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I TROMBATI D’ORO: A FINI UNA LIQUIDAZIONE DI 260 MILA EURO E UN VITALIZIO DI 6200 AL MESE

Pubblicato il 27 febbraio, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Lontani dagli occhi, ma non dal portafoglio. Una lunga fila di politici e politicanti di professione non si presenterà più in parlamento ma non mancherà di passare, ogni mese, a ritirare una pensione con troppi zero.

Pensione che saranno i contribuenti italiani a pagare con i propri sacrifici.

Un esempio su tutti? Gianfranco Fini che, incassati la bellezza di 148mila voti (0,46% alla Camera), si prende un periodo sabbatico dalla politica. Si dedicherà ai suoi hobby (magari alle immersioni in quel di Giannutri) e alla cultura, senza la minima preoccupazione di dover sbarcare il lunario. Fra un paio di mesi il (quasi) ex presidente della Camera porterà a casa un assegno di fine mandato da 260mila euro netti. Tutto qui? Macchè. Dopo una lunga vita “spesa” a far politica, l’ex leader di An potrà finalmente ritirarsi in pensione percependo 6200 euro netti al mese.

A fare i conti ai “trombati” eccellenti è Franco Bechis su Libero (leggi l’articolo) che mette a nudo i politicanti di professione che si preparano a lasciare i palazzi romani con assegni a sei cifre. La lista è davvero lunga. E volti sono tutti noti. Sono i vari futuristi, gli immancabili radicali e il solito Antonio Di Pietro. Fino a qualche giorno fa, a sentirli parlare, si poteva addirittura pensare che il destino dell’Italia e gli equilibri del futuro governo fossero nelle loro mani. “Che fai mi cacci?”, aveva tuonato Fini a Silvio Berlusconi all’assemblea nazionale del Pdl. Alla fine ci hanno pensato gli italiani. Al leader del Fli non resta che portare a casa il “tapiro” che ieri gli è stato regalato da Valerio Staffelli e accontentarsi del vitalizio che gli è garantito dopo trentun lunghi anni di legislature, incarichi governativi e via via dicendo. Tra i futuristi non è certo l’unico a ringraziare le casse opulte dello Stato. Italo Bocchino lascia il parlamento con un assegno di fine mandato da 150mila euro. Mica male, se si pensa che non ha diritto né al vitalizio né la pensione per altri diciassette anni.

Di Pietro, che ieri ha presentato le proprie dimissioni dall’Italia dei Valori, tornerà a Montenero di Bisaccia? Dismessa la toga cosa farà? Nessun problema. L’ex leader dell’Idv, per pocoallato dei Antonio Ingroia nella breve e fallimentare esperienza della lista “Rivoluzione civile”, non è certo la prima volta che è costretto a fare valigie e schiodarsi dala parlamento. Proprio per questo, dovrà accontentarsi di un buono uscita da 60mila euro netti: la prima gli era già stata versata, tempo fa. Non solo. Come Fine, anche l’ex pm di Mani pulite potrà godere, da aprile, di una pingue pensioncina da 4300 euro al mese.

Sulle stesse cifre si aggira anche Emma Bonino che gli elettori hanno deciso di lasciar fuori dalla politica. Sempre che qualcuno non voglia “piazzarla” sullo scranno del Quirinale come successore di Giorgio Napolitano, l’esponente radicale lascerà l’agone politico con un assegno da 60mila euro e una pensione da 6500 euro al mese. Più alto il buono uscita dell’ex presidente del Senato Franco Marini (188mila euro) che potrà godere di 5300 euro di pensione al mese a cui si aggiungerà quella da sindacalista. Insomma, trombati sì, ma col portafoglio bello gonfio. Il Giornale, 27 febbbraio 2013

IERI SERA IL FESTIVAL DELLA CANZONE ROSSA…..

Pubblicato il 13 febbraio, 2013 in Costume, Politica, Spettacolo | No Comments »

