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ALLA FINE TUTTI I FURBI SI SONO MACCHIATI CON IL PESCE

Pubblicato il 19 settembre, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

In fondo anche questo va interpretato come un indizio del decadimento della classe politica italiana. Con tutti i soldi incassati – lecitamente o meno – dallo Stato, non c’è solo uno tra i novelli rappresentanti della casta cha abbia comprano un quadro di Picasso, un reperto storico o un libro per i propri figli. Tutti, o quasi, si sono sporcati le mani col pesce. Ovviamente pregiato – aragoste, caviale, spigole, cozze pelose – ma pur sempre un alimento, per soddisfare gli istinti primari più bassi piuttosto che cibare l’anima.
Sono lontani, insomma, i tempi dei ladri gentiluomini che ispiravano i feuilleton ottocenteschi, appassionati d’arte e di buone maniere. Dalle parti del Parlamento – ma anche delle Regioni, dei Comuni o della Guardia di Finanza; dovunque, in sostanza, girino soldi pubblici – il modello da prendere in esempio è quello di Franco Fiorito e dei suoi sodali del Pdl laziale. Che delle cene a base di pesce avevano fatto una vera e propria abitudine a spese dei contribuenti. Sono ormai famose le due fatture presentate al gruppo dal consigliere Andrea Bernaudo, protagonista di notevoli maratone gastronomiche da «Ottavio», a Santa Croce in Gerusalemme a Roma, con le ordinazioni che registravano ostriche francesi, crudi di pesce, moscardini, fragolino al sale, olio e pepe e vino Chardonnay: conti da 170 e 140 euro. A spese nostre.
Una volta il primo pensiero per il politico di turno era la casa. Ne sanno qualcosa i vari D’Alema, coinvolto in «Affittopoli»; Fini, inguaiato dall’appartamento monegasco del cognato; e Scajola, cui fu pagata, «a sua insaputa», una casa con vista sul Colosseo. Ora le priorità sono cambiate. Forse perché il ritorno dell’Ici sotto forma di Imu ha reso meno conveniente l’affare. Oppure perché sono stati proprio i traffici sulle case a scatenare i peggiori istinti di vendetta degli elettori, spesso alle prese con pesantissime rate del mutuo, e a costringere talvolta alle dimissioni chi è stato beccato con le mani nella marmellata.
Quindi si è passati al pesce. Con la speranza di cavarsela a miglior prezzo. «Di fronte alla corruzione che c’è, non me la vorranno mica far pagare per cinquanta cozze pelose?». In questi pensieri si macerava il sindaco Michele Emiliano quando si scoprì che aveva accettato in regalo diversi chili di pesce pregiato dalla famiglia di imprenditori baresi dei De Gennaro, titolari di diversi appalti in città.
Il primo cittadino non è mai stato indagato. Sorte diversa è toccata all’ex generale della Guardia di Finanza Roberto Speciale, oggi deputato del Pdl, condannato in secondo grado a 18 mesi per peculato ma con successivo annullamento della Cassazione che, di fatto, spinge la sua posizione verso la prescrizione. Speciale finì sotto accusa per un carico di spigole trasportato con un aereo militare fino a Predazzo, a Trento, perché «i finanzieri, quassù, il pesce non possono mangiarlo mai».
Perlomeno Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita, il suo spaghetto al caviale da 180 euro – tutti soldi sottratti dai rimborsi elettorali – non se l’è fatto portare a domicilio, ma lo ha consumato nell’elegante «La Rosetta» al Pantheon. Mentre Francesco Belsito, «taroccatore» dei conti della Lega, per i pranzi a base di aragosta dei parlamentari del «Cerchio magico» preferiva prenotare da «Tuna», a via Veneto.
Caso ha voluto che l’ex tesoriere del Carroccio venisse scoperto anche a causa delle paghette elargite a Renzo Bossi, che ha in un pesce, il Trota, il suo soprannome. Di questi tempi, un appellativo del genere significa la quasi certezza di finire nei guai. da Il Tempo, 19 settembre 2012

LE PRIMARIE DELLA CASTA LE HA GIA’ VINTE VENDOLA, IL PRESIDENTE DELLA REGIONE CAPITALE DEGLI SPRECHI

Pubblicato il 31 agosto, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Nichi Vendola vince le primarie: il Re della Casta e degli sprechi

Per tutti gli italiani andare in pensione è diventato un calvario. Qui no: puoi ancora ritirarti a 55 anni avendo versato contributi solo per cinque anni. E l’assegno mensile anche così supera i  tremila euro al mese, perché invece di essere tagliato come è avvenuto nel resto di Italia, viene periodicamente rivalutato. Dopo nemmeno un anno di lavoro puoi chiedere l’anticipo del Tfr, e fino a quando non hai raggiunto l’80% del dovuto puoi chiederlo anche l’anno dopo, e l’anno dopo ancora. Qui il numero uno può andare in giro su un’auto di lusso straniera tremila di cilindrata, e al suo vice è concessa una duemila di cilindrata con tutti i comfort, anche se c’è una legge che dice che sopra i 1.600 cc non si può salire.

Benevenuti in Puglia, nel regno di Nichi Vendola, nel cuore di quel consiglio regionale che oggi è il paese della cuccagna della Casta. Qui tutto è ancora possibile, e se non ci fossero delibere, timbri amministrativi, stanziamenti effettivi, ci sarebbe da non credere ai propri occhi. Accadono cose nel cuore della politica pugliese che nemmeno la più fervida fantasia avrebbe immaginato esistere in Sicilia, la tradizionale patria di tutti i mali della spesa pubblica, del privilegio dei satrapi.

