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CASO SALLUSTI: UN ALTRO PASTICCIO CHE PUO’ SISTEMARE SOLO IL QURINALE

Pubblicato il 28 settembre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Alla faccia dell’«equilibrio» auspicato dal presidente del Consiglio alla vigilia del verdetto della Cassazione sul caso di Alessandro Sallusti, pur parlando di un possibile intervento legislativo sulla materia: equilibrio tra libertà di stampa e tutela della reputazione, indicato da Monti come “due beni della società“. Ma alla faccia anche dell’«interesse» alla vicenda, e quindi alle decisioni giudiziarie di ultima istanza, manifestato e lodevolmente confermato ieri sera dal presidente della Repubblica. Al quale, a questo punto, visto che la Cassazione ha confermato e reso definitiva la condanna di Sallusti a 14 mesi di carcere per un articolo, peraltro neppure suo, pubblicato cinque anni fa su «Libero» da lui allora diretto e considerato diffamatorio nei riguardi di un magistrato, non resterà forse che predisporsi ad un provvedimento di grazia. Che, ormai da qualche tempo, può essere per fortuna concessa dal capo dello Stato di propria iniziativa: per fortuna perchè il condannato, peraltro affrettatosi a dimettersi ieri stesso dalla direzione de «il Giornale», già prima che sopraggiungesse la «sospensione» della pena disposta dalla Procura di Milano, non sembra intenzionato a chiederla. Il rifiuto di Sallusti è un atto un po’ di orgoglio, sentendosi egli giustamente condannato ingiustamente -scusate il bisticcio degli avverbi- alla detenzione per un reato che è solo di opinione, e un po’ di sfida. Che trovo pienamente condivisibile. Sfida ad una magistratura arroccatasi su posizioni che saranno conformi, per carità, alle norme in vigore, e quindi legittime, ma contrarie al buon senso. Ed anche ad una concezione umana dei rapporti fra il cittadino e la legge: una concezione alla quale era in fondo sembrato ispirarsi il dissenso, non condiviso dai giudici, espresso dallo stesso magistrato dell’accusa per le attenuanti generiche negate all’imputato dalla Corte d’Appello. Alla quale pertanto il procuratore generale aveva inutilmente chiesto di rinviare il procedimento. Ma la sfida di Sallusti -ripeto, condivisibile- è anche ad una classe politica che, pur prodiga di parole di solidarietà per i giornalisti che di volta in volta si trovano a rischiare quello che gli è appena accaduto, non ha mai trovato il tempo, e la voglia, di modificare una legge che si presta a simili, aberranti interpretazioni e applicazioni. Tanto più aberranti quando a trarne praticamente vantaggio, in termini di dimostrazione di forza, a parte gli aspetti economici, è un magistrato. Cioè un collega dei giudici che hanno condannato Sallusti in primo, secondo e terzo grado. Ma cosa ci si può ormai aspettare -diciamoci la verità- da una classe politica che sembra avere perso il contatto con il Paese, che pure dovrebbe rappresentare? Lo dimostra il modo in cui, per esempio, essa reagisce a tutti i livelli, centrale e locale, al discredito che si è procurata da sola, prima finanziandosi a dismisura e poi sottraendosi con mille sotterfugi e rinvii ai risparmi e ai tagli che pure sa imporre ai cittadini già travolti dagli effetti della crisi economica. In attesa di un intervento legislativo, con i suoi tempi, peraltro ancora più incerti in una congiuntura politica come questa, quando mancano ormai pochi mesi alla scadenza delle Camere elette nel 2008, con il rischio quindi che bisognerà aspettare le nuove per venirne a capo; o in attesa di un provvedimento di grazia, non so neppure se e come praticabile di fronte ad una condanna definitiva sì, ma di cui per fortuna non è stata disposta la esecuzione, Sallusti si trova già menomato nell’esercizio della sua professione. Menomato o intimidito, nonostante l’orgoglio e la forza che ostenta, perché quella di cui gode oggi è solo una «sospensione» di pena. Una sospensione a fare saltare la quale basterebbe un’altra vicenda giudiziaria analoga a quella appena conclusa, possibile sino a quando le norme rimarranno quelle in vigore. La diffamazione nei riguardi di un giudice tutelare criticato dal giornale allora diretto da Sallusti per un aborto consentito ad una minorenne, è stata definita «aggravata» dalla condanna sospesa, in un sussulto di ragionevolezza, dalla Procura di Milano. Ma se è «aggravata» la diffamazione che per «omessa vigilanza» nelle sue funzioni di direttore di «Libero» Sallusti ha procurato cinque anni fa ad un giudice, come dovremmo chiamare la diffamazione che subiscono tanti cittadini che si trovano, per esempio, sputtanati spesso e volentieri con intercettazioni, dirette o indirette che siano, più o meno puntualmente sfuggite al segreto investigativo? Cittadini, comuni e non, che spesso sono o finiscono per risultare estranei alle indagini e ai procedimenti giudiziari nel cui ambito sono stati intercettati. Cittadini, ripeto, comuni e non. Fra i quali ha rischiato di finire recentemente persino il capo dello Stato. Il quale, trovatosi «casualmente» sotto intercettazione a colloquio con il suo amico ed ex ministro democristiano dell’Interno Nicola Mancino, nell’ambito delle indagini della Procura di Palermo sulle presunte trattative di una ventina d’anni fa fra lo Stato e la mafia impegnata nelle stragi, ha dovuto difendere la inviolabilità del suo ruolo tutelata dalla Costituzione presentando ricorso alla Corte Costituzionale. Ed esponendosi per questo ad una vera e propria campagna di denigrazione e delegittimazione da parte dei soliti tifosi della Procura palermitana. Che lo hanno accusato di tutto: di prevaricazione e di «manovre», come ha detto Antonio Di Pietro, per salvare Mancino e gli altri imputati o sottrarre le indagini a Palermo. E che ora temono, magari, che le intercettazioni subite da Napolitano risultino meno «casuali» del previsto o dell’annunciato ad una Corte molto curiosa, che ha legittimamente chiesto a Palermo atti e notizie dettagliate. Francesco Damato, Il Tempo, 28 settembre 2012

.…………Mentre il Paese affonda nella melma, i politici di ogni colore continuano nei loro gochini e nelle loro disattenzioni ai problemi del Paese. Siamo alla canna del gas e c’è chi se ne impipa, compresa la casta dei magistrati che come sottolinea Damato da una parte restano indifferenti alla gogna mediatica cui spesso sono sottoposti cittadini del tutto innocenti che nessuno risarcisce (il caso Tortora, tornato alla ribalta per la imminente fiction su RAI 1, sta lì a dimostrarlo…)  e dall’altra usano una legge fascista vecchia di 82 anni, rimasta in piedi dopo 60 anni di cosiddetta democrazia, per “vendicarsi” di chi li critica e magari anche arricchirsi. Che dire….povera Italia! g.

