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QUESTIONE MORALE, E’ CAOS NELL’ITALIA DEI VALORI. OSSIA, CHI DI SPADA FERISCE, DI SPADA PERISCE.

Pubblicato il 29 dicembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

Antonio Di Pietro

L’Italia dei valori come il Partito democratico. Della serie prima di fare la morale agli altri, è sempre bene pensarci due volte. Aperto il vaso di Pandora della «questione morale», i dipietristi sono cascati, con tutti gli stivali, in una spirale di insulti e recriminazioni tra colleghi di partito, da fare invidia a Bersani e compagni.Lo scontro tra Antonio Di Pietro e il direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais sul sondaggio «taroccato» non si è ancora placato, e se l’ex pm ha deciso di non portare avanti la querelle («Basta, non intendo più replicare», ha risposto a chi gli chiedeva un commento sulla vicenda), il filosofo ha affondato il colpo: «Si predica bene nella linea politica e si razzola male a livello locale, ma il responsabile di questo razzolar male è Di Pietro che questi gruppi dirigenti ha scelto», ha spiegato. Il direttore di MicroMega è poi tornato sul contestato sondaggio. «Al netto degli insulti, c’è nella tua replica una falsità e un ragionamento insostenibile. La falsità è che ad un certo punto avrei chiuso l’accesso al sondaggio, che è invece ancora in corso», ha spiegato rivolgendosi a Di Pietro sul sito della rivista. «Il ragionamento insostenibile – ha proseguito – è che inizialmente avrebbero votato solo i lettori di MicroMega, che condividevano l’opinione del direttore, poi passate le feste i navigatori in generale attraverso il passaparola, e le percentuali sarebbero diventate altre».

Se il leader Idv sceglie di non intervenire più sull’argomento, un motivo c’è. A leggere il sondaggio ci si accorge del fatto che gli strali giustizialisti di De Magistris hanno colpito nel segno, visto che il 51 per cento dei lettori sostiene l’esigenza di un cambiamento della classe dirigente. Alle domande – si legge sul sito – hanno risposto oltre 34mila lettori e il risultato è una maggioranza che chiede a gran voce il rinnovamento. Il 20 per cento è favorevole a un ricambio dei vertici attraverso le primarie e il 31 per cento chiede a Di Pietro di affrontare con radicalità la questione morale. Al contrario, per il 32 per cento non esiste questione morale nell’Idv, mentre il 17 per cento ritiene che il tema riguardi un po’ tutti. Di Pietro tace e tace anche De Magistris. «Preferisco non parlare per adesso», ha spiegato. Nega invece l’esistenza di una questione morale Massimo Donadi, capogruppo Idv a Montecitorio: «Affermarlo – scrive – vuol dire che nel partito sguazzano indisturbati corrotti, disonesti e persone che usano la politica per interesse personale», tutto questo «è falso e insultante. Ribadisco – sottolinea – che il partito che conosco non solo è il partito dove non c’è nessuna questione morale ma, al contrario, è un partito bello e pulito».

Sarà. I nodi, in realtà, restano e saranno affrontati nell’esecutivo nazionale convocato a Sorrento dal 14 al 16 gennaio. Perché dietro alla cortina della polemica di questi giorni – spiegano in ambienti Idv – c’è il vero scontro in atto, che è quello sulla leadership. Chi si gode lo spettacolo è Antonio Razzi che con la sua uscita dal partito alla vigilia della fiducia, in compagnia di Domenico Scilipoti, ha indirettamente dato fuoco alle polveri. E il suo attacco è di nuovo diretto al vertice dell’Idv: «Il problema è la guida del partito che è nelle mani del presidente al quale nessuno può dire nulla né proporre nulla». A guardare poi i commenti sulla vicenda sul sito di MicroMega, ci si rende conto che, mentre i leader della sinistra si fanno la guerra tra di loro, la base ha capito tutto: «Non vi sparate addosso, B. sta ridendo», si legge nell’ultimo – disperato – consiglio di un lettore.