In Puglia qualsiasi cosa è concessa. Tutto – anche quello che non  pensavi possibile – diventa realtà. Grazie allo status di consigliere regionale possono rifarsi una vita politici che ne hanno combinata più di una e sono stati triturati dalle cronache. Prendiamo Sandro Frisullo, il luogotenente di Massimo D’Alema in zona, finito in carcere per l’inchiesta su soldi e donne elargiti da Giampaolo Tarantini. Per lui la carriera politica si è dovuta chiudere, ma la Regione gli ha consentito di ripartire grazie a bei mattoncini per rifarsi una seconda vita. Prima gli ha consegnato un assegno di fine mandato da 388.992,96 euro. Il 13 luglio 2010 ha chiesto e ottenuto di andare in pensione anticipata a 55 anni e gli è stato concesso. Da allora percepisce ogni mese dalla Regione un assegno da 10.071,80 euro lordi. Non sarebbe mai accaduto in un altro posto. Ma almeno Frisullo era stato consigliere regionale ininterrottamente dal 1995 al 2010: 15 anni. L’8 marzo di quest’anno la domanda di pensione anticipata appena compiuto il cinquantacinquesimo anno di età è giunta da un altro ex consigliere regionale: Cosimo Mele. Era deputato dell’Udc quando finì nei guai per una notte in albergo in via Veneto con due donne – una delle quali finì all’ospedale per overdose di cocaina. Mele fu mandato a processo, e il leader del suo partito gli impose le dimissioni da deputato. Fu però consigliere regionale per tutti i 5 anni della precedente legislatura (2000-2005). Solo quelli aveva alle spalle, così il suo assegno previdenziale è per forza ridotto: 3.403,82 euro lordi al mese che gli vengono corrisposti dal consiglio regionale dal primo aprile scorso. Non lo farà diventare ricco, certo. Bisogna però provare a raccontare agli italiani comuni che con il governo di Mario Monti e la stretta pensionistica di Elsa Fornero in vigore, c’è un Mele in Puglia che può andare in pensione a 55 anni, avendone lavorati solo cinque, con 3.403,82 euro lordi di pensione.

I due nomi citati sono i più noti alle cronache nere nazionali, ma in Puglia sono a decine gli ex consiglieri che negli ultimi due anni sono andati in pensione prima dei 60 anni con emolumenti mensili di tutto rispetto (il più basso è quello di Mele). Non è una eccezione: è la regola. Per altro mentre le leggi nazionali in piena crisi economica dicevano tutt’altro e perfino i deputati e senatori tiravano la cinghia si tagliavano gli stipendi e i rimborsi spese, nel regno di Vendola è accaduto l’esatto opposto. I vitalizi sono stati ritenuti esenti dai tagli, e il loro importo è stato periodicamente rivalutato.

Che le leggi in Puglia vadano in controtendenza, è evidente perfino dal ruolino delle cause davanti alla Corte Costituzionale. Due vedono contrapposti Vendola e il presidente del Consiglio, Mario Monti. La prima nasce dal fatto che quando la legge nazionale ha deciso di ridurre i consiglieri regionali, in Puglia si è fatto un taglietto, scendendo a 60, dieci in più del tetto imposto agli altri. E il governo ha fatto loro causa. La seconda diatriba nasce da una legge di Giulio Tremonti che riduceva la spesa per consulenze e collaboratori. Anche la Puglia si è adeguata, ma non per tutti. Vendola ha escluso dalla scure proprio i suoi collaboratori, e così è stato citato prima da Berlusconi e poi da Monti di fronte alla Corte costituzionale.

Per capire come l’andazzo da queste parti sia di tutto altro tenore, tanto da trasformarsi nel paradiso della Casta, basta dare un’occhiata agli stanziamenti amministrativi che riguardano il presidente del consiglio regionale, Onofrio Introna, compagno di partito di Vendola in Sel. Quando si è insediato gli hanno messo a disposizione una Bmw. Lui ha voluto cambiare, preferendo una Audi A6 tremila di cilindrata. Siccome la Consip non ce l’aveva, ha costretto gli uffici della Regione a una trattativa privata con un noleggiatore del posto. Intanto che c’era, ha fatto prendere altre due Audi A6, però duemila di cilindrata, destinate al vicepresidente del consiglio regionale (Nicola Marmo, Pdl) e a un consigliere segretario. Non bastava l’auto di lusso. Quando Introna è nel suo bell’ufficio in Regione, che fa? Sicuramente scrive ad amici ed elettori. Perché ha chiesto e ottenuto una delibera amministrativa per la fornitura di carta intestata, buste e suppellettili a suo uso, indicandone anche i produttori prescelti: «500 buste shoppers della ditta Paperstore di Gravina di Puglia; n. 3mila fogli di carta intestata /Il Presidente/ e n. 3mila cartoncini formato americano intestati /Il Presidente/ della ditta Ragusa Tipografia di Bari; n. 70 cornici con riproduzione stemma Consiglio – lastra in argento – in vari formati, dalla ditta Braganti Antonio di Milano; n. 60 prodotti in terracotta artigianali /La nostra Terra/ dalla ditta Gallo Maria di Rutigliano (Ba)». Non si può dire che Introna non avesse idee sicure. Ma quando ha finito di scrivere? Nessun problema. Ha chiesto e ottenuto un abbonamento Sky che avesse dentro tutto, ma proprio tutto: partite di calcio, cinema, Hd, possibilità di registrare, perfino il pacchetto per le famiglie. Il primo anno valeva 65 euro al mese. Il secondo è lievitato a 1.800 euro anno, chissà perché. Visto che l’andazzo era quello, anche il vicepresidente Marmo non ha voluto esser da meno. Quando ha preso possesso del suo ufficio, ha deciso che i mobili erano «deteriorati e fatiscenti». E come il dirigente amministrativo ha voluto scrivere nella delibera di spesa, per coprirsi le spalle «considerato che lo stesso Vicepresidente ha fortemente insistito per la sostituzione degli arredi con quelli realizzati dalla ditta Fantoni», sono stati stanziati per la bisogna 9.513,60 euro.

