minimo: arriva la pensione contributiva

Una vera e propria beffa. È bastato un codicillo per mandare tutto a gambe all’aria e cancellare la promessa di far piazza pulita dei vitalizi regionali.

Eppure era stato lo stesso presidente del Consiglio Mario Monti a vietare il vitalizio ai consiglieri che non ha ancora compiuto 66 anni e speso almeno dieci anni di mandato. Se fosse andata in porto, la riforma sarebbe stata una vera e propria mannaia per la Casta e una boccata d’ossigeno per l’erario pubblico. Tuttavia, il partito delle Regioni ha contrastato il decreto non appena il testo è arrivato in parlamento per la conversione in legge. E così, è bastato inserire una postilla per “salvare” le Regioni che hanno già abolito i vitalizi. Regioni che, a questo punto, potranno sostituire i vitalizi con le pensioni contributive, senza limiti di età e mandato. Insomma, tutto torna come prima.

Il giro di vite contro il super vitalizio – lo stesso che sarebbe toccato a Franco “Er Batman” Fiorito – era stato annunciato agli inizi di ottobre scorso. Sul tavolo di Palazzo Chigi il provvedimento: nessun ex consigliere regionale avrebbe più incassato la pensione senza aver fatto almeno dieci anni di mandato né prima di aver compiuto i 66 anni di età. Appena il decreto legge varato dall’esecutivo è approdato alle Camera, è scattata la resistenza della Casta. Come racconta Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, è bastato inserire alla fine della lettera “m” dell’articolo 2, quello che stabilisce i limiti minimi dei 66 anni di età e dei 10 anni di mandato, la frase “Le disposizioni di cui alla presente lettera non si applicano alle Regioni che abbiano abolito i vitalizi”, per snaturare il senso del decreto dal momento che tutte le Regioni hanno già abolito i vitalizi. La furbizia di questa frasetta sta nel fatto che consentirà alle Regioni, che intendono sostituire i vitalizi con le pensioni contributive, di aggirare le regole più rigide del decreto consentendo, come spiega Rizzo sul Corsera, “la corresponsione dell’assegno contributivo magari già a sessant’anni, o forse ancora prima, e con soli cinque anni di mandato anziché dieci”. Non solo. Anche i consiglieri, il cui mandato è in scadenza proprio in queste settimane, potranno andare in pensione prima dei 66 anni di età e con neanche dieci di mandato dal momento che la frasetta inserita alla fine della lettera “m” dell’articolo 2 vanifica la norma che estende sulla carta il tetto anche agli attuali consiglieri che avrebbero già maturato il diritto al vecchio vitalizio e stanno per lasciare l’incarico. Un esempio su tutti? La Regione Lazio i cui consiglieri, grazie al vecchio sistema abolito ancora in vigore per gli attuali eletti, potranno andare in pensione a cinquant’anni. Il Giornale, 16 novembre 2012

…………………Che dire?! Siamo alla frutta, anzi, peggio, allo scuotrere della tovaglia. Gli stessi che in Senato naqscondendosi dietro il voto segreto hanno stabilito che i giornalisti devono andarfe in galera, riuscendo sinanche a provocare l’intervento sbalordito dell’Unione Europea, sono quelli che alla Camera hanno mandato gambe all’aria la fine di un privilegio assurdo, quelo di cui gode ano i consiglieri regionali che avevano diritto a percepire a fine mandato una pensione. Lo hanno ripristinato con un giochetto simile a quello delle tre carte, tipico dei magliari da periferia. g.

E’ UFFICIALE E OPERATIVO: IL FISCO CI SPIERA’ IL CONTO IN BANCA. NEPPURE NEI PAESI TOTALITARI E’ VIOLATO IL SEGRETO BANCARIO, AVVIENE NELL’ITALIA DI MONTI

Pubblicato il 15 novembre, 2012 in Costume, Economia | No Comments »

Il fisco ci spierà il conto E' ufficiale: ok del garante

Ci spieranno nei conti correnti. E’ arrivato anche l’ultimo via libera, quello dell’Autorità Garante per la privacy, che ha espresso l’atteso parere favorevole sullo schema del provvedimento di Attilio Befera, il Direttore dell’Agenzia delle entrate, che stabilisce le modalità con le quali gli operatori finanziari dovranno trasmettere all’Agenzia, a fini di controllo fiscale, le informazioni contabili relative ai conti correnti (ossia saldo iniziale e finale, importi totali degli accrediti e degli addebiti) e ai rapporti finanziari per la cossiddetta “comunicazione integrativa annuale”. Niente più segreti, insomma. In nome della guerra all’evasione fiscale i nostri conti in banca verranno monitorati 24 ore su 24 da “Serpico”, il cervellone elettronico incaricato di spiarci. E questi dati resteranno per sei anni in dotazione dell’Agenzia delle Entrate.

