Archivio per la categoria ‘Costume’

L’ALBA DEI GRILLI VIVENTI, di Marcello Veneziani

Pubblicato il 25 ottobre, 2012 in Costume, Gossip | No Comments »

Il ministro Grilli ha l’aria mesta e gentile dell’impresario di pompe funebri.

A lui sono affidati i compiti più delicati, come dare la ferale notizia ai parenti o chiedere che tipo di cassa preferiscono, di mogano o noce.

Il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli

Ai più grevi e robusti tocca il compito di infilare la bara nell’auto. A lui che ha il tono di voce appropriato, tocca esprimere le parole di circostanza.

Quando lo intervistano in tv sembra appena uscito dall’obitorio dove ha riconosciuto la salma ed eseguito le ultime procedure burocratiche, sollevando la vedova dalle vili incombenze, in modo da consentirle di dedicarsi toto corde al pianto. Poi ti presenta il conto salato, ma si muore una sola volta, anche se la vista del conto rischia di provocare un rapido bis.

Il suo è il grillismo che più spaventa gli italiani (scherzi a parte, è un gentiluomo di valore). Anche quando esprime un auspicio, Grilli suggerisce cordoglio, trova il modo più soft per dirlo ai congiunti. Non speranze ma consolazioni. Guardate oltre i Monti il dolore Passera, sussurra Grilli senza porre l’accento finale, per tenere bassa la suoneria della voce.

Da lui si apprende se il povero estinto è morto per un attacco di Iva, per un’emorragia d’Irpef, per una cartella incurabile o perché è finito sotto un tir d’Equitalia. Lui bisbiglia con discreta rassegnazione che tutti prima o poi dobbiamo passare alla cassa.

In altri tempi Grilli avrebbe portato la tuba sulla testa, ha il physique du rôle ed è dotato di un’eleganza, come dire?, estrema.

Auguri per il 2 novembre, il giorno dei Monti. Marcello Veneziani, 25 ottobre 2012

INFAMIE E FALSITA’ di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 24 ottobre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

C’è qualcosa che fa peggio dell’ipotesi di finire in carcere. È prendere atto di quanto violenta, falsa e arrogante possa essere la giustizia se affidata a mani indegne.

Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti

È successo ieri, leggendo le motivazioni della sentenza, firmata da tale Aldo Grassi e tale Antonio Bevere (consigliere estensore), con cui la Cassazione mi condanna a 14 mesi di reclusione per un articolo neppure scritto da me.

Si legge che io avrei una «spiccata capacità a delinquere», mi paragona a un delinquente abituale. È una vera infamia, che non permetto neppure a un presidente di Cassazione, basata su odio ideologico e su una serie di menzogne.Mi prendo tutta la responsabilità di quello che dico e sollevo il mio editore dal risponderne in tribunale. Ve lo dico io, in faccia, signori Grassi e Bevere: avete abusato del vostro potere, la vostra sentenza è un’infamia per me e per i miei parenti. Non si gioca con la vita delle persone come se fossero cose nella vostra disponibilità senza pagare dazio. Le motivazioni della vostra sentenza sono delinquenziali, non il mio lavoro. Sono parole basate su falsi, montate per costruire teoremi che esistono solo nella vostra testa. E ve lo spiego. È falso che io abbia scritto alcunché. È falso che io abbia deliberatamente pubblicato notizie sapendole false. È falso che io mi sia rifiutato di pubblicare una smentita, nessuno me l’ha mai chiesta né inviata. È falso che sul mio giornale dell’epoca, Libero, sia stata pubblicata una campagna contro un giudice (un articolo di cronaca ripreso da La Stampa e un commento non possono in alcun modo costituire una campagna). È falso che non fosse possibile identificare chi si celava dietro lo pseudonimo Dreyfus: bastava chiederlo, non a me che come direttore sono tenuto al segreto deontologico, ma a chiunque e avreste accertato che si trattava di Renato Farina (lui stesso lo ha scritto in un suo libro). È falso che io abbia un numero di condanne per omesso controllo (7 pecuniarie in 35 anni di mestiere) superiore alla media dei giornalisti e direttori di quotidiani italiani.Delinquente, quindi, lo dite a qualcun altro. Non vi stimo, non vi rispetto, non per la condanna, ma per quelle vostre parole indegne. Vergognatevi di quello che avete fatto. E forse non sono l’unico a pensarla così. Ci sarà un motivo se il Parlamento sta lavorando per cancellare la vostra infamia e se un vostro collega, il procuratore di Milano Bruti Liberati, si rifiuta di applicare la vostra sentenza del cavolo nonostante io mi sia consegnato alle patrie galere, in sfregio a voi, rinunciando a qualsiasi pena alternativa. E adesso fate pure quello che credete, rispetto a me e alla mia storia siete un nulla. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 24 ottobre 2012

……………..Sallusti ha tutta la nostra solidarietà. La solidarietà di uomini liberi che non hanno mai esitato a dirla e a dirle quando ce n’era bisogno. E in questo caso Sallusti ha tutto il diritto di esprimere la sua opinione. Ieri la Cassazion ha pubblicato la sentenza che lo condanna, infamia fra le infamie in uno stato che si dice democratico e liberale, a 14 mesi di carcere non per aver scritto ma per “aver omesso” il controllo su un articolo non suo, come è a tutti noto perchè, oltre tutto, l’autore dello scritto lo ha pubblicamete ammesso nell’Aula più alta della democrazia in tutti i paesi del mondo, anche quelli sostanzialmente autoritari, cioè l’Aula del Parlamento. Ma era l’unico modo per mandare in galera un giornalista scomodo, aggressivo (ci ha detto stamani uno sciocco petulante, come se essere aggressivo è un reato), controcorrente. Ma che ha sempre onorato la professione giornalistica dedicandovisi con anima e passione. Ma per farlo andare in galera, ad uno che è ncensurato, e come tale meritevole delle attenutanti generiche che comportano il “beneficio” della libertà,  i giudici della Cassazione hanno affibbiato una presunta pericolosità sociale e di ciò hanno fatto il canovaccio della sentenza depositata ieri e nella quuale si leggono giudizi che sono incredibili se riferiti ad un uomo incensurato definito “tendenzialmente portato a delinquere”. Ma davvero un incensurato sul quale come ricorda Sallusti pendono 7  pene pecuniarie può essere definito tale? E’ come se a un automobilista che accumula sette contravvenzioni al codice della strada, magari per divieto di sosta, gli si attribuisce una tendenziale volontà a trasformarsi in uno dei tanti assassini di persone innocenti. Contro questa sentenza reagisce, d’impeto, e come sempre con coraggio giacchè Sallusti non conosce codardia che si annidano invece altrove, il direttore del Giornale, griando tutta la sua rabbia e la sua denuncia nei confronti di questa sentenza con un editoriale annnciato già ieri e che oggi è pubblicato dal suo giornale, ma che non ha l’oonere della centralità, essendo  stata questa riservata  all’ennesima truffa e all’ennesimo scandalo che ormai sono divenuti la piaga del nostro Paese. Ma non è a questo ennesimo scandalo  che dedica la sua attenzione il primo presidente della Cassazione che si chiama Lupo (di nome e di fatto?) il quale invece preferisce criticare aspramente Sallusti che, lui dice, non fa onore al giornalismo per il forte editoriale di oggi.  Perchè forse fa onore alla magistratura la sentenza dell’Aquila che condanna gli scienziati per non essere  stati maghi e che sta facendo ridere tutto il mondo che a sua volta deride  la Magistratura italiana che pretende che nella Commisisone Grandi rischi non siedano scienziati ma ciarlatani? g.