Assist di Crozza al Pdl. E il Cavaliere preferisce Juve-Celtic

Berlusconi bugiardo, imbonitore da strapazzo firmato Crozza, la struggente nostalgia per l’Unione sovietica di Toto Cutugno, la coppia gay che vuole convolare a giuste nozze il 14 febbraio ma non può, persino l’appello allo ius soli. Un video elettorale di Nichi Vendola non avrebbe saputo fare di meglio. La prima serata del Festival di Sanremo in versione fazionalpopolare a dieci giorni dal voto sforna tutto l’armamentario di una sinistra con la bava alla bocca. Il canovaccio di Fazio–Litizzetto è andato oltre ogni previsione. Il pubblico in sala non gradisce, “vai a casa”, “no politica” è il coro indirizzato a un Crozza spiazzato. Non se li aspettava quei fischi interminabili: bianco in faccia, salivazione azzerata, impietrito. Vestito da Berlusconi in versione chansonnier Verdini- Aznavour, con le  banconote nel taschino, prova a minimizzare: «Ragazzi, amici… non fate così…», finché non viene in soccorso Fazio. «Calmi, state calmi. Così non vale – dice il bravo presentatore –  dobbiamo divertirci…». Peccato che sembra di assistere a un comizio del Pci degli anni d’oro. Un boomerang per la sinistra? Forse. Berlusconi, ospite di Mattino 5, ci scherza su, abituato ai fendenti della satira, maestro di comunicazione, dice di non averlo visto e di aver preferito «una bella partita con la vittoria della Juve contro il Celtic». Non approfittate del festival per farvi notare con due urli…», dice ancora Fazio. La versione ufficiale, neanche a dirlo, è quella della claque prezzolata, due facinorosi spediti da via dell’Umiltà per rovinare la festa al povero Fabio. I capistruttura di viale Mazzini si affrettano a comunicare che i “quattro gatti” sono gli stessi che contestarono Celentano nel 2002. Difficile da credere visto che le telecamere Rai non inquadrano mai la sala e si concentrano sul volto di Crozza. Perché l’ha fatto? «Perché ho pagato 168 euro per sentire le canzoni», racconta uno dei contestatori. Tutto qui. Per Bersani da Crozza arriva solo qualche tiepida battuta. Come fanno a convivere Pd e Sel? Facile.«Ti finisco la Tav, così puoi andare in Francia a sposarti» promette il Crozza-Bersani a Vendola. E a proposito di matrimoni gay arriva l’esibizione di Stefano e Federico. «Ci amiamo, ci siamo conosciuti a una festa, poi siamo andati a casa, che è diventata la nostra casa. Adesso dopo 11 anni di vita insieme vogliamo sposarci, ma la legge italiana non ce lo permette. Andremo a New York». Tagliato il bacio finale. E anche il tema delle unioni omosessuali è archiviato. Manca solo l’ultima chicca. Toto Cotugno che si esibisce in una canzone russa e confessa di avere una grande nostalgia per la Russia di una volta. “L’italiano vero” rimpiange la dittatura comunista. Che c’è di male? Ognuno ha i suoi gusti, si dirà. E se avesse rimpianto la Germania di Hitler? Lo avrebbero esiliato. Giustamente.

..…e Fazio si infila nell’Armata Rossa…..

ECCO I SOLDI CHE LA RAI “REGALA” AI SUOI CONDUTTORI: E DAGLI UTENTI PRETENDE IL CANONE!

Pubblicato il 10 febbraio, 2013 in Costume, Spettacolo | No Comments »

Due milioni di euro annuali a Fazio? Più i 600 mila per Sanremo? Un milione e 500 mila ad Antonella Clerici? Un milione e 400 mila a Carlo Conti? Sono cifre «rubate», non ufficiali, che non potete trovare su alcun documento pubblico, su nessun sito della Rai.

Cifre enormi che, nelle maggior parte dei casi, sono meritate perché a loro volta, con i loro programmi, le star televisive fanno guadagnare la Tv di Stato, come i campioni del calcio. La differenza è che i soldi per questi compensi vengono direttamente dalle tasche dei cittadini che pagano il canone e che dunque avrebbero a buon ragione il diritto di verificare come vengono spesi. Invece, nonostante una legge imponga la pubblicazione dei cachet sul sito web, la Rai ha deciso di opporsi a un obbligo che la costringerebbe a rivelare «dati sensibili» che potrebbero metterla in difficoltà con la concorrenza. Essendo la Rai un organismo di diritto pubblico – spiegano in viale Mazzini – l’azienda deve rispettare alcuni obblighi sulle gare d’appalto, ma questi non valgono per la parte artistica, altrimenti non potrebbe stare sul mercato. Questi compensi, dunque, non sono soggetti al limite massimo pari allo stipendio del primo presidente di Corte di Cassazione (274 mila euro annui), come invece è diventato d’obbligo per i dirigenti. La querelle va avanti da anni, con pareri discordanti e contrastanti tra ministero della Funzione pubblica, Parlamento e Garante della concorrenza (quest’ultimo ha dato parere favorevole alla Rai). Motivo per cui, sul sito apposito, dove si dovrebbero leggere i cachet, campeggia ancora la scritta: «Lavori in corso. A breve sarà disponibile la documentazione relativa». Ma l’onorevole Renato Brunetta non demorde e continua la sua battaglia avviata quando era ministro della Funzione pubblica: giorni fa ha chiesto in una lettera alla presidente Anna Maria Tarantola di procedere alla pubblicazione. Altrimenti, minaccia, si rivolgerà alla Corte dei Conti.

