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CAMERA DEI DEPUTATI: STIPENDI DA NABABBI AI DIPENDENTI

Pubblicato il 31 ottobre, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

136mila agli elettricisti, 358 mila ai consiglieri

La Camera dei Deputati (Corbis)La Camera dei Deputati (Corbis)

I conti li ha fatti «United for a fair economy», organizzazione che da Boston si batte contro la diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Dice una loro ricerca che se nel 1940 un amministratore delegato guadagnava 14 volte un lavoratore medio, oggi la proporzione è salita a 531 contro 1. E ci sono casi dove la distanza tra la base e il vertice di un’azienda è ancora maggiore: come per la Fiat, dove Sergio Marchionne guadagna 1.037 volte il suo dipendente medio. Un’esagerazione, la naturale evoluzione del capitalismo, oppure la giusta distanza? In ogni caso l’esatto opposto di quello che viene fuori sfogliando le tabelle allegate al bilancio della Camera dei deputati, in questi giorni all’esame dall’Aula. La distanza fra base e vertice è minima, la piramide delle busta paga si schiaccia come nemmeno negli Stati Uniti del 1940. E non perché la retribuzione dei vertici sia bassa, ma perché quella della base è molto elevata.
Il vertice di Montecitorio, il segretario generale, ha stipendio e responsabilità analoghe a quelle dell’amministratore delegato di una grande azienda: entra con uno stipendio di poco superiore ai 400 mila euro lordi l’anno, ai quali si aggiunge l’indennità di funzione. Ma è scendendo verso la base nella piramide che cresce vertiginosamente la distanza delle retribuzioni dal mercato. Gli operatori tecnici – categoria nella quale rientrano i centralinisti, gli elettricisti e pure il barbiere di Montecitorio – vengono assunti con uno stipendio che supera di poco i 30 mila euro lordi l’anno. Ma già dopo 10 anni la loro busta paga è quasi raddoppiata, superando quota 50 mila, e a fine carriera può arrivare a 136 mila euro l’anno. Tradotto: un elettricista, un centralinista e un barbiere della Camera, anche se a fine carriera, messi insieme guadagnano quanto il segretario generale, che è pur sempre a capo di 1.500 persone.

Una piramide schiacciata verso l’alto, appunto. E una fotografia che ha davvero poco a che fare con le busta paga del resto dei lavoratori, sia del settore privato che di quello pubblico. Per capire: il reddito medio degli italiani, al netto della nostra evasione fiscale record, si ferma di poco sotto i 20 mila euro lordi l’anno. Quasi la metà di un centralinista della Camera dei deputati ad inizio carriera. E di esempi possibili ce ne sono altri ancora. Gli oltre 400 assistenti parlamentari, cioè i commessi di Montecitorio, guadagnano in media come il direttore di una filiale di banca, eppure in generale non svolgono compiti molto diversi dagli uscieri di altri simili uffici pubblici. Inoltre, sono numerosissimi: 0,7 per ogni deputato, dopo il taglio voluto dall’attuale segretario generale, mentre dieci anni fa il rapporto era addirittura 1 a 1. La busta paga degli oltre 170 «consiglieri parlamentari» ha in media lo stesso peso di quella di un primario ospedaliero, ma a fine carriera supera i 350 mila euro l’anno. Mentre il primario ha la responsabilità di un reparto, i consiglieri si limitano a svolgere attività di studio e ricerca, o di assistenza giuridico legale e amministrativa. Tutto bene così?

In realtà a complicare i conteggi c’è anche quella selva di indennità che si aggiungono allo stipendio minimo e che riguardano tutti i livelli dell’amministrazione: dai 662 euro netti mensili riservati al segretario generale giù fino ai 108,97 euro, sempre netti e al mese, per gli autisti parcheggiatori, passando per gli 85 riservati a chi lavora in cucina e per i 108 incassati dagli addetti al recapito della corrispondenza.
Ma, pur con la sua piramide schiacciata verso l’alto, la Camera almeno un merito ce l’ha. L’approvazione del bilancio arriva dopo che già quest’estate i dati sugli stipendi dei dipendenti erano stati resi pubblici: un file scaricabile direttamente dal sito internet conferma quelli che per anni erano stati solo sussurri e pettegolezzi. Un’operazione trasparenza, che al Senato non si è ancora vista. Da settimane si dice che gli stessi dati dovrebbero essere pubblicati a breve da Palazzo Madama. Anche quella è una piramide schiacciata, anche quella verso l’alto, probabilmente un po’ più in alto rispetto alla Camera. Ma per il momento bisogna accontentarsi di qualche vecchio dato e di qualche nuovo sussurro. Fonte: Corriere della Sera, 31 ottobre 2013

…….Chi l’ha detto che i nostri superprivilegiati parlamentari pensano solo a se stessi? Invece pensano anche agli altri, cioè  e solo ai dipendenti della Camera, molti dei quali, c’è da scommettere sono parenti, compari e figli di parenti e compari degli stessi parlamentari, ai quali sono riservati stipendi da nababbi.

IL PECCATO NAZIONALE, di Ernesto Galli Della Loggia

Pubblicato il 28 ottobre, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

«Non è mica colpa nostra! È lui, sono loro (a piacere Berlusconi, Prodi, la Sinistra, la Destra) che hanno ridotto il Paese così». La grande maggioranza degli italiani è ormai consapevole della gravità della situazione in cui ci troviamo, avverte che a questo punto solo scelte coraggiose e magari anche impopolari, solo drastiche rotture rispetto al passato possono allontanarci da quel vero e proprio declino storico che altrimenti ci attende. Ma questa maggioranza è tenuta in ostaggio da quel grido lanciato di continuo dalla minoranza disinformata e settaria dell’opinione pubblica: «Non è colpa nostra! È colpa di altri». Un grido, un giudizio intimidatorio, che ha il solo effetto politico di dividere, di impedire quel minimo di accordo generale sulle responsabilità passate e perciò sulle decisioni audaci di cui c’è tanto disperato bisogno. Contribuendo così a rendere la soluzione della crisi ancora più lontana.