REGIONE LAZIO: UN PORTAFOGLIO APERTO A TUTTI, di Mario Sechi

Pubblicato il 20 ottobre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

La politica è uno straordinario banco di prova per il giornalismo. Abbiamo raccontato la vicenda dei soldi dati ai partiti della Regione Lazio con una verità che pareva a prova di bomba: è stato l’ufficio di presidenza del Consiglio regionale a mettere nero su bianco l’aumento di quattordici volte dei contributi previsti fino a due anni fa per i gruppi politici. Vero, ma come spesso capita era solo un pezzo della storia. Una figura di questa vicenda veniva continuamente evocata, ma non aveva mai parlato: il presidente dell’assemblea, Mario Abbruzzese. Un tipo tosto, un acchiappavoti, uno che a Cassino e Frosinone raccoglie consensi, uno che fa «politica sul territorio». Abbruzzese rompe il silenzio. E lo fa con un’intervista che apre uno scenario diverso da quello finora descritto. L’aumento dell’obolo dorato non fu una decisione dei partiti presa all’insaputa della Giunta guidata da Renata Polverini, ma fu il frutto di un accordo politico in cui tutti – e sottolineo tutti – i partiti ebbero un ruolo. Nessuno escluso. Il luogo della decisione è la Commissione Bilancio, il braccio che apre la cassaforte è quello dell’assessore al Bilancio e lo strumento della ratifica è il Consiglio. Il cerchio si chiude, ci sono tutti. Enessuno può scagliare a questo punto la prima pietra. Né l’ex presidente Renata Polverini né l’opposizione nelle sue varie espressioni né quei partiti che non erano nell’ufficio di presidenza ma erano invece presenti dentro la commissione Bilancio guidata da Fiorito. In questa storia – come in tante altre – vale una vecchia regola del giornalismo: «Follow the money», segui i soldi. E quello che non mi tornava era appunto il portafoglio. Perché nella Regione Lazio il bilancio è unico. Non c’è un rendiconto del consiglio e uno separato della giunta. L’organo di governo decide, ma gli atti sono condivisi a livello partitico nelle commissioni e nell’assemblea. Dal racconto di Abbruzzese emerge un sistema che si finanziava in toto, senza esclusioni di sorta. E dal presidente del consiglio regionale mai un membro dell’assemblea si è presentato per chiedere lo stop della finanza allegra ai gruppi. Semmai il contrario: tutti chiedevano più soldi. Buona lettura. È solo l’antipasto, domani mettiamo in tavola il resto del menù. Mario Sechi, Il Tempo, 20 ottobre 2012

.……………Le vicende della Regione Lazio trovano nuive verità: tutti i gruppi consiliari erano d’accordo sulle assegnazioni milionarie che però passavanio attraverso provvedimenti varati dalla Giunta Regionale. Il tutto raccontato dal presidente del Consiglio Regionale del Lazio, Mario Abruzzese nell’intervista rilasciata al Tempo che e che di seguito a questo commento potrete leggere. Emerge una verità diversa da quella raccontata sinora e sopratutto emerge una responsabilità della presidente Polverini che “non poteva non sapere”. Sechi nel suo editoriale dà appuntamento per domani per leggere l’inter0 menù rispetto all’antipasto rappresentato appunto dall’intervista di Abbruzzese. In attesa di leggere il resto ecco l’intervista ad  Abbruzzese.

Regione Lazio, parla Abbruzzese: “I soldi ai partiti? Ecco la verità“


«Non è che l’ufficio di presidenza s’è svegliato una mattina e ha deciso di regalare 8 milioni di euro ai gruppi politici. Ha solo ratificato un accordo siglato da tutti i partiti in commissione Bilancio». Mario Abbruzzese è un fiume in piena. Ha deciso di reagire, dopo aver incassato insulti e veleni. Il presidente del Consiglio regionale del Lazio sarà sentito dai magistrati la prossima settimana. È sereno. Difende i consiglieri regionali e non critica mai la governatrice Renata Polverini ma ci tiene a raccontare la «sua» verità.

Presidente Abbruzzese, perché l’ufficio di presidenza ha aumentato i soldi ai gruppi politici portandoli a 14 milioni di euro?

«Tutto nasce nel 2010. Il regolamento regionale prevedeva al massimo 12 collaboratori per ogni gruppo politico, cioè uno per ogni consigliere. Il problema è che Pd, Pdl e Lista Polverini avevano più eletti. Dunque questi gruppi chiedevano di cambiare le norme e di aumentare il personale, legittimamente. Non ho permesso di modificare il regolamento, così le forze politiche hanno trovato una strada alternativa: cambiare l’articolo 3 bis della legge 6 del 1973 che regolamenta il funzionamento dei gruppi. La nuova norma, che ha consentito di aumentare i collaboratori e dunque i soldi, è stata inserita nel maxiemendamento portato in Aula dalla Giunta e approvato con l’assestamento di bilancio nell’estate 2010».

Ma i soldi in più dove li avete presi?

«Erano fondi del Consiglio regionale, non soldi in più, né tantomeno sottratti a sanità e sociale, come qualcuno ha sostenuto. Sulle spese di funzionamento c’è soltanto un capitolo di bilancio, l’accordo in commissione tra Giunta e capigruppo prevedeva semplicemente di spostare alcune somme da un indirizzo a un altro».

Poi ci sono state le delibere dell’ufficio di presidenza.

«Non abbiamo fatto altro che ratificare un’intesa politica che conoscevano e condividevano tutti e 70 i consiglieri».

E poi la ratifica a chi l’avete mandata?