IL BRASILE VERSO IL NO ALLA ESTRADIZIONE DEL PLURIOMICIDA BATTISTI

Pubblicato il 29 dicembre, 2010 in Cronaca, Giustizia, Politica estera | No Comments »

Secondo fonti giornalistiche brasiliane, il presidente uscente del Brasile, Lula, che lascerà l’incarico il 31 dicembre, si appresta a rifiutare la estradizione di Battisti, il pluriomicida terrorista comunista,  condannato all’ergastolo in Italia, fuggito in Francia, dove ha goduto dell’asilo politico e poi in Brasile, dove è stato arrestato su richiesta dello Stato italiano. Lula, benchè la suprema corte brasiliana abbia espresso parere favorevole alla estradizione, sembra sia intenzionato a non concedere la estradizione, con la scusa che in Italia Battisti correrebbe rischiio di morte. E’ evidente che Lula,  sempre che la notizia sia confermata da atti formali, o ha preso un colpo di sole o è molto poco informato sulla realtà italiana. Gli ergastolani, specie quelli che come Battisti in gioventù hanno sparso sangue innocente compiendo non atti politici ma brutali violenze da banditi, al riparo  di pseudo “ideali” libertari, in galera o cxi stanno poco o ci stanno con tutti i comodi. Chi sta poco comodo sono le vittime egli assassini  come Battisti, la maggior parte ormai divenuti cenere o qualcuno, come il figlio del gioielliere milanese Torreggiani, ucciso nel 1978 con fredda malvagità da Battisti, rimasto paralizzato e costretto a vivere sulla sedia a rotelle. E’ in nome delle vititme innocenti della fyria omicida di Batisti che ci auguriamo che le notizie che vengono dal Brasile risultino non veritiere, anche se tutto fa presumere che siano fondate. In questo caso ci attendiamo che le massime autorità dello Stato italiano, dalla prima all’ultima carica, sappiano assumere inziative che rappresentino nella forma e nella sostanza lo sdegno del popolo italiano. g.

Sulla vicenda pubblichiamo un commento di Claudio  Antonello,  che rivela i retroscena e gli affari, nonchè i club intellettuali, che starebbero dietro alla decisione di Lula.


Sarkozy, il capo di Stato francese, è andato in Brasile alla fine del 2009. Ha firmato con l’allora premier carioca Luiz Ignazio Lula da Silva un contratto per un valore complessivo di 12 miliardi di dollari. Oggetto della compravendita: forniture militari, tra cui il primo sottomarino nucleare dell’America Latina, qualche missile e armi varie per l’esercito. Un contratto gigantesco, forse il maggiore stipulato da un Paese europeo con il Brasile negli ultimi anni. Nel pacchetto sarebbe stata inserita pure una clausola relativa alla mancata estradizione di Battisti.

A Lula, desideroso di chiudere la partita militare con la Francia, promettere di salvare Battisti dalle meritate carceri italiane non costava praticamente nulla. E così è stato. Non è un segreto poi che dietro le pressioni su Sarkozy per far passare l’ex terrorista dei Pac come un rifugiato politico ci sia ancora oggi la “Francia bene” figlia della dottrina Mitterrand. Una lobby trasversale che ha assunto la faccia di Carla Bruni, già cantante, modella e ora first lady di Francia. Ma che annovera tra le fila filosofi del peso (politico) di Bernard-Henri Lévy e molti esponenti dell’industria della difesa d’oltralpe. Inutile dire che se l’Italia avesse voluto fare ostruzionismo avrebbe potuto utilizzare due pedine. La prima economica. Cioè lusingare le velleità militari brasiliane come ha fatto Parigi. La seconda politica: mettere in moto l’elettorato di origine italiana contro la discepola di Lula (Dilma Roussef) candidata alle recenti elezioni. Non è stata fatta nessuna delle due mosse.

A onor del vero, una pedina è stata accarezzata. Ma il tentativo si è rilevato così debole che ha finito col favorire chi protegge Battisti. Prima che Sarkozy buttasse giù l’asso da 12 miliardi, l’Italia si è mossa in sede Wto, l’organizzazione del commercio estero, con l’idea di penalizzare l’export di carne bovina brasiliana a favore di quella statunitense (gli Usa in cambio avrebbero dovuto sospendere i dazi sulle acque minerali tricolore). Come dire, uso le vacche per “punire” il Brasile e con esso i produttori di carne carioca allineati col presidente Lula. Il tentativo è sfumato e finito addirittura nel dimenticatoio, mentre nel frattempo la giustizia brasiliana ha fatto il suo corso, favorendo man mano la posizione filo battistiana.

