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CRISI IN NORDAFRICA: A LAMPEDUSA SBARCANO 1000 PROFUGHI IN 12 ORE

Pubblicato il 7 marzo, 2011 in Cronaca, Politica estera | No Comments »

Profughi a bordo di un barcone provenienti dalla Tunisia

Profughi a bordo di un barcone provenienti dalla Tunisia

Un altro barcone, il dodicesimo nel giro di poche ore, è stato avvistato poco fa da un Atr 42 della Guardia di Finanza a poche miglia da Lampedusa. A bordo, secondo una prima stima, vi sarebbero una cinquantina di migranti.

Intanto sono cominciati questa mattina i trasferimenti degli immigrati sbarcati nelle ultime ore a Lampedusa. I primi cento sono partiti con un aereo diretto verso Il Cpt di Crotone, altri 64 sono stati imbarcati sul traghetto di linea “Palladio” diretto a Porto Empedocle. Nel Centro di contrada Imbriacola si trovano ancora un migliaio di profughi, quasi tutti tunisini. Il ponte aereo predisposto dal Viminale dovrebbe proseguire per tutta la giornata, in modo da consentire lo svuotamento della struttura come ha assicurato ieri il ministro dell’Interno Roberto Maroni al sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis. Questa mattina, intanto, si è alzato nuovamente in volo l’Atr 42 della Guardia di Finanza, che ieri aveva avvistato gli undici barconi poi approdati a Lampedusa, per una ricognizione nel Canale di Sicilia.

Dopo una notte di fermento e via vai, sono stati tra i 300 e i 400 gli uomini che nelle prime ore del mattino di oggi sono riusciti ad imbarcarsi al porto tunisino di Zarzis e prendere il largo diretti in Italia. Auto e camion pieni di ragazzi pronti a partire sono giunti al porto dove molti di loro hanno acquistato per 2500 dinari (1400 euro, questo l’attuale ‘prezzo di mercato’) il loro ‘biglietto per una vita nuova’. Le ‘adesioni’ si raccolgono al bar dove da giorni si aggirano persone che prendono nomi e compilano liste. A decine i ragazzi arrivano sulla spiaggia al buio a fari spenti in attesa che i controlli dell’esercito si allentino e potersi così imbarcare sulle piccole barche necessarie per raggiungere le quattro più grandi imbarcazioni che aspettano al largo. La traversata fino a Lampedusa dirà tra le 10 e le 12 ore, in particolare adesso che il mare è tornato molto calmo. Con l’alzarsi del sole, al mattino al porto di Zarzis non si vede più quasi nessuno: chi ce l’ha fatta è partito, chi resta aspetta in macchina e conta i soldi.

HA PILOTATO AEREI SENZA BREVETTO. SCOPERTO PER CASO. UNA STORIA VERA CHE DIVERTE E RABBRIVIDISCE

Pubblicato il 5 marzo, 2011 in Cronaca | No Comments »

Ha trasportato un milione di passeggeri, lavorato per le più grandi compagnie, guidato Boeing per 11mila ore di volo. Poi una “soffiata” lo ha riportato a terra e oggi, a quarantadue anni, si è reinventato fotografo

La fine del viaggio arriva giusto un anno fa all’aeroporto di Amsterdam. Il boeing 737 della Corendon Airlines è pronto per Ankara. La polizia è appena salita in cabina di pilotaggio. Vogliono controllare la licenza di volo del comandante svedese Thomas Salme. Il cuore gli batte fortissimo, un lungo sospiro prima di prendere i documenti. È la fine di viaggio durato tredici anni. E lui lo sa. Il brevetto è un maledettissimo falso. «Ho bluffato, non ho mai preso il brevetto, andiamo, ho una lunga storia da raccontarvi». Il comandante si toglie i gradi e li lascia sul tavolo della commissariato. Thomas, 42 anni, ha mentito per tredici ed è stanco. Mai messo piede in una scuola di volo, mai fatto una lezione, la licenza lui, se l’è inventata una sera tardi, copiando quelle vere. «Quando ho letto che l’Air One cercava piloti ci ho provato. Ho mandato il curriculum; quando mi hanno chiesto le esperienze precedenti, ho pensato ai cartoni animati e ho scritto Aladin Airlines. Pensavo che mi avrebbero scoperto. Invece mi hanno chiamato». Era il 1996, e quel giorno Thomas ha iniziato a volare alto. Tredici anni in cielo, come il titolo del suo libro che uscirà a fine anno per Norstedts, casa editrice svedese. Undicimila ore di volo, un milione di passeggeri. Mai un problema. Thomas aveva istinto e talento. I voli più pericolosi sono affidati a lui. Lampedusa e Reggio Calabria fanno paura quasi a tutti, a lui no. Thomas è un falso ma nessuno lo scopre fino all’anno scorso. Thomas cade e si rialza, oggi fa il fotografo e racconta con il sorriso, consapevole di averla scampata. «Ho osato e mi è andata bene. Sono la prova che anche uno senza possibilità può farcela».

Come hanno fatto a mascherarla?
«Una soffiata. Forse un impiegato che si è insospettito dalla mia licenza senza timbro. Dopo 13 anni qualcuno si è posto qualche domanda».