In attesa di sapere come la questione andrà a finire, per chi vuole rodere d’invidia, ecco un assaggio dei compensi dei volti più noti della Tv di Stato, ovviamente tutti rintracciati di straforo, a spanne e non certificati da nessuno. Si sa, l’abbiamo detto altre volte, il più pagato dalla Tv pubblica è Fabio Fazio: il suo contratto per Che tempo che fa vale due milioni di euro l’anno cui si aggiungono i 600 mila per condurre il Festival. Totale per la stagione televisiva 2012/2013 due milioni 600 mila euro, cifra in effetti da capogiro. Altri compensi di tutto rispetto, pur se a notevole distanza dal capofila, sono quelli di Antonella Clerici e Carlo Conti. La conduttrice de La prova del cuoco e Ti lascio una canzone mette insieme un milione e mezzo di euro (cui si aggiungono ovviamente molti altri soldi per le telepromozioni). Invece il capitano de L’eredità, i Migliori anni e tanti altri show arriva a un milione e 400mila (più telepromozioni). Tra i giornalisti, il compenso di Giovanni Floris (Ballarò) si aggira sui 550 mila euro, quello di Bruno Vespa, sui 600. La Littizzetto, partner di Fazio, prende 20mila euro a puntata per Che tempo che fa e 350mila euro per il Festival. Mara Venier, per la Vita in diretta guadagna mezzo milioni annui. Gli altri contratti, delle presentatrici dei programmi mattutini o pomeridiani, come Elisa Isoardi o Veronica Maya, si aggirano sui 200mila euro. Tutte cifre che, ovviamente, saremmo pronti a correggere, se potessimo leggerle sul sito ufficiale della Rai. Il Giornale, 10 febbraio 2013

L’ITALIA DELLE TRUFFE, 300 MILIONI NEL 2012 DAI PONTI SCIVOLOSI ALLE MERENDINE

Pubblicato il 10 febbraio, 2013 in Costume, Giustizia, Politica | No Comments »

Ponte della Costituzione a Venezia, progettato dall'architetto spagnolo Santiago CalatravaDal ponte di Venezia ’scivoloso’ al maestro marchigiano che mette in tasca alimenti destinati agli alunni, passando per casi malasanità, corruzione, frode. E’ l’Italia degli sprechi e delle frodi fotografata in un dossier messo a punto dalla procura generale della Corte dei Conti che ha messo insieme le iniziative più rilevanti dei procuratori regionali. Casi che nel 2012 hanno comportato un pregiudizio economico che “in base ad un calcolo necessariamente provvisorio si valuta in oltre 293,632 milioni di euro”.

La Corte dei Conti ha scandagliato l’attività condotta lo scorso anno da tutte le procure regionali e ha messo insieme “le fattispecie di particolare interesse, anche sociale, rilevanti per il singolo contenuto e per il pregiudizio economico spesso ingente”. Dal parcheggio messo sotto sequestro a Genova perché insisteva in un sito sottoposto a vincolo storico-paessaggistico al giro di mazzette nelle camere mortuarie dei nosocomi di Milano, dalle consulenze “inutili” (così le definisce la stessa magistratura contabile) della provincia di Napoli o della “erronea” utilizzazione del tariffario da parte delle Asl calabresi per le prestazioni specialistiche e di laboratorio, la casistica delle truffe e dei danni allo Stato è ampia. Nei faldoni finiti nel mirino dei magistrati contabili anche consulenze non lecite, “imprudenza nella stipulazione di contratti di finanza derivata”, omessa riscossione delle imposte. Fonte ANSA, 10 fe3bbraio 2013

NAPOLITANO SCOPRE L’ACQUA CALDA: IL COMUNISMO E’ FALLITO (CON UN POST SCRIPTUM: MA ERA TANTO BELLO…)

Pubblicato il 9 febbraio, 2013 in Costume, Storia | No Comments »

Napolitano dice che il comunismo ha fallito (con un post scriptum: ma era tanto bello)

