Archivio per la categoria ‘Cronaca’

L’EUROVERGOGNA DI LAMPEDUSA

Pubblicato il 26 marzo, 2011 in Cronaca, Politica | No Comments »

Il barile pieno e i profughi lontani, è l’umanitarismo anglo-francese

La rivolta dei senza patria maghrebini ammassati a Lampedusa, senza acqua né cibo bastevoli per considerarsi decentemente accolti, non rappresenta affatto una macchia nella capacità di gestione italiana di un’emergenza bellica dai risvolti calamitosi. E’ prima di ogni altra cosa un marchio della vergogna per l’Unione europea che ha messo in testa l’elmetto anglo-francese. La Francia di Sarkozy, nella sua improvvida avanzata neocoloniale sul mare e sotto il cielo di Libia, agita come salvacondotto morale l’urgenza di difendere i diritti dell’uomo, ma lo fa abbandonando gli uomini in carne e ossa a distanza di sicurezza dai propri confini. L’Eliseo li respinge tutti a Ventimiglia, gioca all’umanitarismo a costo zero stando bene attento a non ritrovarsi profughi indesiderati nell’arrondissement in cui abita il consigliere Bernard-Henri Lévy.

Londra non fa di meglio,
come notava giorni fa la corrispondente di al Jazeera in Gran Bretagna rivolgendosi a noi italiani. L’essenza del discorso era questa: mentre preparate la missione di guerra, non sottovalutate la callida indifferenza degli inglesi in fatto d’immigrazione nordafricana, lasceranno a voi il contraccolpo umano dell’Odissea libica. E così è stato. L’Italia, che aveva già allarmato per tempo l’Europa attraverso il ministro Maroni, oggi guida le operazioni marittime della Nato alternando i pattugliamenti militari e l’accoglienza severa delle navi stipate di migranti. Al momento le nostre ragioni trovano più ascolto a Tunisi che a Bruxelles e Strasburgo, dove prima o poi qualcuno dovrà pagare il conto dei danni collaterali provocati dall’unilateralismo anglo-francese. IL FOGLIO, 26 marzo 2011

POVERA YARA, UCCISA SETTE VOLTE

Pubblicato il 24 marzo, 2011 in Cronaca, Giustizia | No Comments »

Caso Gambirasio, ognuno spara la sua ipotesi sulla 13enne. Anche per coprire troppi errori

L’hanno uccisa ancora. L’hanno ammazzata per la settima volta, la piccola Yara Gambirasio. Giornalisti (anche noi) e trasmissioni tv, criminologi, inquirenti, magistrati, teorie e indiscrezioni: da quel 26 febbraio, giorno in cui la ragazzina è stata trovata morta a Chignolo d’Isola (era sparita esattamente tre mesi prima a Brembate Sopra, a 700 metri da casa), si è ipotizzato di tutto. Troppo, a volte con dettagli macabri e inutili. A volte con teorie fantasiose ed esagerate. A volte con mezze smentite e tanti non so di comodo, utili soltanto ad allentare la pressione e mascherare gli errori delle indagini. E se all’inizio, appena ritrovato il cadavere, tanta era la voglia di far luce sul terribile omicidio che aveva commosso (e continua a commuovere) l’Italia che veniva d’istinto cercare – in tutti i modi – di capire le dinamiche del delitto, ora forse sarebbe il caso di rallentare. Stare zitti. Aspettare gli esiti ufficiali dell’autopsia, che è stata complicatissima (viste le condizioni del corpo) e richiede ancora un po’ di attesa. Anche perché, sulla morte di Yara, ormai è stato ipotizzato di tutto e l’ultima teoria mancante era proprio  quella – appunto – che ha ucciso (simbolicamente) la giovane ginnasta per la settima volta. La nuova indiscrezione battuta dalle agenzie dice che ad ammazzare Yara sarebbe stato un taglio che avrebbe reciso la trachea, provocando così una crisi respiratoria, poi causa del decesso.

Eppure solo pochi giorni fa si parlava di strangolamento. «Troppe invenzioni giornalistiche – ha accusato  il pm Letizia Ruggeri – non c’è, non esiste lo strangolamento. Non so da dove escano certi dettagli, anche il fatto che ci sarebbero segni sul collo della ragazza. Al momento non sappiamo quale è la causa esatta della morte. Posso dire che sul volto e sulla testa ci sono tre aree di infiltrazioni ematiche anomale, che denotano i colpi subìti.
Se si è trattato di pugni o di un corpo contundente è difficile dirlo. Non ci sono riflessi di quei colpi sulle ossa del volto e del cranio». Mezze conferme e mezze smentite. Mezze interviste (o si parla chiaramente, oppure è meglio stare zitti) che non aiutano certo a fare chiarezza e non hanno aiutato a farla in questi mesi. Yara, la prima volta, è stata ammazzata con sei coltellate o, in alternativa, sei colpi di cacciavite anche se non si è mai capito quale sarebbe stato quello letale. Poi, dopo qualche giorno, una nuova teoria: a uccidere la ragazzina sarebbero state due armi differenti, una lama e un altro oggetto invasivo, una pietra o qualcos’altro. Smentite. Silenzi. Qualche ammissione del pm. Poi, l’ipotesi soffocamento. Accantonata (Ruggeri: «Non penso che sia morta per asfissia»). E ancora, durante una conferenza stampa, il procuratore capo di Bergamo, Massimo Meroni, ha spiegato che l’agonia della ragazzina non sarebbe stata breve, non escludendo, quindi, che potrebbe essere “morta di freddo” (teoria che ora sembra scartata). A sorpresa, poi, lo scenario più strano. Yara sarebbe stata uccisa per un rito satanico e dunque la sua morte sarebbe avvenuta per dissanguamento.
Una, due, tre, quattro, cinque, sei volte uccisa, povera Yara. Ora, con il taglio della carotide, l’hanno ammazzata per la settima volta. Troppo. Adesso basta, lasciamola riposare in pace e aspettiamo gli esiti ufficiali dell’autopsia. di Alessandro Dell’Orto,24/03/2011