«Agli uffici dell’assessorato al Bilancio».

Quindi la Polverini non poteva non sapere.

«Questo lo dite voi».

D’accordo presidente, ma in queste settimane tanti hanno detto che il Consiglio regionale è pienamente autonomo rispetto alla Giunta, come il Parlamento rispetto al governo…

«Il Consiglio regionale ha l’autonomia finanziaria ma il bilancio della Regione è unico, tant’è vero che i fondi per la Pisana arrivano dalla Giunta. A differenza di quello che avviene alla Camera, al Senato e a Palazzo Chigi, dove ognuno approva il suo documento economico».

Ma non erano troppi i soldi assegnati ai gruppi? Sono passati dai 5,4 milioni previsti dalla legge a 14.

«La quota fissa resta di 5,4 milioni. È stata aumentata la quota variabile di 8,5 milioni. Con il senno di poi dico che è stata un’operazione sbagliata, soprattutto perché alcune persone hanno usato quei fondi non per attività politica. Ma voglio ribadire che la maggioranza dei consiglieri li ha spesi in modo corretto, promuovendo la nostra attività legislativa, che è stata intesa. In questi anni abbiamo approvato molte leggi come il Piano Casa e il Piano del turismo, il Piano Rifiuti, lo Small Business Act. Abbiamo sostenuto le piccole e medie imprese, i distretti industriali».

Si sente un capro espiatorio?

«No e difendo l’ufficio di presidenza che non può avere la responsabilità politica. Piuttosto spetta a tutti i consiglieri regionali. Ovviamente mi prendo la mia parte».

C’è stato qualcuno che ha mai protestato per la decisione di aumentare i fondi ai gruppi politici?

«No, qualcuno è venuto a protestare con me perché il suo capogruppo non gli dava i soldi».

Quanto le pesa il fatto che adesso i cittadini pensino che, più o meno, siete tutti ladri?

«Molto. Anche perché questo scandalo è scoppiato in un momento economico difficile. Tuttavia non si possono trattare tutti allo stesso modo. In Consiglio ci sono persone perbene».

Come ha spiegato alla sua famiglia quello che sta accadendo?

«Stiamo vivendo insieme questo momento drammatico. Ho spiegato che io non ho rubato niente e che non ho mai utilizzato quei fondi, anche se una parte di responsabilità politica me la prendo».

La prossima settimana lo spiegherà anche ai magistrati.

«Sono pronto. Dimostrerò che tutte le cose fatte sono state frutto di un accordo politico raggiunto in commissione Bilancio, dove siedono i rappresentanti di tutti i gruppi politici».

Ha mai avuto la sensazione che alcuni consiglieri spendessero quei soldi in modo «allegro»?

«Nessuno poteva sapere come venivano spesi i fondi assegnati. Ogni capogruppo ha un conto corrente intestato a suo nome».

E il comitato di controllo contabile della Regione?

«Ha acquisito le autocertificazioni dei capigruppo».

Scusi Abbruzzese, ma è vero che lei ha 18 collaboratori e tutti della sua città, Cassino?

«Ho affidato la mia attività politica a collaboratori di cui mi fido».

Prima che arrivasse lei, quanti collaboratori aveva a disposizione il presidente del Consiglio regionale del Lazio?

«Diciotto, come me. Io ho eliminato la sede che il Consiglio aveva in affitto nel centro storico di Roma, ho levato l’indennità di missione all’estero per i consiglieri, ho ridotto del 30% le auto blu. Ho pure cancellato la rassegna stampa cartacea e vietato di costituire nuovi monogruppi».

D’accordo, ma lei è il presidente dell’assemblea, forse poteva fare di più…

«Ma il presidente non è altro che l’arbitro, i provvedimenti li approva l’Aula. È come se si desse a Fini o a Schifani la responsabilità della mancata riduzione dei parlamentari».

E le multe che ha preso con l’auto blu? Sarebbero una cinquantina…

«Penso che chi fa 350 chilometri al giorno in macchina, come me, possa prendere multe».

Ma è vero che ha due auto blu, una a Roma e un’altra a Cassino?

«No. Ne ho soltanto una, assegnata con un atto formale dell’ufficio, potete controllare».

Ci sono state persone, presunti amici, che adesso l’hanno «abbandonata»?

«No, in questo momento intorno a me ho trovato solidarierà e affetto. Tanti amici mi hanno sostenuto. Tutti conoscono il mio impegno per il territorio. Sono molto sereno perché credo di aver operato in piena trasparenza».

Adesso lei rischia di non essere ricandidato. Anzi è quasi sicuro…

«Le candidature spettano al partito, che credo farà una distinzione tra le responsabilità. Non si possono mischiare quelle politiche e quelle giudiziarie. Tutti i partiti devono riflettere e distinguere tra chi ha lavorato bene e chi male. Questo Consiglio non va rottamato, c’è tanta gente perbene».

Perché non si è dimesso?

«Perché credo di aver lavorato bene. Mi dispiace per l’immagine negativa della Regione Lazio, ma sono abituato a combattere».

Anche la Polverini non doveva dimettersi? In fin dei conti altri governatori nei guai non l’hanno fatto.

«La sua decisione va rispettata. Mi sembra che sia stata presa perché l’Udc ha fatto mancare l’appoggio. Se non c’è più un progetto politico meglio tornare alle urne».

Non si sente scaricato dalla Polverini?

«Io non sono abituato a scaricare sugli altri le mie responsabilità».

Ammetterà che l’autonomia delle Regioni esce distrutta dalle tante inchieste aperte dalla magistratura. Va cambiato di nuovo il Titolo V della Costituzione, con cui gli enti locali hanno avuto più poteri e meno controlli?

«Non va cambiato. Molte Regioni hanno dimostrato di usare bene l’autonomia ricevuta. Bisogna invece aumentare i controlli, anche da parte della Corte dei conti».

Intanto però nel Lazio sono stati azzerati i fondi ai gruppi politici. È un errore?

«Sì. Devono avere dei fondi per la loro attività politica. Se no si rischia che li trovino altrove».

Nella prossima legislatura verranno ripristinati?

«Il decreto varato dal governo li prevede nella misura della Regione più virtuosa».

Quando crede si debba votare?

«Il prima possibile, anche per dare un messaggio ai cittadini. La Polverini ha 135 giorni di tempo, il termine scade a metà febbraio. Non credo si voterà con la Lombardia: la Cancellieri è stata chiara».