Con un clima così, ognuno ha abbandonato qualsiasi ritegno. In pieno scandalo Luigi Lusi il 10 maggio scorso la Regione Puglia ha pagato alla società di riscossione crediti Credit Tech una fattura Telecom da 403,3 euro protestata al vecchio gruppo consiliare della Margherita. L’aveva girata alla amministrazione l’ex presidente del gruppo, Francesco Ognissanti, dopo avere controllato sul vecchio conto corrente locale del partito: «Ha ragione Telecom», ha spiegato Ognissanti agli uffici amministrativi della Regione, «ho controllato sul nostro conto del Banco di Napoli e noi quella bolletta non l’abbiamo mai pagata. Potete tranquillamente pagarla voi». E la Regione Puglia di Vendola, che quando si tratta della Casta ha un cuore grande come un melone, ha pagato il debito della Margherita senza battere ciglio. di Franco Bechis, Libero, 31 agosto 2012

.…Nessuna sorpresa. Vendola è un comunista non pentito. E tutti i comunisti predicano il bene per gli altri ma lo praticano solo per se stessi. Così la nomenklatura sovietica, così quella cubana, così quella cinese. Vendola, appunto,  è un mandarino cinese in salsa rossastra. g.

INGROIA E I GUAPPI DELL’ANTIMAFIA-SHOW

Pubblicato il 26 agosto, 2012 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Che tipi che sono, che guappi di cartone. Bisognerebbe lasciarli al loro destino di altezzosa ipocrisia, ha ragione Alessandro Sallusti.

Ma non si può. Lavorano sodo al peggio, e da tanti anni. Inquinano senza remore una democrazia impazzita. Rieducano menti e sentimenti dei ragazzi a una specie di Rivoluzione culturale di cui il web è tra i principali campi di correzione. Poi nascondono la mano, si rifugiano dalla mammina, e prolungano il grande inganno. Gustavo Zagrebelsky, giurista di regime e di lotta, raduna al Palasharp di Milano folle osannanti con Eco, Saviano e un tredicenne che dà dello schifoso al presidente del Consiglio dal basso della sua innocenza talebana, infine accusa Napolitano di essere «il perno» di un’azione di intimidazione della Procura di Palermo che vuole la verità sulla mafia. Rimbrottato dai suoi, per una volta, replica imbarazzato e imbarazzante che lui non fa politica, che il consenso del Palasharp non è la sua materia, lui è un tecnico «ingenuo» che cerca il diritto e lo storto nelle cose, risparmiategli la responsabilità personale di quello che dice e la lotta politica.

E il dottore Antonio Ingroia? È violento, come spesso succede ai fanatici, querela chi dissente da lui, pluriquerele «per una serena vecchiaia» con risarcimenti decisi dai colleghi in corporazione. Fa comizi con le mani in tasca e la toga sotto i piedi, illustra alle masse la retorica del partigiano, partigiano della Costituzione che l’immonda maggioranza parlamentare forse voleva riformare, come la Costituzione stessa prevede a maggioranza semplice, naturalmente per motivi criminali dietro lo schermo della politica. Vive di conferenze, di talk show e di libri mal scritti, mielosi, vanitosi, in cui ricorda la stima che gli portava un magistrato martire, perché c’è sempre un morto che afferra il vivo e lo mette sul piedistallo del vero, del giusto e del buono. Ingroia dovrebbe essere da tempo fuori dalla magistratura, consegnato alla politica partitante dei suoi compagni sindaci e capipopolo da un Consiglio superiore, se ce ne fosse uno non democristiano, non doroteo, non mellifluo e sulfureo come lo sono da tempo tutti i consessi togati che dovrebbero vigilare sul prestigio del giudiziario.

Il dottor Ingroia si comporta in modo nocivo e fazioso. Alimenta un mito mediatico-giudiziario-politico, un’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia «che non si regge in piedi», come ha detto in tv perfino un Enrico Deaglio, che sull’antimafia cingolata ha scritto intere biblioteche di plauso e ammirazione. Decreta con l’aiuto di Santoro e compagnia, davanti a milioni di sprovveduti spettatori della Rai, che c’è un’icona dell’antimafia, il pataccaro figliolo di Vito Ciancimino, e pluricalunniatore, e che lui è in grado di rivelare la verità sulle stragi e sull’omicidio di Borsellino e della sua scorta. Indovinate chi sono gli utilizzatori finali delle stragi, chi c’è al culmine della ricostruzione fantasiosa e sghemba, capace di travolgere anche i carabinieri che hanno arrestato Riina? Berlusconi e Dell’Utri, ovvio. Il metodo, riassunto nell’eternizzato fascicolo «sistemi criminali», è quello di tenere sempre aperta la porta all’indagine che non finisce mai, che deve nutrire le ambizioni di riscrittura della storia patria di un pugno di magistrati incaricati di applicare la legge, e per chiari motivi politici. L’agenda rossa di Borsellino, agitata in piazza con disgusto sommo e tardivo perfino del direttore di Repubblica Ezio Mauro, vale la villa di Como di un senatore e amico dell’ex premier. L’accusa di concorso esterno in mafia, distrutta dalla Cassazione con una relazione Jacoviello in cui si dice con smarrimento che in quel processo tutto c’è tranne la definizione del reato, è il suggello, naturalmente destinato a fallire, dell’attività di giustizia alla Ingroia. Potrei continuare con la tecnica delle interviste del suo ufficio, del suo sodale, a Repubblica e al Fatto, in cui si rivela che la voce del capo dello Stato è lì a disposizione degli happy few in toga, dunque attenti tutti a quel che fate e che dite. Ma ora debbo fermarmi.

Infatti il procuratore aggiunto, che non convince a firmare le sue carte nemmeno il procuratore capo e i membri tutti del suo ufficio, sente la pressione di un’Italia che alla fine gli resiste, e anche lui, come Zagrebelsky, si ritrova alla Fracchia con i diti tutti intrecciati, chiede venia in un’intervista al Corriere e in un articolo sull’Unità, per carità lui è sereno, e tutti giù a ridere, per carità anche lui è un ingenuo che applica il diritto come giudica sensato, mica ce l’ha con alcuno, da Napolitano agli altri, no, lui fa il suo mestiere e basta, la sua carriera internazionale fino all’Onu e al Guatemala, la sua partita la gioca non grazie ma nonostante le strumentalizzazioni non sollecitate del povero giornale tribuna dei manettari, scaricato con tante scuse alla prima curva. Un racconto di Leonardo Sciascia diceva che bisognerebbe essere uomini e invece spesso ci si ritrova ominicchi se non quaquaraquà. Giuliano Ferrara, 26 agosto 2012

…………Nulla da aggungere! g.