Di acqua sotto i ponti ne è passata, ma ancora tanta ne deve passare. Certo, sono trascorsi parecchi anni da quel maledetto 1956 quando, all’indomani dell’invasione dei carri armati sovietici a Budapest – che sparavano sulla folla inerme – e della fucilazione dei rivoltosi ungheresi, Giorgio Napolitano non solo non ne prendeva le distanze ma elogiava l’Urss che, a suo dire, rafforzava la pace nel mondo. Cinquantasette anni dopo Napolitano è presidente della Repubblica, è stato il regista della stagione di Monti, di cui ha santificato l’azione dal primo all’ultimo giorno, dando il “la” al coro dei laudatores. E ora interviene in campagna elettorale con una confessione storica a metà, che serve soprattutto a tranquillizzare quella parte di mondo cattolico che ha molte riserve sulla sinistra. Sceglie – guarda caso– il giornale del Vaticano, l’Osservatore Romano, per dire che il «comunismo ha fallito», un modo come un altro per dire “non preoccupatevi, il matrimonio Bersani-Monti s’ha da fare”. C’è un “ma”: parla infatti del «rovesciamento di quell’utopia rivoluzionaria che conteneva in sé promesse di emancipazione sociale e di liberazione umana» e che aveva finito «come, con fulminante espressione, disse Norberto Bobbio, per capovolgersi, nel convertirsi di fatto nel suo opposto». Come dire: l’ideologia era ottima, la concretizzazione sbagliata. Quindi è una finta bocciatura anche perché – al di là della teoria del dissolvimento dello Stato, ormai finita nel dimenticatoio – il punto cruciale è nell’insieme di conseguenze negative e drammatiche che ha avuto la dottrina marxista (e quindi l’ideologia). Che – checchè ne dica o ne pensi Napolitano – non è mai stata tesa né all’emancipazione sociale né alla liberazione umana. Tutto questo senza neppure scomodare gli effetti delle correnti di pensiero trotzkista o leninista, su cui sarebbe superfluo soffermarsi. 9 febbraio 2013

IL QUIRINALE, CIOE’ NAPOLITANO CI COSTA 228 MILIONI DI EURO L’ANNO

Pubblicato il 2 febbraio, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Tre milioni di euro per le spese di acqua, luce, gas e tv; 372mila euro per abiti e biancheria; 545mila euro per la manutenzione dei mobili, 144mila euro per bestiame e macchinari agricoli. E altro ancora…

Non basta tagliare alcuni rami per sfoltire un albero gigante. Per questo, al netto della riduzione del personale e della spesa, il Quirinale continua a gravare inesorabilmente sul bilancio dello Stato (e quindi dei contribuenti).

Duecentoventotto milioni di euro. Una cifra che, se paragonata a quella di Buckingham Palace o del palazzo presidenziale tedesco, fotografa perfettamente l’anomalia italiana. Il Colle costa quasi dieci volte in più dell’equivalente tedesco, circa otto volte tanto il palazzo della Regina Elisabetta, il doppio dell’Eliseo, tanto per fare solo alcuni esempi.

Tuttavia, per il segretario generale della Presidenza, Donato Marra, fare un paragone del genere è controproducente, specie “in riferimento alle forme di Stato monarchico” dove i “costi di funzionamento degli apparati delle Case reali gravano solo in parte su una dotazione specifica (appannaggio, civil list), mentre per la parte restante sono assunti direttamente a carico del bilancio dello Stato”.

Sul sito della presidenza della Repubblica viene spiegato che la dotazione a carico del bilancio dello Stato resta su un livello sostanzialmente analogo a quello del 2008, che è stato esteso a tutto il personale di ruolo il regime previdenziale contributivo, che tale personale di ruolo è stato ridotto di 24 unità (da 823 a 799) mentre è rimasto sostanzialmente stabile (da 103 a 102 unità) l’ammontare del personale comandato e a contratto; che anche il personale militare e delle forze di Polizia distaccato per esigenze di sicurezza si è ridotto di 42 unità (da 861 a 819). Insomma, nel corso del settennato il personale complessivamente a disposizione dell’Amministrazione si è pertanto ridotto di ben 461 unità.

Tuttavia resta il fatto che la spesa complessiva prevista ammonti a 228 milioni di euro. Ma come viene ripartita questa spesa? Dal documento analitico di bilancio pubblicato sul sito della presidenza della Repubblica si evidenzia per esempio una cifra di più di 3 milioni di euro per le spese di acqua, luce, gas e tv; superano i due milioni e mezzo (2.620.828) le spese della voce “consiglieri e consulenti” del Presidente della Repubblica.

Inoltre, 185mila euro servono per portare Giorgio Napolitano in giro per il mondo; 372mila euro per abiti e biancheria; 545mila euro per la manutenzione dei mobili. Se non bastasse, ci sono poi 398mila euro per le spese di cucina, banchetti e cene istituzionali. Per il bestiame e le attrezzature agricole, il Colle spende 144mila euro.

Tra le voci più costose del bilancio c’è quella relativa alla tenuta di Castelporziano per la quale (oltre a uno specifico contributo del ministero dell’Ambiente di 500mila euro e i quasi 50mila euro derivanti dalla vendita di esemplari di fauna selvatica della tenuta) si spendono, sola per la gestione forestale e faunistica, 120mila euro.