Ma ci sono prima i tagli da fare…

«Bisogna votare evitando confusioni e ricorsi. Il decreto del governo è chiaro: si deve andare alle elezioni con 50 consiglieri, altrimenti perderemo i fondi statali. Abbiamo avuto sei mesi per applicare la legge 138/2011, dovevamo armonizzare lo Statuto alle indicazioni del governo. Abbiamo preferito ricorrere alla Corte costituzionale, che ha respinto le nostre istanze con motivazioni legittime. Così è intervenuto il governo. Ora dovremo adattare la legge elettorale ai nuovi numeri: dieci eletti nel listino e quaranta con le preferenze. Questo è l’unico atto indifferibile che un Consiglio sciolto può compiere».

C’E’ L’ORDINE DI CARCERAZIONE PER SALLUSTI:”VADO IN GALERA”. POLITICA CIALTRONA.

Pubblicato il 19 ottobre, 2012 in Costume, Il territorio, Politica | No Comments »

Dopo il rimpallo tra le procure di Roma e di Milano, alla fine è stato spiccato e consegnato l’ordine di carcerazione nei confronti del direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, condannato dalla Cassazione a 14 mesi di reclusione per diffamazione.

L’ordine è stato inoltrato dal gip agli ufficiali giudiziari ed è stato ricevuto dal diretto interessato. “La speranza che la politica fosse capace di trovare una soluzione sta naufragando per mancanza di volontà e di capacità“, ha dichiarato Sallusti.

Che poi ha aggiunto:“Io non chiedevo una legge ad personam, ma che venisse ripristinata una banale legge liberale che dicesse che per le opinioni nessuno può andare in carcere. Così non è, ma è peggio. Perché in questi giorni, discutendo in Parlamento di questa legge, c’è chi ha inserito un codicillo che permette ai presidenti delle Province di candidarsi alla Camera o al Senato e capite bene che di fronte ad atteggiamenti del genere non posso permettere che la politica più cialtrona si nasconda dietro a una legge di libertà e dietro al mio nome”.

Il direttore fa “un ultimo appello alla politica di interrompere questa sceneggiata che ha messo in piedi con la scusa di evitarmi dal carcere, cosa per altro da me non richiesta”. E si è detto pronto alla galera: “Ci sono tanti italiani in carcere, uno più o uno meno non credo che questo possa cambiare le sorti del Paese”.

………….I più cialtroni sono quelli che approfittando del testo concordato in Commissione Giustizia al Senato per approvare in sede deliberante l’abrogazione di una norma liberticida che risale al fascismo in virtù della quale la Cassazione,  non concedendo a Sallusti le attentuanti generiche che di solito vengono concesse a tutti gli incensurati, ha potuto emettere una condanna alla galera per il direttore del Giornale per il reato di diffamazione peraltro non commesso da Sallusti ma da altri, anzi da un altro che ha pubblicamente ammesso la colpa, hanno tentato di trasformare la proposta di legge in una specie di legge omnibus nella quale infilarci di tutto. In particolare un senatore del Pdl ha cercato di favorire i presidenti delle provincie con un emendamento che consentiva  la loro  candidatura alla Camera e al Senato. Questa operazione ha consentito a sei senatori della sinistra di impedire l’approvazione della legge in commissione e di ottenerne il trasferimento della discussione in aula, cosicchè di fatto mandando in galera Sallusti, che, quindi, sarà il primo giornalista, dopo il caso clamoroso di Giovannino Guareschi nel 1950, a finirci, tra l’altro per un reato neanche commesso e comunque per un reato di opinione come fossimo nella Unione societica ante 1989 o nei paesi del terzo mondo dove la democrazia e la libertà sono tuttora effimeri concetti senza  divenire diritti. Come che sia, ci domandiamo due cose. Primo: che fine ha fatto il PDL, il suo fondatore e presidente e il suo segretario, i suoi capicorrente, i suoi depoutati e senatori dei quali non leggiamo neppure un rigo di commento e , sopratutto, di intervento a favore di Sallusti e più vastamente a favore della libertà di stampa e di opinione, pilastri isostituibili nelle società liberali? Secondo: perchè il PDL non chiede, anzi non impone a Monti di fare un decreto legge che si limiti a eliminare la norma che sbatte in galera Sallusti, lasciando poi al Parlamento il compito, in sede di conversione in legge del decreto, di più precisa definizione della norma? Ci sarebbe un terzo: perchè non è stato immdiatamente espulso il senatore che con il suo codicillo ha dato il là o l’alibi all’affossa,mento della legge in Senato? Tutte domande che in verità si possono condensare in una sola:come può pretendere questo PDL che non è capace di difendere un suo baluardo intellettuale, uno dei pochi,  quale è stato sino ad oggi Alessandro Sallusti,  di recuperare i voti dei milioni di elettori che,  sentitisi traditi sia per le promesse mancate, sia per essere stati abbandonati nelle mani di un demagogo come Monti,  lo hanno abbandonato rifugiandosi per lo pù tra gli aspiranti astenuti dal voto o tra i prossimi elettori di Grillo? g.

LA DEMOCRAZIA SECONDO FERRARA

Pubblicato il 16 ottobre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Giuliano Ferrara non è tipo che le manda a dire e pur di dirle non si cura di quel che può provocare. Così oggi, sul Foglio, pubblica una sua analisi, spietatamente dura, sul sistema della democrazia, alla luce, evidentemente, degli ultimi accadimenti.  Pubblichiamo qui di seguito il testo dell’articolo di Ferrara non dimenticando, comunque, di sottolineare che,  come diceva Churchill “la democrazia è il peggiore sistema politico, se si escludono tutti gli altri”. g.

Bisogna che gli ottimati del circo mediatico e giudiziario, i palasharpisti di ogni latitudine ideologica, quelli che danno petulanti lezioncine di etica da posizioni di minoranza intransigente, si mettano in testa che la democrazia fa schifo, puzza, è per sua natura e definizione sporcata dalla manipolazione del consenso in regime di suffragio universale diretto.

La democrazia di massa è spettacolo, avanspettacolo, non riflessione; è agitazione di simboli e vitalismi come la favolosa (efficace) nuotata del sessantacinquenne venuto a stupire e a manipolare la Sicilia, l’amico di Casaleggio, il Pataca, il Grillo, piuttosto che elaborazione di idee, progettazione architettonica del futuro politico, convito energizzante dell’eros civile, mito poietico, macché, tutte balle:

l’assessore o il consigliere venuto dal nulla democratico, selezionato nel crogiuolo delle preferenze elettorali, da sempre si procura i voti con ogni mezzo lecito e illecito, una volta sono i soldi arrivati chissà come, una volta i circuiti dipendenti dalla affiliazione lobbista quasi perbene, una volta direttamente la ‘ndrangheta più sprezzante e avida, e quando sgarra oltre la decenza, e quando lo beccano (intendiamoci, solo se e quando lo beccano) finisce in galera come segnacolo di eccezione che conferma la regola.

