Archivio per la categoria ‘Costume’

BASSO MERITO, ZERO AMBIZIONI

Pubblicato il 21 maggio, 2013 in Costume, Cultura, Economia, Politica | No Comments »

C’è stato un tempo felice in cui tutto il corpo sociale viveva di impulsi politici. Dalla fine della guerra fino al crollo della Prima Repubblica la vita di tutti era segnata dal primato della politica: dal primato delle grandi ideologie dell’epoca (comunismo, liberismo, corporativismo, dottrina cattolica); dal primato della dialettica fra i sistemi geopolitici (mondo occidentale, mondo arretrato, Paesi cosiddetti non allineati); dal primato anche quotidiano di scontri sociali e mobilitazioni di classe. Tutto era politica.
Ma, al di là della forte ruvidezza conflittuale di quegli anni, la politica non ci dispiaceva, perché ci trasmetteva un messaggio comune: crescete, andate avanti, salite la scala sociale, diventate altro da quello che siete. Ci spingevano a tale dinamica coloro che esaltavano le lotte operaie come coloro che coltivavano l’ampliamento del ceto medio; coloro che speravano nella potenza politica dei braccianti come coloro che trasformavano i braccianti in coltivatori diretti, cioè in piccoli imprenditori; coloro che spingevano per dare spazio a più ampie generazioni studentesche come coloro che coltivavano le alte professionalità industriali; coloro che predicavano il politeismo dei consumi come coloro che richiamavano alla sobrietà dei comportamenti. Gli obiettivi e i conflitti della politica erano tanti, ma l’anima era unica: «Crescete e salite i gradini della scala sociale». Ed era verosimilmente per questo incitamento alla mobilità che la politica piaceva.
Oggi è quasi disprezzata. I giornali sono pieni di possibili spiegazioni: la politica è estranea ai bisogni della gente; i politici fanno casta e se ne approfittano; sotto i partiti ci sono interessi inconfessabili; non c’è più una dinamica di rappresentanza democratica. Spiegazioni plausibili, ma è possibile che la cattiva fama della politica derivi dal fatto che essa non spinge più a crescere e salire, ma a far restare tutti ai gradini bassi in una filosofia di eguaglianza che si collega all’idea di una comune cittadinanza che rischia di diventare populismo, obbedendo alla logica di «invidia e livellamento» di cui lo stesso Marx aveva timore.
Guai a diventare «qualcuno», per la politica attuale. Dobbiamo restare cittadini a pari e basso merito, collocazione corroborata da giudizi morali tanto gridati quanto semplicistici. Non sorprende che i due terzi dei nostri giovani parlamentari siano «programmaticamente» cittadini a basso merito che si proclamano eticamente superiori. E se c’è «qualcuno» che vuole o tenta di essere protagonista, è rapidamente cecchinato. Il messaggio profondo della politica oggi sta proprio nel diffondere, anzi imporre, l’appiattimento al basso della cultura collettiva, della dinamica sociale. Ed è colpa ben più grave dei vizi di casta, perché inquina la chimica intima della società, ne riduce le dinamiche in avanti e le speranze.
Per questo bisognerà cominciare a difendersi dalla politica; diffidando di come oggi il suo primato sia diventato regressivo e non propulsivo. Forse il meglio è altrove, nella dinamica sociale, dove ancora vive un po’ della voglia di crescere e salire che ci avevano dato i politici di prima, che tutto erano meno che dei semplici cittadini a basso merito.
Giuseppe De Rita, Il Corriere della Sera, 21 maggio 2013

LETTERA APERTA DI MARCELLO VENEZIANI AI PM DI MILANO

Pubblicato il 15 maggio, 2013 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Egregi magistrati di Milano, posso dirvi la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità, senza che mi picchiate con le vostre armi legali? Dirò semplicemente quel che vedo con i miei occhi. Ho provato vergogna per il processo Ruby. Vergogna per la Giustizia, per la Magistratura, per l’Italia.


Premetto. Sono nato e cresciuto in una cultura col forte senso dello Stato e della dignità delle istituzioni, il culto della Magistratura e il rispetto della legge. Ho tifato a suo tempo per Mani Pulite. E dall’altra parte sono stufo di vedere la politica dividersi sulle vicende private di Berlusconi, vorrei occuparmi d’altro e difatti non mi occupo quasi mai di giustizia e processi al Cavaliere.