IL SALUTO DI ALESSANDRO SALLUSTI AI LETTORI (MA L’EDITORE HA RESPINTO LE SUE DIMISSIONI)

Pubblicato il 27 settembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Fa un certo effetto sapere di dover andare in carcere.

Ma non è questo il problema, non il mio. In un Paese dove più che gli euro mancano le palle, non voglio concedere nessuna via d’uscita a chi ha partecipato a questa porcata. Non ho accettato trattative private con un magistrato (il querelante) che era disponibile a lasciarmi libero in cambio di un pugno di euro, prassi squallida e umiliante più per lui, custode di giustizia, che per me. Non accetto ora di evitare la cella chiedendo la pena alternativa dell’affidamento ai servizi sociali per sottopormi a un piano di rieducazione. Perché sono certo che mio padre e mia madre, gli unici titolati a educarmi, abbiano fatto un lavoro più che discreto e oggi, che purtroppo non ci sono più, sarebbero orgogliosi di me e di loro.

E ancora. Non chiederò la grazia a Napolitano perché, detto con rispetto, nel suo settennato nulla ha fatto di serio e concreto per arginare quella magistratura politicizzata che con odio e bava alla bocca si è scagliata contro chiunque passasse dalle parti del centrodestra e che ora, dopo avere ripassato i politici, vuole fare pulizia anche nei giornali non allineati alle loro tesi. Non voglio poi risolvere io il problema di Mario Monti, accademico di quella Bocconi che dovrebbe essere tempio e fucina delle libertà, che si trova al collo, complice il suo sostanziale silenzio e il suo immobilismo sul caso, la medaglia della sentenza più illiberale dell’Occidente. Così come il ministro della giustizia Paola Severino, definita da tutti come la più illuminata tra gli avvocati illuminati, dovrà ora chiedersi se per caso non è colma la misura della giustizia spettacolo degli Ingroia e dei suoi piccoli imitatori in cerca di fama.

Stamane scriverò al Prefetto di Milano, per annunciargli che rinuncio alla scorta (ragazzi meravigliosi e sottopagati che non finirò mai di ammirare) che da due anni mi protegge notte e giorno da concrete e reiterate minacce. Non posso accettare che una parte dello Stato, il ministero degli Interni, spenda soldi pubblici per tutelare una persona che un’altra parte dello Stato, la magistratura, considera in sentenza definitiva soggetto socialmente pericoloso.

E ultimo, ma primo in ordine di importanza, oggi mi dimetto, questo sì con enorme sofferenza, da direttore responsabile del Giornale, per rispetto ai lettori e ai colleghi. Il foglio delle libertà non può essere guidato da una persona non più libera di esprimere ogni giorno e fino in fondo il proprio pensiero perché fisicamente in carcere o sotto schiaffo da parte di persone intellettualmente disoneste che possono in ogni momento fare scattare le manette a loro piacimento.

Ringrazio tutti voi per la pazienza e l’affetto che mi avete dimostrato e vi chiedo scusa per i non pochi errori commessi. Ma non mi arrendo, questo mai. La battaglia per cambiare in meglio il Paese continua, e questo sopruso, sono convinto, può essere trasformato in una opportunità in più per tutti noi. Alessandro Sallusti.

.………..Fa un certo effetto anche a noi  che un giudice quantifichi il proprio onore in qualche migliaio di euro, pare sessantamila. Per noi l’onore non ha prezzo e mai lo quantificheremmo, specie se indossassimo la toga che fu ed è bandiera di coraggio e e di servizio al popolo. Ma alle tasche talvolta e taluno è disposto a sacrificare  il proprio onore. E ciò non gli fa onore. g.