Invece bisogna convincersi - a destra come a sinistra – che non è «colpa loro». Della situazione drammatica in cui si trova l’Italia è colpa nostra, è colpa di tutti, sia pure, come si capisce, in grado diverso. La politica, i politici, per esempio, hanno certamente responsabilità primaria perché alla fine è la politica che decide. Ma in realtà la vera colpa della politica nel caso italiano è stata soprattutto quella di non avere alcun progetto, alcuna idea; e se l’aveva di non essere stata capace di realizzarla. Di non aver fatto. Per esempio di non essere stata in grado di opporsi alle richieste caotiche e spesso alle pretese (nonché ai vizi antichi) della società italiana. E quindi di aver scelto ogni volta la soluzione più facile e più demagogica: che naturalmente era quasi sempre anche la meno saggia e la più costosa per l’erario. L’Italia insomma è stata per un trentennio la scena di un grandioso concorso di colpe: tra i partiti e la politica da un lato, e dall’altro gli italiani e – elemento non meno importante – le élite economico-burocratiche che di fatto hanno anch’esse (eccome!) governato il Paese.

Oggi, insomma, paghiamo per errori e omissioni che rimontano indietro di decenni. La nostra crisi odierna viene da lontano. Viene dal consenso ricercato da tutti – sì da tutti, dalla Destra come dalla Sinistra – ricorrendo alla spesa pubblica. Viene da centinaia di migliaia di pensioni di invalidità elargite a chi non le meritava, e in genere da un sistema pensionistico che per anni ha consentito a decine e decine di migliaia di italiani di destra come di sinistra di andare in pensione con un’anzianità ridicola; viene da troppi lavori pubblici decisi da amministrazioni di ogni colore e costatati dieci volte il previsto; da troppi posti assegnati in base a una raccomandazione (solo agli elettori del Pdl? Solo a quelli del Pd?). Viene da troppi organici gonfiati per ragioni clientelari ad opera di tutte le pubbliche amministrazioni; da troppi investimenti sbagliati, rimandati o non fatti dagli imprenditori e dalla loro propensione a eludere le leggi; dalle troppe tasse evase da commercianti e professionisti (davvero tutti di destra o tutti di sinistra?); viene dalla troppa indulgenza usata nella scuola e nell’università, dall’aver accondisceso a tante illegalità specie se potevano (non importa con quale fondamento) invocare ragioni «sociali» (vedi le «occupazioni» di ogni specie); da una miriade infinita di piccoli abusi quotidianamente praticati e tollerati – per esempio nell’edilizia, nell’urbanistica, nella circolazione, nella raccolta dei rifiuti – che tutti insieme hanno rovinato e spesso reso invivibili le città e il paesaggio italiani. Da tutto ciò viene la nostra crisi: da questo multiforme sfilacciamento del tessuto collettivo, da questa indifferenza al senso della realtà. Chiamarsene fuori facendo sfoggio di virtù e cercare un capro espiatorio nella parte politica che non ci piace testimonia solo di una cieca faziosità.

È quella stessa faziosità propria della minoranza settaria che tiene in ostaggio anche il discorso pubblico del Paese e si manifesta nell’irrefrenabile pulsione a trovare complici del male specialmente nella stampa: in chi scrive nel modo che essa non gradisce. Sempre rivolgendo la sua ossessiva domanda inquisitoria che suona: «Ma voi dove eravate quando A faceva questo?», «Che cosa avete scritto quando B diceva quest’altro?». Domande inquisitorie che naturalmente contengono già dentro di sé la risposta, dal momento che secondo questi accusatori – che credono di ricordare tutto e invece non ricordano nulla – la stampa che a loro non piace avrebbe sempre chiuso gli occhi, sempre taciuto, finto di non vedere, e suonato la grancassa in onore del Potere.

Se avesse senso verrebbe da rispondere: «Fuori le prove!». In realtà una tale accusa è solo il segno della superficialità disinformata e settaria, unita al moralismo aggressivo che ci hanno regalato gli anni della Seconda Repubblica. La superficialità e il moralismo che portano a credere che chi non si proclama preliminarmente contro vuol dire che allora è necessariamente a favore; che l’unico commento possibile a qualsiasi cosa che non piaccia debba essere la maledizione. Che rifiutano visceralmente l’idea che capire e analizzare è più importante – e soprattutto più utile al lettore – che non aizzare o capeggiare una tifoseria. Alla domanda «Dove eravate quando…?» la risposta dunque è: eravamo dalla parte di questa idea dell’informazione e del giornalismo. Di certo ve ne possono essere legittimamente, e ve ne sono, delle altre. Ma ancora più certo è che non sarà con le filippiche ossessive, con le cacce all’untore né con le autoassoluzioni a buon mercato, che l’Italia riuscirà a correggere i mille sbagli commessi. Che essa riuscirà a costruire quel minimo di accordo su quanto è realmente successo nel suo passato senza il quale non può esserci speranza alcuna di un futuro.Ernesto Galli della Loggia, Il Corriere della Sera, 28 ottobre 2013

I CONCORSI TRUCCATI IN UN PAESE ANCOERA FEUDALE

Pubblicato il 6 ottobre, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

L’inchiesta di Bari coinvolge 38 docenti, tra cui i 5 “saggi” chiamati dal governo, ma svela ciò che tutti sanno: le università sono una lobby

Non servono i saggi per rispondere a questa domanda. Come si diventa professori universitari? Lo sanno tutti. Non basta fare il concorso. Quello è l’atto finale, la fatica è arrivarci con qualche possibilità di vincerlo.