LE SOBRIE (SIC!) VACANZE DI MONTI IN SVIZZERA: AFFITTO DA 10 MILA EURO

Pubblicato il 23 agosto, 2012 in Costume, Cronaca | No Comments »

La famiglia Monti che passeggia, unita e serena, lungo il corso della ridente cittadina di montagna. I figli che giocano gioiosamente a palla coi nipoti.

La coppia presidenziale mano nella mano tra i campi. L’intero parentado riunito in un frugale pic nic. E nel prossimo numero, sono previste le foto della battaglia del grano, il Capo a torso nudo, mentre nuota, e sotto una gigantesca, autarchica M in marmo di Varese.

Mario, Mario, ti sorridono i Monti. E le gazzette ti fanno ciao. In una enfatica gara alla piaggeria che supera la stampa di regime di mussoliniana memoria, tutti i giornali italiani, con timidissime eccezioni, celebrano in ogni modo, ogni giorno, il nuovo premier, fin dalla sua (non) elezione. E ora, con un encomio inversamente proporzionale al calo del consenso, anche i rotocalchi più glamour e frou frou ambiscono a distinguersi per ossequio e adulazione. Riuscendoci benissimo, peraltro. Ultimi sobri scampoli di vacanza per il Caro Leader, nel suo buen retiro in Engadina con tutta la famiglia, e Vanity Fair – il corrispettivo cartaceo del Drive In di berlusconiana memoria – intona nel numero di questa settimana un’ode bucolica al divino Monti. E in un servizio a metà tra il cartone animato e le veline del Minculpop, regala al popolo italiano una inverosimile cartolina della operosa e frugale villeggiatura della esemplare famiglia presidenziale. Al tempo della democrazia vacante, le vacanze del democratico tecnocrate. Il Capo in sobria giacca da montagna in lana cotta, la first lady con sobrio maglioncino, immaginiamo non di cachemire, legato in vita, la figlia e il genero in sobrie letture impegnati, il secondo genito e la nuora con sobrio passeggino da campagna, i nipotini su sobrie biciclettine, immaginiamo di seconda mano.

Con un fiabesco reportage fotografico che tra vent’anni sarà studiato nelle facoltà di Comunicazione come esempio di propaganda giornalistica dell’era Monti, il settimanale più diffuso e popolare del Paese ci dimostra «come si può essere sobri anche nei luoghi più glamour», altro che bandane e barzellette piccanti: «Basta avere uno stile personale autentico». E con senso critico imparziale autentico, Vanity Fair racconta, a uso delle folle, l’immagine «più umana e meno cattedratica» del Professore in vacanza con tutta la famiglia. Dove? Ma in Engadina, la perla della Svizzera. Tanto amata dai filosofi, e dai banchieri.

Per dimostrare un forte attaccamento al Paese e alle sorti dell’economia nazionale, cosa di meglio che affittare una villa di due piani in Svizzera? E per la sobria somma di diecimila euro per pochi giorni? Del resto, si affretta a precisare il vanitoso, ma sobrio, foglio governativo, «da queste parti, dopotutto, un bilocale ne costa trentamila a settimana». Ah, beh… «In fondo, non si tratta di un castello… Nulla di esclusivo o riservato». Un vero affare, insomma, alla portata anche di un operaio dell’Ilva. È vero, Monti è un habitué, e – riferisce il settimanale – il padrone di casa gli ha fatto un bello sconto. Non si dice, però, se la Finanza svizzera, ammesso che esista, abbia effettuato un blitz per verificare l’emissione di regolare fattura.

Dallo scontino allo scontrino. Meglio non chiamare «furbetto» chi evade le tasse. Meglio non chiamare «vacanze» quelle che sono un «meritato riposo». Il Professore non dorme mai. Già stupiti di non apprendere che Monti abbia scelto come luogo di relax l’Hotel de Bilderberg, a Oosterbeek, con commossa partecipazione veniamo a sapere che nei giorni precedenti Ferragosto il premier è stato a Messa, che «ha fatto cose molto semplici: ha passeggiato intorno al lago con le lenti scure appoggiate agli occhiali da studio» (facciamo notare al giornalista che la sua collega che raccontò solo dei calzini azzurri di un giudice è stata sospesa dall’Ordine), che «si è divertito a guardare i nipoti che giocavano a calcio», che la mattina del 15 agosto è rimasto in casa – «A letto a riposare? No, a lavorare» – che «il massimo del colpo di testa è stata una passeggiata con la moglie in Val di Fex. Mano nella mano, come ragazzi». E poi, con i suoi famigliari, scortati da nove agenti su sobrie berline Volkswagen – non a caso la «macchina del popolo» – è stato accolto «a braccia aperte a una festa campestre privata, con tanto di tendone e tavolini da picnic lungo il ruscello». Essendo in Svizzera, ipotizziamo ci fosse anche Heidi con Fiocco di Neve. Polenta, salsiccia («in punta di forchetta») e simpatia. Chez Giuseppe Faina, presidente della Fondazione Milano per la Scala, che annovera tra i sostenitori banche, assicurazioni e grandi industrie «oltre a molti milanesi appassionati di lirica, come Monti e Signora, appunto». Mica come quei cafoni che si interessano solo delle partite del Milan e delle canzoni da crociera.