Vorrei che tornassimo a occuparci di politica e di italiani, spero che si chiuda al più presto questa stagione balorda con i suoi protagonisti. Sulla vicenda Ruby mi sono fatto un’idea sgradevole della comitiva di cui si è circondato Berlusconi, non mi piaceva la mescolanza di luoghi e persone tra ruoli pubblici e feste private, statisti e papponi. Reputo deprimente quel gineceo sultanesco di sgallettate, arrampicatrici da spettacolo, mezze troiette, che ruotava intorno ad Arcore. Di tutto quel capitolo la cosa che reputo politicamente rilevante ed eticamente condannabile è l’elezione di Nicole Minetti a un incarico pubblico. Se serviva a ristorare la vita privata di Berlusconi sarebbe stato giusto che se ne fosse accollato lui, come per le olgettine, l’onere di stipendiarla. Noi che c’entriamo, le istituzioni che c’entrano, la politica che c’entra.
Da tutte queste premesse si capisce che non ho nessuna simpatia per quel mondo e i suoi protagonisti. Ma trovo sconcertante che fior di magistrati antimafia debbano spendere il loro tempo, i nostri soldi, la giustizia, per accertare se durante le cene ci siano stati toccamenti o meno delle suddette sgallettate; se ci sia stato puttanesimo dilettantistico o professionale nelle sullodate squinzie. Tutto per misurare il grado di coinvolgimento personale, erotico, economico dell’ex premier nella vicenda. Potrei cavarmela dicendo che c’è sempre stato il lato B del potere, in politica e non solo, se penso pure a certi nostri regnanti della grande industria che navigavano tra coca e prostituzione. In passato citai testimonianze assolutamente attendibili sulla vita privata del primo re d’Italia, del tutto analoga anzi peggiore rispetto a quella di B. Si potrebbe dire la stessa cosa del più amato presidente degli Stati Uniti, e di fior di premier, leader e sovrani di mezza Europa. La magistratura non si è mai occupata di queste puttanate. De minimis non curat praetor, dicevano i romani: e se non se ne cura la pretura, figuriamoci un tribunale. E la politica è troppo importante per interdirla nel nome delle suddette puttanate o di fatti che potremmo definire bordel-line.
Potrei aggiungere la classica argomentazione che, come è risaputo, in questo processo non c’è una parte lesa, anzi tutte le parti, eccetto l’utilizzatore finale, ci hanno guadagnato e hanno agito in piena libertà e consapevolezza. Non c’è stata costrizione né raggiro né violenza, né può esserci la prova di qualunque atto sessuale compiuto con minori. Se non ci sono testimoni e i due presunti attori negano che vi sia stato qualunque atto sessuale, a cosa vi attaccate, chi è la vittima, di che cosa stiamo parlando? In realtà stiamo parlando di un clima godereccio, di corpi procaci e anziani arrapati, di canti, cene, forse qualche palpatina, con animazione nelle braghe di qualcuno. Sociologia del malcostume, non criminalità organizzata.
Ma si può, in un Paese devastato dalla criminalità e dall’illegalità, dove i reati restano quasi tutti impuniti e i detenuti restano in attesa di giudizio svariati anni; in un Paese piegato sulla sua crisi, che patisce il crollo delle sue imprese e la disoccupazione, che sta male mentre la politica sta avvitata su se stessa in fragilissimo equilibrio; si può – dicevo – perdere giorni, mesi, anni e mettere a repentaglio il precario assetto presente per questi stupidi festini e questi più stupidi, ipotetici toccamenti; dividere un paese, mortificare una classe dirigente, spaccare la politica, rischiare di far collassare definitivamente il paese, solo per «fargliela pagare» a quello lì che odiate; che – da voi massacrato – vi attacca da mattina a sera e per difendersi mobilita un partito con milioni di votanti, a scendere in piazza in suo sostegno? Ma vi rendete conto del danno incalcolabile che state facendo all’immagine, al corpo, alla salute e all’anima di questo Paese? Avete amplificato un risvolto privato che per carità di patria e pubblica decenza avremmo dovuto abbandonare alle piccole debolezze del genere umano. È stato invece un danno prolungato nel tempo: quanto è costato a noi italiani quel braccio di ferro su queste vicende quando B. era alla guida del governo? Quante energie sono state distratte e sottratte al governo del Paese, quante risorse si sono sprecate, quanti atti sono stati compiuti per difendersi da questo castello di accuse? Avete alimentato il conflitto a fuoco tra la magistratura e la politica e siete corresponsabili, con i promotori, delle marce parlamentari davanti ai tribunali; e messo in mezzo, tra i due poteri in lotta, l’esecutivo è finito in croce. Se fossi un vostro collega magistrato mi sentirei discreditato e offeso da questi processi. Ora mi auguro che qualcuno dal vostro organo di autogoverno, dalle istituzioni, perfino da sinistra, vi dica che così si uccide la Magistratura, la Democrazia e l’Italia. Naturalmente non solo ad opera dei tribunali, diciamo nel vostro gergo: concorso in strage. Quelle arringhe e quelle perizie surreali sui toccamenti hanno fatto toccare il fondo alla Giustizia italiana.
Come vedete, non ho tirato in ballo le favole di Ruby e su Ruby a cui non do credito, non ho tirato in ballo nemmeno la magistratura politicizzata e non ho sfoderato tutte le incongruenze, i misteri, le fughe di notizie o le notizie fuggite, che ci sono state. E non ho fatto nemmeno ironia su alcune gaffe (mi limito solo a ricordare che il Marocco è più a occidente dell’Italia; la furbizia di Ruby sarebbe orientale se lei fosse davvero egiziana come Mubarak).