Dove la società è tendenzialmente pulita o perbenista, puliti per quanto possibile sono gli affari, relativamente pulito è il circuito del denaro, dell’investimento, dell’opera, che ne so, in posti come Casalecchio di Reno o Sesto San Giovanni dove vige il cosiddetto sistema Penati, la funzione di collettore del consenso e dei mezzi per procurarselo la fanno i partiti tutori, la protezione sociale pubblica, le cooperative, lo stato, classi dirigenti senza particolari scrupoli etici ma attente a distinguere interesse collettivo e interesse personale, a tenere sotto controllo gli spiriti selvaggi della democrazia invece che a farsene ingabbiare.

La Milano di Umberto Eco, il luogo felice dove potevi uscire con chiunque, senza essere consegnato a una vita riservata e moralmente repellente di ogni contaminazione con il Male, che è il suo consiglio comportamentale per l’oggi, non è mai esistita, questo è appena ovvio. Il miracolo economico, la politica repubblicana dei partiti lo ha provocato e assecondato e accompagnato mangiando a quattro palmenti, generando quel sistema del consenso democratico che ha funzionato finché hanno funzionato le sue coordinate culturali, civiche, e l’antipolitica di vario ordine e grado, e l’influenza indipendente e aggressiva di media e giudici era cosa inconcepibile.

Il patto con il Male c’è sempre stato, è insito in un regime non aristocratico e forse in ogni regime politico, anche quello capace apparentemente di sublimarlo, ma una volta il patto con il diavolo era governato dalla politica, e produceva anche sogni democratici clamorosamente suggestivi, se non belli, poi la politica democratica si è indebolita, e allora abbiamo la nuda e sprezzante ‘ndrangheta e delle facce che non dicono più niente se non si travestono con le teste di maiale.

La democrazia è corrotta nel suo fondamento, è a misura d’uomo e dunque è storta come il legno storto. Recide come sistema ogni rapporto con il divino e il suo diritto, con il sacro, con la tradizione, con uno spazio pubblico occupato dalla storia e dal suo superbo portamento: la democrazia è la tabula rasa, il contare ciascuno per uno e dunque il contare le persone, la massa delle persone, come se fossero soldi, piccioli, birilli, pupi, mezzi e non fini.

E’ una utopia regressiva della quale non possiamo fare a meno per proteggere le libertà civili, i diritti della coscienza e della personalità e della proprietà, i diritti liberali. Ma non possiamo scambiarla per una scuola di misura e di responsabilità etica, è disonesto farlo, bisogna sapere che la sua regola è la dismisura dei mezzi che sopravanzano il fine. Giuliano Ferrara, Il Foglio 16 ottobre 2012

UN MILIONE CI CLIC SUL WEB: IL PICCOLO LEONARDO DIVENTA UN SIMBOLO

Pubblicato il 15 ottobre, 2012 in Costume | No Comments »

Lui non lo sa, per fortuna, ma è già la mascotte d’Italia.

Il piccolo Leonardo giganteggia nella storiaccia che lo vede personaggio e argomento del giorno ormai da una settimana, da quando l’apparato maldestro e sadico della giustizia matrimonialista l’ha ridotto a vittima umiliata e offesa, trascinato via come una vacca destinata al macello sul marciapiedi della scuola.Leonardo è la nuova mascotte di un Paese che colpevolmente e tardivamente s’accorge di quanto sgangherata sia la normativa chiamata a decidere sul destino degli inermi. Storia simbolo, la sua. Tutti gli attori recitano a soggetto, replicando fedelmente una sceneggiatura purtroppo molto comune e diffusa. Padre e madre incapaci di ritagliarsi una zona franca per il figlio nella personalissima guerra atomica. Giudici, consulenti scientifici, assistenti sociali, agenti di polizia: ciascuno convintissimo di svolgere alla perfezione il proprio compito, senza dubitare mai, nemmeno per un istante, d’aver umanamente sbagliato qualche mossa, così da apportare correzioni al famigerato modello. Risultato: un bambino di dieci anni, come altri bambini in altri luoghi e in altre guerre d’Italia, viene portato via a forza, nel modo più impietoso e cruento, segnandolo per un bel tratto del suo futuro, magari per sempre.A trasformare Leonardo in tenera mascotte è un semplice dettaglio tecnologico: il classico video da telefonino che ormai fa parte della nostra vita quotidiana, in qualunque sede e in qualunque momento, perché cascasse il mondo, cascassero torri gemelle o cascassero campanili per il terremoto, c’è sempre qualcuno pronto con il cellulare acceso. È proprio il video della zia a trasformare l’anonimo blitz di provincia in clamoroso caso nazionale, la brutta bega domestica in scandalo universale. L’effetto emotivo ha i contorni di uno tsunami sociale: nelle ultime ore, il video di Leonardo ha ampiamente sfondato il muro del milione (di visioni). È un dato eclatante, un valore eccezionale. L’onda lunga si porta dietro anche un numero esorbitante di commenti, dove secondo consuetudine si trova veramente di tutto: dalla sincera dichiarazione di pietà, alla farneticante chiave di lettura del solito dietrologo astuto, ovviamente ben coperto dall’anonimato («ancora credete all’ingenuità dei bambini: la colpa di tutta questa vicenda è di Leonardo»).

Se non altro, mentre la feroce guerra familiare continua a colpi di fiaccolate e nuovi ricorsi, da queste giornate desolanti sembra timidamente emergere una magrissima consolazione: forse il caso è almeno servito a scoperchiare il calderone di inefficienze, di superficialità, di approssimazione in cui ribolle da sempre un ingrediente tanto delicato come il futuro dei figli contesi. Quella indegna mattina di Leonardo è ormai un film di culto che nessuno dovrà mai più permettersi di replicare. Devono capirlo tutti i genitori in assetto da combattimento, i giudici che impartiscono ordini, gli assistenti sociali che forniscono relazioni e giudizi sulle persone, gli agenti che devono sporcarsi le mani (domanda ingenua: ma è proprio impensabile escludere a priori, per legge, che sui bambini arrivi a mettere le mani la polizia? Davvero non siamo capaci di inventarci un’altra soluzione?).

