Circola in Italia una strana idea di legalità. I suoi cultori chiedono alle Procure di esercitare il ruolo improprio di «controllori» ma non appena possono premiano l’illegalità, per demagogia o per calcolo elettorale. È il caso di Napoli, città-faro del movimento giustizialista visto che ha eletto sindaco un pm, dove è stata appena approvata, praticamente all’unanimità, la sanatoria degli occupanti abusivi delle case comunali. Nel capoluogo partenopeo si tratta di un fenomeno vastissimo: sono circa 4.500 le domande di condono giunte al Comune per altrettanti alloggi. Per ogni famiglia che vedrà legalizzato un abuso, una famiglia che avrebbe invece diritto all’abitazione secondo le regole e le graduatorie perderà la casa. Non c’è modo migliore di sancire la legge del più forte, del più illegale; e di invitare altri futuri abusivi a spaccare serrature e scippare alloggi destinati ai bisognosi.
Ma nelle particolari condizioni di Napoli la sanatoria non è solo iniqua; è anche un premio alla camorra organizzata. È stato infatti provato da inchieste giornalistiche e giudiziarie che «l’occupazione abusiva di case è per i clan la modalità privilegiata di occupazione del territorio», come ha detto un pubblico ministero. In rioni diventati tristemente famosi, a Secondigliano, Ponticelli, San Giovanni, cacciare con il fuoco e le pistole i legittimi assegnatari per mettere al loro posto gli affiliati o i clientes della famiglia camorristica è il modo per impadronirsi di intere fette della città; sfruttando le strutture architettoniche dell’edilizia popolare per creare veri e propri «fortini», canyon chiusi da cancelli, garitte, telecamere, posti di blocco, praticamente inaccessibili dall’esterno e perfetto nascondiglio per latitanti, armi e droga.
Non che tutto questo non lo sappia il sindaco de Magistris, che a Napoli ha fatto il procuratore. E infatti ha evitato di assumersi in prima persona la responsabilità di questa scelta. L’ha però lasciata fare al consiglio comunale, Pd e Pdl in testa, difendendola poi con il solito eufemismo politico: «Non è una sanatoria. Io la chiamerei delibera sul diritto alla casa». E in effetti è una delibera che riconosce il diritto alla casa a chi già ce l’ha, avendola occupata con la forza o l’astuzia. Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 13 settembre 2013
……Scommettiamo che se De Magistris, in questa circostanza, invece che sindaco di Napoli fosse stato procuratore della Repubblica, il sindaco, chiunque fosse, lo avrebbe arrestato? E per una volta avrebbe avuto ragione perchè legalizzare un reato quale è non solo l’occupazione abusiva di una casa ma anche la sottrazione della proprietà al legittimo proprietario, per di più con la forza, è a sua volta un reato che va perseguito e punito, severamente e immediatamente, visto che la sempre invocata Costituzione “più bella del mondo” riconosce e tutela la proprietà privata. Invece De Magistris, come denuncia Polito, se ne è uscito con una tesi che più che l’arresto meriterebbe la gogna: legalizzare il reato serve a riconoscere il diritto alla casa….e il diritto di chi la casa se l’è vista sgraffignare sotto il muso? Diciamoci la verità: De Magistris, come tanti come lui, è quel che ci meritiamo allorchè andando a votare dimentichiamo l’antico adagio che ammoniva: il meglio (o quel che tale appare) è sempre nemico del bene. Ogni riferimento a ciò che è sotto il nostro naso è puramente voluto. g.