I dati – Lo schema – ricorda il Garante in una nota – tiene conto delle osservazioni e delle richieste avanzate dall’Autorità, in un precedente parere del 17 aprile 2012, finalizzate all’adozione da parte dell’Agenzia di più elevate misure di sicurezza a protezione dei dati dei contribuenti, considerata l’enorme concentrazione di informazioni presso l’Anagrafe tributaria e il potenziale di rischio difficilmente riscontrabile in un ordinario esercizio dell’attività finanziaria o bancaria. Così è stato elaborato un nuovo schema, che prevede che i dati vengano trasmessi attraverso una nuova infrastruttura, il “Sistema di interscambio” (Sid), e non più con il servizio Entratel inizialmente individuato. Il nuovo sistema consente di realizzare procedure di trasmissione totalmente automatizzate: i nostri dati verranno trasmessi “in automatico”. Banche e operatori finanziari dovranno utilizzare due sistemi alternativi di intercambio informatizzato con il Sid: o mediante un server FTP, cioè un “nodo” di colloquio con l’Agenzia, o mediante il servizio di Posta elettronica certificata (Pec), utilizzabile in caso di file di piccole e medie dimensioni.

Dati conservati per 6 anni – La predisposizione dei file da trasmettere all’Agenzia dovrà essere effettuata – sottolinea il Garante della Privacy – esclusivamente dall’operatore finanziario che non potrà avvalersi di intermediari fiscali e dovrà utilizzare meccanismi automatizzati di estrazione, composizione, compressione e cifratura. Il file cifrato dovrà essere conservato nei nodi Ftp per il tempo strettamente necessario allo scambio dei dati. Come richiesto dal Garante, il provvedimento definisce anche il periodo di conservazione dei dati: non potrà superare i 6 anni, allo scadere dei quali le informazioni saranno automaticamente cancellate. Per più di un lustro, insomma, Serpico saprà tutto di noi.

Le misure di sicurezza – Nell’esprimere parere favorevole, il Garante ha chiesto all’Agenzia di adottare alcune misure di sicurezza, prevedendo innanzitutto che il protocollo Ftp utilizzato per l’intercambio dei dati sia cifrato. L’Autorità ha, inoltre, individuato le misure e gli accorgimenti che l’Agenzia e gli operatori finanziari, chiamati a svolgere un ruolo rilevante nella messa in sicurezza del nuovo canale di trasmissione, dovranno adottare al fine di minimizzare i rischi di accessi abusivi e trattamenti non consentiti. Nel prescrivere queste misure, il Garante ha tenuto conto delle esigenze dei piccoli operatori che non riescono ad automatizzare completamente la procedura di estrazione e invio.

Le verifiche – L’Autorità, visto l’attuale stato di avanzamento della realizzazione del Sid, si è comunque riservata di verificare nel dettaglio il completamento delle funzionalità della nuova infrastruttura informatica, anche prima della messa in esercizio. Per quanto riguarda infine il provvedimento del Direttore dell’Agenzia con il quale saranno individuati i criteri per la formazione delle liste selettive dei contribuenti a maggior rischio di evasione, l’Agenzia ha dichiarato che sarà sottoposto preventivamente al Garante. La procedura di verifica preliminare dovrà comunque essere prevista per ogni ulteriore utilizzo dei dati collegato ad altre finalità (es. controlli Isee).

MONTI RIMPIANGE AMATO E PRODI: ANDIAMO BENE, ANZI DI MALE IN PEGGIO

Pubblicato il 2 novembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Ma quanto piacciono le tasse alla sinistra? Tantissimo. E ai tecnici? Ancora di più. Così tanto da non bastare mai. Così tanto da spingere il premier Mario Monti a rimpiangere i governi guidati da Giuliano Amato prima, e Romano Prodi poi.

Gli ex presidenti del Coniglio Giuliano Amato e Romano Prodi

“La pozione è amara, ma è per il bene del Paese”, ha spiegato il presidente del Consiglio in una intervista al quotidiano francese Les Echos (leggi l’articolo).