LADRI LIBERI, GIORNALISTI IN CELLA. LA LEZIONE DI SALLUSTI, di Mario Sechi

Pubblicato il 27 settembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

I giudici applicano la legge e la legge prevede che il direttore di un giornale possa andare in carcere da uno a cinque anni quando commette il reato di omesso controllo e diffamazione aggravata. Nel caso di Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, il formalismo giuridico è rispettato, ma la democrazia subisce un duro colpo in un Paese che in un tempo ormai remoto fu la culla del diritto e che ieri ha confermato di esserne solo la discarica a cielo aperto, in una giornata triste per la libertà di stampa e la giustizia. Dirigere un giornale è un mestiere duro e faticoso, ma in Italia è anche molto pericoloso. Provo a spiegare perché. Le norme prevedono che il direttore abbia il controllo assoluto di quel che viene pubblicato e a lui si estende una responsabilità oggettiva che lo chiama automaticamente in giudizio insieme all’autore dell’articolo. Questa norma poteva funzionare finché i giornali erano fatti di pochi fogli e le notizie non piovevano in real time. Secondo la legge il sottoscritto dovrebbe essere in grado di leggere tutti gli articoli, titoli e foto de Il Tempo, cioè la bellezza di due edizioni, un’ottantina di pagine al giorno, una media quotidiana di circa trecento articoli, più migliaia di lanci d’agenzia che sono potenzialmente impaginabili. Il controllo è esteso alla pubblicità, agli annunci economici e agli inserti. È un lavoro che non riuscirebbe a fare neppure Mandrake. E il risultato è che a dirigere un giornale alla fine ci si guadagna una fedina penale da Al Capone. Ogni volta che ricevo una notifica giudiziaria, incrocio lo sguardo imbarazzato degli amici carabinieri che sanno bene di dover svolgere un compito umiliante per chi ne è oggetto. È una delle tante porcherie giuridiche dell’ordinamento e stride con quel che accade in questi giorni: per un giornalista che rischia la galera e molti altri ridotti sul lastrico e impoveriti, abbiamo a piede libero un manipolo di ladri di polli con patente politica che fanno le star in televisione e promettono di ricandidarsi. Che schifo. È un insopportabile sottosopra che si svolge grazie all’immobilismo della politica. Di destra e di sinistra. Sallusti rischia il carcere non perché la magistratura applichi la legge – con un sinistro rigore, a mio avviso, visto che anche le attenuanti richieste dal procuratore generale gli sono state negate – ma perché il Parlamento se ne infischia di quel bene chiamato libertà di stampa, quello che fa la differenza tra una democrazia e una Repubblica delle Banane. I giornali pubblicano notizie. E possono dar fastidio. Ma sono anche l’unico presidio plurale di un Paese che tende pericolosamente ad essere monocorde. Da molti anni chiediamo una riforma dal volto umano, ma è sempre stato come predicare nel deserto. Nessuno è perfetto, questo è un mestiere delicato, si può sbagliare. Ma se l’errore viene punito con la cella e risarcimenti mostruosi, il risultato è quello di intimidire i giornalisti e mettere sul lastrico le aziende editrici. È esattamente quello che sta avvenendo. E ha dell’incredibile perché una riforma equilibrata, che rispetti tutte le parti in campo, non uccida il diritto di cronaca, dia all’offeso la giusta e doverosa riparazione se c’è un errore e non costringa gli editori a chiudere i giornali, è possibile. Tutto il mondo della stampa italiana deve favorire un’inversione di rotta, riunire editori e giornalisti, mettere nero su bianco una proposta e chiedere a questo Parlamento di discuterla, migliorarla e votarla. Senza manfrine, giochetti e ritardi. Questo è il momento di mettere insieme le forze, ora o mai più. Confido nella saggezza del Presidente Napolitano. Il caso del direttore de Il Giornale richiede il suo intervento e il suo senso dello Stato. Perché la libertà di Sallusti è anche la nostra. Mario Sechi, Il Tempo, 27 settembre 2012

……………Tra i tanti commenti al caso Sallusti che oggi vengono pubblicati su tutti iquotidiani italiani, tutti, nessuno escluso di solidarietà a Sallusti e di incredulità – a dir poco – di fronte ad una sentenza liberticida, abbiamo scelto quello di Sechi, direttore de Il Tempo, che ci è sembrato il più equilibrato e il più francamente coretto rispetto a tutte le questioni che la sentenza pone, ad iniziare dal vero e proprio bavaglio che questra sentenza di fatto impone alla stampa italiana, intimidita dalla paura di finire in cella solo per avr espresso una opinione o solo, nel caso dei direttori,  per non aver effettuato il controllo su ogni riga che il proprio giornale pubblica. Intanto Sallusti conferma che non intende chiedere la grazia e per lui la chiede al presidente Napolitano Renato Farina, giornalista oggi deputato, che alzatosi questa mattina alla Camera,  ha formalmente ammesso di essere l’autore del “pezzo” incriminato, il proprietaro del giornale rifiuta le dimisisoni rassengate da Sallusti e la politica quella che ormai si può scrivere solo la p minuscola annuncia di voler mettere una toppa a 60 anni di ritardi con una leggina o un  decreto legge che modifichi la legge Rocco (il giurista di Mussolini  che riscrisse nel 1923 il codice penale italiano, ovviamente calandolo nel contesto di un regime autoriario…) che prevede il casrcere per i direttori che omettino il controllo, il partito di Berlusconi del quale Sallusti è stato uno dei pochi giornalisti,pur con molti dubbi,  a sostenrne le tesi, non ha fatto sapere a Monti che se non impedisce che Sallusti finisca nelle celle, lì dove non finiscono più da tempo i delinquenti e i ladri, a incominciare dai politici di ogni schieramento, cesserà il sostengo ad un governo che a sua volta decreta d’urgenza sull’impoverimento degli italiani ma non lo fa quando si tratta di difendere il bene più importanre dell’uomo, la libertà personale. g

TRE DOMANDE FACILI FACILI, di Mario Sechi

Pubblicato il 26 settembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

A che punto è la notte? È sempre buio pesto e di luce per ora non se ne vede. I partiti sono avvolti dall’oscurità, non brilla alcuna idea e il sistema di finanziamento nelle Regioni si sta rivelando un pozzo nero di spesa pubblica a fini privati. La reazione a questo scenario è da stato confusionale: si annunciano grandi epurazioni (di pesci piccoli) e maquillage di vertice che non tengono alla prova di tre quesiti facili facili. Domanda numero uno: quanti politici si sono dimessi dal ruolo di parlamentare e quanti hanno lasciato il consiglio regionale del Lazio? Diamo noi la risposta: nessuno. Domanda numero due: quanti partiti hanno votato l’aumento di quattordici volte dei fondi ai gruppi consiliari del Lazio? Diamo ancora noi la soluzione: tutti. Domanda numero tre: che fine hanno fatto i milioni di euro aggiunti dalle Regioni ai già stratosferici rimborsi elettorali? Facile: non si sa. Mal di testa? Allora preparate l’aspirina, perché al danno si aggiunge la beffa: i consiglieri quando l’assemblea del Lazio si scioglierà avranno anche la liquidazione. Applausi. Cari partitanti, se non si risolvono questi nodi e si rifonda la politica, nessuno crederà alle vostre parole. Non si possono tagliare le pensioni, lasciare che le retribuzioni medie dei dipendenti italiani vengono falcidiate, prosciugare con il fisco famiglie e imprese e contemporaneamente foraggiare la politica a getto continuo. Questa è antipolitica? No, è buonsenso. Nessuno può far finta di niente, ma il così fan tutti non assolve nessuno. Il Pdl deve prepararsi alla traversata nel deserto. Ma c’è modo e modo di farla. Questo è il peggiore. Mentre a sinistra mettono i sacchi di sabbia e cercano di rinforzare gli argini con una coalizione che non ha alcun futuro di governo, a destra si cerca il Santo Graal e non si fa l’unica cosa seria: riaprire il partito alla competizione e chiudere la stagione delle nomine e della cooptazione senza merito. La politica si fa con i voti nell’urna, non con il pallottoliere delle alleanze interne e delle coalizioni destinate allo sfascio. Che senso ha fare accordi di nomenklatura se poi là fuori ci sono milioni di voti in uscita? Rispondiamo ancora noi: nessuno. Ma che glielo scriviamo a fare… Mario Sechi, Il Tempo, 26 settembre 2012