È una corsa con regole antiche, dove la bravura è solo una delle tante componenti in gioco.

L’università è un mondo feudale. I baroni non si chiamano così per caso. Ognuno di loro ha vassalli da piazzare. Entri se sei fedele, se sei pure bravo tanto meglio. È la logica della cooptazione. Ti scelgo dall’alto, per affinità, per affidabilità, per simpatia, perché apparteniamo allo stesso partito, alla stessa lobby, allo stesso giro. I baroni si riproducono tagliando fuori i devianti, le schegge impazzite, i cani sciolti. Molti sono convinti che in fondo questo sia un buon modo per selezionare una classe dirigente.

Magari hanno ragione, magari no e il prezzo che si paga è la «mummificazione». Fatto sta che sotto il concorso pubblico ufficiale ci sono trattative, accordi, arrivi pilotati, rapporti di forza, «questa volta tocca al mio», «tu vai qui e l’altro lo mandiamo lì». La stragrande maggioranza dei futuri accademici vive e accetta questa logica. È l’università. È sempre stato così. Perché cambiare? L’importante è mandare avanti la finzione dei concorsi. È la consuetudine e pazienza se è «contra legem».

I concorsi in genere funzionano così e il bello è che non è un segreto. Poi ogni tanto il meccanismo si inceppa. Qualcuno per fortuna ha il coraggio di denunciare o i baroni la fanno davvero sporca. È quello che è successo con un’inchiesta che parte da Bari e tocca una costellazione di atenei: Trento, Sassari, Bicocca, Lum, Valle d’Aosta, Benevento, Roma Tre e l’Europea. Sotto accusa finiscono 38 docenti, ma la notizia è che tra questi ci sono cinque «saggi». Cinque costituzionalisti cari al Colle. Augusto Barbera, Lorenza Violini, Beniamino Caravita, Giuseppe De Vergottini, Carmela Salazar.

Che fanno i saggi? Solo pochi illuminati lo hanno davvero capito. Forse qualcuno ancora se li ricorda. Sono quel gruppo di professori nominati da Enrico Letta su consiglio di Napolitano per immaginare la terza Repubblica. Sulla carta dovevano gettare le basi per cambiare la Costituzione. In principio erano venti, poi per accontentare le larghe intese sono diventati trentacinque, alla fine si sono aggiunti anche sette estensori, con il compito di mettere in italiano corrente i pensieri degli altri. Risultato: quarantadue. Il lavoro lo hanno finito. Quando servirà ancora non si sa.

I cinque saggi fino a prova contraria sono innocenti. Non è il caso di metterli alla gogna. Il sistema feudale però esiste. Basta chiederlo in privato a qualsiasi barone. Ed è qui che nasce il problema politico. Questo è un Paese feudale dove chi deve cambiare le regole è un feudatario. Non è solo l’università. L’accademia è solo uno dei simboli più visibili. È la nostra visione del mondo che resta aggrappata a un eterno feudalesimo. Sono feudali le burocrazie che comandano nei ministeri, paladini di ogni controriforma. È feudale il sistema politico. Sono feudali i tecnici che di tanto in tanto si improvvisano salvatori della patria. È feudale il mondo della sanità, della magistratura, del giornalismo. È feudale la cultura degli eurocrati di Bruxelles. È feudale il verbo del Quirinale.

È stato sempre così. Solo che il sistema negli anni è diventato ancora più rigido. Lo spazio per gli outsider sta scomparendo. L’ingresso delle consorterie è zeppo di cavalli di frisia e filo spinato. La crisi ha fatto il resto. Se prima era tollerata un quota di non cooptazione dall’alto, ora la fame di posti liberi ha tagliato fuori i non allineati. E sono loro che generano cambiamento.

Il finale di questa storia allora è tutto qui. Quando qualcuno sceglie 42 saggi per pilotare il cambiamento non vi fidate. Nella migliore delle ipotesi sta perdendo tempo, nella peggiore il concorso è truccato. Il prossimo candidato vincente è già stato scelto. Il nome? C’è chi lo sa. da Il Giornale, 6 ottobre 2013

……..Nessun commento!

LA MIA AFRICA A NORD DI COPENAGHEN, di Giuseppe Scaraffia

Pubblicato il 15 settembre, 2013 in Costume, Storia | No Comments »

La mia Africa, tratto dal romanzo-biografia di Kareb Bixen, brillante scrittrice afro-danese, è uno dei film più belli di tutti i tempi, con due interpreti eccezionali, Meryl Streep e Robert Redford.   Lo  andammo a vedere  la prima al cinema Galleria,  nel 1986,  lo abbiamo rivisto poi tante volte,  commuovendoci ogni volta come la prima.   A Karen Bixen,   Giuseppe Scaraffia,  giornalista e scrittore,  dedica su Qui Touring di Settembre,  la rivista mensile del Touring Club Italiano, uno staordinario ritratto-ricordo che pubblichiamo quale nostro omaggio alla grande scrittrice danese. g.