ASSOLTO IL TABACCAIO CHE NEL 2003 UCCISE UN RAPINATORE: LEGITTIMA DIFESA

Pubblicato il 21 marzo, 2011 in Cronaca, Giustizia | No Comments »

Un'immagine del 2003

Il tabaccaio Giovanni Petrali che nel maggio del 2003 uccise un rapinatore e feri’ un suo complice, che avevano tentato di mettere a segno una rapina nella sua tabaccheria, e’ stato assolto in appello dalla accusa di omicidio, perche’ i giudici hanno ritenuto sussistente la legittima difesa. In primo grado era stato condannato a 1 anno e 8 mesi per omicidio colposo.

Il sostituto procuratore generale di Milano, Piero De Petris, aveva chiesto una condanna per il commerciante a 9 anni e mezzo di reclusione per omicidio volontario e tentato omicidio, come aveva fatto anche in primo grado il pm. L’uomo però nel febbraio del 2009 era stato condannato a 1 anno e 8 mesi con la sospensione della pena per omicidio colposo e lesioni colpose, perché i giudici avevano ritenuto che l’anziano commerciante era incorso in un errore di percezione, essendo sconvolto al momento della rapina. Oggi i giudici della prima corte d’assise d’appello, presieduti da Maria Luisa Dameno, in parziale riforma della sentenza di primo grado, hanno dichiarato “non punibile” Petrali per i reati di omicidio e lesioni colpose contestati in virtù del riconoscimento della “legittima difesa putativa” ossia, il commerciante riteneva in quel momento di agire in uno stato di legittima difesa. Il secondo capo di imputazione, invece, ovvero la detenzione e il porto dell’arma all’esterno del locale, è stato dichiarato prescritto. Il 17 maggio del 2003, il commerciante aveva ucciso con un colpo di pistola il rapinatore Alfredo Merlino e aveva ferito al polmone il suo complice, Andrea Solaro. I due avevano cercato di mettere a segno un colpo nel suo bar-tabacchi di piazzale Baracca.

I giudici della prima corte d’assise d’appello di Milano hanno anche disposto la restituzione della pistola, con cui l’uomo sparò, all’imputato. L’arma, con la quale quel 17 maggio del 2003 Petrali sparò sette colpi, era stata sequestrata e i giudici di primo grado avevano stabilito che venisse confiscata. Gli avvocati del tabaccaio, invece, nei motivi d’appello avevano chiesto il dissequestro e la restituzione della pistola, che oggi i giudici hanno accolto.

“Mio padre non farebbe una scelta del genere, di detenere una pistola, per evitare qualsiasi tipo di decisione da prendere in quegli istanti”. Lo ha spiegato Marco Petrali, avvocato e uno dei figli di Giovanni Petrali. “Oggi è stata scritta una bella pagina di giustizia”, ha commentato Marco Petrali, che difende il padre assieme all’ avvocato Marco Martini. L’altro figlio del commerciante, Antonio Petrali, ha detto che con la sentenza di oggi “é una storia finita e siamo tutti felici”. E sui colpi esplosi da suo padre nei confronti dei rapinatori, ha aggiunto: “Meglio un brutto processo che un bel funerale”. Il fratello, poi, ha spiegato che il padre, dopo l’episodio, ha sempre detto che non farebbe più la scelta di tenere in negozio un’arma. Il Corriere della Sera, 21 marzo 2011

……………Almeno questa volta s’è trovato un giudice a Berlino che ha fatto giustizia, assolvendo il tabaccaio.

150 ANNI: ECCO LA CASTA DEGLI IGNORANTI CHE GOVERNANO L’ITALIA

Pubblicato il 19 marzo, 2011 in Costume, Cronaca | No Comments »

Nichi Vendola ha votato per riaprire le vecchie scassate e insicure centrali nucleari di Trino Vercellese e Corso, ma l’ha fatto a sua insaputa. Lui, come decine di altri deputati di sinistra e di destra, non aveva nemmeno letto l’ordine del giorno sul nucleare che il 30 luglio 2004 fu votato alla Camera. Siccome il governo aveva detto di no, e il governo era guidato da Silvio Berlusconi, l’opposizione ha detto sì. Ed è diventata nuclearista a sua insaputa.