Tanto più che a questo mix di fattori si è andata aggiungendo una componente tipicamente brasiliana che trova nell’ex ministro della giustizia Tarso Genro una forte spinta propulsiva.  Genro  ha di fatto compiuto un atto previsto dai precetti del suo Paese così come nel 1989 lo stesso asilo era stato concesso ad Alfredo Stroessner, dittatore del Paraguay. Tarso ha preso in esame la domanda degli avvocati di Battisti. Viste le motivazioni politiche, è partita la richiesta. Come dire, tanto è bastato per non poterla rifiutare. In Brasile c’è infatti una particolare sensibilità per chi chiede asilo politico. La ferita prodotta dalla dittatura è ancora viva. Lo stesso Tarso è stato vittima dei militari. Peccato che quando Battisti commetteva reati, in Italia c’era la democrazia e non una dittatura come a Rio. Ma forse l’ex ministro della giustizia e portavoce del partito rivoluzionario comunista brasiliano non lo sa. Bisogna pure aggiungere che l’Italia non ha ancora fatto granchè per puntualizzare la differenza. Per 25 anni, fino alla richiesta di estradizione avanzata da Castelli, Battisti è potuto vivere tranquillo in Francia. E ora il ricorso al tribunale Federal è solo annunciato. Staremo a vedere. Speriamo che il governo Berlusconi non ripeta gli errori dei predecessori. Claudio Antonello, Libero, 29 dicembre 2010

WIKILEAKS RIVELA: D’ALEMA RITIENE CHE LA NAGISTRATURA E’ LA PIU’ GRAVE MINACCIA PER LO STATO ITALIANO

Pubblicato il 24 dicembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

Lo racconta Ronald Spogli, all’epoca ambasciatore americano a Roma, il 3 luglio 2008 in un cable rivelato ieri sera da Wikileaks e pubblicato sul giornale spagnolo El Pais.

Massimo D'Alema «La magistratura è la più grave minaccia allo Stato». E stavolta a dirlo non è Berlusconi o qualche falco del Pdl. Bensì Massimo D’Alema. Lo racconta Ronald Spogli, all’epoca ambasciatore americano a Roma, il 3 luglio 2008 in un cable rivelato ieri sera da Wikileaks e pubblicato sul giornale spagnolo El Pais. «Sebbene la magistratura italiana sia tradizionalmente considerata orientata a sinistra, l’ex premier ed ex ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha detto lo scorso anno all’ambasciatore (Usa, ndr) che la magistratura è la più grande minaccia allo Stato italiano», si legge nel testo. In quello stesso cable Spogli cerca di spiegare a Washington che l’Italia da 15 anni tenta di riformare «un sistema giudiziario ferocemente indipendente» e che «la pratica abituale delle intercettazioni telefoniche pubblicate dalla stampa produce un grande imbarazzo a quelli che sono coinvolti». In quel periodo l’ambasciatore Usa annotava che i giornali italiani erano pieni di trascrizioni di registrazioni telefoniche e, incontrando Gianni Letta, Spogli spiegò a Washington che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio annunciava altre rivelazioni scottanti nelle settimane successive.

… D’Alema si è affrettato a smentiere sostenendo che trattasi di una bufala. E’ ovvio, quelle su Berlusconi sono oro colato, quelle su di lui sono …bufale. Così vede il mondo il leader “maximo” dei post comunisti italiani. Sempre alla rovescia. g.