.…………Giusto! Perche scriverlo? Dovrebbe essere ovvio e naturale, e non solo ora che l’ennesimo scandalo ha detto sino a che punto la politica sia infognata e per quanto riguarda il centrodestra sino a che punto la notte è fonda, avrebbe dovuto esserlo da sempre, o almeno da quando una valanga di voti diede al centro destra la maggioranza assoluta nel Parlamento non solo per riformare la Repubblica e gli organi costituzionali, dalla Presidenza a tutti gli altri, ma anche per riformare e ricostruire la società italiana rasa al suolo dai decenni di malgoverno precedente. Invece il centrodestra dopo la vittoria pensò che tanto bastasse e che per il resto c’era tenmpo, anzi di tempo non c’era e questi sono i risultati. Non solo ha subito la scissione di Fini ed ha perduto il governo ma ora si trova in una situazione che definire caotica è poco e definire irreversibilmente destinata al peggio è assai probabile,. E’ vero, in in queste ore si sprecano dichiarazioni ed impegni, compreso l’anatema di Alfano contro Fiorito come se cacciando Fiorito si risolve il problema. Che invece è di ben altra natura e dimensione, riguarda tutto il centrodestra e in primo luogo il PDL che è ormai ridotto ovunque, dove di più dove di neo, come nel Lazio, a bande armate che si contendono i quattrini pubblici. E non consola, non può consolare che il male riguardi tutta la politica, nessuno escluso, compreso i moralizzatori dell’ultim’ora, per esempio gli udiccini il cui capo, Cesa, oggi viene tirato in ballo per essere a sua volta destinatario di favori e prebende da parte della Polverini che l’ha ricoperto, tramite la società che gestisce l’Auditorium di Roma,  di palate di quattrini pubblici. Nè consola che dalle parti del PD si sta più o meno allo stesso punto. E’ tutta la politica che va rifondata, ma vivaddio perchè non deve incominciare la destra a rifondaral,  il centrodestra, che da sempre ha inalberato il vessillo del buon govenro e quello del governo onesto? Davvero non si può? Se è così ci cascano le braccia e ci rifugiamo nei ricordi, quelli almeno non ci tradiranno. g.

MA LA MIA LIBERTA’ NON E’ IN VENDITA, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 25 settembre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Ho dato disposizione ai miei avvocati di non chiudere l’ipotesi di accordo con il magistrato che mi ha querelato per un articolo neppure scritto da me e che ha ottenuto da un suo collega giudice la condanna nei miei confronti a un anno e due mesi di carcere.

Il signore voleva altri soldi, oltre i trentamila euro già ottenuti, in cambio del ritiro della querela e quindi della mia libertà. Io penso, l’ho già scritto, che le libertà fondamentali non si scambino tra privati come fossero figurine ma debbano essere tutelate dallo Stato attraverso i suoi organi legislativi e giudiziari.

Anche perché nel caso specifico c’è un’aggravante, e cioè che a essere disposto a trarre beneficio personale dal baratto è un magistrato.

Vi svelo un particolare inedito della vicenda. In primo grado sono stato condannato a cinquemila euro di multa più diecimila di risarcimento, nonostante l’accusa avesse chiesto per me due anni di carcere. Al momento di stendere le motivazioni della sentenza, il pm si pente: ho sbagliato a non dare a Sallusti anche una pena detentiva, scrive nero su bianco, ma ormai è fatta. Che cosa è intervenuto tra la sentenza e la stesura delle motivazioni? Non è che per caso qualcuno ha privatamente protestato per la mitezza della condanna, che a mio avviso era invece più che equa, non avendo io diffamato nessuno? La risposta arriva in appello: due anni forse sono troppi, ma quattordici mesi ci stanno.

Giudici che ammettano di sbagliare, giudici che cambiano idea, giudici che se la fanno e disfano tra di loro? Ma che giustizia è questa? Una persona, per di più magistrato, in buona fede avrebbe dovuto prendere l’iniziativa una volta appreso il verdetto: mi rifiuto di essere la causa di una carcerazione ingiusta, tengo il risarcimento e ritiro la querela. Non è avvenuto, peccato. Adesso, vi assicuro, il problema non è più mio ma loro. Trovino il modo di uscirne con percorsi trasparenti e legali, altrimenti vadano al quel Paese. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 25 settembre 2012

.………….Caro Direttore, la schiena dritta o uno ce l’ha o non ce l’ha. Tu ce l’hai e meriti la solidarietà  di quanti non si piegano come fanno le canne allorchè tira il vento contrario. E’ quello che consiglia un proverbio cinese ma da noi ha un altro nome : adattamento. Si,  adattarsi e magari piegarsi in attesa che cambi il vento. E’ quello che ha prodotto nel tempo l’involuzione della nostra società, la perdita dei Valori e dei sentimenti, il trionfo della mediocrità. Noi non ci stiamo, per questo stiamo con Te. In bocca al lupo per domani. g.

SALLUSTI: LA VERITA’ SUL MIO ARRESTO, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 23 settembre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Eccomi. Sono quel sog­getto «socialmente pe­ricoloso », così è scrit­to nella sentenza, che mercoledì sarà arrestato se la Cassazione confermerà il ver­detto emesso contro di me da un giudice di Milano.

Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti

Un anno e due mesi di carcere per aver pub­blicato, anni fa su Libero che al­lora dirigevo, un articolo critico nei confronti di un magistrato che aveva autorizzato una tredi­cenne ad abortire. Non ho prece­denti penali ( come tutti i diretto­ri, che in base a una assurda leg­ge rispondono personalmente di tutto ciò che è scritto, sono sta­to condannato più volte a risar­cimenti pecuniari), non ho mai fatto male volontariamente a una mosca né mai lo farei.