Accade spesso, ormai. Grazie al formidabile servizio de Le Iene abbiamo assistito a un altro evento unico e clamoroso. Da mesi le sorti dell’esecutivo e della legislatura erano appese alla necessità di avere comunque un governo in carica il 17 marzo 2011, perché Giorgio Napolitano così pretendeva per dare il via alle celebrazioni del 150° anno dell’unità di Italia. Per settimane maggioranza, opposizione e perfino forze sociali si sono accapigliate sulla introduzione della festività infrasettimanale, che naturalmente qualche problema ha causato alle imprese proprio in un anno in cui si sventolava la bandiera della produttività. Da giorni gran parte del parlamento, e quasi tutta la stampa, si è dedicata a linciare i distinguo leghisti, scandalizzandosi per chi il 17 marzo non desiderava festeggiare. E finalmente giovedì festa è stata. Un’overdose di festa, che ha inondato più di uno tsunami ogni città, ogni palazzo della politica, qualsiasi trasmissione televisiva, perfino l’apertura di ogni telegiornale, spazzando via appunto come un maremoto il dramma del Giappone, la crisi della Libia e ogni altra notizia. Bene, grazie alle Iene  è stato evidente a tutti che il 17 marzo gran parte della classe politica italiana ha festeggiato a sua insaputa. Nel senso che non aveva la minima idea di cosa si dovesse festeggiare in quella data.

Per il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, il 17 marzo si sarebbe festeggiato l’inizio delle cinque giornate di Milano (che per altro iniziarono il 18 marzo, ma del 1848, quindi 163 anni fa). Per il vicepresidente della Camera dei deputati, Rosy Bindi, il 17 marzo è stato scelto perché è la data in cui Roma divenne capitale (accadde nel 1871, e quindi sarebbero 140 anni). Per Fabio Mussi, amico del cuore di Massimo D’Alema, non c’è un motivo per cui si festeggi il 17 marzo: «non lo so… è una data…». Per Carlo Barbaro, finiano di ferro, ultranazionalista «cosa accadde il 17 marzo di 150 anni fa? Di preciso non glielo so dire… La breccia di Porta Pia non credo.. O forse sì, proprio la breccia di Porta Pia». Un intellettuale di sinistra come l’ex presidente delle Acli, Luigi Bobba, è sembrato sgomento di fronte alla domanda:«Il 17 marzo? Non me lo ricordo. Il primo re di Italia? Sì, Umberto I». Da gran democristiano prova a cavarsela l’ex deputato dell’Udc, Vincenzo Alaimo: «Il 17 marzo? Non lo ricordo, però per averlo scelto vuole dire che è successo qualcosa di importante». L’intervistatrice prova a confonderlo con la risposta che in tanti danno: «La Breccia di Porta Pia? Ma quella è stata nel Novecento… L’anno preciso? Dunque nel ’46 c’è stata la Liberazione… forse nel ’45, nel ’44…».

Naufragio totale. Risponde da perfetto peone Franco Cardiello,  Pdl: «Il 17 marzo? Non è successo nulla. Evidentemente quella della data è una scelta condivisa». Come dire: a noi peones le decisioni passano sempre sulla testa. Si vede che la sinistra voleva festeggiare il 19, la destra voleva festeggiare il 15 e alla fine hanno condiviso la scelta del 17. Non solo fine storico, ma anche gran matematico  Vincenzo D’Anna, deputato che è andato  a infoltire le fila dei Reponsabili: «Si festeggia l’Unità di Italia, che è stata realizzata nel 1860, quando è stata liberata Roma con l’impresa di Porta Pia. Come? Sono passati 151 anni dal 1860? No, perché il 1860 non si conta. Si inizia a contare dall’anno successivo». Nel suo gruppo parlamentare neonato deve esserci  confusione. Perché anche il collega “responsabile” Vincenzo Taddei sostiene che sono passati 150 anni da quel 17 marzo 1860 in cui si fece l’unità.  E chi la fece? «Vittorio Emanuele III».

L’elenco di castronerie potrebbe continuare a lungo, e in più di un deputato si arricchisce della certezza su  Garibaldi: «fu soprannominato eroe dei due mondi perché fu eroe per il Regno delle due Sicilie e per il resto di Italia». Il servizio integrale è disponibile sul sito internet dNiudiare la storia politica del suo paese è il minimo che si dovrebbe chiedere: non hanno molto altro da conoscere. Ma che nessuno si sia chiesto perché darsi botte da orbi fra pro e contro quella festa del 17 marzo, è davvero lo specchio più genuino di cosa sia oggi la classe politica italiana. Senza bisogno di prendere fra le mani un libro di storia, il perché di quella festa è scritto nel decreto legge del governo che la istituisce. Testo che viene esaminato in commissione, perfino emendato, votato dall’aula dei due rami del Parlamento senza che nessuno naturalmente si sia curato di leggerne una riga. Così come sul nucleare tutti ancora una volta votano e voteranno a loro insaputa. Ormai è diventato questo lo slogan della attività politica. E si comprende   perché dopo essere stato lapidato per avere ammesso che qualcuno gli pagò la casa a Roma a sua insaputa il povero Claudio Scajola ora pretenda una rapida riabilitazione. Ne ha pieno diritto, in fondo è solo uno dei tanti eletti insaputelli…LIBERO, 19 marzo 2011, di Franco Bechis