VITTORIO FELTRI LASCIA IL GIORNALE: ECCO IL SUO SALUTO AI LETTORI

Pubblicato il 22 dicembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

Caro Direttore,

un paio di mesi fa, in vista della so­spensione di tre mesi poi inflittami dall’Ordine dei giornalisti, ho ce­duto volentieri a te il posto di diret­tore responsabile del Giornale , ri­servandomi quello di direttore edi­toriale nella speranza di rendermi ancora utile. Il passaggio è avvenu­to in sordina, anche se qualcuno lo ha notato lo stesso. Ora che me ne vado del tutto, mi sembra opportu­n­o spiegare ai lettori perché ho pre­so simile decisione. Primo. Non lascio per la secon­da volta questa gloriosa testata per motivi polemici. Anzi. Sono grato a coloro che mi hanno seguito con entusiasmo, e a te, in particolare, per l’aiuto fondamentale che mi hai dato in sedici mesi di lavoro al­lo scopo di rilanciare il nostro quo­tidiano. Secondo. Il problema è che la sanzione disciplinare (a mio avvi­so ingiusta) mi vieta di esercitare la professione fino al 2 marzo 2011. Che faccio intanto? Poiché deside­ro non essere un peso per la reda­zione e per l’azienda, né mi piace stare con le mani in mano, cambio mestiere: mentre sconto la «pena» (il bavaglio) che mi impedisce di scrivere articoli, faccio l’editore. Poiché non posso farlo qui, dato che ce n’è già uno, e molto valido, mi trasferisco a Libero , di dove so­no venuto, che mi ha offerto la pos­sibilità di cimentarmi nel ruolo, ap­punto, di editore (oltre che di diret­tore editoriale) accanto a Mauri­zio Belpietro. Sono certo che i letto­ri e tu comprenderete le ragioni della scelta. Non si tratta di diser­zione né di disaffezione verso il Giornale . Semplicemente, nono­stante l’età, non amo il riposo: se non lavoro, mi sento morire. In­somma, cari amici, queste dimis­sioni mi sono state «prescritte» dal medico. La salute è la salute. A te, Alessandro Sallusti, l’augu­rio di proseguire sulla strada del successo, con il contributo di Gian­ni Di Giore, amministratore cui bi­sogna riconoscere il merito di aver sistemato i conti, e non era facile. A tutti i colleghi un abbraccio. E a Pa­olo Berlusconi un ringraziamento per avermi sopportato con una pa­zienza degna di Giobbe. Quanto ai lettori, se non ci fossero, non ci sa­rebbero i giornali e nemmeno i giornalisti. Quindi, teniamoceli buoni e cari. Con una promessa: la battaglia continua. Vittorio  Feltri

Caro Direttore,
non conosco il tuo dottore, avrei pre­ferito ti fossi curato con altre medici­ne. Ma non giudico e rispetto. Fac­cio mio il tuo prezioso consiglio sui lettori, ti auguro una pronta guari­gione e ti ringrazio di tutto quello che hai fatto per me e per noi. A. S

…….Anche noi rivolgiamo a Vittorio Feltri gli auguri di buon lavoro nel suo nuovo ruolo di editore. Non abbandoniamo il Giornale ma leggeremo anche Libero per continuare con Feltri, Belpietro e Sallusti,  la stessa battaglia. g

E’ MORTO ENZO BEARZOT

Pubblicato il 21 dicembre, 2010 in Cronaca, Sport | No Comments »

E’ una foto storica. Sandro PERTINI, presidente della Repubblica, abbraccia euforico Enzo Bearzot dopo la trionfante vittoria dell’Italia contro la Germania Ovest ai campionati del mondo del 1982, vinti dall’Italia guidata appunto da Enzo Bearzot. Notte magica e indimenticabile per una vittoria sudata, conquistata e meritata dagli atleti,  in primo luogo, che non erano solo caricature di se stessi, come è accaduto di recente, e poi da quel grande allenatore, Enzo BEARZOT, appunto, un commissario tecnico che nei circa dieci anni in cui guidò la Nazionale italiana seppe conquistare il cuore dei suoi uomini e quello di tutti gli sportivi italiani. Che oggi si inchinano alla sua memoria, tributandogli l’omaggio che merita, che ha meritato, e  il suo ricordo rimarrà scolpito per sempre nella storia dello sport italiano. Addio, grande Enzo.

L’ATENEO DI BARI RICORDA ALDO MORO E BETTINO CRAXI

Pubblicato il 18 dicembre, 2010 in Cronaca, Cultura | No Comments »

L’Ateneo di Bari

Arte, storia, politica e attualità in un convegno a Bari per ricordare due eminenti figure della storia politica del nostro Paese: Aldo Moro e Bettino Craxi.

In realtà l’iniziativa – che ha avuto luogo venerdì 17 alle ore 16 presso la Facoltà di Giurisprudenza delll’Ateneo barese – è nata dalla donazione di un’opera pittorica dell’artista barese Vito Stramaglia, che ritrae insieme i due statisti, alla Fondazione Craxi di Roma. Pertanto, madrina dell’evento non poteva non essere la figlia Stefania, sotto segretario agli Esteri ed animatrice della stessa Fondazione, che ha l’obiettivo di  tutelare la personalità, l’immagine e il patrimonio culturale e politico di Bettino Craxi.