Quale persona ragionevole può preferire la guerra alla pace? Non stupiscono dunque i vasti consensi che alla luce di un possibile intervento militare americano in Siria ha ricevuto l’appello del Papa contro la guerra. Appello che, si badi, non evoca affatto l’argomento che in questo specifico caso la guerra sarebbe ingiustificata (cioè «non giusta»), ma esprime semplicemente un reciso e totale no alla guerra. Proprio questo carattere generale e programmatico dell’appello papale alla pace – oggi in palese sintonia con un orientamento profondo proprio dello spirito pubblico dell’intera Europa continentale – solleva però almeno tre grandi ordini di problemi, che sarebbe ipocrita tacere.
l) L’ostilità di principio alla guerra (fatto salvo, immagino, il caso di una guerra di pura difesa, tuttavia non facilmente definibile: la guerra dichiarata dalla Gran Bretagna e dalla Francia alla Germania nel 1939, per esempio, era di difesa o no?) cancella virtualmente dalla storia la categoria stessa di «nemico» (e quella connessa di «pericolo»). Cioè di un qualche potere che è ragionevole credere intento a volere in vari modi il nostro male; e contro il quale quindi è altrettanto ragionevole cercare di premunirsi (per esempio mantenendo un esercito). Chi oggi dice no alla guerra è davvero convinto che l’Europa e in genere l’Occidente non abbiano più nemici? E se pensa che invece per entrambi di nemici ve ne siano, che cosa suggerisce di fare oltre a essere «contro la guerra»?
2) In genere, poi, chi si pronuncia in tal senso è tuttavia favorevole all’esistenza di un’Europa unita quale vero soggetto politico. Un’Europa perciò che abbia una politica estera. La questione che si pone allora è come sia possibile avere una tale politica rinunciando ad avere insieme una politica militare, un esercito e degli armamenti (e quindi anche delle fabbriche d’armi). È immaginabile un qualunque ruolo internazionale di un minimo rilievo non avendo alcuna capacità di sanzione? Altri Stati senza dubbio tale capacità l’avranno: si deve allora lasciare campo libero ad essi? Ma con quale guadagno per la pace?
3) C’è infine un argomento molto usato per dirsi in generale contro la guerra: «La guerra non ha mai risolto alcun problema». Nella sua perentorietà l’argomento è però palesemente falso. Dipende infatti dalla natura dei problemi: non pochi problemi la guerra li ha risolti eccome (penso a tante guerre per l’indipendenza nazionale, ad esempio); per gli altri bisogna intendersi su che cosa significa «risolvere» (tenendo presente che nella storia è rarissimo che per qualunque genere di questioni vi sia una soluzione definitiva, «per sempre»). Se si parla di un pericolo politico, una «soluzione» può benissimo essere rappresentata dal suo semplice ridimensionamento, dall’allontanamento nel tempo, dalla sostituzione di un nemico più forte con uno meno forte. Tutti obiettivi che un’azione militare è di certo in grado di conseguire.
Insomma: essere in generale a favore della pace è sacrosanto; proporsi invece di espellere la guerra dalla storia è, come si capisce, tutt’un altro discorso. Ernesto Galli della Loggia, Il Corriere della Sera, 8 settembre 2013
……………….Oggi, 8 settembre, ricorre l’anniversario, il settantesimo, dell’armistizio dell’Italia con gli alleati e, di lì a poco, i verificarsi di eventi, la nascita al Nord della Repubblica di Salò e al Sud del Regno d’Italia, he avrebbero provocato la sanguinosa guerra civile tra i fascisti e gli antifascisti che a 78 anni dalla fine della guerra continua a dividere il nostro Paese non solo politicamente ma anche, in alcuni periodi, con la violenza contrapposta tra le parti. Basta questo ricordo e questo esempio per condividere le osservazioni di Galli della Loggia al pur lodevole appello “no alla guerra”: purtroppo è un appello che al di là del suo monito etico è destinato a rimanere inascoltato da chi vive nella logia della guerra e della violenza. v