Una storia di pietà e di compassione, di rabbia e di indignazione, ma anche di colpe imperdonabili e di doverosi rimorsi: questo è ormai il video più cliccato su Internet e più visto in tv. Tra tanti protagonisti che dovrebbero abbassare lo sguardo, rivedendosi all’opera, stupisce per profondità e padronanza del ruolo il piccolo grande protagonista. Nella comunità dove stanno «resettandogli» l’anima (altra domanda ingenua: ma non si vergognano nemmeno un po’ di usare certi verbi?), Leonardo scrive temi. In uno di questi, parla di ulivi e di pace. Fantasticando nelle sue dolci allegorie, arriva a dire: «All’inizio non si capivano, ma parlando, parlando, con il tempo diventarono amici. E da quel giorno vissero tutti in allegria». Ultima domanda ingenua: in questa storia di caos e di vergogna, chi è il più saggio della compagnia? Il Giornale, 15 ottobre 2012

ER BATMAN NON CI PORTI VIA ANCHE LE PREFERENZE

Pubblicato il 14 ottobre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

di Franco Bechis

Sì, è vero: Franco Fiorito detto Er Batman ha preso un sacco di preferenze nella sua Anagni, a Frosinone e dintorni. Una volta eletto sembra avere pensato molto alle tasche sue e assai poco a quelle di chi l’aveva votato. La colpa di quel che è accaduto però è chiara: è di Fiorito, eppure dal giorno dopo molti dicono che ad avere provocato tutto questo siano “le preferenze”. Stesso discorso dell’assessore alla casa della Regione Lombardia, Domenico Zambetti. E’ accusato di avere comprato pacchetti di voti dalla ‘ndrangheta. Così si è alzato un coro di voci unanime: «vedete i guai che combinano le preferenze?».

Per anni tutti dicevano che bisognava buttare dalla finestra la legge-porcata che consentiva di eleggere in Parlamento o nei listini dei governatori delle Regioni le varie Nicole Minetti: «ridiamo il potere di scelta agli elettori». Ora invece gli stessi che si lamentavano delle Minetti inorridiscono davanti a qualsiasi legge che riconsegni agli elettori il potere di scegliere i loro eletti: «eh, no, niente preferenze. Perchè è da lì che vengono fuori i Fiorito…». Prima faceva schifo la legge, ora fanno schifo direttamente gli elettori.

Sui giornali e in tv sono decine i commentatori a tuonare in queste ore contro le preferenze, ed è facile capire perchè. In gran parte si tratta di quelli che vorrebbero durasse tutta la vita il governo di Mario Monti e dei professori, perchè quelle sì sono le brave persone che l’Italia si meriterebbe, mica quei mezzi delinquenti che se li lasci liberi gli italiani alla fine voterebbero.

Più sento queste tesi – e sono tante – più mi convinco dell’esatto contrario: le preferenze sono la migliore soluzione elettorale che si possa dare all’Italia. Sono il modo di eleggere un proprio rappresentante il più vicino possibile alla democrazia ideale. Certo, hanno qualche rischio di manipolazione. Ma non è più manipolatorio fare decidere da altri che il mio voto non conta nulla, tanto chi mi rappresenterà non lo scelgo io?

Oggi fra Parlamento, Regioni, province e comuni ci sono circa 1.500 nominati e circa 72.500 eletti scelti uno ad uno dagli italiani. Fra i nominati c’è l’intero Parlamento attuale, oltre a tutti quelli inseriti nei listini del presidente delle Regioni. Quasi tutti gli altri eletti sono scelti da chi vota. Vero che ci sono i Fiorito, i Zambetti e molti altri che ne fanno di cotte e di crude fra i 72.500 eletti, ma fino a prova contraria al momento sono al massimo uno o due ogni cento eletti con le preferenze. Percentualmente hanno più guai con la giustizia o sono stati più protagonisti di scandali e scandaletti politici gli attuali membri del Parlamento, tutti nominati. Lo stesso dicasi del governo di Mario Monti: era composto da 49 persone. Tre di queste hanno avuto guai giudiziari. Due sono stati protagonisti di uno caso di malcostume politico su case comprate sottocosto e vacanze pagate da altri: Carlo Malinconico (che si è dimesso), e Filippo Patroni Griffi. Cinque su 49 nel governo degli ottimati significa più del 10 per cento. Cinque volte la percentuale dei casi Fiorito rilevata fra chi è stato eletto con le preferenze. Andava peggio sotto questo profilo anche il parlamento eletto con il vecchio sistema maggioritario dei collegi: erano più indagati loro degli Er Batman di oggi.

Eleggere oggi un proprio rappresentante conta poco o nulla, molto meno di venti o trenta anni fa. Un parlamentare italiano o un membro del governo può già fare poco o nulla liberamente, perchè è commissariato dall’Unione europea e dalla finanza internazionale (i famosi mercati). Già è così ristretta la libertà, che almeno sia conservata quella degli elettori di dire sì a uno e no a un altro. Altrimenti meglio consegnarci mani e piedi a una dittatura vecchio stampo, perchè questa finta democrazia autorevole e autoritaria dall’apparente volto umano è regime peggiore e più subdolo di quelli già visti.

Che con le preferenze si favorisca il ladrocinio è semplicemente una bugia, perchè i dati dicono l’esatto contrario. Vero invece che la caccia agli elettori con una gara anche all’interno del proprio partito rischia di fare salire i costi della politica. Ma questo problema si risolve mettendo un tetto basso alle spese elettorali dei singoli e attuando controlli seri, non abolendo gli elettori. Libero, 14 ottobre 2012

…………….Siamo assolutamente d’acordo con Bechis. Il ritorno alle preferenze, qualsiasi sia il moedello di legge elettorale che alla fine sarà partorito dai partiti, è inevitabile e necessario Mai più parlamentari nomianti dai partiti, ma eletti scelti dal popolo. Anche se questo, in qualche caso, non ci risparmierà il batman di turno. g.

BAMBINO PRELEVATO CON LA FORZA DA POLIZIOTTI: IL GOVERNO SI SCUSA. IL CASO DISCUSSO ALLA CAMERA E AL PARLAMENTO EUROPEO

Pubblicato il 12 ottobre, 2012 in Costume, Cronaca, Giustizia | No Comments »

20121012_151257_B9DBC353.jpg Continuano l’indignazione e le polemiche per il caso del bimbo di 10 anni di Padova portato via con la forza dalla polizia dalla sua scuola. La questione è finita alla Camera oggi, mentre sono arrivate anche le scuse del governo, dopo quelle di dieri del capo della polizia Antonio Manganelli. La Lega, intanto, ha portato la vicenda al Parlamento europeo con una interrogazione presentata dall’Europarlamentare del Carroccio Mara Bizzotto.