L’occasione ha raccolto vecchi esponenti della vita politica degli anni ’70 e ‘80, ma anche giovani interessati alla storia della Prima Repubblica.

Le vite di Craxi e Moro si sono drammaticamente incontrate in uno dei periodi più difficili del nostro Paese, quello del sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse (16 marzo-9 maggio 1978). Allora Moro era presidente della Democrazia Cristiana, mentre Bettino Craxi era segretario del PSI e proprio a lui Moro rivolse alcune sue lettere durante il rapimento. Durante il sequestro Moro Craxi fu infatti l’unico leader politico a dichiararsi disponibile ad una trattativa, attirandosi addosso anche parecchie critiche.

A ricordarli sono stati tra gli altri gli organizzatori dell’evento, Luigi Ferlicchia, Giovanni Copertino, Aldo Loiodice, Franco Gagliardi La Gala delle associazioni “Critica Sociale”, “Nuovi percorsi” e del “Centro Studi Moro-Dell’Andro”, tutti d’accordo nel descriverli come uomini che vivevano di luce propria e caratterizzati dalla moderazione e dalla capacità di dialogo.

Dello stesso parere è stato il senatore Gaetano Quagliariello, che ha avuto il piacere di conoscerli e si è detto emozionato perché proprio nel giorno del convegno che ricorda i due uomini politici della prima Repubblica, nella stessa aula in cui si è svolta l’iniziativa, il senatore ha conseguito nell’84 la laurea in Scienze Politiche.

“Erano entrambi anticomunisti”, ha detto, “che pensavano con la loro testa e non si identificavano in tutto con il loro partito. Moro e Craxi appartenevano alla tradizione dell’umanesimo politico e la loro idea di democrazia era quella di una democrazia compiuta. Anche nella politica estera hanno operato la scelta atlantica e guardato al bacino del Mediterraneo. Craxi è stato però troppo ottimista nei confronti dei comunisti che invece si rifanno sempre al principio che c’è sempre dall’altra parte un nemico da distruggere. “Vicenda dunque quanto mai attuale”, ha concluso il senatore, “nell’illusione che tutto si può risolvere distruggendo la realtà per tornare al passato”.

Stefania Craxi ha ricordato i due politici come coloro che hanno contribuito alla modernità del nostro Paese. “Hanno avuto in comune la passione politica e la capacità di comando. Moro era un democratico che aveva a cuore la democrazia. Craxi invece un innovatore che ben presto si rese conto che il socialismo del primo Novecento non era più presentabile. La sua formula del liberismo liberale è tutt’ora in corso, mentre del comunismo di allora non c’è più traccia né alcun rimpianto”.

La sensibilità di un giovane artista, dunque, ha riportato alla memoria una delle pagine più dolorose e significative della storia del nostro Paese, che ancora oggi rivivono con lo stesso fervore di allora.

Fonte: L’Occidentale, 18 docembre 2010

PARLA UN POLIZIOTTO: I DIMOSTRANTI AVEVANO PICCONI ED ACCETTE. NOI SIAMO I BERSAGLI PER 1200 EURO AL MESE

Pubblicato il 18 dicembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

Il Corriere della sera ha intervistato un assistente di polizia che martedì era in piazza ad arginmare la violenza dei dimostranti, armati di picconi ed accette. E’ uno sfogo che dedichiamo a terzaforzisti di sempre, alla sinistra ceh fa finta di solidarizzare con le forze dell’ordine e in realtà tenta di scaricare sui poliziotti la responsbilità delle violenze. Dice il poliziotto intervistato dal Corriere che i genitori dei fermati invece di rimproverare i figli, inveivano contro “i pezzi di m…da  che no li rilasciano”.  E stigmatizza il rilascio ordinato dalla Magistratiura che così incita alla violenza. Ecco l’intervista.