Combatto da oltre trent’anni su quel magnifico ed esaltante ring democratico che è l’infor­mazione. Ne ho più prese che da­te ma non mi lamento, mai ho ri­sposto con querele a insulti e mi­nacce. Ho lavorato al fianco di grandi giornalisti, da Indro Montanelli a Paolo Mieli, da Giu­lio Anselmi a Giuliano Ferrara. A ognuno ho rubato qualcosa. Uno di loro, Vittorio Feltri, da tredici anni è anche un fratello maggiore che mi aiuta e proteg­ge e di questo gli sarò per sem­pre grato. Ho combattuto anche con durezza le idee di tante per­sone potenti e famose, ma non ho alcun nemico personale.

A volte ho sbagliato? Certo che sì, e ho sempre pagato in tut­ti i sensi. Sono un liberale, amo e mi batto per la libertà mia e di tutti, e per questo sono orgoglio­so di dirigere oggi il quotidiano della famiglia di Paolo Berlusco­ni, famiglia che la libertà ce l’ha nel sangue, fin troppo direbbe­ro alcuni.

Potrei difendermi dalle accu­se sostenendo, come è vero, che quell’articolo non l’ho scritto io, o cose del genere. Non lo farò perché ho la profonda convin­zione che nessuno, dico nessu­no, debba andare in carcere per una opinione, neppure la più as­surda. Se danno c’è stato che venga quantificato e liquidato. Ma nulla di più è dovuto. L’erro­re ha un prezzo, un principio no. E il principio che non ha prezzo è che nessun giudice può mandare in carcere qualcu­no per le sue idee. Se accettassi­mo questo sarebbe la fine della democrazia, tutti noi saremmo in balia di pazzi, di uomini di Sta­to in malafede, di ricattatori. Io sono disposto a pagare un equo indennizzo, ma non baratto la mia libertà.

Per questo ho detto no a scorciatoie che i miei nuovi e bravissimi avvocati mi hanno proposto. La classe dei magistrati che ha partorito questo obbrobrio ab­bia il coraggio di correggersi o l’impudenza di andare fino in fondo. Non ho paura. Io sono un nulla rispetto al problema in questione. Vogliono fare con­cludere il settennato di Napoli­tano (l’ho aspramente criticato in passato, se sarà il caso lo rifa­rò ma lo rispetto e ringrazio per l’interessamento annunciato ie­ri) che dei magistrati è anche il capo, con una macchia indelebi­le per le libertà fondamentali? Vogliono mandare Monti in gi­ro per l’Europa come il premier del Paese più illiberale dell’Occi­dente? Lo facciano, se ne hanno il coraggio. Per questo, non per il mio destino personale, sareb­bero dei criminali alla pari di chi ha stilato la sentenza che vuole impedirmi di scrivere ciò che penso per il resto della mia vita. Rinuncio al salvacondotto per rispetto alle persone con le quali condivido la vita, ai letto­ri, ai miei tre vicedirettori che si fidano di me, dei cento giornali­sti che dirigo e che hanno il dirit­to di lavorare in un giornale se­condo i principi non negoziabi­li stabiliti dal suo fondatore In­dro Montanelli. Alessandro Sallusti, Direttore de Il Giornale, 23 settembre 2012

………..Ogni parola di commento sarebbe superflua. Chiunque ami la libertà e rivendichi il diritto di dire la propria opinione in un Paese che si ispira ai principi della democrazia liberale si individua oggi in Alessandro Sallusti. Se lo arresteranno, se la casta dei giudici andrà sino in fondo nella difesa corporativa dei propri privilegi, compreso quello della vendetta, e restringeranno Sallusti in una cella,  idealmente ci sentiremo ristretti tutti nel piccolo spazio di quella  cella insieme a Sallusti e alle libertà negate  di ciascuno di noi.g.


SALLUSTI: PER I GIUDICI E’ UN “PERICOLO SOCIALE”….IN GALERA, MENTRE I LADRI E GLI ASSASISNI RESTANO IN LIBERTA’…VIVA L’ITALIA

Pubblicato il 22 settembre, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

“Ho paura di vivere in un paese dove ci si permette di arrestare le idee, di metterle in carcere”.

Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti
Con queste parole il direttore del Giornale Alessandro Sallusti commenta ai microfoni del TgLa7 diretto da Enrico Mentana la condanna a quattordici mesi di carcere per un articolo che non ha scritto lui. “Mi preoccupa – spiega – il silenzio di oggi delle alte cariche dello Stato e del governo che presumo, per motivi di antipatia personale o ideologici, non hanno detto nulla su questa vicenda”.

Ci sono due fatti che insospettiscono il direttore del Giornale che adesso attende il verdetto della Cassazione previsto per mercoledì prossimo.“Il primo fatto è che queste idee sono di una parte di opinione – spiega Sallusti al TgLa7 – il secondo è che la querela è stata fatta da un magistrato ed è stata giudicata in modo così severa da un altro magistrato”. Poi, c’è una considerazione finale: “Mi preoccupa il silenzio di oggi delle alte cariche dello Stato e del governo che presumo, per motivi di antipatia personale o ideologici, non hanno detto nulla su questa vicenda”. “Sono sempre molto bravi e molto pronti a enunciare dei principi nei convegni – continua il direttore del Giornale – ma quando devono far sentire la loro voce a difesa di tutti i cittadini, a prescindere dal loro pensiero, spesso battono in ritirata”.

Nonostante la situazione, Sallusti assicura che iI suo stato d’animo è “assolutamente sereno”. “Sono convinto della mia assoluta buona fede e di non aver commesso alcun reato”, continua commentando la vicenda giudiziaria che lo vede condannato, senza la condizionale, per il reato di diffamazione dopo la querela di un giudice tutelare, Giuseppe Cocilovo. L’articolo in questione non è stato redatto da Sallusto, ma è stato pubblicato su Libero nel 2007, quando era direttore gerente del quotidiano e dunque considerato “responsabile oggettivo”. La vicenda sarà giudicata il 26 settembre dalla Corte di Cassazione, per la sentenza definitiva. “Una situazione che non esito a definire ’kafkianà e che non ha precedenti – conclude Sallusti – Vedremo cosa succederà nei prossimi giorni. Per il momento, diciamo che resto in fiduciosa attesa”.