E poi ci sono 580mila in agenzie di informazioni, pubblicazioni, servizi fotografici e video, 160mila euro di spese postali. Insomma, se da un lato è apprezzabile lo sforzo attuato nel ridurre la spesa complessiva, dall’altro questa resta comunque a livelli spropositati. Sopratttutto in tempo di crisi economica. Il Giornale, 2 febbraio 2013

.………………Insomma lo Stato, cioè noialtri, paghiamo a Napolitano anche i tanti doppiopetti che indossa con rara eleganza, con l’eleganza di un re, del resto, anche per la sua rassomiglianza con lo scomparso ultimo Re d’Italia, Umberto 2°, così lo avevano ribattezzato nel suo PCI, sin dai tempi dell’Assembela Costituente. Perchè l’on. Napolitano, alla faccia del rinnovamento, vive con gli emolumenti di appartenenbte alla Casta sin da allora, cioè da ben 67 anni, e gli ultimi sette li ha vissuti da re e imperatore, quale nemmeno l’unico che si potuto fregiare, legittimamente di questo titolo, Vittorio Emanuelel 3°, abbia mai fatto. Ovviamente, come tutti,  l’on. Napolitano predica e si commuove spesso e volentieri, specie quando si occupa della gente italica che non può coniugare pranzo e cena, ma vive gaudente anche queste ultime settimane che lo separano dalla fine del mandato, ben sapendo che dopo e finchè campa lo attende il laticlavio senatoriale, un comodo ufficio con tanto di segretari e segretarie e  macchina e autista, il tutto a spese dxello Stato. Non c’è male per un ex comunista la cui unica preoccupazione era il benessere delle classi operai. Ma per queste resta solo il Paradiso nell’altro mondo…in questo il Paradiso è riswervato a Napolitano e i taqnti come lui. g.

MPS: ADESSO CI DEVONO SPIEGARE, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 31 gennaio, 2013 in Costume, Economia, Politica | No Comments »

Da oggi la finanza legata alla sinistra ha un nome: quelli del 5 per cento, che è il valore delle tangenti che i signori trattenevano per sé.

Il presidente di Mps Alessandro Profumo

La presunta superiorità morale ed etica di quel mondo sta crollando sotto i colpi di una inchiesta, quella sulla banca Monte dei Paschi, che il cauto procuratore di Siena ha definito ieri «esplosiva». Il buco creato dai banchieri del Pd lo abbiamo già tappato noi, versando quei quattro miliardi di Imu sulla prima casa che corrispondono alla somma girata a Siena dal governo Monti per tamponare il buco e salvare la baracca.
Ora Bersani la smetta di minacciare. Ci sbrani, se vuole mantenere la parola data per tentare di silenziare il caso. Ma credo che il suo problema sia oggi quello di non essere rincorso con i forconi dai suoi elettori, truffati dalla banca e beffati dall’uso disinvolto di euri pubblici fatto dai consiglieri Pd della Regione Lombardia (20 indagati, compresi i soci che fanno capo a Di Pietro). Ma anche Monti la deve smettere di fare il santarellino indignato. Il suo governo ha dato, di fatto, copertura economica e mediatica a quello che è il più grande scandalo bancario della Repubblica. Di più. Il suo ministro dell’Economia, quello dell’Imu, del rigore, dell’aiuto al Montepaschi, del «non abbiamo soldi per i terremotati», quello che ieri si è presentato in Parlamento per autoassolversi, non la racconta tutta. Per esempio, lui che all’epoca era già ai vertici dell’economia italiana, non ha spiegato come mai il Monte dei Paschi gli concesse un mutuo superiore al valore della casa che stava per comperare. Prassi anomala, con i tempi che corrono è già tanto se a un comune mortale le banche finanziano il 50 per cento del necessario.
Insomma, Bersani e Monti volevano farci fessi, con i loro loden e le loro primarie democratiche. Per fortuna non è che tutti gli altri sono «qui a pettinare le bambole», come ama dire il leader del Pd. E adesso che lo spieghino agli elettori cosa è successo. E ci restituiscano i soldi dell’Imu, che noi in questo schifo non c’entriamo nulla. Il Giornale, 31 gennaio 2013

.…………….Oggi i giornali titolano che la Banca senese era governata da una banda di malfattori. Ma a sentire la papessa Bindi ieri sera a Porta a Porta la faccenda è diversa. Come nessu no lo dice, nè lo ha detto la Bindi che dall’alto della presunta supeirorità etica del centrosinistra tentava, inutilmente, di arginare l’offensiva assai documentata del direttore di Libero Maurizio Belpietro ( a proposito, il PDL eviti di mandare in trasmisisone belle “guaglione” ma assai inadatte a controbattere una come la Bindi…) che tra l’altro ha citato lo statuto del PD  senese che tutti i nominati negli enti, pubblici e privati, come appunto il Monte dei Paschi di Siena, hanbno l’obbligo di versare oboli sostanziosi al partito. Come Mussari, il pluriindagato in quyesta storiaccia, che al PD ha versato in qualche anno ben 700 mila euro. “Liberalità“, li ha definiti la Bindi… Dopo di che, ogni commento è inutile e superfluo.g.