La pressione fiscale, nel frattempo, ha raggiunto livelli astronomici, vertiginosi, inimmaginabili. La sinistra ci ha messo del suo, e anche pesantemente. E il premier la guarda con una certa ammirazione. “La medicina è certamente amara ma deve essere somministrata per il bene del Paese e delle generazioni future”, ha spiegato Monti al quotidiano economico francese ribadendo la necessità di continuare a lavorare sulle riforme strutturali. Misure ritenute “dolorose” dagli italiani, che tuttavia accordano al governo “una popolarità favorevole”, ha affermatoil Professore  sottolineando come “i popoli siano in realtà più maturi di quanto pensino i politici”. “In ogni caso – ha, quindi, aggiunto – gli italiani, considerati ingovernabili, esprimono una richiesta di buon governo, come hanno già fatto sotto i governi Amato e Prodi”. A Monti, però, bisognerebbe ricordare che proprio quei due governi hanno messo in ginocchio gli italiani andando a prelevare fior fior di quattrini direttamente dai portafogli dei contribuenti. Tanto per rinfrescare la memoria a Monti, nel primo mandato a Palazzo Chigi Giuliano Amato approvò una manovra da 30mila miliardi di lire. Era l’11 luglio 1992 e il governo approvava il prelievo, forzoso e retroattivo al 6 luglio, del 6 per mille dai conti correnti. Tutto qui? Manco per sogno. Nell’autunno dello stesso anno Amato varò un’altra manovra “lacrime e sangue” da 93mila miliardi di lire che andò a incrementare nuovamente le imposte.

Non andò certo meglio coi Prodi. Fu grazie a lui, infatti, che, per entrare nella moneta unica, gli italiani “accettarono” il cambio euro-lira a 1927,35 pagando circa 300 lire in più per ogni euro. D’altra parte, al governo Prodi, all’Economia c’era il professor Tommaso Padoa-Schioppa il cui motto era “Pagare le tasse è bello”. Il suo viceministro Vincenzo Visco fu l’inventore dell’Irap. Unica nel suo genere perché non si applica agli utili ma al fatturato lordo, il che vuol dire che un’azienda può anche essere in perdita e l’imprenditore sul lastrico, ma il Fisco gli chiederà comunque l’Irap. È stato conteggiato anche il numero complessivo di imposte o aumenti di imposte introdotte dal centrosinistra di governo: sessantasette. Un esempio? Fu reintrodotta la tassa di successione, con un semplice cambio di nome, “dichiarazione sul trasferimento a causa di morte”. Un altro? La tassa “di scopo”, un balzello introdotto nel 2006 che ha dato ai sindaci la possibilità di applicare sulle seconde case un’aliquota fiscale per cinque anni. Poi c’è stata, sempre nel frangente Prodi, l’aumento dell’addizionale sui diritti di imbarco in aeroporto, l’innalzamento a 75 della tariffa per il rilascio del passaporto, l’aumento al 20% dell’aliquota sul rendimento dei titoli, l’aumento del bollo per l’auto e per la moto, e soprattutto il prelievo statale del Tfr.

È proprio a questi governi che Monti guarda con estrema nostalgia. D’altra parte, un minuto dopo aver varcato il soglio di Palazzo Chigi, il Professore si è subito inventato una nuova tassa sulla tassa (Imu), dopo che Silvio Berlusconi era riuscito a cancellare la tanto odiata Ici. Il Giornale, 2 novembre 2012

……Questo Monti sta dimostrando  un  antico detto secondo il quale che per fare il capo bisogna prima fare il servo…e magari continuare a farlo. Infatti prima ha servito Berlusconi e poi Prodi per essere nominato Commissario europeo da Berlusconi  e riconfermato da Prodi. Ora dà una lisciata a Berlusconi e un’altra a Prodi per continuare a sedere a Palazzo Chigi nonostante i mugugni di 59 milioni di italiani e giusto per non farsi mancare nulla liscia sinanche Amato, il dottor sottile che sottilmente tradì Craxi per rimanere a galla lasciando affogare il suo mentore, mandato a morire in esilio in Tunisia.

NON SARA’ UN VERDETTO GROTTESCO A CANCELLARE BERLUSCONI DALLA STORIA, di Giuliano Ferrara

Pubblicato il 28 ottobre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Non dico si debbano tributare onori divini, l’apoteosi del diritto romano, a Berlusco­ni: sarebbe il primo a riderne. Oltretutto giusto ieri ha dato la sua interpretazione del ritiro: mi ritiro, cioè no. Grandioso e surreale.