Ma come è possibile che mai nessuno se ne sia accorto?
«Fortuna. Non me lo spiego neppure io. Si sono fidati, forse non pensavano che uno avesse il coraggio di mentire su questo».

Mai un errore?
«Sì a dire il vero uno sì. Era l’inizio. Ero ancora secondo pilota. Volo Milano-Roma, gente serissima, a bordo politici e uomini d’affari. Il comandante mi dà la possibilità di fare l’annuncio ai passeggeri. Un onore. Saluto e dico: arriveremo con dieci minuti d’anticipo perché abbiamo il vento in culo. Gelo. Il comandante sbianca. Nessuno mi aveva spiegato che in italiano si dice vento in coda. Esco dalla cabina e mi scuso. Mi hanno applaudito».

È stato condannato?
«Duemila euro di multa e due settimane di carcere. E la licenza ritirata».

Ma lei non l’ha mai avuta.
«Appunto, sono stato fortunato anche in questo. Se mi avessero arrestato ad Ankara mi sarebbe andata peggio».

Mai pensato di fare la scuola come gli altri?
«Non avevo le possibilità economiche. La mia famiglia non era ricca. Mi sono dovuto arrangiare».

E lo ha fatto benissimo.
«Non voglio sembrare presuntuoso, ma io ero davvero un pilota eccezionale. Ho fatto tutto da solo, studiavo di nascosto, sentivo di avere un talento per il volo. Mai un problema, ai miei passeggeri non ho mai fatto correre il minimo rischio, per questo il procuratore non ha infierito».

uando ha deciso che avrebbe fatto il pilota?
«La passione per gli aerei è una cosa strana. Ti prende quasi all’improvviso e non ti lascia più. A me è arrivata a otto anni. Seguivo mio padre fotografo. Un giorno mi ha portato in aeroporto. Mi si è aperto un mondo. Ho visto tutta quella gente che partiva, che arrivava. È così che ho iniziato a voler volare».Come ha imparato a pilotare un aereo?
«Ho iniziato da casa, con i programmi di Microsoft, che simulavano il volo. A Stoccolma, vicino a casa mia, c’era la scuola della Sas, la compagnia di bandiera. Un giorno ho telefonato, ho detto di essere un pilota disoccupato. Mi hanno fatto fare un volo sul simulatore di volo che usano i piloti per tenersi in allenamento. Non capivo niente, mille bottoni. Ma sentivo che era il mio destino».

Tutto così facile?
«Ho fatto amicizia con un tecnico. Mi faceva entrare di notte, quando il simulatore non serviva a nessuno. Le prime ore di volo le ho fatte lì. Fingendo».

Poi il salto di qualità. La chiama Air One. Come ha fatto?
«Non mi sono mai posto limiti. Ho letto che cercavano piloti. Mi sono buttato. Quando mi hanno chiamato per fare una prova sul simulatore è andata benissimo. Il mio esaminatore mi ha stretto la mano e mi ha detto: “congratulazioni Thomas, benvenuto a bordo“. Tre mesi dopo volavo».

Errori veri?
«Mai. Nemmeno quel giorno che a Lampedusa sono atterrato con un motore in avaria perché era entrata un’aquila».

Rimpianti?
«Non lo so. Se ci pensi queste cose non le fai. Allora ero un ragazzo di vent’anni. Mi hanno preso. Ho tanti fan, il capo della polizia è venuto a trovarmi in cella per un autografo, ma ai ragazzini ripeto di non fare come me, che poi queste cose si pagano. Le bugie ti pesano. Sono come una maledizione. Ogni volta che suona il telefono tremi, hai una moglie e figli che ti credono un altro. Dalla coscienza non scappi, torna sempre a presentarti il conto. Anche se vai a 700 chilometri orari».

L’ITALIA PIANGE LA PICCOLA YARA E SI DOMANDA: CHI HA SBAGLIATO

Pubblicato il 27 febbraio, 2011 in Cronaca, Giustizia | No Comments »

Yara Gambirasio, la 13enne scomparsa a Bergamo Ci aveva abituato a riconoscerla con quel ferretto dei denti che non riusciva a guastare la sua straordinaria carica di travolgente simpatia. Ne andava fiera Yara, perché non aveva complessi: era una ragazzina pura, entusiasta della vita, della ginnastica che praticava a livello agonistico. E nelle foto pubblicate e trasmesse per 93 giorni quell’apparecchio odontoiatrico è stato incredibilmente un suo muto messaggio per salutare un mondo che l’ha maltrattata: ed è stato l’elemento che l’ha fatta subito identificare. Del suo corpo, ritrovato ieri pomeriggio in località Madone di Chignolo di Isola, dieci chilometri da Brembate Sopra, rimaneva infatti ben poco. Quei resti erano, però, coperti dall’abbbigliamento segnalato il giorno della scomparsa: il 26 novembre del 2010. Giorno di un calendario maledetto: il 26 agosto, tre mesi prima, era toccato a Sarah Scazzi far perdere per sempre le sue tracce dalla vita. Il corpo di Yara Gambirasio, 13 anni, è stato trovato da un passante che si trovava sul posto per provare un modellino di aeroplano telecomandato. Il cadavere era supino e, secondo alcuni soccorritori, dava l’impressione di un’estrema fragilità: particolare ritenuto importante, questo, per stabilire se sia stato abbandonato lì recentemente o nei momenti successivi al sequestro. A Chignolo di Isola sono arrivati anche gli Ert, gli Esperti ricerca tracce, reparto che dipende direttamente dalla Direzione centrale anticrimine. Il nucleo specializzato della Polizia Scientifica è già intervenuto, tra l’altro, nell’omicidio del piccolo Tommaso Onofri, il bimbo rapito e ucciso a Casalbaroncolo.