I nomi non c’entrano. I nuovi quattro senatori a vita nominati da Napolitano sono tutte persone ragguardevoli, e ciascuna nel proprio campo hanno onorato l’Italia conseguendo meritati successi internazionali e, giustamente, consistenti onorari professionali. Quel che non va è l’istituto. Quello dei senatori a vita è una vera e propria sciocchezza tutta italiana, pari a quella del voto agli italiani all’estero, cui si riconosce un diritto cui non corrisponde alcun dovere, primo fra tutti quello di contribuire alle spese dello Stato del quale pur vengono investiti del titolo per contribuire ad eleggere i governi. Baggianate svendute come prova di amor di patria, che è ben altra cosa e che si deve e si può manifestare in tanti e ben altri modi. Stessa cosa per i senatori a vita, quelli nominati per alti meriti (quali erano quelli del prof. Monti nessun lo sa…) che ben potrebbero essere onorati diversamente ( (il fascismo, giusto per fare per esempio, istituì l’Accademia d’Italia, della quale venivano chiamati a far parte quanti, come nel caso dei neo senatori a vita, avessero onorato l’Italia nei campi della cultura, ampiamente intesi), e quelli cosiddetti di diritto, cioè gli ex presidenti della Repubblica, ulteriore anomalia tutta italiana che in questo caso non si rifà nè all’Europa nè al mondo. In nessun paese europeo e in nessun paese al mondo, salvo che nei paesi a regime totalitario, esistono i presidenti emeriti e perciò issati su scranni sui quali nelle democrazie vere ci si issa solo con il voto dei cittadini. In America che, pur ultimamente con qualche sforzo, è considerata la regina delle democrazie, gli ex presidenti, alcuni tuttora viventi, da Bush padre a Bush figlio, passando per Clinton, cessati dalla loro carica che li aveva posti nel più alto posto di comando del mondo, sono tornati ad essere cittadini normali, con gli stessi diritti e gli stessi doveri di tutti gli altri cittadini americani. Unico privilegio, che tale non è, la tutela da parte dei servizi segreti americani che non tutelano tanto le loro persone fisiche quanto ciò che essi potrebbero essere indotti a rivelare con grave danno e pregiudizio per la Nazione americana. Tutto qui. Nessun laticlavio post fine mandato, nessun alto stipendio o vitalizio che dir si voglia, nessun ufficio a spese dei contribuenti, niente di niente. In Italia invece, democrazia alla panna, gli ex presidenti costituituiscono una specie di super casta, mantegono privilegi e stipendi e benefit come se fossero in carica e per di più partecipano, al Senato, alla formazione delle maggioranze ,talvolta alterando la volontà popolare. Allo stesso modo i sentaori a vita che la Costituzione più bella del mondo prevede possano essere nominati, motu propri, dal presidente della repubblica in carica sino a cinque durante il mandato (per Napolitano eccezionalmente saranno dieci…) e per i quali sempre la Costituzione prevede stipendi, privilegi e benefit di tutto rispetto: non una carica onorifica, ma una carica sostanziosa che già per questo è uno schiaffo al buon senso. Ma ancor di più lo è mentre sono al lavoro i cosiddetti saggi che debbono elaborare un testo condiviso per riformare lo Stato, riformando la Costituzione. E tra le riforme da varare c’è anche, per evidenti ragioni di buon senso, la eliminazione dei senatori a vita, non fosse altro per diretta conseguenza della eliminazione del Senato, inutile e dispersivo doppione della Camera dei Deputati e la sua trasformazione nelle Camera delle Autonomie nella quale, evidentemente, non potrebbe e non potrà esserci posto nè per gli ex presidenti della repubblica nè per chinque altro che non siano espressione delle autonomie. Anche alla luce di ciò le nomine di Napolitano, che egli stesso, informa il Quirinale, ha comunicato lieto ai nominati, appare per un verso una forzatura rispetto al pur tanto conclamato quadro futuro, e per altro verso una implicita dichiarazione di dubbi circa la effettiva possbilità che si possa giungere, dopo una trentina d’anni di parole, ad una effettiva riforma costituzionale. A meno che Napolitano, contraddicendo se stesso, anche abbia semplicemente fatto uso, finchè in tempo, del potere che l’attuale Costituzione gli assegna. E forse quesrta la cosa che più dispiace, se fosse vera. g.