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L’origine è la meta, diceva Karl Kraus, e fu così che una delle più grandi autrici del Novecento, Karen Blixen, ritrovò al tramonto della sua vita la casa natale di Rungstedlund, oggi museo, a una ventina di chilometri da Copenaghen. Prima di essere della sua famiglia, la casa era stata, dalla fine del Seicento ai primi dell’Ottocento, una locanda.
Il grande parco, una quarantina di acri, è diventato, per testamento dell’autrice de La mia Africa, una riserva per i volatili. Dentro la casa, come nella sua vita e nel suo cuore, la Danimarca e l’Africa, il passato prossimo e quello remoto sembrano avere trovato un equilibrio segreto. All’inizio la nostalgia dell’Africa era così forte che per tredici anni non aveva osato aprire le casse provenienti dalla sua fattoria.

Nella stanza dei giochi, i ritratti dei neri fatti dalla scrittrice fiancheggiano i suoi disegni giovanili. I mobili della stanza verde, destinata agli ospiti, venivano dalla fattoria keniota. Il cassettone, regalo del fedelissimo cameriere nero Farah, non urta con la poltrona dove si sedeva il grande amore di Karen, morto in un incidente aereo in Africa, Denys Finch Hatton. Le lance e gli scudi dei guerrieri masai che in Africa vivevano vicino alla sua fattoria vegliano su una piccola libreria. La pendola ereditata dal nonno era stata ribattezzata il Profeta perché suonava immancabilmente il venerdì, giorno della preghiera per i fedeli dell’Islam.
Karen riceveva gli ospiti davanti al maestoso camino di marmo del salotto. Tra i muri azzurro pallido, la luminosità delle tende e delle fodere bianche dei divani e delle poltrone Luigi XVI evoca la luce irripetibile dell’Africa.
Ovunque, straordinari mazzi di fiori composti dalla Blixen erano la prova della sua fedeltà al proposito: «Dipingerò con i fiori». Per lavorare, sia nello studio sia in casa, usava la vecchia macchina da scrivere Corona o la penna, come provano i manoscritti esposti nella sua abitazione diventata museo.

A volte la Blixen faceva suonare musiche del Settecento sul grammofono regalatole da Finch Hatton. La morte dell’uomo, insieme al fallimento della sua avventura di produttrice di caffè, era stata una delle cause del suo ritorno in patria. Anche se la sifilide, trasmessale dal marito, la stava lentamente consumando, a quarant’anni era ancora affascinante. A volte stava così male da non riuscire a reggersi in piedi, ma non aveva la minima intenzione di arrendersi alla malattia. Voleva «la vittoria strappata alla disfatta». Quando si ristabiliva, le piaceva andare in bicicletta: una volta la videro arrivare a una festa con l’abito da sera fermato dalle pinze per poter pedalare meglio.

L’autrice del Pranzo di babette viveva ormai solo di ostriche, champagne, qualche chicco d’uva o un succo di frutta. La «persona più sottile del mondo», quale si vantava di essere diventata, riceveva i rari amici in salotto, davanti al fuoco. Sorseggiava distrattamente il tè fumando una sigaretta dopo l’altra, senza mai smettere di parlare. I grandi occhi scuri brillavano misteriosamente nel viso scarnificato.
Secondo l’umore, il suo aspetto subiva sorprendenti metamorfosi. Sembrava, come lei stessa diceva, «ora una vecchia strega, ora una fanciulla». Mentre si stava congedando dalla vita, era entrata definitivamente nella scrittura: lo choc del ritorno a casa le aveva insegnato che «tutti i dolori sono sopportabili se li si fa entrare in una storia o se si può raccontare una storia su di essi».Giuseppe Scaraffia, Qui Touring, settembre 2013

COME PREMIARE L’ILLEGALITA’….A NAPOLI SI PUO’

Pubblicato il 13 settembre, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Circola in Italia una strana idea di legalità. I suoi cultori chiedono alle Procure di esercitare il ruolo improprio di «controllori» ma non appena possono premiano l’illegalità, per demagogia o per calcolo elettorale. È il caso di Napoli, città-faro del movimento giustizialista visto che ha eletto sindaco un pm, dove è stata appena approvata, praticamente all’unanimità, la sanatoria degli occupanti abusivi delle case comunali. Nel capoluogo partenopeo si tratta di un fenomeno vastissimo: sono circa 4.500 le domande di condono giunte al Comune per altrettanti alloggi. Per ogni famiglia che vedrà legalizzato un abuso, una famiglia che avrebbe invece diritto all’abitazione secondo le regole e le graduatorie perderà la casa. Non c’è modo migliore di sancire la legge del più forte, del più illegale; e di invitare altri futuri abusivi a spaccare serrature e scippare alloggi destinati ai bisognosi.

Ma nelle particolari condizioni di Napoli la sanatoria non è solo iniqua; è anche un premio alla camorra organizzata. È stato infatti provato da inchieste giornalistiche e giudiziarie che «l’occupazione abusiva di case è per i clan la modalità privilegiata di occupazione del territorio», come ha detto un pubblico ministero. In rioni diventati tristemente famosi, a Secondigliano, Ponticelli, San Giovanni, cacciare con il fuoco e le pistole i legittimi assegnatari per mettere al loro posto gli affiliati o i clientes della famiglia camorristica è il modo per impadronirsi di intere fette della città; sfruttando le strutture architettoniche dell’edilizia popolare per creare veri e propri «fortini», canyon chiusi da cancelli, garitte, telecamere, posti di blocco, praticamente inaccessibili dall’esterno e perfetto nascondiglio per latitanti, armi e droga.