Ma comun­que vadano le cose, la damnatio memoriae ,con abolizione del nome per generazioni e sfregio del silenzio coatto imposto anche solo al suo ricordo, questo è un po’ troppo per un leader democratico che ha tra­sformato un grande Paese in di­ciotto anni di vita pubblica sulla scena europea e mondiale. La grottesca condanna per i diritti te­levisivi subito seguita alla sobria e molto onorevole uscita di sce­na del Cav, figura che milioni di italiani sono pronti a rimpiange­re, punta proprio a questo, fa da battistrada a questo progetto: è un atto simbolico, come tutti san­no, corredato di immediate moti­vazioni pronte all’uso, ma desti­nato alla cancellazione da parte della Corte costituzionale o alla prescrizione ultrasicura. Insom­ma è solo un modo della giusti­zia di rito ambrosiano di riconfer­mare che ci sono anche loro nel giorno fatale, e il loro contributo è di trasformare in un abominevo­le reo l’Arcinemi­co, il mitico froda­tore fiscale che nella realtà paga più tasse di un Creso.

Berlusconi ha preso la guida del­l’Italia tre volte grazie a libere ele­zioni, l’ha persa per due volte gra­zie a un ribaltone e a una manovra di palazzo aiutate e in certo senso anche obbligate dal circo mediati­co- giudiziario, l’ultima delle qua­li lo ha avuto sog­getto responsabi­le e consenziente un anno fa. (Le sue colpe politi­che nel procurarsi la difficile con­giuntura in cui è caduto non tol­gono il fatto di principio: gli italia­ni lo hanno eletto e il mandato gli è stato sempre revocato dagli ot­timati del partito senatorio e fi­nanziario, non dagli elettori.) Portiamoci avanti con il lavo­ro, nel tentativo di impedire l’al­lestimento in corso dell’avvilen­te messinscena: la «caduta di un grande criminale». Questo co­pione plateale è presupposto tri­ste e necessario dell’eliminazio­ne censoria della vera storia del berlusconismo dai radar dell’in­telligenza italiana; dovere politi­co e civile anticipare un lavoro che ha anche un valore decisivo per chi riuscirà, se ci riesce, a co­st­ruire qualcosa che rivesta un si­gnificato profondo al posto della leadership di Berlusconi, oggi nel ruolo di memoria e ispirazio­ne ( spero e credo rivestiti con l’al­legria non intrusiva già promes­sa).La parte spiccatamente giudi­ziaria è chiara. Il processo Ruby naufraga nel grottesco dell’in­quisizione talebana e guardona. Le risposte della signora Karima El Marough alla trasmissione di Michele Santoro fanno testo per­ché sono limpide e spontanee nel tratto. Berlusconi è persona corretta, ridanciana, amante del trastullo burlesco, ospitale, pri­vata nel suo modo di divertirsi, ma corretta, niente di predato­rio e di umiliante per le donne e per il loro retoricamente sban­dierato «corpo», perfettamente e gioiosamente violabile se in re­gime di adulti consenzienti e in­vece inviolabile alle propalazio­ni bacchettone di una magistra­tura in fregola di politica & etica al servizio di oscuri pregiudizi, con qualche abbondante e inde­cente aiutino mediatico. La con­cussione fa ridere tutto il mondo del diritto, perfino i persecutori. Una condanna in simile proces­so sarebbe il timbro finale di una persecuzione che solo la cecità faziosa dell’inimicizia politica consente di non vedere e giudica­re in tutto il suo orrore civile. Sim­bolo e gogna da aggiungere al simbolismo inutile, per suffra­garlo e rafforzarlo, della senten­za del giudice D’Avossa. Insom­ma, giustizia sommaria.Poi c’è la parte politica, civile. Berlusconi è stato potentissimo, ora merita la polvere. Buffonata. Tutti conoscono i limiti bestiali in cui opera un presidente del Consiglio italiano (basta guarda­re al trattamento elettoralistico che stanno facendo a Mario Mon­ti, già mezzo paralizzato e sfregia­to da campagne incivili, o alle cat­tive figure rimediate da Romano Prodi o da Massimo D’Alema). La forza elettorale è stata ben controbilanciata dalle fughe par­lam­entari ricorrenti e dal ribalto­nismo, malattie senili delle Re­pubbliche malate. Berlusconi ha fallito, dicono. Ma che vuol di­re? Ci ha dato un paesaggio di pa­role e cose di legno totalmente trasformato in emozioni e spon­taneità vivente, ha incarnato il maggioritario, ha dato potere al popolo che sceglie chi governa, ha tenuto a freno per anni la rapa­cità dello Stato, non ha smantel­lato il welfare ma ha fatto le gran­di riforme delle pensioni e del la­voro prima della Fornero, e in­somma, se di fallimento dell’eco­nomia e della finanza vogliamo parlare, parliamone: ma vedrete che è pieno di cause, di fattori di spinta, di remore e pigrizie, e di imputati potenziali che vengo­no nella lista quasi tutti prima di Berlusconi. Poi dire che il suo progetto ha declinato, questo è vero e Berlusconi è il primo a sa­perlo.Il tempo si prende cura di ridi­mensionare sogni e progetti, ma questo non autorizza i nani a de­cretare la damnatio memoriae , sotto la coltre censoria di un seg­mento di storia che si spera di consegnare prigioniero ai pre­sunti vincitori, ovvero la cancel­lazione legale della robustezza e anche della grandezza di un’esperienza politica unica al mondo.E ricordiamoci che abbiamo scelto Israele e gli Stati Uniti nel fuoco della battaglia, che Berlu­sconi è stato dalla parte giusta nei momenti cruciali delle gran­di sfide occidentali, e che ancora oggi l’Italia non è una sentina del­la secolarizzazione giacobina, una ridicola Repubblica ideolo­gicamente corretta, anche per merito suo. Chapeau e buon lavo­ro. Giuliano Ferrara, IL FOGLIO, 28 ottobre 2012