Si dice che quando Silvio Berlusconi invitò in Sardegna i coniugi Blair, la signora Cherie supplicò il marito di non farsi fotografare accanto all’allora premier italiano con bandana balneare. Probabilmente la Merkel, a parità di ritorno mediatico, pur essendo qui di casa, ha declinato l’invito a farsi vedere con Monti con la camicia a scacchi, zuava e zainetto in spalla. Del resto, come riferisce Velinity Fair, questa settimana per il Professore – l’Insonne della Bocconi – «è solo una pausa, un quarto d’ora accademico». E domani tornerà a tenerci la sua lezione. Purtroppo. Il Giornale, 23 agosto 2012

.………….E purtroppo per noi tutti, italiani, il ritorno di Monti si accompagnerà ad un altro nugolo di aumenti vertiginosi dei prezzi,. dalle tasse alla benzina. Ma perchè non se ne sta in Svizzera per un prolungato quanto sobrio riposo?

AL CAPO DELLA POLIZIA DIMEZZANO LO STIPENDIO: DA 55 MILA A 24 MILA EURO MENSILI, E LUI FA RICORSO

Pubblicato il 22 agosto, 2012 in Costume, Cronaca | No Comments »

Tempi di tagli in Italia, ma non proprio per tutti. Il decreto del presidente del Consiglio Mario Monti, quello con cui è stato fissato per legge che chi lavora per l’amministrazione pubblica non possa guadagnare di più del primo presidente della Corte di Cassazione (294mila euro l’anno), non è stato digerito da tutti. A guidare la fila dei ribelli ci sarebbeAntonio Manganelli: il capo della polizia, il manager pubblico più pagato d’Italia, avrebbe infatti presentato ricorso contro quel decreto che, di fatto, gli dimezza lo stipendio che oggi lo vede percepire qualcosa come 621mila euro all’anno.
La polemica del capo della polizia sulla notevole decurtazione della sua busta paga è solo la prima ufficiale, e non è da escludere che possa essere presto seguita da altre. La lista degli amministratori pubblici scontenti per questo nuovo (e improvviso) taglio, infatti, risulta essere molto lunga.

ecco alcuni funzionari di stato che rischiano di vedersi tagliato il loro magro stipendiuccio

1. Antonio Manganelli, capo della polizia: 621.253,75
2. Mario Canzio, ragioniere generale dello Stato: 562.331,86
3. Franco Ionta, capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: 543.954,42
4. Vincenzo Fortunato, capo di gabinetto del ministero dell’Economia: 536.906,98
5. Biagio Ambrate Abate, capo di stato maggiore della Difesa: 482.019,26
6. Raffaele Ferrara, direttore monopoli di Stato: 481.214,86
7. Giuseppe Valotto, capo di Stato maggiore esercito: 481.021,78
8. Bruno Branciforte, capo di Stato maggiore marina: 481.006,65
9. Giovanni Pitruzzella, Antitrust: 475.643,38 (gli altri componenti 396.379.00)
10. Pier Paolo Borboni, presidente Energia e gas: 475.643,00 (gli altri membri 396.379,00)
11. Corrado Calabrò, presidente Agcom: 475.634,38 (gli altri membri 396.369,44)
12. Leonardo Gallitelli, comandante dei carabinieri: 462.642,56
13. Giuseppe Bernardis, capo di Stato maggiore aeronautica: 460.052,83
14. Claudio De Bertolis, segretario generale Difesa: 451.072,44
15. Giampiero Massolo, segretario generale Affari esteri: 412.560,00
16. Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto ministero dell’Interno: 395.368,40
17. Giuseppe Vegas, presidente Consob: 387.000,00 (gli altri componenti 322.000,00)
18. Mauro Nori, direttore generale Inps: 377.214,86
19. Franco Gabrielli, capo della Protezione civile: 364.196,00
20. Cesare Patrone, direttore generale del corpo forestale: 362.422,13
21. Giuliano Quattrone, direttore generale Inps: 333.416,97
22. Massimo Pianese, direttore generale Inps: 322.841,14
23. Maria Grazia Sampietro, direttore generale Inps: 314.371,92
24. Gabriella Alemanno, direttore agenzia del territorio: 307.211
25. Giuseppe Baldino, direttore generale Inps: 306.548,79
26. Marco Di Capua, vicedirettore Agenzia delle entrate: 305.558,00
27. Attilio Befera, direttore Agenzia delle entrate: 304 mila
28. Nino Di Paola, comandante guardia di finanza (in pensione): 302.939,25 euro
29. Giuseppe Serino, capo dipartimento ministero Politiche agricole: 300.753,00
30. Enrico Giovannini, presidente dell’Istat: 300 mila
31. Giuseppe Ambrosio, direttore generale ministero Politiche agricole: 297.500,00
32. Daniela Becchini, direttore generale Inps: 296.208,91
33. Bruno Brattoli, capo dipartimento giustizia minorile: 293.029,60
…………..Poveraccio Manganelli…..come farà a campare con soli 24 mila  euro mensili visto che sinora gliene servivano 55 mila…e neanche ce la faceva ad arrivare a fine mese…? Ma come non si vergogna questo signore a lamentarsi di un taglio che comunque gli consente di percepire uno stipendio che è pari a circa 24 pensioni  medie  mensili di 24 operai italiani che hanno lavorato per 40 anni buttando il sangue e cogliendo gli obiettivi produttivi, cosa che non può certo dirsi del corpo che comanda questo Manganelli. E come non si vergognano tutti gli altri che percepiscono stipendi favolosi mentre milioni di cittadini percepiscono pensioni di fame con cui non ce la fanno neppure a pagare bollette e ricette? Ma davvero a costoro saranno tagliati gli stipendi? Ci crediamo poco. Magari sostituiranno i tagli con omoljmenti aggintivi , gettoni e consulenze varie. Cose che come si sa non si negano a nessuno della casta e sopratutto si possono facilemente nascondere. Anche al fisco. g.