Non che tutto questo non lo sappia il sindaco de Magistris, che a Napoli ha fatto il procuratore. E infatti ha evitato di assumersi in prima persona la responsabilità di questa scelta. L’ha però lasciata fare al consiglio comunale, Pd e Pdl in testa, difendendola poi con il solito eufemismo politico: «Non è una sanatoria. Io la chiamerei delibera sul diritto alla casa». E in effetti è una delibera che riconosce il diritto alla casa a chi già ce l’ha, avendola occupata con la forza o l’astuzia. Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 13 settembre 2013

……Scommettiamo che se De Magistris, in questa circostanza,  invece che sindaco di Napoli fosse  stato procuratore della Repubblica,  il sindaco, chiunque fosse, lo avrebbe arrestato? E per una volta avrebbe avuto ragione perchè legalizzare un reato quale è non solo l’occupazione abusiva di una casa ma anche la sottrazione della proprietà al legittimo proprietario, per di più con la forza, è a sua volta un reato che va perseguito e punito, severamente e immediatamente,  visto che la sempre invocata Costituzione “più bella del mondo” riconosce e tutela la proprietà privata.  Invece De Magistris, come denuncia Polito, se ne è uscito con una tesi  che più che l’arresto meriterebbe la gogna:  legalizzare il reato serve a riconoscere il diritto alla casa….e il diritto di chi la casa se l’è vista sgraffignare sotto il muso? Diciamoci la verità: De Magistris, come tanti come lui, è quel che ci meritiamo allorchè andando a votare dimentichiamo l’antico adagio che ammoniva: il meglio  (o quel che tale appare) è sempre nemico del bene. Ogni riferimento a ciò che è sotto il nostro naso è puramente voluto. g.

SE NON E’ ZUPPA, E’ PAN BAGNATO: AMATO GIULIANO, IL DOTTOR SOTTILE DI CRAXI, NOMINATO GIUDICE COSTITUZIONALE

Pubblicato il 12 settembre, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Giuliano Amato giudice costituzionale

ROMA, 12 SET – Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, “con decreto in data odierna, ha nominato ai sensi dell’art. 135 della Costituzione, Giudice della Corte Costituzionale il Professore Giuliano Amato”. Fa parte delle prerogative del Capo dello Stato scegliere cinque dei quindici ‘giudici delle leggi”’.

“Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano con decreto in data odierna – si legge nella nota del Quirinale – ha nominato ai sensi dell’art. 135 della Costituzione, Giudice della Corte Costituzionale il Professore Giuliano Amato, in sostituzione del Professor Franco Gallo, il quale cessa dalle sue funzioni di Giudice e di Presidente della Corte Costituzionale il prossimo 16 settembre. Il decreto è stato controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri Onorevole Dottor Enrico Letta. Della nomina del nuovo Giudice Costituzionale il Capo dello Stato ha dato comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica, al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente della Corte Costituzionale”. Fonte ANSA, 12 settembre 2013

…………………..L’antico proverbio contadino è quanto mai “azzeccato” per l’ultima nomina di Napolitano che non contento di aver infoltito la sinistra del Senato con quattro nuovi senatori a vita al costo sine die di un milione di euro all’anno, stamattina ha nominato un nuovo giudice costituzionale, e guarda caso anche questa volta di sinistra, nella persona di Giuliano Amato, meglio noto come il prezzemolo di tutte le minestre, da quella craxiana, a quella dei banchieri a cui dedicò la “rapina” cui sottopose i conti correnti degli italiani nel 1992, depredandoli notte tempo di una prelievo forzato mai più restituito. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti di tutti i fiumi del mondo ma lui, il Giuliano nazionale, il dottor sottile che suggeriva a Craxi le mosse politiche, è riuscito non solo ad uscire indenne da ogni sconvolgimento ma ha tratto fior di vantaggi,  dalla nomina a premier nel 1992 al posto di Craxi che tradì senza indugi, alla nomina  apremier dopo D’Alema agli sgoccioli della maggioranza ulivista di Prodi del 1996. Qualche settimana fa non gli è riuscito di fare bingo con la elezione a presidente della Repubblica che avrebbe aggiunto un ulteriore sonoro tintinnare di emolumenti mensili a quelli, davvero miserabili che riscuote ogni mese: 35 mila euro, ma non si è perso d’animo ed infatti dopo una breve attesa intervallata dalla mancata nomina a seatore a vita ecco la nomina a giudice costituzionale, nell’ambito della quale, potrebbe, forse a breve, dimostrare il suo eterno contorcimento, negando a Berlusconi, ex amico di Craxi e quindi anche suo ex amico, una qualsivoglia benevolenza a proposito della legge Severino ove fosse quest’ultima  fosse sottoposta al vaglio di costituzionalità. Anche in questo malaugurato caso il nostro non  si sottrarrebbe e farebbe il suo dovere: sempre al servizio di Sua Maestà  di Chi comanda. g.

L’IMPROBABILE ESPULSIONE (DELLA GUERRA)

Pubblicato il 8 settembre, 2013 in Costume, Politica estera | No Comments »