Mi auguro che rispondiate come vi ho scritto io, a viso aperto, esprimendo una libera e argomentata opinione con le parole e non con le pistole giudiziarie. Io ho provato a dirlo con tutta la franchezza possibile, nel rispetto delle istituzioni, per amor patrio, deprecando gli errori, rispettando gli erranti. Chiedo solo il senso della realtà, l’umile senso della realtà. La verità, vi prego, solo la verità.  Marcello Veneziani, Il Giornale, 15 maggio 2013

.……………..Concordiamo pienamente con quanto scrive Veneziani. Ma ci sarà qualcuno che gli risponderà?Se ce ne fosse uno oggi, ce ne sarebbe stato uno, almeno uno, ieri,  che si sarebbe preoccupato che vizi privati – che tutti abbiamo -  fossero confusi con pubbliche virtù – che non tutti possediamo- a danno della immagine, pubblica e di certo più importante dei vizi privati, del nostro Paese. Come dar torto, quindi,  a Berlusconi quando chiosa: povera Italia? g.

BERLUSCONI CONDANNATO A MORTE, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 14 maggio, 2013 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Ergastolo. Non potendo chiedere quello fisico, la Boccassini ci prova con quello politico: interdizione perpetua dai pubblici uffici, oltre alla condanna a sei anni, è infatti la richiesta fatta dalla pm milanese nei confronti di Silvio Berlusconi. C’è del marcio in tutto questo, tanta è la sproporzione tra la debolezza degli indizi raccolti a sostegno del teorema accusatorio e la pena richiesta.

Ergastolo politico per due reati (concussione e sfruttamento della prostituzione) che ancora oggi restano senza vittime. Nega di esserlo Ruby («non ho mai avuto rapporti sessuali con Berlusconi»), negano i funzionari della Questura di Milano («non siamo stati condizionati o intimiditi dalla telefonata di Berlusconi la sera dell’arresto di Ruby»).

La Boccassini ieri ha definito Ruby esempio di «furbizia orientale», concentrando in questa frase l’essenza del processo: un pregiudizio geopolitico e un falso, essendo il Marocco, Paese d’origine della ragazza, a Occidente. Pregiudizi e falsi, conditi con intrusioni nelle vite degli altri da fare invidia alle peggiori dittature. Spiare, intercettare non per cercare la prova schiacciante di un reato ma per costruire il reato. Senza approdare a nulla, perché un rapporto sessuale negato dalle parti interessate non potrà mai essere dimostrato anche se avvenuto. Sulle dicerie, sulle vanterie telefoniche o sulle invidie delle amiche si possono scrivere pagine di gossip, non sentenze giudiziarie. Altrimenti mezzo Paese dovrebbe finire al gabbio.

La Boccassini è convinta, direi ossessionata, che ad Arcore si sia fatto del sesso. Non ci sono prove, semmai è stato dimostrato il contrario, ma vado oltre. Credo che anche la signora Ilda abbia fatto e magari faccia tutt’ora sesso a casa sua. Non ci interessa con chi, come e quanto. Non ci interessa se lei o i suoi partner nell’accoppiamento siano sinceri o interessati, quali siano i loro giochini erotici, se al risveglio la signora trovi o no un regalino inaspettato sul comodino, se il suo partner abbia o no commentato le sue performances con amici e colleghi, magari aggiungendo un tocco di fantasia. Ci interessa che se nessuno dei due lamenta abusi o forzature, le loro prodezze erotiche non entrino mai in un’aula di tribunale. A tutela della loro dignità e del nostro buongusto. Dalla guerra alla mafia alla caccia, senza esito, degli spermatozoi di Berlusconi: quella che si vanta di essere allieva di Falcone e Borsellino ha trascinato la giustizia al suo punto più basso e umiliante per tutti. Perché processare uno stile di vita non è l’anticamera del regime. È regime. Alessandro Sallusti, 14 maggio 2013

IL CINQUE MAGGIO (1821)

Pubblicato il 5 maggio, 2013 in Costume, Storia | No Comments »

Ricorre oggi l’anniversario della morte di Napoleone. Mentre tutti si affannano a rincorrere la effimera notorietà quotidiana,  pubblichiamo i versi immortali dell’Ode che Alessandro Manzoni dedicò al grande corso per celebrarne la gloria perenne, conquistata sui campi di battaglia e in giro per l’Europa.

Il Cinque Maggio

Ei fu. Siccome immobile,

dato il mortal sospiro,

stette la spoglia immemore

orba di tanto spiro,

così percossa, attonita

la terra al nunzio sta,

muta pensando all’ultima

ora dell’uom fatale;

né sa quando una simile

orma di piè mortale

la sua cruenta polvere

a calpestar verrà.

Lui folgorante in solio

vide il mio genio e tacque;

quando, con vece assidua,

cadde, risorse e giacque,

di mille voci al sònito

mista la sua non ha:

vergin di servo encomio

e di codardo oltraggio,

sorge or commosso al sùbito

sparir di tanto raggio;

e scioglie all’urna un cantico

che forse non morrà.