ROSSELLA URRU, OVVERO UN ALTRO “SPRECO” ALL’ITALIANA

Pubblicato il 21 luglio, 2012 in Costume, Cronaca | No Comments »

la sig.na urru, come tanti suoi coetanei, vive un senso di colpa esistenziale verso i poveri e ce l’ha col mondo intero perche’ lei sta bene e altri no. e cosi’ decide di salvare il mondo e cosa fa? se ne va in un campo profughi del sud algeria, posto infestato da bande criminali e malfattori di ogni risma. per questo suo capriccio, l’italia ha dovuto pagare 10 milioni di euro a terroristi di al-quaeda, oltre ad impiegare altri svariati milioni per sostenere l’operazione e l’apparato di intelligence. cara rossella, bastava che voltavi l’angolo di casa tua, stesso nel tuo paese, e avresti trovato migliaia di poveri da assistere e aiutare e avresti comunque “salvato” il mondo, senza combinare tutto questo casino.

..un capriccio costato allo stato italiano tra i 15 e i 20 milioni di euro….soldi che potevano essere impiegati per aiutare i poveri e gli affamati qui in italia. rossella urru, poi, ha dichiarato: <<ringrazio tutti quelli che hanno sostenuto la mia famiglia e la liberazione. ora voglio continuare il mio lavoro.>> vuoi continuare il tuo lavoro!? eh gia’…se ti rapiscono di nuovo, pagano i contribuenti italiani il tuo riscatto.
ma cara rossella, non possiamo sostenere con i nostri soldi i tuoi capricci…
liberateci dalla urru!!!

….Da www.dagospia.it

.……..ed ha anche il coraggio di dire che non vede l’ora di tornare laggiù…ma se ne stia a casa e aiuti i poveri, i derelitti, gli strangolati dalle tasse che sono servite per pagare i suoi capricci. A proposito, Monti invece di fare il cascamorto all’rrivo della urru, avrebbe fatto meglio ad occuparsi dello spread che cavalca come un cavallo al gran premio di tordivalle. g.

LA FINE INGLORIOSA DI FINI, SERIAL KILLER DELLA DESTRA CHE HA AFFOSSATO TRE PARTITI

Pubblicato il 21 luglio, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

Missione compiuta, o quasi. John Francis Ends, il noto serial killer della Destra italiana, come ha scritto il Corriere della Sera del 1° luglio, è “pronto a sciogliere il Fli” dopo aver constatato, aggiustandosi la cravatta, che “alle amministrative abbiamo dimostrato la nostra marginalità e in certi casi ininfluenza”. E quindi dopo il Msi e dopo An, nel terzo episodio di questo film dell’orrore lungo diciassette anni, ecco ormai il terzo cadavere lasciato alle spalle, il Fli.
Per la verità, Mr. Ends, al secolo Gianfranco Fini, avrebbe detto: “Alle amministrative avete dimostrato marginalità e ininfluenza”, perché io, da presidente della Camera e quindi super partes, non ho partecipato alla campagna elettorale, quindi, va sottinteso, colpe non ne ho. Così riferisce chi ha partecipato alla riunione. Che si è svolta in un luogo quanto mai opportuno per gente di buon gusto come i finistei: all’appena inaugurato Eataly, “neotempio dei gourmet romani” dove, relaziona sempre l’autorevole Corriere, “all’ultimo piano del megacentro, dopo aver superato fritti e mozzarelle di bufala, culatelli di Zibello e piadine, ecco l’Assemblea nazionale” dei futuristi in libertà, dove il presidente del partito ha detto la sua. Insomma, l’ultima bufala doc.

Tra un “in un certo qual modo” e un appuntarsi a spuntarsi i bottoni della giacchetta, Fini ha per la verità anche detto che “non siamo un partito in liquidazione”, ma nessuno gli ha creduto anche perché molti dei suoi sono occupati a dilaniarsi fra loro (per esempio Filippo Rossi ha chiesto che Fabio Granata sia espulso dal partito “per indegnità”). L’avventura politica di questo sessantenne è dunque giunta al Finis? Non lo si può sapere, ma di certo vi è giunto tutto un mondo umano e culturale che egli ha purtroppo rappresentato e trascinato nelle sue sciagurate performance. Guardandosi alle spalle ha lasciato soltanto macerie.
Macerie e tabula rasa di un mondo che bene o male aveva retto per mezzo secolo. Perché il risultato, dall’epoca dello scontro con Rutelli per Roma (1993), all’ingresso nel primo governo Berlusconi (1994) e il lavacro di Fiuggi (1995), con il progressivo abbandono delle posizioni che avevano caratterizzato la Destra italiana da sempre, è stata la sua pressoché totale rottamazione. Perché a forza di aver paura del passato e dei suo simboli (qualcuno ricorda la mitica “coccinella”?!), ripudiandolo nella maniera più rozza, a forza di voler entrare nei cosiddetti “salotti buoni”, a forza di adeguarsi nel modo più piatto al “politicamente corretto”, a forza di “strappi” su tutti i piani senza proporre altra alternativa se non posizioni assolutamente ridicole per voler puntare al Centro, oggi la Destra non c’è più.
Addirittura il tentativo del cosiddetto Terzo polo, nell’assemblea del 30 giugno, è stato clamorosamente sconfessato e anche con parole dure. Esso, ha detto con parole oracolari Fini, gesticolando secondo suo costume, “è stato concepito come una somma di entità, uno stare insieme per disperazione”. Perdinci, una somma di disperati! Anch’esso dunque nella polvere. Un record assoluto: dove il presidente della Camera pone mano compie disastri. Un Re Mida alla rovescia.

Il peggiore, il maggiore, è di aver distrutto la Destra, senza aver costruito assolutamente nulla. Un sessantenne con un grande avvenire alle spalle. E tutti quelli che avevano creduto nelle sue parole? In questi vent’anni, quelli che non vi avevano creduto sono stati emarginati, grazie anche a coloro i quali a livello locale e soprattutto negli assessorati alla Cultura di paesi, città, province e regioni, hanno pensato bene di nascondere e dimenticare cosa era una cultura non conforme e non di sinistra. Vent’anni di semi-oblio hanno prodotto il risultato attuale: il Nulla. Sicché, in mano ai Tecnocrati cosa è possibile fare? Se non si riesce a fare qualcosa, di un mondo umano e culturale, oltre che politico, non resterà nemmeno il ricordo. di Gianfranco de Turris, 21 LUGLIO 2012

ECCO I TAGLI CHE NESSUNO VUOL FARE: NIENTE TETTO ALLE “PENSIONI D’ORO”.