ROMA – «Dio non voglia che questi, un giorno, raggiungano il loro scopo: uccidere uno di noi. Come gli ultrà hanno fatto con Raciti. Perché allora non so proprio come andrebbe a finire. I politici, gli onorevoli come li chiamo io, devono capire che bisogna cambiare strada. Subito». «Drago» è una montagna. Lo è nell’aspetto, ma anche dentro. Due lauree brevi, una famiglia da mantenere. Gianluca Salvatori («Ma se non dite Luca Drago nessuno mi riconosce», ci tiene a sottolineare) ha 43 anni, è un assistente capo della polizia. E un punto di riferimento per gli agenti del Reparto mobile di Roma. Un celerino, insomma. Di quelli che martedì scorso si sono ritrovati a fronteggiare centinaia di teppisti scatenati.

«Da soli, in 25, abbiamo respinto 5 mila energumeni armati di “male e peggio”, picconi, accette: ma quando ci daranno qualcosa di meglio di uno scudo e un manganello? Dove sono gli idranti e i “capsulum” (un potente lancia-peperoncino)?», chiede «Drago», che a piazza del Popolo ha preso colpi al petto e a una spalla, ed è finito in ospedale.

Luca è un giellista (dal Gl40, piccolo fucile usato per sparare lacrimogeni) e guida i blindati. È anche impegnato nei sindacati, come segretario provinciale della Consap. Ma la sua casa è la caserma di Ponte Galeria. Sulla carta oltre 500 uomini, «ma alla fine siamo 250. Un gruppo unito, legato da affetto fraterno, una squadra più simile a una famiglia». Con una vita in prima linea. «Per 1.200 euro al mese, più 13 di indennità nei giorni di ordine pubblico – svela l’agente -. Quanto guadagniamo all’ora nemmeno ve lo dico perché è ridicolo. I nostri colleghi spagnoli prendono quasi il triplo, gli altri anche di più. Ce la battiamo solo con i greci, ma lì è un’altra storia».

Quasi tutti i giorni con casco, scudo e mimetica imbottita. Nelle manifestazioni e allo stadio. Gli insulti nemmeno li sente più: «Di quelli non mi preoccupo – aggiunge il poliziotto – non mi offendo, anzi non ci offendiamo, noi del Reparto: li guardi in faccia, questi ragazzini, anche loro con i caschi e gli scudi. A qualcuno gliel’ho anche detto: “Ma lo capisci che con un arresto ti rovino il futuro?” C’è chi ti sta a sentire, chi ti ringrazia, come uno di Pisa che ho incontrato in ospedale. Ma tanti se ne fregano. E magari un giorno te li ritrovi a fare politica».

«Drago» c’era anche a largo Goldoni, durante l’aggressione al finanziere. Con i suoi («Compagni, camerati, colleghi? Come li devo chiamare per non essere etichettato?») è fra coloro che sono corsi in aiuto del militare. «C’erano tutte le condizioni perché usasse la pistola che volevano portargli via – spiega l’assistente capo – ma lui non l’ha fatto. Immaginate cosa sarebbe successo se un manifestante fosse riuscito a prenderla? Nell’ordine pubblico non si può sbagliare, non è come fare le indagini, dove c’è il tempo di fare correzioni. Da noi no. Quello che si prevede non è mai quello che accade. E in piazza non siamo solo poliziotti: siamo i supplenti di un governo, come anche ha detto il capo della polizia, di destra o di sinistra che sia, che invece non ci tutela come dovrebbe. I politici promettono aiuti che non arrivano mai e noi sacrifichiamo le nostre vite, privato compreso».
Essere un celerino vuol dire anche questo: «Certo, crediamo in quello che facciamo, per me è una vocazione. Martedì, come le altre volte, siamo stati i difensori di Roma contro un’orda di barbari. Ma anche noi abbiamo il diritto di tornare a casa tutti interi. Abbiamo madri, mogli e figli che ci aspettano. Proprio come i teppisti che fermiamo. Invece ci lapidano e ci ordinano di stare fermi, immobili. A subire di tutto. Non dico che le “teste calde” che ci sono fra noi facciano bene a sfogarsi. È chiaro che sbagliano, ma dopo 12 ore di questa storia…».