Dall’Alpi alle Piramidi,

dal Manzanarre al Reno,

di quel securo il fulmine

tenea dietro al baleno;

scoppiò da Scilla al Tanai,

dall’uno all’altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteri

l’ardua sentenza: nui

chiniam la fronte al Massimo

Fattor, che volle in lui

del creator suo spirito

più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida

gioia d’un gran disegno,

l’ansia d’un cor che indocile

serve, pensando al regno;

e il giunge, e tiene un premio

ch’era follia sperar;

tutto ei provò: la gloria

maggior dopo il periglio,

la fuga e la vittoria,

la reggia e il tristo esiglio;

due volte nella polvere,

due volte sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,

l’un contro l’altro armato,

sommessi a lui si volsero,

come aspettando il fato;

ei fè silenzio, ed arbitro

s’assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell’ozio

chiuse in sì breve sponda,

segno d’immensa invidia

e di pietà profonda,

d’inestinguibil odio

e d’indomato amor.

Come sul capo al naufrago

l’onda s’avvolve e pesa,

l’onda su cui del misero,

alta pur dianzi e tesa,

scorrea la vista a scernere

prode remote invan;

tal su quell’alma il cumulo

delle memorie scese.

Oh quante volte ai posteri

narrar se stesso imprese,

e sull’eterne pagine

cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito

morir d’un giorno inerte,

chinati i rai fulminei,

le braccia al sen conserte,

stette, e dei dì che furono

l’assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili

tende, e i percossi valli,

e il lampo dè manipoli,

e l’onda dei cavalli,

e il concitato imperio

e il celere ubbidir.

Ahi! Forse a tanto strazio

cadde lo spirto anelo,

e disperò; ma valida

venne una man dal cielo,

e in più spirabil aere

pietosa il trasportò;

e l’avviò, pei floridi

sentier della speranza,

ai campi eterni, al premio

che i desideri avanza,

dov’è silenzio e tenebre

la gloria che passò.

Bella Immortal! Benefica

Fede ai trionfi avvezza!

Scrivi ancor questo, allegrati;

ché più superba altezza

al disonor del Gòlgota

giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri

sperdi ogni ria parola:

il Dio che atterra e suscita,

che affanna e che consola,

sulla deserta coltrice

accanto a lui posò.

da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-19319>

MAGISTRATI: GUADAGNERANNO 8 MILA EURO IN PIU’

Pubblicato il 2 maggio, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Non c'è crisi per le toghe: si aumentano lo stipendio di 8mila euro (grazie a Monti)

Si può tagliare tutto in mome dell’austerity. Ma non toccate gli stipendi dei magistrati. Quelli devono crescere nonostante il blocco agli aumenti che la finanziaria del 2010 aveva previsto per le buste paga delle toghe. Una sentenza della Corte Costituzionale ha ribaltato la deciusone dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti che aveva chiuso i rubinetti delle casse togate fino al 2015. La decisone fu presa dal governo Berlusconi per risparmiare qualcosa nelle casse dello stato strozzate da spread e debito pubblico. Il provvedimento prevedva un blocco dell’aumento del 5 per cento per 5 anni. I giudici sono subito entrati in guerra con ricorsi al Tar e richiami alla Corte costituzionale che li ha accontentai.

Via libera all’aumento - Oggi, con un decreto del presidente del Consiglio, firmato Mario Monti si dà semaforo verde all’aumento degli stipendi con retroattività fino al 2012. Una decisone quella della Corte Costituzionale che testimonia come la busta paga delle toghe sia ritenuta inviolabile. A sostenerlo è proprio la Corte Costituzionale.

Salario sacro - Per la Corte il blocco dell’aumento è un attentato all’indipendenza dei giudici, “una violazione del principio di indipendenza della magistratura, in quanto le decurtazioni dello stipendio, incidendo sullo status economico del giudice, creerebbero una sorta di dipendenza del potere giudiziario dal potere legislativo ed esecutivo, i quali finirebbero con il controllare, in maniera arbitraria, la magistratura e, quindi, a comprometterne l’indipendenza”. Dunque le buste paga dei magistrati sono intoccabili e inviolabili. Così grazie alla sentenza e al decerto del Loden un magistrato che nel 2011 guadagnava 174 mila euro all’anno, ora ne guadagnerà 182 mila. Insomma 8 mila euro in più in tempo di crisi non sono pochi.

Se le cose vanno male, si guadagna di più - Inoltre le toghe godranno ancora di un “indennità giudiziaria”. Si tratta di un importo fisso che tutti i magistrati percepiscono in misura eguale, cioè a prescindere dal grado di carriera che, stando al legislatore, viene corrisposta in relazione agli oneri che gli stessi incontrano nello svolgimento della loro attività. Secondo la Corte questa indennità costituisce “compenso all’attività dei magistrati di supplenza alle gravi lacune organizzative dell’apparato della giustizia”. L’indennità corrisponde ad un sesto della busta paga. La percepiscono tutti. Pure chi non lavora in condizioni disagiate. La magistratura potrebbe dunque non avere nessun interesse ad avere una giustizia efficiente perchè sistemate le carenze verrebbe meno il diritto ai quattrini perchè si possa far fronte alle carenze strutturali.