.………..Ciò che maggiormente ci lascia stupefatti è il silenzio della parte politica di Sallusti, a incominciare non tanto da Berlusconi che del Giornale è il referente politico, ma del capo di ciò che resta di un grande sogno svanito nel nulla, cioè del PDL. Ci riferiamo ad Alfano che nelle ultime 48 ore non ha fatto altro che parlare di ladri di galline da linciare e di donzelle indifese vittime dei ladri di galline da salvaguardare. A prescindere che , fermo restando che quanto è accaduto nel Lazio accade ovunque,   Alfano non può nascondere la polvere, anzi il fango, sotto il tappeto del solo Fiorito, indagato a Roma, per i soldi pubblici usati per scopi privati,  indicandolo  al pubblico ludibrio prima che i fatti siano accertati nella loro completezza alla faccia della presunzione di innocenza che vale per alcuni e per altri no, come per la stessa Polverini “assolta” da Alfano che , non dimentichiamolo, non ha sospeso dal PDL, ed ha fatto bene, il presidente Formigoni,  pur esso indagato per fatti forse più gravi di quelli di Fiorito al quale  però è stata già comminata la pena senza processo. Detto questo, stupisce che Alfano,  ancora dopo ben 24 ore dalla notizia del possibile arresto di Sallusti per una condanna che è tutto un programma, non abbia ancora detto una sola parola  di solidarietà a Sallusti che non è un ladro nè di galline nè di quattrini pubblici, che non ha ucciso nessuno, che non si è macchiato di nessun reato infamannte, tipo farsi trovare a fare sesso con un trans. Nei suoi confronti è stato applicata una legge che trova fondamenta nel Codice Rocco, il guardasigilli fascista che rielaborò il codice penale nel contesto di un regime autoritario che si difendeva con leggi liberticide  dalle critiche dei giornalisti. Dopo circa 70 anni una legge fatta su misura per un sistema politico autoritario continua ad esistere in un sistema politico compeltamente cambiato e dove il diritto di critica è sacrosanto, è anzi il primo inalienabile diritto di ciascuno, prima di tutti per un giornalista che ha il diritto-dovere di informare e di fornire elementi di giudizio sui fatti anche quando questi hanno per protagonisti i giudici che come tutti possono sbagliare e che se non hanno sbagliato e sono ingisutamente criticati possono e debbono rivalersi come tutti sul piano civile e non su quello penale. Alfano che è stato anch’egli Guardasigilli e che come tutti i suoi predecessori degli ultimi 70 anni si è dimenticato di  modificare le due riga che nell’attuale codice prevedono la galera per il direttore del giornale che pubblica senza controllo una notizia non vera, ora almeno intervenga per difendere Sallusti. Certo, sarà accusato di difendere un giornalista che è della sua parte e perchè mai non dovrebbe farlo? Deve farlo anche perchè gli elettori, pochi o molti che siano rimasti intenzionati a votare per il PDL, debbono sapere che votare per il PDL non può essere una aggravante e un rischio per la propria libertà personale. Si sbrighi a sollecitare l’intervento del governo, questo governo di azzeccagarbugli, fatto da pseudo esperti che una ne combinano e  cento ne pensano senza farne una, che sia una,  cosa buona e minacci, si minacci, se Sallusti dovesser essere arrestato di staccare la spina a Monti e allo steso Napolitano che a sua volta nulla ha da dire, forse in omaggio alla sua unica vera cultura che è quella dell’ex Unione Sovietica, dove i giornalisti non esistevano e se esistevano dovevano solo  elogiare il regime e se non lo facevano finivano nei gulag siberiani. E’ vero, qualcuno potrebbe tirar fuori il precedente di Giovanni Guareschi che alla fine degli anni 40 dovette farsi un anno di carcere per lo stesso reato di cui è accusato ora Sallusti. Ma Guareschi, incautamente e del tutto incosapevolmente, aveva accusato De Gasperi di aver chiesto,  verso la fine della gurrra, agli alleati di bombardare Roma. La notizia era falsa e suffragata da falsi documenti che indussero Guareschi a scrivere cose non vere e infamanti per il Capo del Governo e capo di un partito che si richiamava alla Chiesa che  a Roma aveva la sua centralità. In quel caso e sopratutto in quel contesto storico-politico, la condanna fu correttamente inflitta e lo stesso Guareschi che pure aveva contribuito fortemente alla vittoria della DC nel’epico scontro del 1948 contro il fronte popolare non protestò e anzi scrisse a De Gasperi una lettera di scuse senza però scriverne un’altra per chiedere la grazia, in ossequio al principio secondo cui chi sbaglia paga. Ma Sallusti in  cosa ha sbagliato e perchè mai deve andare in galera come un delinquente comune solo per aver diretto un giornale che ha criticato un magistrato? O dobbiamo sempre sperare che ci sia un giudice a Berlino? g.

VOGLIONO METTERE IN GALERA IL DIRETTORE ALESSANDRO SALLUSTI PER REATI DI STAMPA: COME IN COREA E NELL’EX UNIONE SOVIETICA.

Pubblicato il 21 settembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Un giornalista in carcere per motivi professionali è la negazione della democrazia. Infatti l’Italia non è un Paese democratico né liberale: l’unico in Occidente a non esserlo.

Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale

Noi siamo uguali alla Corea del Nord, simili alla fallita Unione Sovietica. Tutto dalla vita mi sarei aspettato, tranne che di scrivere questo articolo. Mi tremano le mani sulla tastiera della Olivetti.

Vi racconto ciò che sta per accadere: il nostro direttore responsabile, Alessandro Sallusti, è sul punto di essere arrestato. Ha ucciso un persona, premeditando il delitto? Ha rapinato una banca? Ha violentato una bambina? Ha scritto un articolo contro Gesù o contro Maometto? Nossignori. Nel 2007, in quanto gerente di Libero, aveva la responsabilità oggettiva di quanto quel quotidiano pubblicava. Poiché un dì vennero stampati sul medesimo foglio un pezzo e un commento su una vicenda giudiziaria, nei quali era citato un giudice tutelare, Giuseppe Cocilovo, questi, ritenendosi diffamato, sporse querela.