SENTENZA DELLA CASSAZIONE: SOLO IL CROCEFISSO PUO’ STARE NEI TRIBUNALI ( E NEGLI ALTRI UFFICI PUBBLICI)

Pubblicato il 14 marzo, 2011 in Cronaca, Giustizia | No Comments »

ROMA – Per esporre negli uffici pubblici, tra i quali rientrano le aule di giustizia, simboli religiosi diversi dal crocefisso «è necessaria una scelta discrezionale del legislatore, che allo stato non sussiste». Lo sottolinea la Corte di cassazione nelle motivazioni con le quali ha confermato la rimozione dalla Magistratura del giudice «anticrocefisso» Luigi Tosti, che rifiutava di tenere udienza finché il simbolo della cristianità non fosse stato tolto da tutti i tribunali italiani. In alternativa Tosti chiedeva, anche in Cassazione, di poter esporre la Menorah, simbolo della fede ebraica.

RISCHIO DI «POSSIBILI CONFLITTI» – Dopo aver respinto la pretesa di Tosti per quanto riguarda la richiesta di esporre il simbolo ebraico accanto al crocefisso, la Cassazione rileva che una simile scelta potrebbe anche essere fatta dal legislatore valutando, però, anche il rischio di «possibili conflitti» che potrebbero nascere dall’esposizione di simboli di identità religiose diverse. «È vero che sul piano teorico il principio di laicità – scrive la Cassazione – è compatibile sia con un modello di equiparazione verso l’alto (laicità per addizione) che consenta ad ogni soggetto di vedere rappresentati nei luoghi pubblici i simboli della propria religione, sia con un modello di equiparazione verso il basso (laicità per sottrazione)». «Tale scelta legislativa, però, presuppone – spiega la Cassazione – che siano valutati una pluralità di profili, primi tra tutti la praticabilità concreta ed il bilanciamento tra l’esercizio della libertà religiosa da parte degli utenti di un luogo pubblico con l’analogo esercizio della libertà religiosa negativa da parte dell’ateo o del non credente, nonché il bilanciamento tra garanzia del pluralismo e possibili conflitti tra una pluralità di identità religiose tra loro incompatibili». Il Corriere della Sera, 14 marzo 2011

CASA DI MONTECARLO: IL GIP ARCHIVIA L’INCHIESTA E GRAZIA FINI

Pubblicato il 14 marzo, 2011 in Cronaca, Giustizia, Politica | No Comments »

Roma – Una decisione da copione. Il gip del tribunale di Roma ha archiviato il procedimento a carico del presidente della Camera, Gianfranco Fini, e del senatore Francesco Pontone. I due erano accusati di truffa per la vendita dell’appartamento in boulevard Princesse Charlotte a Montecarlo, che era stata donata nel 1999 dalla contessa Anna Maria Colleoni ad Alleanza nazionale e in un secondo momento venduta a una società off shore.

La decisione del gip di Roma Il gip Carlo Figliolia ha accolto le richieste di archiviazione formulate da procuratore Giovanni Ferrara e dell’aggiunto Pierfilippi Laviani, secondo i quali nel 2008 non vi fu da parte dell’allora presidente di An Fini e del tesoriere Pontone alcun artificio o raggiro nella cessione alla società off shore della casa di boulevard Princess Charlotte. Nel sostenere l’assenza di elementi penalmente rilevanti, la procura riteneva che la questione della vendita dell’immobile, avvenuta a un prezzo inferiore al valore di mercato, poteva presentare al massimo aspetti civilistici. L’indagine della procura aveva preso il via dalla denuncia presentata da due esponenti di La Destra, Roberto Buonasorte e Marco Di Andrea, che si erano poi opposti alla richiesta di archivazione. Secondo i denuncianti, i pm avevano omesso, tra l’altro, di sentire Giancarlo Tulliani, fratello dell’attuale compagna di Fini, che, stando alla documentazione consegnata dal ministro della Giustizia del governo di Santa Lucia, risulterebbe titolare delle varie società off-shore protagoniste, in tempi diversi, della compravendita dell’appartamento di Montecarlo. La procura, però, aveva definito del tutto “irrilevante” il contenuto della carte fatte pervenire “con una nota riservata e confidenziale” al nostro ministero degli Esteri dal governo di Santa Lucia. Dalle indagini, avevano spiegato i pm, “è risultato che Fini, all’epoca della vendita, era amministratore esclusivo del partito Alleanza Nazionale, con tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, sicchè il predetto, in autonomia, ha deciso e disposto la vendita dell’appartamento, senza artifizi e raggiri e senza induzione di terzi in errore”. A parere dei magistrati di piazzale Clodio, “nessun ruolo penalmente rilevante” poteva “assumere la condotta del senatore Pontone, il quale, nel caso in esame, ha rivestito la mera figura di mandatario dell’onorevole Fini, firmando l’atto notarile di compravendita alle condizioni indicate dal mandante e in virtù di procura generale a lui conferita il primo dicembre 2004 dal presidente Fini stesso”. Dunque, secondo chi indaga, la documentazione riservata sull’appartenenza delle società off shore Printemps ltd, Timara ltd e Jaman Directors ltd, tutte con sede a Santa Lucia, lascia il tempo che trova.