Quale persona ragionevole può preferire la guerra alla pace? Non stupiscono dunque i vasti consensi che alla luce di un possibile intervento militare americano in Siria ha ricevuto l’appello del Papa contro la guerra. Appello che, si badi, non evoca affatto l’argomento che in questo specifico caso la guerra sarebbe ingiustificata (cioè «non giusta»), ma esprime semplicemente un reciso e totale no alla guerra. Proprio questo carattere generale e programmatico dell’appello papale alla pace – oggi in palese sintonia con un orientamento profondo proprio dello spirito pubblico dell’intera Europa continentale – solleva però almeno tre grandi ordini di problemi, che sarebbe ipocrita tacere.
l) L’ostilità di principio alla guerra (fatto salvo, immagino, il caso di una guerra di pura difesa, tuttavia non facilmente definibile: la guerra dichiarata dalla Gran Bretagna e dalla Francia alla Germania nel 1939, per esempio, era di difesa o no?) cancella virtualmente dalla storia la categoria stessa di «nemico» (e quella connessa di «pericolo»). Cioè di un qualche potere che è ragionevole credere intento a volere in vari modi il nostro male; e contro il quale quindi è altrettanto ragionevole cercare di premunirsi (per esempio mantenendo un esercito). Chi oggi dice no alla guerra è davvero convinto che l’Europa e in genere l’Occidente non abbiano più nemici? E se pensa che invece per entrambi di nemici ve ne siano, che cosa suggerisce di fare oltre a essere «contro la guerra»?
2) In genere, poi, chi si pronuncia in tal senso è tuttavia favorevole all’esistenza di un’Europa unita quale vero soggetto politico. Un’Europa perciò che abbia una politica estera. La questione che si pone allora è come sia possibile avere una tale politica rinunciando ad avere insieme una politica militare, un esercito e degli armamenti (e quindi anche delle fabbriche d’armi). È immaginabile un qualunque ruolo internazionale di un minimo rilievo non avendo alcuna capacità di sanzione? Altri Stati senza dubbio tale capacità l’avranno: si deve allora lasciare campo libero ad essi? Ma con quale guadagno per la pace?
3) C’è infine un argomento molto usato per dirsi in generale contro la guerra: «La guerra non ha mai risolto alcun problema». Nella sua perentorietà l’argomento è però palesemente falso. Dipende infatti dalla natura dei problemi: non pochi problemi la guerra li ha risolti eccome (penso a tante guerre per l’indipendenza nazionale, ad esempio); per gli altri bisogna intendersi su che cosa significa «risolvere» (tenendo presente che nella storia è rarissimo che per qualunque genere di questioni vi sia una soluzione definitiva, «per sempre»). Se si parla di un pericolo politico, una «soluzione» può benissimo essere rappresentata dal suo semplice ridimensionamento, dall’allontanamento nel tempo, dalla sostituzione di un nemico più forte con uno meno forte. Tutti obiettivi che un’azione militare è di certo in grado di conseguire.
Insomma: essere in generale a favore della pace è sacrosanto; proporsi invece di espellere la guerra dalla storia è, come si capisce, tutt’un altro discorso. Ernesto Galli della Loggia, Il Corriere della Sera, 8 settembre 2013

……………….Oggi, 8 settembre, ricorre l’anniversario, il settantesimo, dell’armistizio dell’Italia con gli alleati e, di lì a poco, i verificarsi di eventi, la nascita al Nord della Repubblica di Salò e al Sud del Regno d’Italia, he avrebbero provocato la sanguinosa guerra civile tra i fascisti e gli antifascisti che a 78 anni dalla fine della guerra continua a dividere il nostro Paese non solo politicamente ma anche, in alcuni periodi, con la violenza contrapposta tra le parti. Basta questo ricordo e questo esempio per condividere le osservazioni di Galli della Loggia al pur lodevole appello  “no alla guerra”: purtroppo è un appello che al di là del suo monito etico  è destinato a rimanere inascoltato da chi vive nella logia della guerra e della violenza. v

LA NEO SENATRICE A VITA CATTANEO A 51 ANNI E’ DIVENTATA MILIONARIA: GRAZIE, GIORGIO!

Pubblicato il 31 agosto, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Milionaria a 51 anni: la neo-senatrice a vita ha vinto al Superenalotto

Costo lordo annuo: 232.737,24 euro, di cui poco più della metà (120.777,24 euro) di stipendio base. Per una che fa la ricercatrice come Elena Cattaneo, nominata ieri senatore a vita da Giorgio Napolitano, è sicuramente un bello stipendio integrativo. Lei non ha vinto un premio Nobel come Carlo Rubbia. Non è un archistar come Renzo Piano. Non è un direttore d’orchestra conosciuto in tutto il mondo come Claudio Abbado (anche se nel 2005 si scoprì che faceva quasi la fame, visto che dichiarava al fisco appena 17.237 euro lordi pagando 3.965 euro di tasse). E soprattutto a differenza degli altri nominati senatori a vita la Cattaneo è molto giovane: compirà ad ottobre 51 anni, e a quella età nessuno mai nella storia d’Italia ha ottenuto quel seggio a vita. Solo Giovanni Leone divenne senatore a vita al di sotto dei 60 anni, che per altro avrebbe compiuto pochi mesi dopo la nomina. La ragione è evidente: quella nomina è consentita dall’articolo 59 della Costituzione per «cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario».

Questa condizione salvo rarissime eccezioni è stata raggiunta da italiani normalmente verso la fine della propria carriera professionale. La Cattaneo è una ricercatrice apprezzata (non da tutti, visto che è stata protagonista di numerose polemiche sulla bioetica, quasi sempre contro i cattolici), ha studiato e lavorato a lungo all’estero, dirige il centro per le staminali dell’Università statale di Milano, è accademica dei Lincei, ha numerose pubblicazioni alle spalle, ma non ha ricevuto un premio Nobel né riconoscimenti scientifici simili. Si è impegnata anche politicamente, firmando il manifesto degli intellettuali a sostegno della candidatura di Pierluigi Bersani alle elezioni 2013 e partecipando anche alla sua campagna elettorale. Con questo curriculum e con questa età la Cattaneo ha ottime possibilità di conquistare la palma di politico italiano più pagato nella storia della Repubblica. Se vivesse a lungo come Rita Levi Montalcini, alla fine avrebbe ricevuto un premio da 12 milioni di euro. Ma anche vivendo fino a 90 anni accumulerebbe 9,3 milioni di euro solo come senatrice a vita. È assai probabile dunque che ieri Napolitano abbia deciso di assegnare qualcosa come dieci case di lusso in premio a una professoressa italiana che fin qui è stata assai divisiva per le sue posizioni scientifiche sia all’interno del mondo accademico che in quello culturale e religioso italiano. La Cattaneo per altro è stata protagonista di attacchi pubblici sia all’attuale ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che al suo predecessore, Renato Balduzzi. Ha fatto causa all’allora presidente del comitato di bioetica, Francesco Paolo Casavola, impugnato leggi italiane al Tar (perdendo), sostenuto su riviste internazionali che l’Italia era un Paese non democratico, attaccato con virulenza l’istituzione del Senato, accusata di «aggressione alla persona» per la legge sul biotestamento. Degli uomini politici italiani disse nel marzo 2009 che «sono pensatori privi di logica». In cambio della possibilità di conquistare quei 10 milioni di euro, però ora si rassegnerà a fare parte del gruppone…di Fosca Binche, Libero 31 agosto 2013