I TECNICI DEL GOVERNO MONTI..ALTRO CHE SOBRI

Pubblicato il 24 gennaio, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Presentati come preparatissimi e integerrimi, dovevano dare lezioni a tutti. Ma sono incappati in inchieste, strani affari immobiliari e ferie a scrocco: da Grilli a Passera, da Griffi a Malinconico

Roma Per essere i portabandiera della sobrietà, i ministri di Mario Monti sono stati coinvolti, nei loro 13-mesi-13 di impero tecnico, in scandali, scandaletti e vicende inopportune né più né meno degli esponenti di ogni altro governo repubblicano.

Il ministro dell’Economia Vittorio Grilli

A volte piccoli inciampi, altre volte storiacce da dimissioni. Di certo nel libro nero del governo del Professore ci sono abbastanza pagine da sbianchettare ogni vanto di pretese virtù.
La vicenda di Paola Severino che raccontiamo in altra parte di questo giornale, è solo l’ultima. E nemmeno la più imbarazzante. Come spesso accade in Italia gli scheletri sono nascosti tra i mattoni. Fu una casa, infatti, a far arrossire nel gennaio 2012 Filippo Patroni Griffi, ministro della Semplificazione. Si scoprì che il magistrato «salito» al governo la vita se l’era semplificata eccome acquistando nel 2008 l’appartamento in cui vive da affittuario dalla fine degli anni Ottanta, (109 metri quadrati catastali al primo piano con vista sul Colosseo) a un prezzo decisamente di saldo: 177.754 euro. Patroni Griffi beneficiò, come gli altri condòmini, di un prezzo già vecchio e scontato di un altro 45 per cento grazie alla vendita in blocco. Una clausola che non si dovrebbe applicare agli immobili di pregio. Ma il fatto è che Patroni Griffi e i suoi coinquilini riuscirono a farsi riconoscere dapprima dal Tar e poi dal Consiglio di Stato lo status di «immobile non di pregio». Sulla vicenda la Procura di Roma ha aperto un fascicolo di cui non si è saputo più nulla. E sulla casa si è impantanato anche Vittorio Grilli, ministro dell’Economia che, come da noi raccontato ieri, nel 2004 acquistò un quartierino da oltre 300 mq ai Parioli per un prezzo (1,065 milioni) pari a metà del valore dell’immobile e contraendo un mutuo gonfiato fino a 1,5 milioni. Le spiegazioni fornite dal ministro sono state finora tutt’altro che chiarificatrici.

Di tutt’altra natura l’affaire che portò alle dimissioni da sottosegretario della Presidenza del consiglio con delega all’editoria Carlo Malinconico: a partire dal 2007 era stato più volte ospite di un lussuoso resort dell’Argentario, Il Pellicano, senza sborsare un euro. Il conto infatti veniva regolarmente saldato da Francesco De Vito Piscicelli, imprenditore della cricca di Angelo Balducci. Malinconico, bontà sua, invocò la clausola-Scajola: l’inconsapevolezza.
Poco rilievo ha avuto tutto sommato l’iscrizione nel registro degli indagati da parte della procura di Biella di un pezzo grosso del governo tecnico, Corrado Passera, perché nel 2006-07, da amministratore delegato di Banca Intesa prima e consigliere delegato di Intesa Sanpaolo poi avrebbe operato un arbitrato tributario internazionale per garantire al gruppo bancario benefici di carattere fiscale. «Un atto dovuto», tagliò corto lui.

Questioni di incompatibilità investirono invece Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione, e Corrado Clini, titolare dell’Ambiente. Il primo il 30 gennaio si dimise dalla presidenza del Cnr, ente dal suo stesso dicastero controllato. Il conflitto di interessi era chiarissimo e l’incompatibilità palesemente prevista dallo statuto del Cnr, eppure Profumo traccheggiò chiedendo un parere all’Antitrust prima di capitolare in seguito alle polemiche sollevate. Quanto a Clini, lasciò la presidenza dell’Area Science Park di Trieste, la cui nomina è espressa dal governo: non bastò l’iniziale autosospensione.
Tra gli altri esponenti del governo dei sobri si fa per dire vanno ricordati il sottosegretraio ai Beni Culturali Roberto Cecchi rinviato a giudizio alla Corte dei