Storace: “Reagiremo” “Dice il mio portiere che la legge è uguale per tutti. Ma credo che stia cambiando città, regione, paese”, scrive Francesco Storace segretario nazionale de La Destra. “Spero di non dovermi beccare la solita querela dagli incriticabili giudici di questo paese – scrive il segretario de La Destra – ma è davvero da lasciare senza fiato la sentenza del gip Figliolia sulla casa di Montecarlo: archivio. E’ lì che finisce una storia che ha indignato tutti tranne i faziosi. Da oggi, 14 marzo, si stabilisce che non è reato vendere sottocosto il bene di un’associazione che si presiede, qual è un partito”. “Si stabilisce che è normale che un partito venda a società off shore un bene che possiede frutto di una donazione – prosegue – Si stabilisce che è inutile frignare se quel bene, donato per ‘la buona battaglia’ finisce nella disponibilità del cognato di chi guida il partito. Tutto questo non lo si può ufficialmente chiamare vergogna, altrimenti arriva la querela. Come predica Ingroia. Lo chiameremo Andrea, ma non cambia poi molto. Abbiamo un giudizio molto negativo sulla sentenza. Almeno questo lo si può dire, signor giudice?”. “Ovviamente non ci fermiamo – conclude – C’è la Cassazione, c’è la sede civile, molte sono le sedi giurisdizionali dove far valere le ragioni di una comunità che non si arrende. In ultima analisi, sia maledetto quel bene e chi lo detiene abusivamente. E chi glielo ha regalato, alla faccia di ventisette ragazzi morti ammazzati. È alle loro famiglie che Gianfranco Fini deve chiedere scusa. Quello che è successo può sfuggire alla legge, ma non alla morale, ell’etica, alla politica. Reagiremo, eccome se reagiremo”. Il Giornale, 14 marzo 2011

CASO YARA: MENTRE TUTTA L’ITALIA TREPIDAVA PER LEI, IL PM CHE DIRIGEVA LE INDAGINI SE NE ANDO’ IN VACANZA DUE SETTIMANE DOPO LA SCOMPARSA. E YARA ERA GIA’ MORTA!

Pubblicato il 13 marzo, 2011 in Cronaca | No Comments »

Il sostituto procuratore di Bergamo Letizia Ruggeri, che indaga sul caso della povera Yara Gambirasio, è andata in ferie due settimane dopo la scomparsa della tredicenne trovata cadavere il 26 febbraio scorso.

La ragazzina era stata inghiottita dal buio il 26 novembre, dopo essere uscita dal centro sportivo del suo paese, Brembate Sopra. Era lo stesso giorno, quello, in cui il procuratore della Repubblica di Bergamo Adriano Galizzi festeggiava le ultime ore di lavoro prima di andare in pensione dopo 49 anni di brillante carriera nella magistratura.

Quella sera, il caso finisce sulla scrivania della dottoressa Ruggeri. Gli inquirenti si tappano la bocca e iniziano a lavorare immediatamente. Ben sapendo che i primi giorni sono quelli che spesso risultano decisivi per risolvere i casi. Sembrava fosse così anche per il dramma di Brembate Sopra, visto che sabato 4 dicembre viene bloccato un marocchino di 23 anni, Mohamed Fickri. Era su un traghetto salpato da Genova. Le accuse sono pesanti: sequestro di persona, omicidio e occultamento di cadavere. Lunedì 6 dicembre è interrogato dal gip e dal pm Ruggeri nel carcere di via Gleno, ma nel giro di un amen viene rilasciato con tante scuse. L’impianto accusatorio si regge soprattutto su un’intercettazione che si scoprirà essere stata tradotta male. Passano pochi giorni. 10 dicembre. Gli inquirenti rompono il silenzio e organizzano una conferenza stampa nell’ufficio del procuratore aggiunto Massimo Meroni. Arrivano giornalisti da tutta Italia, si fa fatica a trovare spazio, ma i taccuini non annotano una notizia che sia una. Il motivo è semplice: non c’è nulla da dire, al di là di un pronotisco che si rivelerà tragicamente sbagliato: «Yara è viva? Per noi sì, non ci sono indicazioni contrarie» afferma Meroni.