…..Ogni commento ci pare superfluo ed inutile.Possiamo solo aggiungere che con queste decisioni, la nomina di quattro nuovi senatori a vita che costeranno a  noi poveri contribuenti   la bellezza di un milione l’anno per chissà quanti anni a venire e  tra i quattro anche questa cinquantunenne  senza particolari meriti  e che suona offesa alle tante donne che dovranno aspettare grazie alla riforma Fornero i 68 anni per andare in  pensione e percepire una modesta pensione di fame,  l’on. Napolitano si è giocata ogni precedente  “amnistia” per i suoi trascorsi di comunista osannatore del più criminale sistema di governo che mai l’umanaità abbia conosciuto. Anzi no. Un’altra cosa resta da dire, la più importante: gli italiani sono sempre più incazzati neri con la casta, senza distinzione di colori. g.


NAPOLITANO NOMINA ALTRI QUATTRO SENATORI A VITA:UNO SCHIAFFO AL BUN SENSO

Pubblicato il 30 agosto, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

I nomi non c’entrano. I nuovi quattro senatori a vita nominati da Napolitano sono tutte persone ragguardevoli, e ciascuna nel proprio campo hanno onorato l’Italia conseguendo meritati successi internazionali e, giustamente,  consistenti onorari professionali. Quel che  non va è l’istituto. Quello dei senatori a vita è una vera e propria sciocchezza tutta italiana, pari  a quella del  voto agli italiani all’estero, cui si riconosce un diritto cui non corrisponde alcun dovere, primo fra tutti quello di contribuire alle spese dello Stato del quale  pur vengono investiti del  titolo  per  contribuire ad eleggere i governi. Baggianate svendute come prova di amor di patria, che è ben altra cosa e che si deve e si può manifestare in  tanti e  ben altri modi.  Stessa cosa per i senatori a vita, quelli nominati per alti meriti (quali erano quelli del prof. Monti nessun lo sa…) che ben potrebbero essere onorati diversamente ( (il fascismo, giusto per fare per esempio, istituì l’Accademia d’Italia, della quale venivano chiamati  a far parte quanti, come nel caso dei neo senatori a vita, avessero onorato l’Italia nei campi della cultura, ampiamente intesi), e quelli cosiddetti di diritto, cioè gli ex presidenti della Repubblica, ulteriore anomalia tutta italiana che in questo caso non si rifà nè all’Europa nè al mondo. In nessun paese europeo e in nessun paese al mondo, salvo che nei paesi a regime totalitario, esistono i presidenti emeriti e perciò issati su scranni sui quali nelle democrazie vere ci si issa solo con il voto dei cittadini. In America che,  pur ultimamente con qualche sforzo, è considerata la regina delle democrazie,  gli ex presidenti, alcuni tuttora viventi, da Bush padre a  Bush figlio,  passando per Clinton, cessati dalla loro carica che li aveva posti nel più alto posto di comando del mondo, sono tornati ad essere cittadini normali, con gli stessi diritti e gli stessi doveri di tutti gli altri cittadini americani. Unico privilegio, che tale non è, la tutela da parte dei servizi segreti americani che non tutelano tanto le loro persone fisiche quanto ciò che essi potrebbero essere indotti a rivelare con grave danno e pregiudizio per la Nazione americana. Tutto qui. Nessun laticlavio post fine mandato, nessun alto stipendio o vitalizio che dir si voglia, nessun ufficio a spese dei contribuenti,  niente di niente. In Italia invece, democrazia alla panna, gli ex presidenti costituituiscono una specie di super casta, mantegono privilegi e stipendi e benefit come se fossero in carica e per di più partecipano, al Senato, alla formazione delle maggioranze ,talvolta alterando la volontà popolare. Allo stesso modo i sentaori a vita che la Costituzione più bella del mondo  prevede possano essere nominati, motu propri, dal presidente  della repubblica in carica sino a cinque  durante il mandato (per Napolitano eccezionalmente saranno dieci…) e  per i quali  sempre la Costituzione prevede stipendi, privilegi e benefit di tutto rispetto: non una carica onorifica, ma una carica sostanziosa che già per questo è uno schiaffo al buon senso. Ma ancor di più lo è mentre sono al lavoro i cosiddetti saggi che debbono elaborare un testo condiviso per riformare lo Stato, riformando la Costituzione. E tra le riforme da varare c’è anche, per evidenti ragioni di buon senso, la eliminazione dei senatori a vita, non fosse altro per diretta conseguenza della eliminazione del Senato, inutile e dispersivo doppione della Camera dei Deputati e la sua trasformazione nelle Camera delle Autonomie nella quale, evidentemente, non potrebbe e non potrà esserci posto nè per gli ex presidenti della repubblica nè per chinque altro che non siano espressione delle autonomie. Anche alla luce di ciò le nomine di Napolitano, che egli stesso, informa il Quirinale, ha comunicato lieto ai nominati,  appare per un verso una forzatura rispetto al pur tanto conclamato quadro futuro,  e per altro verso una implicita  dichiarazione di  dubbi circa la effettiva possbilità che si possa giungere, dopo una trentina d’anni di parole, ad una effettiva riforma costituzionale. A meno che Napolitano,  contraddicendo se stesso, anche abbia semplicemente fatto  uso, finchè in tempo, del potere che l’attuale Costituzione gli assegna.  E forse quesrta la cosa che più dispiace, se fosse vera. g.