Conti per danno erariale che sarebbe stato procurato dall’acquisto di una costosa «patacca» da lui raccomandato allo Stato; il sottosegretario alla Giustizia Andrea Zoppini, dimessosi il 15 maggio 2012 perché indagato per concorso in frode fiscale e dichiarazione fraudolenta; il viceministro del Welfare Michel Martone, la cui carriera accademica, secondo Arcangelo Martino, imprenditore coinvolto nell’inchiesta sulla P3, sarebbe stata forse agevolata da «aiutini» sollecitati dal papà. Andrea Cuomo, 24 gennaio 2013

MOLLANO IL SEGGIO MA CONTINUANO AD INCASSARE

Pubblicato il 23 gennaio, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

D’Alema, Pisanu, Rutelli, Scajola&C. non si ricandidano. Hanno vitalizio fino a 6500 euro al mese e liquidazioni fino a 278mila

Trombati e contenti Mollano il seggio  ma continuano a incassare

di Franco Bechis

Basta asciugarsi la lacrimuccia che sicuramente scappa quando si realizza che si è all’ultimo giorno di palazzo. Qualche ferita resterà, a seconda dei casi, perché c’è chi ha fatto il passo indietro spontaneo, c’è chi l’ha fatto in modo spintaneo, c’è chi a sua insaputa in extremis è stato trombato e per questo dovrà dire addio al Parlamento. Ma asciugata la lacrimuccia e sistemato l’orgoglio ferito, per buona parte degli esclusi dalla XVII legislatura è già ora di ordinare festeggiare. Perché c’è l’altra faccia dell’amarezza: da domani potranno fare un altro lavoro, e magari restarsene in panciolle ricevendo comunque ogni mese il proprio rassicurante vitalizio. E a marzo arriverà per tutti gli esclusi un assegno di fine mandato non tassato (quindi netto) di gran lusso: andrà dai 44 mila euro per chi è stato eletto solo nel 2008, fino a quasi 300 mila netti a seconda della propria carriera parlamentare. Cifre che non interessano il fisco, che sfuggono a redditometro e spesometro, che sono cumulabili con ogni altro reddito, pensione o Tfr. Una manna, in grado di fare sorridere gran parte dei trombati.

Da marzo arriverà un vitalizio netto da 6.500 euro al mese nelle tasche del senatore uscente del Pdl Beppe Pisanu, del deputato uscente Udc Mario Tassone e di Valter Veltroni, fondatore del Pd che già aveva provato questa emozione quando era sindaco di Roma: un assegno mensile lordo di oltre 9.300 euro che lui sosteneva di dare in beneficienza a una organizzazione umanitaria in  Africa. Ora Veltroni se li terrà, in attesa di qualche occupazione integrativa. E verserà sul conto anche la buonuscita da 44 mila euro, che sembra ridotta rispetto ai suoi 19 anni da parlamentare perché ne ha già incassato la parte più sostanziosa quando si dimise per diventare sindaco di Roma. Anche Pisanu ne ha già incassata una parte (ha 39 anni di parlamento alle spalle): ora però gli arriverà un assegno da 175 mila euro netti. Stessa esperienza per Tassone, che di anni alle spalle come onorevole ne ha 35: ha già incassato una parte della liquidazione, riceverà ancora 158 mila euro.

La doppia liquidazione è esperienza che faranno molti altri parlamentari uscenti che nella loro carriera hanno già interrotto l’esperienza parlamentare o perché non ricandidati nella legislatura o perché eletti altrove. Al Parlamento europeo ad esempio Massimo D’Alema, fra il 2004 e il 2006, prendendosi la prima liquidazione per i suoi 24 anni da parlamentare. Gli resta da incassare un assegno da 64 mila euro e il vitalizio da circa 6 mila euro mensili netti. Avranno invece maxi liquidazioni i parlamentari che non  hanno mai interrotto il loro mestiere dal primo giorno in cui sono entrati alla Camera o al Senato. Le cifre più sostanziose toccheranno a Filippo Berselli (Pdl, ex An): 278 mila euro a cui si aggiunge da subito un vitalizio da 6.200 euro al mese e a Livia Turco che incasserà subito una liquidazione da 241 mila euro, ma dovrà ancora aspettare due anni per ricevere un vitalizio da 6.100 euro. Terzo posto nella classifica delle liquidazioni per il leghista Roberto Castelli, che incasserà un assegno da 195 mila euro e da marzo anche un vitalizio di circa 5.500 euro netti mensili. Il vitalizio sarà appena superiore (5.600 euro netti al mese) per Francesco Rutelli, che però dovrà attendere ancora un anno per riceverlo perché non ha ancora maturato i requisiti anagrafici. Subito incasserà 111 mila euro di liquidazione, visto che ne ha già incassata una parte per i suoi 23 anni da parlamentare quando si candidò a sindaco di Roma. Claudio Scajola si rasserenerà un po’ quando avrà la liquidazione (158 mila euro netti) e l’assegno del vitalizio mensile netto (4.700 euro) che incasserà senza fare nulla.