La notizia ai genitori di Yara è stata data dal questore di Bergamo Vincenzo Ricciardi. Tra i primi a raggiungere casa Gambirasio il sindaco di Brembate Sopra, Diego Locatelli (che ha annunciato il lutto cittadino) e il parroco, don Corinno Storti. Quest’ultimo ha subito commentato: «Impossibile che il cadave stesse lì da tempo, ci siamo passati in molti…». E, in effetti, non è il solo a pensarlo. Luca Aresu, un giovane di Madone che ha partecipato tra novembre e dicembre alle ricerche con alcuni amici, esclude che il corpo sia rimasto lì per tre mesi: «È una zona dove sono andato spesso a correre e che ho attraversato anche con il mio setter almeno un paio di volte. L’avremmo trovata sicuramente. Tanta altra gente è passata di lì con i cani». E intanto i genitori di Yara, Fulvio e Maura, restano chiusi in casa nel loro silenzio. In quel composto dolore, lontano dalle telecamente, che li ha caratterizzati sin dall’inizio. Il sindaco e il parroco sono tra i pochi ad aver varcato la loro soglia per portare un po’ di conforto. Don Corinno Scotti racconta che «sono distrutti.

La mamma è disperata, mi ha chiesto perché il Signore permetta queste cose e io le ho risposto che questo è solo frutto della cattiveria umana. Il padre invece mi ha fatto coraggio e mi ha detto: “Don Corinno non devi piangere”». Domani, nelle ore in cui gli esperti inizieranno l’autopsia, il parroco celebrerà una messa per ricordare la 13enne. Intanto, sul luogo dove è stato ritrovato il corpo è iniziato un vero pellegrinaggio di curiosi che scattano foto, filmano. Alcuni sono accorsi con l’intera famiglia. Mentre per le strade di Brembate si soffre. Il paese è in lutto. Chiuso nel dolore. Solo sul web si può «ascoltare» lo strazio per la tragedia. Su Facebook la rabbia: «Dateci l’assassino». Sul muro del gruppo «Yara Gambirasio», duemila iscritti, Gina Pina alle 18,50 ha scritto: «Pena di morte a chi uccide gli angeli». Il Tempo, 27 febbraio 2011


CASE DI ENTI PUBBLICI A PREZZO SONTATO: SPUNTA IL NOME DELLA SEN. FINOCCHIARO, L’ULTIMA GIOVANNA D’ARCO DELLA SINISTRA MILITANTE

Pubblicato il 26 febbraio, 2011 in Costume, Cronaca, Politica | No Comments »

La senatrice Pd ha acquistato a Roma un appartamento dalla Cassa del notariato: 30% in meno sul valore reale e senza requisiti

Alla fine c’è cascata anche Anna Finocchiaro. La capogruppo del Pd al Senato poco meno di un anno fa ha comprato un appartamento di 180 metri quadrati sul colle che sale sopra San Pietro, dietro la Gregorio VII, a Roma. Fin qui niente di male, perché dopo 24 anni a fare la spola tra la Capitale e la natia Sicilia è normale che la papavera del centrosinistra abbia scelto di rendersi la vita più facile. Un po’ troppo comoda, però, visto che per l’appartamento ha speso 745mila euro, prezzo più che di favore visto zona e metratura (in più, altri 45mila euro per un box auto). L’investimento a prezzo speciale, fatto per le figlie, che risultano acquirenti dell’immobile, ma con usufrutto per la senatrice ed il marito Melchiorre Fidelbo, rientra a pieno titolo nel faldone dell’Affittopoli (in questo caso vendopoli) romana. Perché a cedere casa e box è stata il 17 maggio scorso la Cassa nazionale del notariato, ultimo atto di una campagna di vendita del proprio patrimonio immobiliare.

Primo problema: la Finocchiaro ha pagato poco più di 4.000 euro al metro quadrato, contro la media di circa 6.400 euro nella zona. Vale a dire, circa il 30% in meno rispetto ai valori di mercato. Capita,  quando si compra dagli enti previdenziali.
Ecco il secondo problema: di solito, lo ’sconto’ è riservato agli inquilini o a notai. Ma la famiglia Finocchiaro-Fidelbo non ha mai abitato in quella casa né risulta abbia legami parentali con alcun notaio. Tutt’al più, la Finocchiaro per carriera politica ha maturato ottimi rapporti di amicizia con l’ex presidente dei notai Gennaro Mariconda e, presumibilmente, con il direttore della Cassa che le ha venduto l’appartamento, Valter Pavan. Che, tra l’altro, ha acquistato un appartamento nello stesso palazzo.Fonte: LIBERO, 26/02/2011