Precedente Amato - Eppure, già nel 1992, Giuliano Amato aveva messo mano alla busta paga dei magistrati. Anche quello era un periodo di austerity. Le cose erano andate per il verso giusto. ora invece le toghe si aggrapopano allo stipendio con le barricate. Sono state accontentate. La busta paga, come la legge, non è uguale per tutti. Fonte: Libero, 2 maggio 2013

..….Che dire? Ai pensionati lo Stato ha bloccato anche il misero aumento di poche decine di euro l’anno in nome dell’austerità e nel silenzio della Corte Costituzionale. Ai magistrati invece, grazie alla Corte Costituzionale che ha cassato i decreti che bloccavano anche per loro gli aumenti, andranno aumenti pari più o meno alla metà delle pensioni medie annue dei lavoratori italiani. E poi  ci si chiede perchè il popolo ha scarsa fiducia nella Magistratura….

IL “CALIFFO” NON CI INCANTERA’ PIU’

Pubblicato il 31 marzo, 2013 in Costume, Cronaca | No Comments »

Franco Califano è morto ieri nella sua casa ad Aci­lia in seguito a una crisi respiratoria. Era nato a Tripoli, il 14 settembre del 1938.

Cantante, ma anche attore, scrittore e personaggio tv, il «Calif­fo » è stato autore di molti brani di successo. Era malato da tempo ma solo pochi giorni fa, il 18 mar­zo, si era esibito al Teatro Sistina di Roma.Con lui scompare a 75 anni il musicista romano dopo una vita davvero spericolata: piena di successi ma anche di momenti durissimi

C’era, certo che c’era un filo diretto tra la sua voce e quelle pa­role, intense, robuste eppure po­etiche, mai usate per caso e sem­pre nel posto giusto, nella canzo­ne giusta. Gli veniva così, a Fran­co Califano. I suoi toni e il roboa­re dei bassi le vestivano poi con un taglio sartoriale, neppure una piega. Ciao Maestro.
Avete mai sentito Tutto il resto è noia cantata da un altro? È paro­distica, quasi.C’è quel verso,«la barba fatta con maggiore cura», attenzione: «maggiore» e non «maggior»,che non poteva esse­re che suo. Popolano ma aristo­cratico. Agghindato a festa ma per un giorno qualunque. Aveva quel dono, Franco Califano, lo swing che ti porta fino all’aggetti­vo perfetto, alla metafora, all’al­lusione che spiega tutto ma nep­pure lui sapeva spiegarsi come facesse. «Me vengono» sorride­va, e così diceva anche dei suoi sonetti d’amore e di sesso. Oggi che non c’è più,morto da solo in casa, proprio lui che la apriva sempre agli amici, sarà un tem­porale di retorica sul grande au­tore che tutti diranno di aver sempre adorato.
In realtà non è così, e lui lo sa­peva benissimo, se ne rammari­cava, tra sé e sé si chiedeva come mai, ma com’è possibile. Ha scritto testi favolosi che si sono persi nel vuoto, e persino nel suo debutto, lo sconquassato singo­lo Ti raggiungerò del 1965, c’è il guizzo del talento che poi il di­sco L’evidenza dell’autunno ,
1973, aveva spiegato canzone dopo canzone, ammutolendo chi non s’aspettava che questo borgataro alto e spaccone, bello come Marlon Brando e vizioso come Steve McQueen, sapesse anche scrivere versi non eversivi né utopici ma semplicemente poetici, innamorati del bello e non di loro stessi. Mai autorefe­renziale, altro che, il Califfo. «Mi piace scrivere per altri, perché mi siedo lì, mi immagino di esser loro e però di parlare con il mio cuore».
Ha composto Minuetto , capo­lavoro. E ha firmato con Mino Reitano Una ragione di più , uno dei brani più belli, struggenti e passionali della nostra canzone d’autore, spesso sottovalutato perché orfano di impegno politi­co o­di visionarietà ideale ma fra­goroso e italianissimo nella co­struzione e nello sviluppo. An­che per questo Califano, che non ha mai dominato le classifi­che né riempito gli stadi, è diven­tato così popolare, amato, imita­to e parodiato fino alla noia. Se gi­rava per Roma, era realmente il Califfo. Bastava che prendesse la sua spider,e una volta l’ha fat­to anche con me dal centro fino a Fiumicino, e chiunque lo ricono­scesse gli sorrideva, si spostava, lo salutava manco fosse il vicino di casa che gli era andata bene.
Intanto, non sempre gli era an­data così bene. Finché erano i de­ragliamenti d’amore, pazienza, magari faceva arrabbiare qual­cuno ma poi basta. Ma nel 1970, quando finì nei guai nella vicen­da di Walter Chiari per possesso di stupefacenti, e nel 1983 sconfi­nò nel caso Tortora per droga e possesso d’armi, fu sempre as­solto con formula piena dalla corte ma comunque condanna­to dai cortigiani a esser sempre quello lì, quello ai confini, quasi un personaggio da commedia al­l’italiana. «Lo so, ma me ne im­porta poco» diceva. E poi lui era così, soffriva ma non lo ammette­va manco a pagarlo. Anzi: prima di uscire da Regina Coeli trascor­se le ore d’aria della vigilia sem­pre al sole, «così quando mi ve­dono abbronzato capiscono che sto bene e non sono battu­to ».
Già. E sorrideva fuori dalla por­ta, come sorrideva quel giorno. «Dimenticai di colpo un passato folle in un tempo piccolo» scris­se anni dopo in un altro capola­voro come Tempo piccolo , che ha un verso che lo spiega tutto, questo Califano nobile borgata­ro: «Dipinsi l’anima su tela ano­nima e mescolai la vodka con l’acqua tonica».In fondo,che an­dasse al Festival di Sanremo o a Music Farm o che fosse sul palco del Sistina di Roma come pochi giorni fa per l’ultima volta,Califa­no si dipingeva sempre su tela anonima, nel disperato e dolce bisogno di aiuto che ti impone la solitudine quando scopri che è l’unica fidanzata che riesci a non tradire. ……Ci accompagnato, come nessun  altro,   nella nostra giovinezza. Continueremo ad ascoltarlo,  commuovendoci, come sempre.