Pubblicato il 3 luglio, 2012 in Costume, Economia, Politica | No Comments »

Ritirato l’emendamento che le riduceva a 6mila euro al mese, consentendo un risparmio di 2,3 miliardi di euro l’anno solo sulle pensioni pubbliche e se esteso al settore privato consentirebbe un risparmio di 15 miliardi l’anno. Conflitto di interessi dei ministri e sottosegretari “tecnici.”

Lungi da noi dire che, nel dire no al taglio delle pensioni d’oro, i membri dell’esecutivo Monti abbiano guardato in primis alle loro tasche, presenti o future. Ma, come si dice, i numeri non mentono. E in questo caso dicono che alcuni membri dell’esecutivo si troverebbero la pensione che già percepiscono severamente decurata dal proposto tetto di 6mila euro netti al mese. E altri, secondo quanto scrive Il Fatto quotidiano, se la troverebbero in futuro, visto quanto guadagnano oggi.

L’emendamento taglia-pensioni d’oro, presentato dal parlamentare del Pdl Guido Crosetto e che consentirebbe un risparmio di 2,3 miliardi solo sulle pensioni pubbliche e di 15 se fosse applicato anche al settore privato, è stato ritirato dopo le insistenti “pressioni” da parte del governo e degli stessi colleghi di Crosetto. “Smuovi un campo troppo ampio” gli aveva detto in Commissione il sottosegratario all’economia Gianfranco Polillo. Proprio lui che è titolare di una pensione di 9.541,13 euro netti al mese percepita dall’ottobre del 2006 dopo oltre 40 anni di servizio come funzionario della Camera. E che col tetto fissato a 6mila euro si troverebbe a perdere 3.541 euro al mese.

Tra i beneficiati dal mancato tetto ci sarebbe anche Elsa Fornero. Il ministro del Lavoro nel 2010 ha dichiarato un reddito di 402mila euro lordi annui, per cui non è difficile prevedere per lei una pensione al limite della “soglia Crosetto”. Il ministro Anna Maria Cancellieri dal novembre 2009 è titolare di una pensione di 6.688,70 euro netti al mese, frutto di una lunga carriera nell’amministrazione statale con l’ingresso al ministero degli Interni nel 1972. Il ministro della Difesa, Ammiraglio Giampaolo Di Paola, percepisce 314.522,64 euro di “pensione provvisoria”, pari a circa 20mila euro mensili. Il sottosegretario allo Sviluppo economico Massimo Vari percepisce 10.253,17 euro netti al mese, frutto di una lunga attività di magistrato fino a ricoprire la carica di vice-presidente emerito della Corte costituzionale. da Libero, 3 luglio 2012

RUTELLI SCRIVE A FELTRI: LUSI E’ UN LADRO. E FELTRI REPLICA: IO NON INVITO I LADRI IN CASA

Pubblicato il 26 giugno, 2012 in Costume, Politica | No Comments »

RUTELLI, IL BELLO GUAGLIONE DI PRODIANA MEMORIA, HA SCRITTO UNA LETTERA A VITTORIO FELTRI GRONDANTE INSIGNAZIONE E DISPERAZIONE PER LA VICENDA LUSI CHE SI E’ RIVELATO, SCRIVFE RUTELLI, UN TRADITORE E UN LADRO. LA REPLICA DI FELTRI CONCISA E IRONICA: IO NON HO MAI INVITAT I LADRI IN CASA. ECCO LA LETTERA DI RUTELLI E LA REPLICA DI FELTRI

Caro Feltri,
anche quando dissento da te – non capita di rado – ti leggo volentieri. La tua «Barzelletta dei vertici tenuti all’oscuro», pubblicata ieri, mi permette almeno di farti sorgere un dubbio.

Francesco Rutelli

Scrivi: «Il denaro è troppo importante per essere affidato a un furfante qualsiasi », a proposito dei milioni rubati dal tesoriere Lusi alla Margherita. Ma il punto è proprio questo: Lusi – dirigente scout, magistrato onorario, rompicoglioni ossessivo, capace di portare a casa dei bilanci del partito cospicuamente in attivo non si è dimostrato un furfante qualsiasi. Tutti gli atti giudiziari (si trovano anche su www. margheritaonline.com) attestano un’attività micidiale di artefazione e manomissione che ha tradito non solo tutti noi dirigenti politici, ma un illustre collegio di Revisori, il Comitato di tesoreria, la banca, il controllo successivo della Camera dei deputati. Controlli superficiali, dirai, a causa di norme permissive. È vero (mi batterò per rafforzarli ulteriormente, al Senato, quando approveremo la riforma del finanziamento dei partiti). Ma in un’inchiesta giudiziaria, ci sono gli imputati e ci sono le vittime. Noi siamo le vittime.
Grazie agli inquirenti, la Margherita è e sarà il primo partito politico a restituire allo Stato l’intero avanzo di bilancio (alla fine, circa 20 milioni di euro). Sappiamo che abbiamo sbagliato a scegliere Lusi, e che per questo ladrocinio subìto io per primo sto pagando un prezzo assai doloroso. So che subire tradimento, furto, diffamazione e dileggio può far parte del gioco. Eppure sono determinatissimo a uscirne con l’onore intatto: sono un politico che vive nella casa di famiglia, non si è arricchito, ed è tracciabile al centesimo.
Chi è Lusi? È un ladro.Confesso.Un traditore di chi ha avuto fiducia in lui. E il calunniatore delle sue stesse vittime. Almeno tu, caro Feltri, aiutaci perché non sia trasformato in una specie di giustiziere della politica. Grazie, con un saluto molto cordiale.
Francesco Rutelli

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Caro Rutelli,
anche a me è capitato di essere vittima dei ladri, ma ti giuro che non li avevo invitati io a casa.Vittorio Feltri.

da Il Giornale del 26 giugno 2012

QUELI CHE FANNO SCHIFO…di Massimo Fini

Pubblicato il 11 giugno, 2012 in Costume | No Comments »

Marco Travaglio raccontava qualche giorno fa degli ‘antemarcia’ cioè, flaianamente parlando, degli specialisti nel salire, all’ultimo momento, sul carro del vincitore. Fenomeno che da noi ha una lunghissima tradizione che risale alla nascita dell’Italia unitaria. Si cominciò col garibaldinismo. Se tutti quelli che dicevano di aver partecipato alla spedizione dei Mille l’avessero fatta, i Mille non sarebbero stati mille, ma qualche milione.