PUGLIA, SCANDALO SANITA’: TRUFFE, TEGLI E SPRECHI, SGOMINATA BANDA DEL PD

Pubblicato il 25 febbraio, 2011 in Cronaca, Giustizia, Il territorio | No Comments »

Gian Marco Chiocci
Massimo Malpica

Manette a chi ha allungato le mani sul business-sanità. L’indecorosa fine del «sistema Pd» in Puglia, ma anche una brutale censura per tutto il centrosinistra nella regione pugliese, sono sancite dal gip di Bari. Che ieri ha chiesto l’arresto dell’ex assessore regionale alla sanità, Alberto Tedesco, subito promosso senatore del Partito democratico ai primi sentori di una rovinosa inchiesta in suo danno. E in danno del suo partito, oltre che dell’ex capo di gabinetto, Mario Malcangi, del direttore generale della Asl di Lecce e di imprenditori vari, spediti ai domiciliari a margine di un procedimento sulla malagestione della sanità (nomine di manager, appalti, concorsi, appoggi elettorali, etc) ricco di intercettazioni e approfondimenti anche nei confronti dell’attività del sindaco di Bari Michele Emiliano e del governatore («inindagabile» per sua stessa definizione, eppure ancora indagato nonostante la richiesta di archiviazione della procura) Nichi Vendola, il cui poliziotto caposcorta è finito ai domiciliari.

Le misure di custodia cautelare potevano essere molte di più, ma il gip Giuseppe De Benedictis ha rigettato una quindicina di richieste cautelari avanzate dai pm Desirée Di Geronimo, Marcello Quercia e Francesco Bretone. Le accuse di questo nuovo tsunami giudiziario, parallelo al filone intrapreso intercettando Giampaolo Tarantini (quello del caso D’Addario), «già in rapporti di partnership con Giuseppe Tedesco, figlio di Alberto» vanno dalla turbativa d’asta alla corruzione, dalla concussione all’abuso d’ufficio, fino alla frode in pubbliche forniture. Tra gli indagati anche il genero di Tedesco, Elio Rubino, e il capogruppo regionale del Pd Antonio Decaro, accusato d’aver «interferito presso Tedesco al fine di ottenere il suo autorevole intervento al fine di aiutare un candidato che si era presentato al concorso» all’Arpa. E anche se il gip ha «tagliato» il reato dell’associazione per delinquere, lo ha fatto in modo poco lusinghiero, confermando che l’indagine «ha portato alla luce l’esistenza di un collaudato sistema criminale, stabilmente radicato nei vertici politico-amministrativi della Sanità regionale. Un sistema incentrato su logiche affaristiche e clientelari».
EMILIANO E IL «SOTTOSISTEMA» Il gip rimarca «l’importanza strategica duplice (sia economica che politica)» dell’assessorato di Tedesco, utilizzando una telefonata tra lo stesso ex assessore e il sindaco di Bari, Michele Emiliano, all’epoca segretario regionale del Pd. I due, nel 2008, parlano delle voci che indicavano un cambio in vista, con la nomina da parte di Vendola del manager Lea Cosentino (indagata in un altro procedimento) al posto di Tedesco, e intravedono un tentativo di sottrarre al Pd quel posto strategico. Tedesco: «No questa cosa lui (Vendola, ndr) se l’è completamente rimangiata». Emiliano: «Ma niente! Secondo me questa è un’operazione tutta politica, perché lui dice io, in questa maniera mi impadronisco del sottosistema e, ovviamente, nelle prossime elezioni, l’assessorato anziché stare in mano al Pd sta in mano a me».
CONFLITTO «NOTO AI VERTICI»
Tedesco venne «processato» dall’opposizione in un consiglio regionale incentrato sul suo conflitto d’interessi, ma Vendola lo confermò comunque nell’incarico. Eppure, scrive il gip, «gli interessi personali e familiari del Tedesco nel settore della sanità pubblica erano ben conosciuti dagli stessi vertici della regione Puglia che non erano tuttavia mai intervenuti per recidere tali cointeressenze». Solo con l’interrogazione, ironizza il gip, i «vertici» «improvvisamente» si «rendevano conto» di tale «incredibile situazione». Ipotizzando di sostituire l’assessore con un’altra persona «peraltro scelta esclusivamente in base alla sua fedeltà nei confronti del governatore». I DUE PESI DEL GOVERNATORE Vendola dovrebbe leggersi la nota del gip (pagina 128). Lì, relativamente alla sostituzione del direttore sanitario della Asl di Lecce, Franco Sanapo, voluta da Tedesco tramite appunto il direttore generale Scoditti e con il placet di Vendola, il giudice ricorda che il governatore per quell’episodio è stato indagato, e che la procura ne ha chiesto l’archiviazione (allo stato, dopo mesi, non ancora concessa da un altro gip) ritenendo quella rimozione «illegittima ma non criminosa». Ma il gip rimarca come alla luce proprio della richiesta (tradotta in ordinanza per gli altri) suoi coindagati, «una medesima condotta di più persone è stata valutata in modo diametralmente opposto sulla base di una valutazione psicologica diversa operata dalla procura».
NICHI «AD PERSONAM»Un’intercettazione tra Vendola e Tedesco, insiste il gip, sottolinea «la prassi politica dello spoil system che era di fatto talmente imperante nella sanità regionale da indurre il governatore Vendola, pur di sostenere alla nomina di direttore generale un suo protetto, addirittura a pretendere il cambiamento della legge per superare con una nuova legge ad usum delphini, gli ostacoli che la norma frapponeva alla nomina». Tedesco:«Quello non ha i requisiti (…)». Vendola: «Oh madonna santa, porca miseria, la legge non la possiamo modificare?».
IL PIZZINO PER IL CONCORSO Nel favorire per un concorso all’Arpa il candidato legato al consigliere Pd Decaro, Tedesco si autodefinisce «uomo dei pizzini», parla col presidente della commissione esaminatrice dell’Arpa, Marco De Nicolò, e gli consegna un biglietto col nome del candidato, Sabino Annoscia. Una microspia registra: Tedesco: «Sono diventato l’uomo dei pizzini». De Nicolò: «Mi hai portato… ah, i pizzini, ah». T: «Sì, siccome al telefono nessuno vuole parlare più (…) poi leggiti con calma questa cosa». Più avanti, ancora Tedesco implorerà il direttore per far vincere il candidato, che aveva ottenuto un punteggio basso alla prima prova. Alle rimostranze di De Nicolò («Ci vuole un miracolo») Tedesco taglia corto: «Bisogna farlo (…) trova la maniera, ti prego».
IL SENATORE E LA FAMIGLIA
Il gip è certo: anche se Tedesco non è più assessore, quale senatore, può a tutt’oggi esercitare sul tessuto politico e amministrativo, sia a livello locale che nazionale, le medesime condotte illecite realizzate nel tempo in cui era ai vertici della sanità regionale». Rapporti stabili con politici locali, imprenditori della sanità, funzionari Asl. Da oggi Tedesco può esercitare ancora meglio il suo potere locale «forte del prestigio munus publicum di senatore», carica «idonea a garantire, in via strumentale, la prosecuzione degli affari illeciti nel campo delle gestione sanitaria da parte del gruppo di potere». C’è poi la circostanza definita «dirimente» dal gip «che i figli e altri congiunti del senatore Tedesco erano e sono tuttora imprenditori nel mondo della sanità regionale, per cui basterebbe solo questo elemento a dimostrare, oggi, il persistente interesse dell’indagato alle vicende vitali di questo vitale settore». Fonte:Il Giornale, 25 febbraio 2011