……………La storia fa sempre giustizia e alla fine distingue fra giganti e mezzecalzette. Berlusconi ha commesso molti errori e in questo ultimo anno più che negli anni precedenti. Ma l’impennata di ieri, lo scatto di orgoglio, la provocatoria dichiarazione di guerra  fuori e dentro il PDL, lo restituiscono nella sua dimensione di autorevole leader dei moderati di questo Paese, che salvò nel 1994 dalla scoppiettante macchina da guerra di Occhetto e  che si propone di fare altrettanto ora, alla vigila di uno scontro elettorale nel quale la sinistra si appresta a vincere grazie al tradimento e alla diserzione dalla trincea dei moderati di squallidi traditori. Fa pena Casini, eterno “giovane” della politica italiana, lui che ne sa una più del diavolo, che dimentico di essersi salvato dall’oblio e dalla gogna nel 1994 grazie allaq discesa in campo di Berlusconi, ora un pò lo insulta e un pò lo deride, accusandolo di spaccare il frotne dei moderati. Quali? Quelli alla Casini che in Sicilia è alleato con il PD, che nelle scorse amministrative si è alleato con il PD in tante parti d’Italia benchè in tante altre era ed è alleato con il PDL e anche con la Lega, che persegue un solo oobiettivo: il potere e i posti a sedere, con chi c’è c’è, secondo la logica che un tempo fu del socialismo del due forni e che nell’ultimo decennio è stato il filo conduttore di una politica che non ha mai pensato al Paese ma solo a se stessa? E’ squallido che proprio coloro che hanno disertato la battaglia dei moderati, del centrodestra, l’anima stessa del popolo italiano che dal 1948 in poi mai ha attribuito la maggioranza alla sinsitra  che ha potuto vincere solo grazie ai sotterfugi dei politicastri alla Casini (è inutile parlare di Fini essendo questo solo una ruota di scorta…) che come si dice dalle nostre aprti “piangono e fottono” e poi se  la ridono. Il ritorno in campo di Berlusconi è un fatto che fa saltare il banco delle convenienze politiche e il tavolo delle concertazioni degli affaristi. E allora bentornato Presidente, se ci sei, ci saremo anche noi. g.