PENSIONI D’ORO, C’E’ CHI PRENDE 90 MILA EURO AL MESE, 3.008 EURO AL GIORNO!

Pubblicato il 8 agosto, 2013 in Costume, Economia, Politica | No Comments »

Sono centomila i «super-pensionati» che costano al sistema ben 13 miliardi di euro all’anno. Mercoledì il sottosegretario al Welfare, Carlo Dell’Aringa, rispondendo in commissione Lavoro della Camera a un’interrogazione di Deborah Bergamini (Pdl), ha rispolverato l’albo delle «pensioni d’oro», riaprendo il file delle polemiche.

Pensioni d’ora: quelli da 90mila euro al mese Pensioni d'ora: quelli da 90mila euro al mese Pensioni d'ora: quelli da 90mila euro al mese Pensioni d'ora: quelli da 90mila euro al mese Pensioni d'ora: quelli da 90mila euro al mese Pensioni d'ora: quelli da 90mila euro al mese

La pensione più alta erogata dall’Inps ammonta a 91 mila 337,18 euro lordi mensili. Corrisponde al profilo di Mauro Sentinelli, ex manager e ingegnere elettronico della Telecom, che percepisce qualcosa come 3.008 euro al giorno, cui si sommano ai gettoni di presenza che prende come membro del consiglio di amministrazione di Telecom e presidente del consiglio d’amministrazione di Enertel Servizi Srl. Non poche medaglie al suo petto: è stato l’ideatore del «servizio prepagato Tim Card», una miniera di profitti per la sua azienda. Scorrendo la «top ten» previdenziale fornita dal sottosegretario, c’è un salto fra il primo e il secondo posto, che si «ferma» a 66.436,88 euro. Il titolare in questo caso non è noto, mentre al terzo posto con circa 51.781 euro, dovrebbe esserci Mauro Gambaro, ex direttore generale di Interbanca e di Inter Football Club, oggi advisor specializzato nel corporate finance e presidente del cda di Mittel management srl.

A seguire, Alberto De Petris, ex di Infostrada e Telecom, che porta a casa circa 51 mila euro, mentre a un’incollatura c’è probabilmente Germano Fanelli, fondatore della Octotelematics, che nel 2010 accumulava dieci incarichi differenti. Dal quinto a decimo posto della classica si resta nella fascia dei 40 mila euro, esattamente da 47.934,61 a 41.707,54 euro.In questo ambito dovrebbero ritrovarsi manager come Vito Gamberale, amministratore delegato di F2i, oppure Alberto Giordano, ex Cassa di Roma e Federico Imbert, ex JP Morgan. «Questi numeri – ha commentato Bergamini – dimostrano tutta la portata distorsiva di quel criterio retributivo dal quale ci stiamo fortunatamente allontanando grazie alle riforme pensionistiche degli ultimi anni. Benché gli interventi in materia siano particolarmente delicati, anche sul fronte della costituzionalità, e avendo cura di evitare qualsiasi colpevolizzazione verso i beneficiari di questi trattamenti, che li hanno maturati secondo le regole vigenti, è evidente che il tema coinvolge una questione di equità e di coesione sociale non più trascurabile dalle istituzioni, specialmente in un momento di grave crisi economica e di pesanti sacrifici per tutti».

E in effetti sono ancora troppe le pensioni da migliaia e migliaia di euro al mese pagate in Italia che non hanno alcun nesso economico con i versamenti effettuati. La deputata Giorgia Meloni (FdI) propone da tempo di fissare un tetto all’importo delle «pensioni d’oro», oltre il quale andare solo se nel tempo si sono pagati contributi che giustifichino tale importo. In questo modo si potrebbero risparmiare molti miliardi di euro. Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ha già risposto alla sollecitazione appena assunto l’incarico, osservando che il tema è giusto ma che i governi che in passato hanno provato a intervenire, anche fissando un semplice contributo di solidarietà, si sono scontrati con la Corte Costituzionale e col principio dei diritti acquisiti. Si può cambiare la Costituzione? Fonte: Il Corriere della Sera, 8 agosto 2013

.….Certo che si può….si deve cambiare tutto quel che occorre perchè si ponga fine a questa squalida vicenda per cui c’è chi percepisce 3mila euro al giornmo e chi deve vivere con 500 euro al mese. 13 miliardi di euro all’anno, il costo delle pensioni d’oro che la Corte Costituzionale preserva anche dal minimo contributo di solidarietà per tutelare se stessa visto che tra i pensionati d’oro ci sono i giudici, è pari ad alcuni punti di PIL e all’importo di tre anni di IMU sulla prima casa. Basta questo perchè il ministro Giovannini porti in Parlamento tutte le modifiche costituzionali necessarie perchè vengano rimodulate queste pensioni    il cui importo, tra l’altro,   non è legato esplicitamente ai contributi versati e poi vediamo chi in Parlamento si gira dall’altra parte. g.