IL GIUSTIZIALISTA SAVIANO HA IL PADRE ALLA SBARRA (PER STORIE DI TANGENTI)

Pubblicato il 24 febbraio, 2011 in Cronaca, Giustizia | No Comments »

Gian Marco Chiocci – Luca Rocca

L’imbarazzo dell’autore di Gomorra. Roberto Saviano, neo-icona della sinistra italiana, per qualcuno addirittura il suo prossimo leader, purtroppo per lui è alle prese coi guai giudiziari di suo padre, Luigi, medico di base alla Asl di Napoli, sotto processo per un storia di prestazioni inesistenti, prescrizioni e ricette fasulle, rimborsi non dovuti.
I fatti risalgono al periodo 2000-2004, ma il 19 maggio prossimo il tribunale di Santa Maria Capua Vetere (presidente Raffaello Magi, l’estensore della sentenza Spartacus al clan dei casalesi) dovrà decidere se accorpare al procedimento riguardante il papà dello scrittore un secondo filone, nel quale vengono contestati reati che sarebbero stati commessi fino al 2006 e che vede alla sbarra gli stesi imputati per gli stessi reati. Luigi Saviano è imputato, insieme ad altri medici e professionisti, con l’accusa di truffa, ricettazione, corruzione e concussione ai danni dell’Asl. La vicenda, là dove si parla del ruolo dei medici di base, viene così descritta dalla procura che si è battuta per il rinvio a giudizio del genitore dell’illustre figlio e di altri coindagati: «Avevano il ruolo di stilare ricette riportanti prescrizioni fittizie di esami di laboratorio, con l’inserimento di nominativi, corrispondenti a propri ignari assistiti (che non hanno riconosciuto le prescrizioni loro attribuite) su ricettari loro assegnati». L’aggravante sta nel danno patrimoniale, «di rilevante quantità», subito dalle aziende sanitarie locali che, sempre secondo i pubblici ministeri campani, «hanno provveduto alla liquidazione di quanto richiesto». Nelle carte in mano ai magistrati si parla anche dell’esistenza di un vero e proprio «mercato di notevoli dimensioni, ad oggetto la falsificazione e la spedizione di ricette mediche che vengono scambiate con assoluta semplicità da persone che non tengono minimamente conto dei gravi danni arrecati all’Erario».
Nelle contestazioni mosse a Luigi Saviano, nero su bianco si parla del «suo ruolo in seno all’organizzazione, in particolare quello di assicurare ai gestori di tali centri un ingiusto profitto derivante da una serie cospicua di ricette riportanti prescrizioni fittizie di analisi cliniche». Su 54 pazienti interrogati «solo 9 hanno asserito di aver eseguito le diagnostiche loro prescritte, il dato è significativo per dimostrare l’intera percentuale (85 per cento) di incidenza delle false prescrizioni redatte da Saviano Luigi e portate in liquidazione» in centri riconducibili a un altro indagato. I pm hanno ascoltato anche le pazienti del «nonno di Gomorra», che hanno negato di aver mai fatto gli esami clinici che invece risultano realizzati a loro nome.
Un primo esempio. Gli accertamenti ormonali e gli esami allergici di Carmela A. non sarebbero mai stati eseguiti. La stessa donna rivela che «nel 2002 non mi sono nemmeno recata a Caserta per effettuare né prestazioni specialistiche». C’è poi Rosario A. e il suo presunto problema al ginocchio: «Io godo di buona salute in genere – dice il primo – non soffro di particolari patologie per cui debba sottopormi con frequenza a cure o ad indagini diagnostiche». Una seconda donna, Vincenza C., smentisce di aver mai effettuato «indagini ormonali» nel 2002: «Confermo che il mio medico di base è il dottor Saviano Luigi – dice a verbale -, nel corso del 2002 non solo non sono andata a Caserta per fare prestazioni specialistiche» ma «non ho effettuato alcun prelievo di sangue negli ultimi 4 anni in alcun centro della Campania». Nel 2006 l’allora legale di Saviano padre, Marina Di Siena, aveva commentato così l’iscrizione del suo assistito nel registro degli indagati: «Il dottor Saviano è stato in realtà vittima di una truffa, per un episodio che risale a un periodo a cavallo fra il terzo e il quarto trimestre del 2004». Secondo la tesi difensiva, insomma, il padre di Roberto sarebbe una parte lesa di altrui raggiri, essendo all’oscuro di tutto perché ricoverato in un ospedale di Napoli dov’era in cura per problemi infettivi. La parola passa ora al tribunale, anche se il processo sembra destinato a finire in prescrizione. Giuridica, non medica. Il Giornale, 24 febbraio 2011