MONTI E I SUOI TRADITORI DELL’ITALIA

Pubblicato il 23 marzo, 2013 in Costume, Cronaca, Politica estera | No Comments »

Un Paese non può vivere di solo spread, di tagli agli stipendi della casta o di presunti conflitti di interesse.

Mario Monti con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone

Qualsiasi agenda deve avere al primo punto il rispetto della bandiera simbolo della nazione, dignità e orgoglio, difesa di chi serve lo Stato rischiando la vita. Tutto il resto ne discende. E invece siamo ripiombati nell’italietta di inizio secolo scorso: debole, confusa, pasticciona, ingrata, senza nerbo e parola. Lo dobbiamo a Monti e al suo governo. Nel giro di una settimana prima hanno tradito la parola data agli indiani, poi quella a noi italiani e al mondo intero. Il caso è quello dei due marò del San Marco arrestati in India. Ce li avevano rispediti in licenza per qualche settimana con l’assicurazione di un loro ritorno per il processo. Abbiamo annunciato con squilli di tromba che ce li saremmo tenuti, ma di fronte all’India che ha mostrato i muscoli (e non solo quelli) abbiamo calato le braghe: sono già in volo verso New Delhi, con tante scuse.

Questo è Monti, l’uomo che doveva ridarci la credibilità internazionale che ci avevano fatto credere persa. Questo è Terzi, il ministro già ambasciatore in America. Questa è l’Italia dei tecnici voluta e sostenuta dai salotti di banchieri e intellettuali, dai giornaloni della sinistra. Una manica di incapaci, egoisti ed egocentrici, senza alcuna legittimazione, traditori di parole date (ricordate il «mai mi candiderò» di Monti?). Volevano suonare l’Italia e gli elettori li hanno suonati, volevano cantarle all’India e il mondo l’ha cantata a loro. Hanno preso ordini non dagli italiani ma da capi di Stato e governo stranieri.

Altro che Grillo e democrazia pop a Cinque stelle. Quando qualcuno pensa di prescindere dalla politica, il risultato è quello oggi dei marò e domani delle banche chiuse su disposizione della Merkel o chissà cos’altro. Quello che serve è un governo politico e forte. Bersani sta ripetendo l’errore-orrore di Monti: pensare alla sua salvezza e non alla nostra e del Paese. Dice no a un patto col Pdl, l’unica soluzione indicata dalle urne. Anche noi siamo molto, ma molto scettici. Ma allora la soluzione è una sola: tornare a votare e subito. O cambia idea, oppure ogni giorno che Bersani perde nella speranza di rubare il consenso a un pugno di grillini è un giorno in più in cui l’Italia viene umiliata e messa sempre più a rischio. Anche se ci riuscisse, cosa improbabile, il suo sarebbe un governo talmente debole che saremmo in balia del mondo intero più di quanto lo siamo con Monti. Napolitano ci pensi bene prima di avventurarsi su strade ad alto rischio.  Alessandro Sallusti, 23 marzo 2013