Il commento in questione non era stato vergato da Sallusti, ma da un altro autore che lo aveva firmato con uno pseudonimo. Non importa. La legge considera responsabile di ogni riga storta (uscita sul giornale) il direttore. Il quale pertanto è stato processato a sua insaputa. Perché a sua insaputa? L’avvocato dell’azienda editoriale si era distratto e non aveva tutelato l’imputato. Che, in primo grado, fu condannato a una pena pecuniaria: 5mila euro. Routine. Si paga, di solito, e buona notte. Incidenti di percorso.La sentenza però fu appellata dalla parte lesa. Trascorre un po’ di tempo, e si celebra il processo di secondo grado, ancora senza l’avvocato di fiducia, assente ingiustificato: ha disertato l’aula per smemoratezza o altro, non si sa; lui non è più rintracciabile. Automaticamente, gli subentra un legale d’ufficio che forse non si prende molto a cuore la storia, cosicché il verdetto è micidiale. La pena pecuniaria di 5mila euro, e sottolineo 5mila euro, viene trasformata in pena detentiva: un anno e due mesi di prigione. Uno pensa: vabbè, c’è la condizionale. Col cavolo. Niente condizionale, perché i direttori di giornale – tutti – sono pieni di cause, ne perdono molte, quindi accumulano precedenti su precedenti, e addio sospensione della pena.

Mercoledì sera, a Sallusti – che cade dalle nuvole – comunicano che il 26 settembre, cioè mercoledì venturo, la Cassazione esaminerà il caso; non entrerà nel merito, ma controllerà la regolarità formale del giudizio di secondo grado. Se non avrà nulla da eccepire, la sentenza sarà immediatamente esecutiva. E il nostro direttore verrà arrestato e chiuso in una cella come un delinquente e dovrà scontare il castigo. Inammissibile, assurdo.

Segnalo ai lettori che l’Italia è l’unico Paese europeo – che dico? occidentale – in cui i reati a mezzo stampa sono valutati dalla giustizia penale anziché da quella civile. Solo le dittature più efferate usano sistemi di questo tipo: un modo violento allo scopo di reprimere ogni tentativo di criticare il regime. Nelle democrazie appena appena decenti, la persona offesa da un giornale si rivolge al tribunale civile e chiede un congruo risarcimento, poi, eventualmente, accordato dal giudice. D’altronde – esemplifico – se qualcuno mi dà gratuitamente del cretino, o mi attribuisce un’azione cattiva che non ho commesso, non ho interesse che chi mi ha insultato o diffamato vada in galera; mi preme piuttosto che egli paghi in soldoni il suo errore.

In effetti, ripeto, succede così in tutto il mondo civile, o quasi, tranne che nella nostra piangente penisola. Ma non per colpa dei magistrati, che si limitano ad applicare la legge. A volte la applicano con mano lieve, altre con mano pesante. Ma non si inventano nulla. Applicano il codice e basta. La legge fornisce loro dei mezzi e delle armi, che vanno dal temperino al mitra. In alcune circostanze adoperano il primo, in altre il secondo. Ma non si tratta di abusi. Essi rimangono nell’ambito del consentito. Non è con loro che noi (io) polemizziamo. Ma con i dementi che, dopo 60 e passa anni di finta democrazia, mantengono in vita, per accidia e menefreghismo, alcune pagine del codice fascista.

Sì, fascista. Non vanno linciati i giudici «esagerati», che agiscono comunque in base alle regole, ma chi quelle regole non ha mai avuto il coraggio, e la sensibilità civile, di modificare, adeguandole ai canoni della democrazia liberale. Tra costoro metto anche Silvio Berlusconi che, incoscientemente, non ha provveduto quando avrebbe potuto farlo, imponendosi sui fetenti da cui era circondato, a revisionare il succitato codice. Giuro: a me aveva promesso che avrebbe depenalizzato i reati di opinione. Invece non è riuscito a combinare niente perché la lobby degli avvocati, potente e massiccia in Parlamento, si è opposta. Già: cause che pendono, cause che rendono.

Risultato. I giornalisti vanno in galera perché i rischi del mestiere sono questi in Italia: non di pagare con i risarcimenti, come sarebbe giusto, ma di pagare con la detenzione. Vergognatevi tutti, politici dei miei stivali. Si vergognino Berlusconi, Prodi, D’Alema, Amato, Ciampi, Fanfani (anche se è morto), Andreotti, Emilio Colombo, Craxi (anche se è morto), De Mita. Tutti i governi, di destra, di centro e di sinistra. Non solo hanno mandato in malora il Paese: hanno anche ucciso la libertà di stampa nella culla. Io me ne frego. Mi ribello a questa gente che ha pensato solo ai fatti propri, e ha abbandonato i giornalisti, lasciandoli alla mercé di una legge iniqua, fascista e tirannica, pur pretendendo che continuino a fare il loro mestiere.

Ma quale mestiere? Come si fa a lavorare serenamente se uno di noi, Alessandro Sallusti, per un articolo che neppure ha scritto, è in procinto di finire dietro le sbarre per un anno e due mesi? Qui non c’entrano le posizioni politiche di ciascuno di noi. Possiamo essere nel giusto o no, possiamo essere simpatici o antipatici, ben retribuiti o ridotti alla fame: non è questo che conta. Conta piuttosto che si distingua fra criminali e gente che nella propria attività, pur sbagliando, non merita il carcere.Cari politici del menga, svegliatevi. Date un segnale che non siete lì a difendere l’indifendibile, e se non potete salvare l’Italia dalla crisi, salvatela almeno da certi obbrobri. Cambiare una legge odiosa non costa niente: due righe da depennare comportano sì e no l’investimento di 20 euro. Non c’è più un centesimo perché avete già raschiato il fondo della cassa? Ve li do io. Attenzione: se Sallusti sarà associato alle carceri, non la passerete liscia. Oltre a non fare bella figura, rischierete gli sputi di tutti noi. Vittorio Feltri, 21 settembre 2012

P.S.: caro Alessandro, siamo solidali con te, e come te ci sentiamo vittime di una classe politica capace di tutto e buona a nulla (Leo Longanesi).

.…………..Insieme a Feltri esprimiamo tutta   la nostra solidarietà al Direttore Sallusti,  e insieme a Feltri saremo in prima fila a sputare in faccia la casta dei politici,  da destra a sinistra passando per il centro, senza dimenticare grillini e valoristi,   che trovano il modo e  il coraggio di difendere i ladri e gli approfittatori e non trovano  il tempo di tutelare la più preziosa delle libertà: la libertà di dire quel che si pensa, anche di certa giustizia che spesso fa strame dei diritti dei singoli per tutelare se stessa. g.