LA FINE DI….FINI

Pubblicato il 22 febbraio, 2011 in Cronaca, Politica | No Comments »

Fli perde pezzi e il suo leader tuona. Sicuri che non è anche colpa sua?

fini-blog-1.jpgC’era una volta un movimento chiamato Futuro e libertà, che ora di futuro ha molto poco e libertà dipende quale. FLI perde pezzi uno dopo l’altro, dal “mignottocrate” Paolo Guzzanti al vanesio Luca Barbareschi a pezzi ben più importanti che potrebbero sciogliere a ore la riserva, Adolfo Urso su tutti.

L’ira di Fini si è fatta sentire e il fondatore di Fli ha parlato di compravendita da parte di Berlusconi. Fabio Granata dice: “Solo in Italia i topi scappano sulla nave che affonda: si vede che è ancora carica di formaggio….”. Italo Bocchino fa quadrato, parla di governo ormai “all’accanimento terapeutico” e insiste su “un progetto alternativo che, nel post berlusconismo, incontrerà inevitabilmente i favori dell’elettorato”.

Staremo a vedere. Nel frattempo, i dati dicono che il caso Ruby  rafforza sia il Pdl (pur se Berlusconi perde consensi come premier) sia il Pd. Fli va in picchiata. I suoi superstiti sono sicuri che sia soltanto colpa delle “sirene” di Berlusconi? Sicuri che Fini non paghi la sua testardaggine su alcune vicende, Montecarlo in primis? Sempre Fini ha voluto a tutti i costi la fusione di An nel Pdl. E sempre Fini ha tuonato contro gli ex “colonnelli” di An, pagandone le conseguenze. Leader autoritario, ma non autorevole?

L’ultima grana è il blitz degli ex An ora nel Pdl che hanno nominato un comitato di garanti per sostituire l’amministratore del Secolo. In pericolo la direttrice del giornale, Flavia Perina, deputata finiana. Sembra la guerra dei Roses. Vedremo come Fini-rà.

Fonte.AFFARI ITALIANI.IT

SANREMO 2: LE PAGELLE DI ALDO GRASSO

Pubblicato il 20 febbraio, 2011 in Costume, Cronaca, Musica | No Comments »


Gianmarco Mazzi

6 – Gianni Morandi
Non si può voler male a Morandi. Come presentatore è un disastro, non ha i tempi, non ha presenza scenica, sparisce in mezzo alle sue vallette e ai suoi valletti, ha la schiena un po’ incurvata, tipica di noi, braccia scampate all’agricoltura. Ma è un maratoneta della simpatia.

9 – Roberto Benigni
Impresa ardua la sua: tenere un’appassionata lezione di storia patria e sdoganare l’Inno di Mameli. Fra le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia finora è stata la performance più riuscita, capace di unire profondità di pensiero e senso dell’ironia. Quando riuscirà a liberarsi di Lucio Presta (la paga s’è desta)?

Gianni Morandi con Luca e Paolo a Sanremo 2011

4 – Antonella Clerici
L’idea di aprire il Festival di Sanremo esibendo la figlioletta è da Telefono Azzurro. Tanto più che lo scorso anno, a proposito di Povia, le fu chiesto: «Manderebbe sua figlia sul palco a ballare su una canzone sull’eutanasia?» E lei: «Assolutamente no, ma io non la vorrei vedere in generale sul palco».