….,..Nemmeno l’Italietta giolittiana, quella dei giri di valzer e dei valzer senza giri, era riuscita a tanto. A farsi prendere per i fondelli, non una, ma due volte. E’ riuscito all’Italietta di Monti e ai suoi bravos alla mortadella, dal ministro degli esteri, l’uomo di Fini, Terzi di Santagata, al ministro della difesa De Paola il cui unico obiettivo è quello di  accappararsi incarichi per “arrotondare” la già più che  pingue pensione. Il caso dei due Marò restituiti all’india dopo aver solennemente dichiarato che rimanevano in Italia è da manuale e da oggi farà parte del kit dei boy-scouts americani. Non è il caso che ricapitoliamo la storia che si trascina da quasi un anno. Contano sopratutto le ultime 24 ore. I due ritornano in India   perchè, dichiara il sottosegretario che ha il nome di un prodotto agricolo, De Mistura, l’India ha aassiocurato che non rischiano la pena capitale. Oh bella! Perchè se gli danno 30 anni da scontare in una putrida galera indiana c’è da stare allegri?  Ma l’India fa sapere, dopo che i due sono ritornati in India,  che non c’è nessun impegno in  questo senso. Cioè, per dirla tutta, l’India  fa intendere che i due rischiano proprio la pena capitale. Che figura di merda per Monti e i suoi compagni. Sopratutto per quella faccia di pietra di Monti che quando i due ritornarono in Italia per “licenza elettorale” li ricevette a Palazzo Chigi, proprio come si faceva nella putridissima prima Repubblica, quando tutto faceva brodo per far voti, dalle Madonne pellegrine ai trattori di Stalin. E tutto ciò mentre il mondo ci ride dietro: siamo stati offesi e gabbati e forse per una manciata di quattrini  (eggi affari) ci prendiamo in faccia non soltano lo scherno del mondo universo ma anche la possibilità di avere sulla coscienza se non due morti morti due morti vivi. Bella roba per uno che doveva riscattarci da Berlusconi. Ma Berlusconi mai avrebbe consentito che questa farsa che può trasformarsi in dramma  fosse rappresentata. g.

LE PAROLE DEL PAPA: IL VERO POTERE E’ IL SERVIZIO, di Sarina Biraghi

Pubblicato il 20 marzo, 2013 in Costume | No Comments »

Custodire la Chiesa è il compito del Papa, custodirci tra noi è quello di ogni individuo, custodire la creazione è il compito dei potenti. Perché il vero potere è il servizio verso i deboli anche se sulla terra ci sono troppi Erode che tramano progetti di morte, che non proteggono i disegni di Dio scritti nella natura. Almeno 200mila persone hanno assistito alla messa d’inizio del ministero petrino di Francesco, nei modi e negli abiti, rigorosamente Vescovo di Roma. Una carezza al mondo che scalda i cuori quell’invito a non temere la tenerezza, un programma di governo quell’omelia densa di principi dottrinali che mostrano l’altra faccia del Papa pastore, quella del maestro di vita cristiana, del teologo che oltre ai gesti opererà atti. Dirompenti, rivoluzionari per cambiare un papato già cambiato dalla rinuncia epocale di Ratzinger. Francesco dovrà affrontare la secolarizzazione in rapporto all’evangelizzazione, dovrà avere il carisma per conquistare i fedeli, dovrà avere la forza per governare l’istituzione-Chiesa. È per questo che chiede le preghiere, anche ai bambini, colombe sul suo cammino, chiede l’affetto corale per proteggersi dai lupi, che pure ci sono e lui lo sa… La sua affabilità, i suoi gesti moderni servono ad accorciare le distanze, ad includere, non escludere, la gente che lui vuole «sentire». È questa la sfida, saper ascoltare il mondo contemporaneo, le istanze etiche e politiche, i non credenti, rendere infinito il feeling che ha instaurato da quel primo «buonasera». Ma non tragga in inganno la gentilezza di Francesco. Userà le stesse parole di Ratzinger su aborto, matrimoni gay, eutanasia, pedofilia… E allora, s’indebolirà quel feeling? Questo Papa è la novità che ha riacceso la speranza per la Chiesa e per il mondo. Sarà Francesco a salvarla come nel sogno di Papa Innocenzo III, reso immortale dall’affresco di Giotto, che vede il fraticello d’Assisi arrestare la rovina della Chiesa innalzando le mani al cielo. Il Papa sudamericano con l’umiltà, i sorrisi e la forza potrà farcela, facendo dimenticare anche i suoi predecessori che pure hanno detto «buonanotte», come Giovanni XXIII, hanno baciato i bambini, come Giovanni Paolo II, hanno invitato a «non deturpare la Chiesa» come Benedetto XVI.  Il Tempo, 20 marzo 2013

ODIO DI STATO IN DIRETTA TV, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 18 marzo, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Isterica e acida Lucia Annunziata lo è sempre stata. Avete presente quelli che hanno la puzza sotto il naso e ti guardano dall’alto al basso perché si sentono i più intelligenti, che hanno studiato e frequentano solo gente giusta di sinistra? Ecco, lei è quella roba lì, un Mario Monti in gonnella, o come la definivano ai tempi della sua, e mia, frequentazione al Corriere della Sera, una insopportabile rompicoglioni. Ieri, durante la sua trasmissione Mezz’ora su Raitre, ha definito il suo ospite Alfano e tutto il Pdl una manica di impresentabili. Cara maestrina Lucia, campione di giornalismo dei miei stivali, impresentabile sarai tu e tutti quelli come te. Una manica di frustrati che non ne hanno mai azzeccata una, politicamente umiliati dalla storia e sconfitti dalla cronaca, soprattutto quella elettorale. Sarà presentabile il suo partito di riferimento, il Pd di Bersani, quello dello scandalo Montepaschi di Siena, delle tangenti di Penati, quello tanto presentabile da chiedere in ginocchio un salvagente in Senato a undici disgraziati grillini.