La Ruggeri già non c’è. Ha salutato tutti per andare in ferie, con la speranza di tornare più rilassata e pronta a risolvere il caso. Purtroppo, le indagini faranno registrare novità solo il 26 febbraio, col ritrovamento del cadavere in un campo di Chignolo d’Isola. A poche centinaia di metri dal comando della polizia locale che era stato trasformato in centro di coordinamento delle ricerche. Da lì, sono piovute critiche contro i molti volontari bergamaschi ritenuti incapaci di scovare il corpicino. Anche loro, effettivamente, si erano presi dei giorni di ferie dopo la drammatica scomparsa della giovane. Ma per cercarla, gratis.
Tanto che ieri sono stati difesi dal viceprefetto di Bergamo Sergio Pomponio, mentre il ministro Roberto Maroni ha parlato di «polemiche vergognose».

In tutto questo, continuano le indagini. Nei cassetti degli uffici di polizia e carabinieri si troverebbe il dna di quaranta persone che sono state sentite nella prima fase delle indagini (tra cui conoscenti, testimoni e chiunque avesse a che fare con la ragazzina).
Quaranta codici genetici che si aggiungono a quelli dei dieci pregiudicati, accusati di violenza sessuale e di reati connessi allo scenario di Yara, già a disposizione degli inquirenti. I quaranta nuovi elementi sarebbero stati prelevati ai diretti interessati in modo coattivo, cioè “di nascosto”, prendendo il dna dalla saliva attraverso tazzine di caffè, sigarette e bicchieri. Oggi è attesa la relazione preliminare dell’autopsia a cui seguirà un confronto tra l’anatomopatologa Cristina Cattaneo e la pm Ruggeri. C’è anche l’intenzione di analizzare i nomi di tutti i circa 25mila iscritti alla discoteca “Sabbie Mobili Evolution” che si trova a due passi dal luogo dove è stato ritrovato il cadavere.

di Matteo Pandini e Matteo Magri

TERREMOTO E TSUNAMI IN GIAPPONE: MILLE MORTI, DIECIMIAL DISPERSI, INCUBO NUCLEARE

Pubblicato il 12 marzo, 2011 in Cronaca, Politica estera | No Comments »

Fukushima

Il violento terremoto di magnitudo 8.9 e lo tsunami che ieri hanno devastato il nord-est del Giappone hanno provocato almeno un migliaio di vittime. Continuano a susseguirsi le scosse di forte intensità: una di 6.8 e un’altra di magnitudo 6.0 hanno colpito il nord est del Paese. Sale l’incubo nucleare. Violenta esplosione a Fukushima: feriti alcuni impiegati, entrano in azione super-pompieri. Area evacuata per 20 km. L’Agenzia giapponese sulla sicurezza nucleare ha definito però “improbabili” gravi danni al reattore. Aiea chiede informazioni a Tokyo. Intanto il premier Naoto Kan parla in tv: sisma, un disastro senza precedenti.

Intanto, da ogni parte del mondo, compreso l’Italia, partoco soccorsi e aiuti per il Giappone piegato su stesso a causa di questo  enorme disastro.

ADDIO A NILLA PIZZI, REGINA DI SANREMO

Pubblicato il 12 marzo, 2011 in Cronaca, Musica | No Comments »

E' morta Nilla Pizzi

ROMA  – E’ morta stamattina a Milano Nilla Pizzi. La cantante, prima vincitrice del festival di Sanremo nel 1951 con Grazie dei fiori, avrebbe compiuto 92 anni il 16 aprile. Era ricoverata in una clinica dopo un intervento subito tre settimane fa. Lo annuncia il suo agente Lele Mora.

L’anno scorso Nilla Pizzi era stata sul palco dell’Ariston, accompagnata da cinque boys, ospite dell’edizione dei 60 anni del festival. “Mio Dio, che paura ritornare a Sanremo”, aveva detto alla vigilia della performance con indosso un abito bianco concepito come un omaggio a due sue canzoni, Grazie dei fiori e Vola colomba. La Pizzi inizia la sua carriera a 18 anni, quando vince nel 1937 il concorso ‘5000 lire per un sorriso’, una sorta di Miss Italia dell’epoca. Nel ‘42 vince un concorso indetto dall’Eiar (prima denominazione della Rai) ed inizia ad esibirsi con l’orchestra Zeme. Durante il fascismo viene allontanata dalla radio: la sua voce è considerata troppo sensuale. Torna nel 1946 con l’orchestra del maestro Angelini, cui è legata sentimentalmente. Nata a Sant’Agata Bolognese il 16 aprile 1919, nel 1951 vince il primo Festival di Sanremo con Grazie dei fior, piazzandosi anche seconda con La luna si veste d’argento, cantata con Achille Togliani. L’anno successivo trionfa nuovamente al Festival con Vola colomba, Papaveri e papere e Una donna prega. Film, trasmissioni radiofoniche, canzoni di successo e chiacchierate love-story (il cantante Gino Latilla tenterà anche il suicidio per lei), ne fanno la regina della canzone italiana. Nel 1959 vince Canzonissima (con L’edera), il Festival di Barcellona (in coppia con Claudio Villa con Binario) e si piazza terza al Festival di Napoli con Vieneme ‘nzuonno assieme a Sergio Bruni. Nel 2003 le e’ stato assegnato il Premio alla Carriera.