6 – Belén Rodriguez
Con quella bocca (peccato l’innaturale rigonfiamento del labbro superiore) può dire ciò che vuole, tanto chi la sta a sentire? È un belvedere naturale, piovuto dal cielo, cui non mancano sorrisi e mosse accattivanti. A volte appare fin troppo truccata, ma se apparisse in scena indossando un sacco di iuta ci chiederemmo chi è lo stilista. Riesce anche a ballare con sufficiente disinvoltura..

La Canalis bacia Belen

5 – Elisabetta Canalis
Legnosa come un sughero sardo e stonata più di una campana, la misteriosa Mrs Clooney ha raggiunto l’apice della sua presenza all’Ariston con la simultanea dell’intervista a De Niro (sembrava la sorella di Mr. Brown di Andrea Pellizzari, difficile immaginare i suoi colloqui con George). «La tv non mi interessa -ha detto- io sono fatta per la vita tranquilla, voglio orari da ufficio». Da impiegata farebbe sfracelli.

6 – Luca & Paolo
Divertenti ma anche molto ambigue (con sospetto di par condicio) le loro battute e soprattutto le loro instant song, grande retaggio dei Cavalli marci. Non si è capita bene la loro presenza «disturbatrice» a Sanremo, ma sono bravi a tenere la scena, hanno salvato il gruppo dei presentatori.

Belen e la Canalis a Sanremo

5 – Mazza & Mazzi
Sembrano usciti dalla canzone di Nino Taranto: «Mauro Mazza e Marco Mazzi si sposarono a Sanremo. Però/il connubio fu infelice, un inferno diventò/Lui diceva: “Pe’ ‘sto Mazzi/ho perduto ogni sollazzo”/Lui diceva: “Questo Mazza/che fastidio che mi dà…”». Il Festival vive nonostante loro (e il mitico Marcolin di Raitrade).

Antonella Clerici a Sanremo con la figlia

7 – Gaetano Castelli
Ogni anno, una delle componenti più apprezzabili di Sanremo è la scenografia. Grazie a un sapiente uso dell’elettronica (l’effetto 3D dei ledwall), l’Ariston diventa televisione, con quella grande spirale capace di arricchire sontuosamente tutta la scena. Bisogna solo trovare un posto al gobbo, se no sembrano tutti miopi.

sanremo gg

4 – Robert De Niro
Quando in America un attore va a promuovere un suo film si prepara, e bene. Di solito racconta fatti esilaranti, curiosità, aneddoti, insomma si guadagna la pubblicità gratuita (per l’occasione Manuale d’amore 3 di Giovanni Veronesi) con battute frizzanti. A Sanremo Bob è parso pleonastico.

Canalis Morandi Belen

5 – Duccio Forzano
Con il suo gusto da grande illustratore, pur privo di un riconoscibile segno registico, ormai è diventato il regista di corte per eccellenza. Purtroppo si è perso la scena della vita. Avrebbe dovuto avere il coraggio di mostrare con più insistenza i volti dei papaveroni Rai e dei politici mentre si esibiva Benigni. Roba da George Grosz.

A BARI AVVOCATI DI CHIARA….FAME, di Alberto Selvaggi

Pubblicato il 20 febbraio, 2011 in Costume, Cronaca | No Comments »

Salve, che cosa fai? «Avvocatessa ». Ah. E tu invece? «Avvocato». Mh. E tu? «Avvocatessa». Eh. E tu altra? «Avvocata». E tu, ragazza scosciata? «Uguale». Me ne compiaccio; e te ancora, o giovanotto prestante? «Ho uno studio legale con un collega, avvocato». Bene. Da questo sondaggio sul campo di una festa di compleanno possiamo concludere che «non tutti i baresi sono avvocati, ma tutti gli avvocati sono di Bari».

Il numero stimato per i maschi non ancora affetti da Alzheimer laureati in Giurisprudenza e abilitati è di 365.031, cioè all’incirca lo stesso numero di abitanti del capoluogo (anche se non si vedono, ci sono); quello delle femmine, circa 594mila: due avvocatesse per ogni residente. Indispensabili. Più la moltitudine di praticanti per l’eternità.

Da cui si desume che nessuno più svolge mansioni di sarta, mondina, testimone di Geova, e più niuno in tenera età dice alla mamma: «Voglio fare l’astronauta o il cow-boy». Perché sanno già come da adulti faranno la fame. Fatta eccezione per la prole dei grandi uffici (sì, anche gli studi legali partoriscono) e per i figli avuti dai titolari con leggiadre collaboratrici (spesso nipotine di Mubarak); fatta eccezione per i più scafati, i 959.031 giovani azzeccagarbugli del foro di Bari sono sovente costretti a nutrirsi di bacche, a bere succo di prato e a dormire in stazione con i defraudati. O a rubare Rolex, come avvenuto di recente in una palestra del centro frequentata da splendidi e splendide della città.

È così da tempo, ma peggio oggi perché nessuno ha più il becco di un tallero e i clienti non saldano il legale privo di mezzi persuasivi validi (pistola regolarmente denunciata o amicizie nei clan). Forse per questo la maggioranza dei legulei conserva una linea invidiabile.