Le regole non sono uguali per tutti, perché dipendono dal momento in cui si entra in Parlamento. Per la liquidazione i parlamentari in genere ricevono l’80% della indennità parlamentare lorda per ogni anno di legislatura. Per il vitalizio la cosa è più complicata. Oggi si può avere a 65 anni con 5 anni di legislatura e si può scendere per ogni anno in più fatto fino a 60 anni. L’assegno oscilla fra il 20 e il 60% della indennità lorda. Fino al 2007 però non c’era questo limite di età e l’assegno oscillava fra il 25 e l’80% della indennità lorda. Libero, 23 gennaio 2013

……………….Ecco la casta che si perpetua nei privilegi,  alla faccia di una sessantina di milioni di persone, milioni di pensionati al limite dell’indigenza, otto milioni di poveri, il 37% di giovani senza lavoro e senza futuro. Tutti dicono di voler cancellare i privilegi ed eliminare le caste, ma al dunque tutto rimane come prima e talvolta peggio di prima. g.

ELEZIONI: SORPRESE, RICATTI E BUTTAFUORI

Pubblicato il 22 gennaio, 2013 in Costume, Politica | No Comments »

Nicola Cosentino era impresentabile, e dunque non è stato presentato nelle liste del Pdl in Campania. Sembra un’ovvietà, ma è una novità. Si è alzata l’asticella della decenza pubblica: gli italiani hanno fissato nuovi limiti a ciò che è consentito in politica, e ora tutti ne devono tener conto. Quest’anno non è passato invano. Mentre pagavamo i debiti dello Stato, ci sono diventati intollerabili i predatori insediatisi nello Stato. E bisogna ammettere che i nuovi arrivati, da Grillo a Monti, seppure in modi molto diversi tra loro, hanno contribuito a rendere inaccettabile ciò che lo è.
Il trauma nel Pdl è grande, perché escludere un imputato è più difficile in un partito il cui leader è a sua volta imputato in tre processi e vive in una condizione di guerra perenne con la magistratura. E perché è difficile per tutti, non solo per dei garantisti, prendere una decisione che tra qualche settimana aprirà le porte del carcere preventivo all’ex deputato Cosentino, accusato di essere un «colletto bianco» della camorra (del resto un anno fa l’ex ministro dell’Interno Maroni, oggi principale alleato di Berlusconi, votò ostentatamente a Montecitorio per il suo arresto). Ci sono volute 72 ore di feroce battaglia politica e un epilogo tra il drammatico e il farsesco, con l’escluso accusato di fuggire con le liste, il caos per ricostruirle, il sospetto su chi tra i suoi sponsor gliele avesse date.

Eppure, sebbene la presunzione di innocenza valga anche per Cosentino, non c’era bisogno dei sondaggi per capire che quella candidatura avrebbe politicamente sfregiato la coalizione di centrodestra. Al Nord ma anche al Sud, dove perfino il governatore pdl della Campania, Stefano Caldoro, aveva posto il suo aut aut: «O lui o me». Spinto da un Alfano tornato a combattere una battaglia di rinnovamento del partito, alla fine Berlusconi ha detto no.
Purtroppo però non tutto è bene ciò che finisce bene. Intanto Cosentino ha dato una preoccupante dimostrazione di forza. Per il Cavaliere è stato più facile mettere da parte Dell’Utri, sodale di una vita, che il ras della Campania. Perché? Le minacce dell’escluso («Vi sfascio, vi rovino») fanno pensare che almeno in Campania il Pdl sia più una truppa di capitani di ventura che un partito, e che qualcuno di loro abbia accumulato abbastanza potere da ricattare il re. L’autoriforma di quel partito deve cominciare da lì: democrazia interna e collegialità.
Il secondo problema sta nel fatto che, ancora una volta, i partiti si sono dovuti far scrivere il copione dai giudici. Questo riguarda anche il Pd, che pure con ben altra decisione ha tolto dalle liste i suoi «chiacchierati». Alcuni di loro però avevano addirittura fatto e vinto le primarie. Ci vuole dunque una legge che regoli la vita dei partiti, del resto prevista dalla Costituzione. E ci vuole una riforma elettorale che dia agli elettori il potere di scegliere i parlamentari, invece che a un sinedrio o a un capo.
Infine bisogna ricordare che l’impresentabilità non è un aspetto solo penale. Di relitti di una politica arrogante e incapace, pur senza avvisi di garanzia, nelle liste ne sono rimasti parecchi. Antonio Polito, Il Corriere della Sera, 22 gennaio 2013