REGINA DI SANREMO – ”Sanremo e’ passato e futuro, Nilla Pizzi e’ nel Dna di tutti”, scrisse Maurizio Costanzo alla vigilia del festival ‘97. Pura verita’, e la conferma e’ arrivata nell’edizione dello scorso anno, quando la regina della canzone italiana poco prima del 91esimo compleanno e’ tornata sul palco dell’Ariston, visibilmente emozionata, ma intonando alla perfezione ‘Vola colomba’, tra l’ovazione del pubblico. Quella di Nilla (all’anagrafe Adionilla) Pizzi, nata il 16 aprile 1919 a Sant’Agata Bolognese, e’ una carriera iniziata tra spettacoli per militari e la vittoria al concorso Eiar del ‘42 a Montecatini (ma in un primo momento la sua voce venne osteggiata dalla radio perche’ giudicata ”moderna, esotica e sensuale”), tra l’orchestra Zeme e il grande Angelini. E’ l’epoca del 78 giri quando vince, a 18 anni, le ‘Cinquemila lire per un sorriso’, progenitrice di Miss Italia e dei concorsi di bellezza. Poi, nel ‘51, arriva Sanremo, in edizione radio. A cantare i venti brani selezionati sono solo in tre: Nilla Pizzi, Achille Togliani e il Duo Fasano. L’artista bolognese vince tutto il possibile: prima, seconda e terza, con ‘Grazie dei fior’ (che vendette 36.000 dischi, un record per l’epoca), ‘La luna si veste d’argento’ e ‘Serenata a nessuno’. En plein pure nel ‘52, con ‘Vola colomba’, ‘Papaveri e papere’, ‘Una donna prega’. Proprio sulla scia di ‘Vola colomba’, ricordano i giornali di allora, le diecimila lire di compenso per una sua serata salgono a 18.000 (piu’ le spese).

Nel ‘58, quando Domenico Modugno vince con ‘Nel blu dipinto di blu’, Nilla e’ seconda con ‘L’edera’. La ‘regina’ torna sul palco sanremese nell’edizione del 1981, vinta da Alice (‘Per Elisa’), come co-presentatrice con Claudio Cecchetto ed Eleonora Vallone ed ottiene nuovamente le copertine dei rotocalchi. Ma anche negli anni, soprattutto i Settanta, in cui il suo genere melodico sembra uno struggente ricordo per nostalgici, Nilla Pizzi non si concede soste: nelle comunita’ italiane all’estero, dagli Usa al Sudamerica, all’Australia, e’ sempre acclamata e accolta con grande calore. Spesso e’ con lei Giorgio Consolini, pressoche’ coetaneo, conterraneo ed altro prezioso esempio di longevita’ artistica, per un sodalizio canoro inossidabile. Poi, nel ‘94, e’ nuovamente a Sanremo, il ‘fil rouge’ che accompagna la sua vita artistica, ma questa volta ancora come cantante nella ‘Squadra Italia’ che vede riuniti Wess e Gianni Nazzaro, Jimmy Fontana e Rosanna Fratello, Tony Santagata e Lando Fiorini, Wilma Goich e l’ex fra’ Cionfoli.

Ovvero, revival con un po’ di nostalgia. Ma non solo nostalgia, tanto che nell’estate 2001 ‘Grazie dei fior’ si modernizza e diventa addirittura ‘rap’ in un’originale versione che vede protagonista la Pizzi con il Gruppo 2080, tre ragazzi di Salerno conosciuti in tv da Paolo Limiti. In quello stesso periodo, la sera di Ferragosto di 10 anni fa, l’artista e’ la star del Gay Pride organizzato a Torre del Lago (Lucca). La ricetta d’autore per il successo? ”La bella canzone popolare italiana – spiegava ancora recentemente l’artista – quella che ti fa cantare alle feste, ai matrimoni, alle scampagnate, in corriera. Cose che portano il buonumore, l’allegria e magari qualche bel ricordo. Funziona ancora oggi”. Per Gianni Borgna, musicologo, saggista e gia’ assessore alla cultura di Roma, ‘Vola colomba’ in particolare propone l”ideologia’ di un’Italia ancora in prevalenza arcaica e rurale, i cui simboli sono la campana, il vespro, la collina. Il tema dell’amore contrastato la fa ancora da padrone, ma con una variante di non poco conto: ”Il contrasto ha ragioni politiche e il richiamo a San Giusto introduce il tema di Trieste italiana. Con questo richiamo patriottico la triade Dio-Patria- Famiglia e’ perfetta”.