Non è difficile riconoscere l’avvocato di Bari. Veste azzimato a rate e con un gusto superiore a quello riscontrato in altre categorie professionali. Profuma solitamente di fresco, nonostante le sudate imposte dal ritmo concitato. Trotterella, non cammina, mentre riafferra documenti volanti. Si districa tra due-quattro cellulari (si va dalla chiamata per il ricorso in Cassazione alla foto porno all’amante, dalle mozzarelle per la moglie alla richiesta di trasferimento per lo stupratore arrestato), per cui ha nel cranio un mulinante pensiero vago (è scimunito).

Si evidenzia per l’attaccatura del gluteo al lombo mediamente più alta, come provano gli studi del Lombroso. E anche i miei che ho esaminato con il righello diversi esemplari. Il causidico si concentra soprattutto nel Murattiano, dove c’è la maggiore presenza di studi, di banche, di soldi, clienti, vita viziata. Partecipa a feste bene ove si riversano ipotetici utilizzatori finali e saluta tutti con canino smagliante: «Ehi, ciao!, ehilà, ciao..! Ti abbraccio».

Organizza happening di categoria straripanti, la cui fama percorre l’intiera cittade: dalle rutilanti serate della Fondazione forense e Agai alle notti estive degli Avvocati del Foro da 2000 invitati, fino alle feste d’auguri Udai. Conosce questo e quell’altro, svelena su questo, su quella e quell’altro, sa tutto ciò che tu stesso di te non sapresti mai e sfoga l’alienazione e la fame su Facebook creando ulteriori contatti sociali. È un perdente che cavalca la breccia, anche se nel dopolavoro ripara tubi fognari.

In breve: l’avvocato è figo, l’avvocatessa è figa assai. Il mio ottimo amico «De corruptionis», come l’ho in punta di diritto nomato, m’ha edotto del mestiere in una frase: «In tribunale 2+2 non fa necessariamente 4. Tutto qua». Si riferiva, suppongo, alle opportunità del metalinguaggio, al contatto del primo tipo, del secondo, del terzo, del quarto. Mica all’illiceità. Veramente, mi ha raccontato anche altro.

Al pari di colossi forensi e potenti cariatidi. Ma certamente non intendevano dire che l’abiezione del governo che Roma va disvelando è il mero riflesso dell’andazzo che in qualsivoglia ambito fa di ogni uomo un avvocato. La Gazzetta del Mezzogiorno, 20 febbraio 2011

ANCHE OCCUPARE UNA SCUOLA PER I PM POLITICIZZATI NON E’ REATO

Pubblicato il 8 febbraio, 2011 in Cronaca, Giustizia | No Comments »

Agli studenti del liceo artistico Caravaggio che nel novembre scorso occuparono la scuola la giustizia mostra la sua faccia meno scontata: quella che sa capire e giustificare, adilà delle asprezze del codice, anche le ragioni degli inquisiti. Denunciati dalla loro preside per avere invaso i locali della scuola e avervi pernottato senza autorizzazione, i quaranta liceali vedono riconoscere la loro innocenza da due pubblici ministeri noti per la loro severità come Grazia Pradella e Ferdinando Pomarici, che chiedono l’archiviazione dell’indagine. Secondo la Procura, mancano i requisiti «soggettivi e oggettivi» del reato contestato ai ragazzi del Caravaggio, ovvero l’occupazione abusiva di edificio pubblico.

Fuori dal gergo giuridico, la decisione della Procura si basa su due elementi. Il primo è un dato di fatto: essendo durata una sola notte (la mattina arrivò la Celere e mandò tutti quanti a prendere un tè caldo) l’occupazione non ha interrotto le lezioni del liceo di via Prinetti, e non ha causato danni alla struttura nè agli arredi. Il secondo elemento è meno scontato, ed è una valutazione che riconosce la liceità del comportamento degli occupanti alla luce di alcune delle sentenze degli anni Settanta, quando manifestazioni di questo genere erano assai frequenti. Secondo tali sentenze (confermate anche dalla Cassazione), gli studenti non sono semplici «utenti» della scuola ma suoi protagonisti: la scuola, insomma, appartiene anche a loro. E se decidono di pernottarvi per rivendicare i loro diritti non invadono un bene altrui.

La decisione della Procura, che ora dovrà passare al vaglio del giudice preliminare, sconfessa la linea dura seguita da Ada Mora, preside del Caravaggio, e dagli altri presidi di scuole medie superiori che nello scorso autunno decisero il pugno di ferro nei confronti degli occupanti. Al Caravaggio le prime denunce erano partite già all’inizio di novembre, quando la Mora aveva indicato ai poliziotti del commissariato di zona i nomi di tre studenti responsabili dell’occupazione del liceo. Dopo la metà del mese, in contemporanea con altre scuole milanesi, gli allievi del Caravaggio avevano deciso una nuova occupazione. A quel punto la preside non ci aveva pensato due volte e aveva chiamato la Celere. La mattina di buon’ora una ventina di studenti erano stati svegliati, identificati e sgomberati dalla polizia. Per tutti era scattata la denuncia, e nei giorni successivi l’elenco degli inquisiti si era arricchito di altri venti nomi. Fonte: Il Giornale, 8 febbraio 2011