E dire che i suoi amici comunisti, per ringraziarla di tanta fedeltà, anni fa le avevano affidato pure la presidenza della Rai. È stata, ed è, la Annunziata, una lottizzata della politica (quella sì impresentabile), ha campato, e campa, con (tanti) soldi pubblici frutto anche dei sacrifici dei dieci milioni di «impresentabili» elettori del centrodestra.

Sono per la libertà assoluta di parola, non mi fanno paura gli insulti, ma mi chiedo se un servizio pubblico può essere impunemente così fazioso. Ormai siamo all’odio di Stato sulla tv di Stato e quello di donna Lucia per i liberali ricorda quello dei nazisti per gli ebrei. Oggi ci vuole cacciare dal parlamento perché impresentabili, domani chissà. Cosa dici Lucia, i nostri figli potranno ancora frequentare le scuole pubbliche? E le nostre donne che devono fare? Le mandiamo a rieducarsi o le chiudiamo in un ghetto. Siamo passati dalla tv etica di Santoro alla tv razzista della Annunziata.

Sostieni Berlusconi e protesti contro la giustizia politicizzata? In galera, razza di impresentabile. Non è uno scherzo, con me l’hanno fatto, col silenzio complice della democratica Lucia Annunziata.

Ma andate tutti a pettinare le bambole con Bersani, che magari quello vi viene bene. Il Giornale, 18 marzo 2013

FUMATA NERA, LA PIAZZA VOLEVA ILMIRACOLO, di Sarina Biraghi

Pubblicato il 13 marzo, 2013 in Costume | No Comments »

Fumata nera nel primo giorno di Conclave. Era scontata eppure emozione e delusione non sono mancate. Non soltanto per chi, malgrado la pioggia, era in piazza San Pietro a fissare quel comignolo. Anche chi ha seguito in tv sperava di vedere un pennacchio bianco illuminare la notte romana. Basta attesa, il mondo voleva il miracolo. Invece ieri, a un mese esatto dalla rinuncia di Benedetto XVI, con una fumata nera (e poi si sono spente anche tutte le luci di San Pietro) è iniziato il Conclave. Un evento che è riuscito a mettere la sordina al resto delle notizie, seppur importanti, per il nostro Paese. Alla politica sguaiata (protesta Femen compresa) si è preferita la preghiera, la celebrazione, i riti solenni che precedono l’elezione di sua Santità.

«Spondeo, voveo ac iuro», cioè «prometto, mi obbligo e giuro», hanno ripetuto, alcuni con la voce incrinata, i 115 principi della Chiesa. E mentre nuvole minacciose avvolgevano il «Cupolone», i Cardinali con la mano sul Vangelo aggiungevano: «Così Dio mi aiuti e questi Santi Evangeli, che tocco con la mia mano». Poi, dopo l’extra omnes, il cigolante portone della Cappella michelangiolesca si è chiuso con un rimbombo inquietante. Per chi stava fuori ma probabilmente anche per chi è rimasto dentro.

Non sarà facile per i Cardinali eleggere il successore di Benedetto XVI, un Pontefice che dovrà riformare la Curia ma anche rimediare a quel deficit di testimonianza da parte della Chiesa su gravi problemi, come la pedofilia. Sarà un Papa dal «cuore generoso» ha auspicato il cardinal Sodano celebrando la messa «pro eligendo Pontifice» ma comunque dovrà dar vita al cambiamento e alla discontinuità che i cattolici si aspettano. Anche se la sua elezione fosse il frutto di un compromesso con la Curia, il prossimo papa dovrà mettere in pratica il Concilio Vaticano II, passando dalle parole ai fatti, proprio in questa fase storica in cui si celebra l’anno della Fede.

Gli elettori porporati, al cospetto del Giudizio Universale del Buonarroti e guidati dallo Spirito Santo sapranno scegliere tra di loro la persona più adeguata a sopportare il peso del ministero petrino, a «governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo con il vigore sia del corpo sia dell’animo». Quelle caratteristiche che l’anziano e stanco Ratzinger aveva umilmente ammesso di non avere più. I Cardinali dovranno trovare una rinnovata forma di unità attorno al nuovo Pontefice che sentirà su di sé tutto in una volta, nell’attimo stesso in cui gli chiederanno se accetta l’incarico, il peso delle decisioni per il resto dei suoi giorni. Lui, eletto dopo un’abdicazione che dovrà convivere con un Pontefice Emerito, potrà piangere nella stanza delle lacrime. I suoi fedeli piangeranno di gioia alla vista della fumata bianca che annuncerà al mondo: «Habemus Papam». Sarina Biraghi,  Il Tempo, 13 marzo 2013