LA PARTITA DELLE TOGHE NON FINISCE MAI, di Mario Sechi

Pubblicato il 27 ottobre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Proviamo a fare il punto della settimana: Berlusconi ha fatto il passo indietro e non si candida più a Palazzo Chigi, il tribunale di Milano ha fatto un altro passo avanti e lo condanna per Mediaset; il terremoto all’Aquila poteva essere previsto e le toghe condannano gli scienziati, il sisma del Pollino era previsto ma diventa imprevisto e nessun giudice però ha parlato, l’Ilva di Taranto è pronta a partire, ma i giudici continuano a frenare; si incoraggiano la paternità e la maternità sine die, ma con le sentenze poi si levano i figli ai genitori troppo anziani. Sono solo alcuni campi dello scibile di cui ultimamente si è occupata la nostra brillante magistratura. La situazione è sotto gli occhi di tutti: la classe politica sta cedendo il passo all’innovazione, resiste, ma la voce del barbiere è rivelatoria: «Dotto’, se ne stanno a annà. Tutti». Lo stesso non può dirsi di una casta che ci sta sopra le teste e non ha intenzione di schiodarsi: la magistratura. Ha svolto ruolo di supplenza in alcuni momenti, non necessario, poi ha scambiato la supplenza per un posto fisso. Così la magistratura è diventata il centro di gravità permanente di un Paese che di gravità ne ha poca. I magistrati, inquirenti, giudicanti, civili, penali, tutti, sono diventati nell’ordine: potere legislativo, esecutivo, costituzionale, incostituzionale, manageriale, sindacale, spettacolare, deprimente, utile, inutile, salutare, nocivo. Non esiste Paese nel quale la magistratura abbia questa dimensione abnorme. O meglio, Stati dove i magistrati sono onnipotenti esistono: sono le dittature. La giustizia amministrata dalla magistratura coincide perfettamente con i pensieri del satrapo di turno. Non c’è alcuna differenza tra la democrazia italiana e la dittatura di Bananas perché il tiranno cade, il politico viene mandato a casa, ma la magistratura in entrambi i regimi resta. I Torquemada sono utili a qualsiasi sistema politico. Il problema è che nel Belpaese è stato fatto un ulteriore salto di qualità: i procuratori da soprassalto sono legibus solutus, al di sopra della legge al di sotto di qualsiasi possibilità di applicazione delle regole democratiche al loro gioco. Il Csm, il cosiddetto organo di autogoverno delle toghe, non governa niente, ma fa da terza camera del Parlamento. Mentre tutti gli altri dipendenti pubblici hanno subìto decurtazioni di ogni sorta dello stipendio e i pensionati il cambio in corsa delle regole per il meritato riposo, magistrati che giudicano sui magistrati hanno stabilito che gli stipendi delle toghe non si toccano. Siccome devono essere «sereni nel giudicare» la Consulta altrettanto serenamente ha deciso che il loro portafogli deve essere intoccabile. Se la terza Repubblica nasce sotto l’insegna di questa casta, verrà strozzata nella culla. Serenamente. Mario Sechi, Il Tempo, 27 ottobre 2012

..…………………Bravo Sechi, ha centrato il problema. Lo stesso che questa mattina ha evidenziato il presidente Berlusconi che al TG di Canale 5 ha annunciato che “resterà in campo” dopo la sentenza di ieri perchè così non si può andare avanti ed occorre la riforma del pianeta giustizia perchè non capiti ai cittadini italiani quel che capita a lui. Il fatto è che quello che è capitato a lui è già capitato a centinaia, megliaia di persone, solo che non ne ha parlato nessuno perchè quelle persone sono “nessuno”  e di loro nessuno si occupa, nè giornali, nè opinionisti, nè politici che in vita loro non hanno mai lavorato. Come la Bindi che non ha pewrso l’occasione per insukltare Berlusconi, o Di Pietro che dimentico delle sue “colpe” ha sproloquiato sulla “verità venuta a galla” o Fini, esperto nel ratto delle Sabine (in gioventù approfittò del carcere dove era rinchiuso il segretario del fronte della gioventù di Roma per prendersi la di lui moglie, e in vecchiaiai non sa saputo far di meglio che congiungersi carbnalmente all’amante del rotondo e anzianotto Gauccci…) il quale ha da par suo, sulle parole di Berlusconi, scimmiottato su una possibile retromarcia di Berlusconi sulle decisioni politiche dell’altro ieri. Fini, che in vita sua non ha lavorato un sol giorno che sia uno, è l’ultimo a poter deridere Berusconi senza del quale egli sarebbe rimasto ancora a definire Mussolini lo statista del secolo e relegato in un angolino del retrobottega della politica senza futuro. Però..però va ribadito che Berlusconi non aveva bisogno di questa dura prova personale per capire che così non si va avanti nè da nessuna parte e che la partita con le toghe, una casta tanto forte quanto spesso cattiva, andava combattatua da tempo, a viso aperto, modificando le regole in Parlamento, eliminando il CSM perchè in nessuna parte del mondo i giudici hanno per giudici i loro colleghi. Certo non è mai troppo tardi ma non deve egli e non devono gli altri fermarsi alle parole senza far seguire i fatti. Ne va di mezzo, lo dice bene Sechi, la sopravvivenza stessa della democrazia nel nostro Paese. g.