UNA CRISI TRAGICOMICA, di Mario Sechi

Pubblicato il 20 settembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Raramente ho assistito – eppure ne ho viste tante – a una crisi politica che si trasforma in avanspettacolo. Riepiloghiamo: Renata Polverini l’altro ieri va in aula, parte lancia in resta e infilza tutto il consiglio: «O cambiate rotta, o andiamo a casa». Nel frattempo Franco Fiorito, detto «Er Batman», sparisce dal radar del palazzo della Regione. Lo spendaccione del Pdl, detentore dell’invidiabile record di bignè ingurgitati a ripetizione e dell’acquisto di pizza a metri, sembrava fosse in ritiro spirituale. Ieri i magistrati della procura di Roma lo hanno sottratto alle sue meditazioni per confessarlo. Mentre l’uomo-pipistrello del Pdl parlava con i pm, colpo di scena: la Polverini ha intenzione di dimettersi. Anzi no. Immaginate la scena in redazione: arriva il capocronista, entra nella stanza del direttore (senza bussare) ed esclama: «Aho’, Porverini molla!». Vabbè, facciamo una riunione per aggiornare il quotidiano. Ci sediamo intorno al tavolo e uno dei colleghi che segue la Regione esclama: «Nun se dimette più, s’è sentita male». In ogni caso, il giornale è da rifare.
Mai visto uno psicodramma del genere. Nemmeno il tempo di preoccuparsi che in rete spuntano le foto di una festa organizzata da un altro consigliere regionale del Pdl. Sia chiaro, ognuno è libero di spendere i propri soldi come vuole, ma vestirsi da suini e mettere in piedi un baraccone con qualche migliaio di persone in stile basso impero romano, non è certo il massimo in quest’epoca. Altro che sobrietà. «Er Batman» non è solo nell’universo. Al di là dell’uso dei fondi per i partiti, delle piccole e grandi ruberie, la realtà è che la politica è piena di Trimalcioni, è scosciata, scollacciata, sguaiata e improduttiva. Non sono un moralista, non fa per me, ma diamine, si diano una regolata. Altrimenti faranno tutti la fine di Fra’ Lusi, l’ex tesoriere della Margherita, che ieri si è svegliato all’alba per le orazioni del mattino. In convento. Visto che in casa a scontare i domiciliari c’è anche la moglie e insieme non possono stare. Lusi dopo aver colto il meglio della Margherita (i soldi in cassa) si ritrova alle prese con le erbe officinali. Che politica. Dalle maschere di maiale al saio.
Giunti a questo punto, che la Polverini resti o meno, ha poca importanza. Il danno irreparabile è fatto. E per loro è sempre carnevale. Mario Sechi, Il Tempo, 20 settembre 2012

.…………..Oggi è l’anniversario della presa di Porta Pia che restituì Roma all’Italia grazie ai bersaglieri di La Marmora e a qualche decina di morti e di feriti. Avrebbero fatto meglio a risparmiarli  quei poveri cristi – liberatori e liberati – e a lasciare Roma ai papalini che, almeno quelli, i festini vestiti da antichi romani non li avrebbero fatti. Quanto alla Polverini non è di certo l’Angelina di Anna Magnani, la sagace e integerrima popolana che sapeva difendere con le unghie e con i denti il popolo; la Polverini  è solo e invece una che non sa nemmeno lei perchè s’è ritrovata da centralinista a presidente del Lazio e che ora recita sul palcoscenico di un ritrovato Ambra Iovinelli, celebre ritrovo romano  di  soubrette  a mezzo servizio, una farsa che offende più delle ruberie. Ma che se ne ritorni lì da dove è venuta  e ci lasci in pace. Anzi, per dirla con i romani delusi e affranti  all’indomani della “liberazione”: annatevene tutti, lasciatece piangere da soli. g.

220 MILA PENSIONATI INPS DOVRANNO RESTITUIRE LA 14ESIMA

Pubblicato il 20 settembre, 2012 in Costume, Cronaca | No Comments »

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Roma, 20 set. (TMNews) – Sono 200mila i pensionati Inps  che dovranno restituire la quattordicesima indebitamente percepita nel 2009. Tanti sono gli errori riscontrati nelle autodichiarazioni presentate in quel periodo. A confermare le indiscrezioni dei giorni scorsi è stato il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, a Rai Radio 1.

“La quattordicesima è una bella iniziativa – ha detto Mastrapasqua – ma non può percepirla chi non ne ha diritto. Duecentomila persone hanno presentato dichiarazioni sbagliate, noi possiamo verificarle solo quando l’agenzia delle entrate rende disponibili i loro redditi per poi poter incrociare i dati. Per questo l’accertamento viene fatto quando questa somma è già stata versata. I pensionati che hanno indebitamente percepito la 14 esima – ha concluso – dovranno restituirla. L’Inps si incontrerà con i rappresentanti delle categorie per trovare il modo migliore di effettuare le trattenute cercando di salvaguardare le fasce più deboli”. Da Virgilio, 20 settmbre 2012

..………..Si tratta di pensionati che riscuotono pensioni minime, e che nel maggior numero di casi hanno superato di qualche decina di euro la soglia (circa 8 mila euro) sotto la quale si ha diritto a percepire la 14esima che aiuta chi la percepisce ad affrotnare le crescenti difficoltà economiche che affliggono i pensionati italiani. Di certo con qualche centinaia  di euro in più all’anno non solo non si arricchisconi ma neppure possono pensare di andarea ristoranti superlusso a mangiare aragoste e bere champagne, privilegi questi riservati alla casta, l’ingorda e famelica classe politica, manageriale (di cui fa parte  lo stesso presidente dell’Inps) e burocratica di cui ogni giorno leggiamo sulla stampa le “imprese” a spese dei contribuenti, compreso i pensionati a cui ora la inflessibile ragione di stato imporrà di restituire i pochi soldi percpeiti in più, non certo rubandoli ma solo per errori di calcolo non imputabili a loro. Ci sarà qualche ilustre parolaio, per esempio il superpresidente, che spednerà quyalche parola per chiedere che si faccia una sanatoria a favore di questi pensionati, disgraziati e sfortunati? Attendiamo notizie. g.