Riferendo alla Camera sulla vicenda, il sottosegretario di Stato, Carlo De Stefano ha affermato: “Riguardo all’effettivo svolgimento e alle dinamiche della vicenda è stata disposta un’inchiesta interna per verificare con obiettività le cause di un comportamento che non è sembrato adeguato rispetto a un contesto ambientale difficile e ostile”, aggiungendo che “la scena del trascinamento richiede che anche in questa sede come già ha fatto il capo della polizia Manganelli vengano espresse le scuse del governo”. “La crudezza di quelle immagini – ha sottolineato – rischia di offuscare tutte le volte che le forze di polizia, con pacatezza, sono intervenute e si sono schierate a tutela delle persone più fragili e indifese”.

Dal canto suo, rispondendo a Palermo ai cronisti che le hanno chiesto un commento sulla caso, il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri ha detto: “E’ una vicenda che ha molto colpito l’emotività. Il capo della polizia ha aperto un’inchiesta per conoscere bene i fatti, e prima di parlare di questi temi così delicati, bisogna sapere bene esattamente come si sono sviluppati, come sono andati. L’unica cosa che so è che la vera vittima è il bambino”. Riguardo chi chiede le dimissioni del questore di Padova, Cancellieri ha detto: “Chi chiede le dimissioni del questore, probabilmente non capiva di cosa andava a parlare”.

Intanto il caso sollevato dalla trasmissione televisiva “Chi l’ha Visto”, è approdato al parlamento europeo. A portare la questione all’attenzione di Bruxelles è l’Europarlamentare della Lega Nord Mara Bizzotto che, con un’interrogazione alla Commissione Europea, invita l’esecutivo comunitario a “verificare se le modalità di esecuzione della sentenza del Tribunale da parte delle forze dell’ordine abbiano violato i diritti dei minori tutelati a livello internazionale ed europeo”. Abbiamo assistito a scene gravi ed indegne di un Paese civile: un bambino inerme di soli 10 anni non può in nessun modo essere trattato con la violenza e la brutalità usate dalle forze dell’ordine” ha concluso la Bizzotto.

Sulla trasmissione di Raitre interviene anche il direttore Antonio Di Bella: ha sollevato un problema drammatico che non poteva essere nascosto o sottaciuto. Come sempre in questi casi il minore non è stato reso riconoscibile né era possibile riconoscere, nelle immagini trasmesse dalla Rai, il volto degli agenti di polizia impegnati nell’operazione. Non si e fatto mai il nome delle persone coinvolte né nominato il luogo dove si sono svolti i fatti. Federica Sciarelli, Stefano Coletta e tutta l’equipe di ‘Chi L’ha visto’ hanno come sempre svolto il loro delicato lavoro con lo scrupolo e l’attenzione che un servizio pubblico deve sempre avere in queste vicende”.

La vicenda ha creato clamore per la modalità con cui il bambino di 10 anni è stato prelevato mercoledì mattina dalla scuola elementare che frequenta a Cittadella (Padova).

.…………Insomma, il capo della Polizia porge le sue scuse alla madre del bambino, il ministro dell’Interno si dichara turbta dal video nel quale si vedono poliziotti che trascinano come un agnello un bambino di dieci anni che si rifiuta di seguirli, urla e piamge, si dispera perchè non riesce a respirare e nonistante ciò gli energumeni vestiti da poliziotti usano la forza per sbatterlo nella macchina con la complicità del padre del bambino (che padre…), il sottosegretario De Stefano rispondendo alla Camera alle numerose interrogazioni proposte sul caso da tutti i gruppi parlamentari, porge le scuse del governo alla madre e ai familiari del bambino trattato comeu na bestia. Dopo tutto ciò ci si aspetta che qualcuni paghi, subito, immediatamente, intanto i polizotti che a dire di tutti si sono mostrati inadeguati (è un eufemismo, ovviamente!) nel trattare il caso, poi il questore di Padova che subito prova a fare i distinguo e arriva a dichiarare che il bambino era corpulento, si proprio così ha detto il questore: il bambino era corpulento, cosicchè chi è corpulento in Italia deve essere trattato come una bestia, peggio come un delinquente comune…un bambino di dieci anni, infine il sindacato di polizia che annuncia denunce a carico di chi ha tentato di impedire che  al bambino  fosse applicato il codice zero, quello che si applica ai capi delle cosche mafiose. Ma siamo in Italia o in un Pese dove i diritti civili, specie quelli che riguardano i bambini sono calpestati, ignorati, delegittimati? Tutti hanno annunciato l’apertura di inchieste sui poliziotti protagonisti di un vera e propria  violenza ai  danni di un bambino: le inchieste si fanno quando ci sono dubbi, non quando il video della violenza brutalmente messa in atto (nè è una scusante che alla violenza abbia preso parte il padre del bambino che solo per questo dovrebbe essere privato di ogni diritto su quell’essere umano)  ha fatto il giro del mondo offrendo al mondo l’immagine di una Italia in cui le forse del’ordine si trasformano in aguzzini di stampo nazista. La smettano di cinchisichiare, si tengano le scuse e sbattano in galera i poliziotti e mandino a casa il questore di Padova, a coltivare margherite. g.

PERCHEè RITORNO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 4 ottobre, 2012 in Costume | No Comments »

Un giornale non può avere un direttore non libero.

Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti

Per questo l’indomani della sentenza che mi ha condannato a 14 mesi di reclusione solo per un reato di opinione, avevo firmato la lettera di dimissioni dall’incarico e dall’azienda. Ieri l’editore Paolo Berlusconi, con una lettera pubblicata sulla prima pagina di questo giornale, mi ha chiesto di tornare al mio posto. La libertà che serve per fare bene il nostro lavoro la garantisce lui, a me e a tutta la redazione. Mi basta, sono onorato e grato del gesto che ovviamente va oltre la banale riassunzione. È la prova che qui c’è un senso di libertà che non si fa intimorire da soprusi e ricatti, cosa di cui non ho mai dubitato.In questi pochi giorni da disoccupato ho avuto modo di riflettere in modo meno emotivo su quanto accaduto e su ciò che sta accadendo. E sono giunto alla conclusione che purtroppo la guerra (in)civile dichiarata contro il berlusconismo non si è conclusa con le dimissioni del premier. Come diceva mesi fa un magistrato sul suo blog: una volta fatto fuori Berlusconi ci dovremmo occupare dei berlusconiani. Sotto le non poche dichiarazioni di solidarietà che mi sono arrivate da sinistra continua a covare la brace dell’odio politico e personale. In Parlamento, sui giornali, sui blog, più o meno nascostamente, sono in tanti a fregarsi le mani e ad augurarsi nuovi provvedimenti nei miei confronti. Da veri vigliacchi c’è chi invoca un intervento punitivo dell’Ordine dei giornalisti e cose simili. Piccoli uomini, per lo più frustrati da fallimenti personali che si ergono a maestri di giornalismo e di vita. Non so se vale per me, ma certamente la redazione di questo giornale (che ringrazio per la pazienza anche perché completamente estranea al caso per cui sono stato condannato) non ha bisogno di lezioni da nessuno, né di tecnica né di etica. Lo ha sempre dimostrato nei fatti e lo dimostrerà anche questa volta.Ringrazio chi, a partire dal presidente del Senato Schifani, sta prendendo a cuore la ricerca di una soluzione legislativa, cioè l’abolizione del carcere per i reati di opinione. All’editore e ai vertici di questa azienda il mio grazie per la correttezza e il coraggio. Ai colleghi un abbraccio e buon lavoro. Alessandro Sallusti