Nilla Pizzi, con il suo solito realismo e la sua familiare semplicita’, ha sempre detto di aver pensato alla carriera artistica ”come ad una scala. Ad un certo punto, se sei fortunato, tocchi la cima, come ho fatto io nei primi anni ‘50. E allora l’importante e’ trovare il modo giusto di scendere. Io ho cercato di scendere senza scivolare e senza rompermi il collo. Cosi’ mi sono sistemata sul mio gradino, da dove ho continuato a cantare, a far serate, a divertirmi”. Rimanendo senza eta’ nella storia della canzone italiana. Fonte: ANSA, 12 marzo 2011

BOCCHINO INSULTA IN TV IL DIRETTORE DE IL GIORNALE, SALLUSTI, REO DI AVER RICORDSATO CHE CI FU UN TEMPO IN CUI FINI STAVA CON SADDAM, E NON SOLO…

Pubblicato il 7 marzo, 2011 in Cronaca, Politica | No Comments »

Bocchino, il fedele scudiero di Fini che lo ha promosso sul campo “vicepresidente del nulla”, cioè del FLI

“Sei un killer”. Italo Bocchino va all’attacco del direttore del Giornale Alessandro Sallusti. L’occasione è la puntata di ieri sera di In Onda, il programma di La 7 condotto da Luca Telese e Luisella Costamagna. Si parla di politica estera e Sallusti ricorda a Bocchino un fatto di cronaca. Nel novembre del 1990, poco prima che scoppiasse la prima guerra del Golfo, l’allora europarlamentare ed ex segretario del Msi Gianfranco Fini andò in visita da Saddam Hussein con una delegazione capitanata dal leader dell’ultradestra francese Jean Marie Le Pen. L’obiettivo era riportare in Europa un’ottantina di ostaggi. Un approccio “dialogante” alla questione araba, molto diverso da quello che Fini avrà negli anni successivi, anche durante il suo periodo alla Farnesina. Una delle prime acrobazie della sua lunga carriera politica.

Il direttore del Giornale ricorda i fatti così: “Fini andò in ginocchio, a braccetto con il camerata Le Pen, a baciare l’anello di Saddam Hussein. Avrà rimosso anche questo…”. Irrompe il vicepresidente di Futuro e Libertà: “Non sai quello che dici”. Sallusti ribatte: “E’ un fatto storico”. Bocchino, di fronte ai fatti, si spazientisce: “Andò da parlamentare europeo con una delegazione di cui faceva parte anche Formigoni…”. E poi, non potendo negare l’evidenza, passa agli insulti. Sempre gli stessi: “Tu sei pagato da Berlusconi, lui ti paga lo stipendio. Berlusconi ti ha scelto come killer”. Secca la replica del direttore del nostro quotidiano: “Il tuo stipendio lo pago io, lo pagano tutti gli italiani. Mangi sui soldi pubblici, sei un mantenuto”.

Poi Bocchino sputa il rospo e svela il motivo dell’imboscata tesa a Sallusti. Questioni politica estera? No, roba interna: questioni familiari. “I telespettatori devono sapere che per la prima volta in 50 anni non hanno visto Pippo Baudo in Rai. Mia moglie fa il produttore cinematografico dal 1993, un anno prima di conoscermi, avrebbe quindi diritto a fare il proprio lavoro. Quest’anno a causa della campagna di diffamazione di Sallusti, il contratto che era stato fatto per il programma di Pippo Baudo è stato revocato. La ragione è che il produttore di Pippo Baudo nel 2010 era mia moglie per contratto. Evidentemente dopo la campagna denigratoria de Il Giornale era opportuno bloccare il programma”.

La visita di Fini provocò già allora molti malumori nella politica italiana e internazionale. A quel tempo Fini, momentaneamente spodestato dalla segreteria della Fiamma da Pino Rauti, cavalcava le istanze anti atlantiche e filo arabe del partito. Basta dare un’occhiata a un’intervista dell’epoca per rendersene conto. Il delfino di Almirante commenta così la decisione dei vertici Rai di non trasmettere un’intervista del TgUno al Raìs: “Questa censura è una delle pagine più stupidamente vergognose della storia della nostra informazione. E’ l’ultimo atto della censura sistematicamente attuata contro le tesi e le posizioni iracheneche in Italia sono conosciute per sentito dire e mai in modo realmente autentico”. E poi va oltre: “Si tratta di una linea ottusa che risponde solo all’intransigenza guerrafondaia dei circoli mondialisti”. Ma le frequentazioni scomode di Fini non si fermano al rais iraqeno. Nel 1991, il 2 agosto, Fini insieme a Mirko Tremaglia (oggi di Fli) e Roberto Menia (oggi di Fli) parte per Belgrado. Ad attenderlo c’è il leader comunista Slobodan Milosevic. Lo scopo della missione è tentare il recupero dell’Istria e della Dalmazia e sostenere il governo serbo per le questioni umanitarie. Sembra l’agenda di Toni Negri invece era quello Gianfranco Fini, prima di una delle sue innumerovoli giravolte. Nel 1999, poco prima dell’intervento militare contro la Serbia, aveva già cambiato radicalmente idea: ”Purtroppo Milosevic era, ed e’, sordo a qualsiasi linguaggio che non sia quello della fermezza militare” . E le acrobazie continuano…