Si è continuato con gli ‘antemarcia’ propriamente detti, i fascisti che millantavano di aver partecipato alla peraltro ridicola ‘Marcia su Roma’. Il 25 aprile 1945 si assistette al miracolo gaudioso: gli italiani da tutti fascisti, o quasi, che erano stati, erano diventati, in un sol giorno, tutti antifascisti. Arturo Tofanelli, il fondatore di “Tempo illustrato”, il primo rotocalco italiano, mi raccontò che quel giorno stava tornando in treno da Torino a Milano. Affacciato al finestrino vedeva brillare, a centinaia, dei cerchietti ma, a causa del riflesso, non capiva cosa fossero. A una sosta del treno ne raccolse uno: era il distintivo del Pnf di cui gli italiani si stavano sbarazzando.

I ‘retromarcia’ sono una variante degli ‘antemarcia’. È gente troppo pubblicamente compromessa con l’antico regime per poter salire subito sul carro del vincitore. Hanno bisogno di fare prima un po’ di retromarcia che consiste nello sparare sul Capo che hanno caninamente servito per anni, ricavandone ogni sorta di prebende. Martelli adversus Craxi.

Adesso è l’ora di Berlusconi. Il 23 maggio ho aperto il Corriere e ho letto questa dichiarazione: “Il Cavaliere è un leader finito”. Di chi era? Di Di Pietro, di Vendola o almeno di Bersani? Era di Marcello Pera. Berlusconi sarà anche un uomo finito, ma Pera non è mai esistito. Presidente del Senato dal 2001 al 2006 di lui si ricorda solo una memorabile confessione: “In casa mi piace stare in mutande” (davanti a Berlusconi invece se le calava).

Pera fa parte di quel gruppo di ‘professori’, si fa per dire, di cui il Cavaliere, ignorante come una scarpa, amò circondarsi all’inizio della sua avventura politica (sbagliando perché gli intellettuali sono i più infìdi, i primi a lasciare la nave che affonda e non per nulla Bossi non ne ha mai voluto sapere).

Nelle riunioni di Forza Italia poi Pdl, i ‘professori’ si distinguevano più degli altri, ed è tutto dire, negli applausi scroscianti a ogni cazzata che diceva il Capo. La cosa era talmente bulgara che una volta che Saverio Vertone si dimenticò di battere le mani fu preso da Berlusconi letteralmente per le orecchie, che divennero rosse di vergogna.

Adesso è la volta di Schifani, un’altra ameba: “Il governo di Berlusconi è caduto per gli errori del Pdl”. Ho l’impressione che fra poco dovremo cominciare a difendere il nano di Arcore. Perché Berlusconi è quello che è, ma in quello che fa ci mette tutta la sua enorme energia. Alla fine degli anni 80 lo intervistai ad Arcore sul calcio (Fu una cosa divertente. A un certo punto il Berlusca si indispettì per le mie domande e pretendeva di farsele lui – come dopo la sua ‘discesa in campo’ sarebbe regolarmente avvenuto. Gli risposi: “Presidente, le domande spettano a me, a lei le risposte”).

Comunque in quell’intervista mi raccontò che quando, ragazzo, aveva messo su, con Confalonieri e altri amici di gioventù, una squadretta di calcio, era lui, alle nove di mattina, a tracciare col gesso le linee del campo, dell’area di rigore, di quella del portiere, eccetera. Gli altri, per questi lavori di bassa manovalanza, se la squagliavano. Credo fosse sincero. Berlusconi è quello che è. Ma i Pera, gli Schifani, i Cicchitto, i Bonaiuti e gli infiniti altri sono dei saprofiti, dei parassiti, delle zecche che gli hanno succhiato il sangue. E se Berlusconi può fare, o aver fatto paura, questi fanno solo schifo. Massimo Fini, Il Fatto quotidiano, 11 giugno 2012

…………..I voltagabbana sono stata una categoria sempre molto vasta quanto squallida.  Ai tempi della nostra ormai lontana gioventù,  frequentavamo l’abitazione di un simpatico burlone la cui moglie ci raccontò che la mattina del 26 luglio 1943, sfollati a Turi, e dovendo recarsi a Bari, lei e il marito andarano in stazione. Lungo la strada il marito raccolse un picolo fascio littorio tutto d’oro, evidentemente, pensarono,  “perduto” da qualcuno. Il marito, ci raccontò, si affrettò a infilarselo all’occhiello della giacca e ne fece immediato sfoggio, passeggiando lungo i binari in attesa del treno. E tutti,raccontò la signora,  ci guardavano senza però avvicinarsi. Il mistero di ciò fu svelato dal capostazione, loro amico, che,  avvicinandosi, sussurrò all’orrecchio: stanotte il fascismo è caduto.   E il marito, ci raccontò,  a sua volta, e più lesto del sussurro,  si sbarazzò dell’ormai imbarazzante cimelio. Ci ridevamo sopra, ogni volta che l’episodio veniva raccontato,  ma  era invece il ritratto di un’antica e, come testimonia Massimo Fini, mai rinnegata abitudine al tradimento, propria dei voltagabbana.   g.