LAZIO: ASSESSORI E CONSIGLIERI A CASA, MA CON LA PENSIONE IN TASCA

Pubblicato il 29 settembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Hanno avuto 14 milioni di euro da spendere in un anno per una non meglio precisata «attività politica». Alcuni di loro li hanno usati per comprare bottiglie di champagne, cravatte o macchine. Ci sono quelli, invece, che li hanno «investiti» in viaggi e lussuosi alberghi o per finanziare associazioni che con la politica non hanno niente a che fare. La presidente della Regione Renata Polverini ha deciso pochi giorni fa di «mandarli a casa». Ma loro, 71 consiglieri e 14 assessori, potranno comunque contare su una pensione da Win for life. Con poco più di 2 anni alla Regione Lazio, hanno ottenuto un assegno per la vita di 3.300 euro al mese. La legge prevede che debbano riscattare gli anni mancanti alla fine della legislatura (nel loro caso tre) ma non dovranno disperarsi. Provate a chiedere all’Inps quanto costa riscattare due anni di pensione per chi ha uno stipendio di 9 mila euro al mese. Centinaia di migliaia di euro. Ma non per i consiglieri e gli assessori del Lazio. Lo prevede la legge, quella che altri componenti dell’assemblea regionale hanno votato una ventina di anni fa e nessuno ha mai modificato. Gli 85 fortunati conquistatori del vitalizio dovranno pagare soltanto, euro più euro meno, 38 mila euro. Esattamente 1.594 euro per ogni mese da riscattare. Una norma a dir poco generosa. Infatti prevede che i singoli consiglieri versino il 27% dell’indennità di carica «diminuita della sua relativa Irpef». Non solo. Considerato che ogni eletto alla Pisana avrà una liquidazione di quasi 25 mila euro, si tratta di pagare una piccola differenza. Ma non è tutto. Consiglieri e assessori avranno la pensione a 50 anni. L’età minima sarebbe 55 ma con una riduzione del 10 per cento sull’assegno si può ottenere 5 anni prima. Insomma, dovranno pure andare «a casa» ma i parlamentari del Lazio non dimenticheranno mai questa loro, breve, esperienza politica. Avranno pure speso soldi pubblici per ostriche, champagne, book fotografici, feste ispirate all’Antica Grecia con ancelle e maiali ma saranno ricompensati lo stesso. Per tutta la vita. È la solita storia di orwelliana memoria: siamo tutti uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri. Tra l’altro, la Pisana, su pressione della stessa governatrice, ha regalato il vitalizio anche agli assessori esterni, quelli che non sono stati eletti: 14 su 15 nella Giunta Polverini. Anche loro avranno 3.300 euro al mese per tutta la vita. Un affare. Ma in Consiglio regionale in questi ultimi giorni è scoppiato il caos. Ci sono infatti alcuni tecnici della Pisana che sostengono che i consiglieri non avrebbero diritto all’assegno in quanto la legislatura sarà presto interrotta. Alcuni componenti dell’assemblea avrebbero addirittura spronato i vertici della Pisana a presentare una richiesta di chiarimenti alla Corte dei conti. Eppure le norme sono abbastanza comprensibili. La legge che si occupa delle «Disposizioni in materia di indennità dei consiglieri regionali» è la numero 19 del 2 maggio 1995. L’articolo 8 è chiaro: «L’assegno vitalizio mensile compete ai consiglieri regionali cessati dal mandato che abbiano compiuto i cinquantacinque anni di età, che abbiano corrisposto i contributi di cui all’articolo 6 per un periodo di almeno cinque anni di mandato svolto nel Consiglio regionale o che abbiano esercitato la facoltà di cui all’articolo 10». Il comma 2 fa un bel regalo ai consiglieri: «La corresponsione dell’assegno può essere anticipata, su richiesta del Consigliere e dopo la cessazione del mandato fino al cinquantesimo anno di età, ma in tal caso la misura dell’assegno è proporzionalmente ridotta del 5% per ogni anno di anticipazione rispetto al cinquantacinquesimo anno di età fino al raggiungimento dell’età di cui al comma 1». Ovviamente, tanto per non svantaggiare i consiglieri che dopo la Regione vengono eletti in Parlamento, «qualora l’assegno vitalizio anticipato venga sospeso in ragione di sopravvenuta elezione dell’ex Consigliere a nuova carica, Regione, Parlamento nazionale, Parlamento europeo, la detrazione del 5 per cento è recuperata alla data di cessazione della carica stessa. L’assegno vitalizio, alla cessazione della carica, è pertanto reintegrato del 5 per cento annuo, frazionabile in dodicesimi, per ogni anno di sospensione del vitalizio stesso o frazione di anno». Infine il comma 3 metterà in imbarazzo i matematici: «Ai fini del computo del periodo di mandato di cui al comma 1, la frazione di anno si considera come anno intero purché sia di durata non inferiore a sei mesi e un giorno». Per ora soltanto un consigliere ha dichiarato che rinuncerà al vitalizio, Enzo Foschi (Pd). La stessa Polverini aveva annunciato che i suoi assessori avrebbero fatto lo stesso. Aspettiamo con fiducia. Il Tempo, 29 settembre 2012

.……………Per i lavoratori con 40 anni di lavoro sulle spalle il signor Monti e la sua degna ministra del lavoro hanno fatto un decreto per costringerli a lavorare per altri 6/7 anni, riducendogli comuqne la iserabile pensioone di fine lavoro, per i ladri di stato, cioè consiglieri e assessori del Lazio, invece Monti si limita  a studiare le carte e come la recente storia italiana ci insegna quando Monti si accinge a stuidare vuol dire che non farà nulla per evitare che i ladri percepiscano la pensione con soli due anni di lavoro(sic!). g.