Alcuni fra i 53 feriti delle forze dell’ordine vogliono costituirsi parte civile contro chi li ha fatti finire in ospedale negli scontri a via del Corso e piazza del Popolo. Finora per tutti loro l’unica soddisfazione di una giornata drammatica è stato l’sms di ringraziamento inviato dal questore Francesco Tagliente. «Un onore, un conforto, non era mai successo prima», spiega «Drago», che però protesta: «Se un agente sbaglia paga tre volte rispetto a un cittadino normale, ma i danni fatti da questi teppisti a chi li chiediamo? Ai genitori? Tanto nemmeno loro capiscono: sempre martedì, in commissariato, ne ho incontrati alcuni – racconta l’agente -. Volevano notizie dei figli fermati. Per loro era come se fosse stato normale. “Dobbiamo aspettare che ste’ m…. decidono se carcerarlo oppure no”, diceva uno. Ma che scherziamo? Se succedesse a mio figlio il primo a picchiarlo sarei io». L’ultimo affronto poi è arrivato con la scarcerazione dei 22 arrestati di martedì. E su questo «Drago» chiude il discorso: «Ormai si sentono legittimati a fare tutto. Legittimati dalla giustizia che li mette fuori dopo tutto quel casino. E a ripresentarsi in piazza la settimana prossima. Ma ci saremo anche noi, come sempre». Rinaldo Frignani, Il Corrioere della sera, 18 dicembre 2010

CI RISIAMO: I DELINQUENTI IN LIBERTA’ E I POLIZIOTTI SOTTO INCHIESTA

Pubblicato il 16 dicembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

I  primi 23 delinquenti che martedì hanno messo a ferro e fuoco il centro di Roma provocando danni materiali per  circa  15 milioni di euro secondo una prima stima del Comune e messo a repentaglio la vita degli agenti e dei cittadini, compreso gli stupefatti turisti, sono tornati oggi in libertà durante la prima udienza del processo per direttissima che è stato rinviato al 23 dicembre. Uno solo è stato messo agli arresti domiciliari. Ovviamente il 23, essendo tutti o quasi tutti incensurati, se la caveranno con qualche romanzina e ancora una volta la delinquenza che si nasconde dietro la scusa del diritto all’esercizio alla protesta l’avrà fatta franca. Non ci piace. Non piace e lo ha detto al sindaco di Roma Alemanno che ha duramente contestato questa decisione delle competenti sezioni penali del Tribunale di Roma, non piace a chi si attende che la Legge punisca senza remore di sorta i delinquenti, veri e propri terroristi che hanno preordinato il saccheggio della città, l’aggressione alla gente e alle cose, la violenza contro i poliziotti. Contro i poliziotti poi,  come al solito, al di là delle retoriche manifestaizoni di solidarietà, si appuntano gli strali di quelli  che fanno finta di dolersi delle violenze di cui i poliziotti sono stati vittime, ieri come sempre, e poi li fanno oggetto di sospetti e accuse indecenti (leggere al riguardo l’intervista al ministro della Gioventù, Giorgia Meloni).  E anche in questa occasione, mentre i delinquenti già stasera potranno festeggiare la “magnanimità” dei magistrati italiani capaci di non avere pietà per chi ruba una gallina e trovare giustificazioni per chi distrugge una città, i poliziotti dovranno subire inchieste miranti a stabilire se dovendosi difendere hanno dato qualche manganellata in più ai delinquenti che li aggredivano. Una ragione di più perchè al più presto si metta mano alla riforma della giustizia che stabilisca una volta per tutte che chi rompe paga  senza che  nessun magistrato possa o debba  sottrarsi a questo principio. Altrimenti l’anarchia si impadronirà delle nostre città. g.

SCUOLA DI LIVORNO: VIETATI A NATALE I CANTI RELIGIOSI PER RISPETTO DEI NON CRISTIANI…

Pubblicato il 13 dicembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

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Ci risiamo. Ancora una volta qualcuno ha pensato che, per non turbare la sensibilità dei non cristiani, è giusto che, a scuola, i bimbi non festeggino secondo le nostre tradizioni. Era già accaduto, negli anni scorsi, coi presepi. Ora la storia si ripete con i canti di Natale. “A tutti gli eventi non saranno fatti canti religiosi, nel rispetto delle religioni di tutti, ma solo canti natalizi”: è l’avviso scritto che hanno ricevuto alcune famiglie di una scuola elementare di Livorno da una rappresentante dopo un consiglio interclasse. In realtà nel programma dei concerti dei prossimi giorni ci sono anche delle canzoni che rimandano alla tradizione cristiana.

In ogni caso la preside Manuela Mariani, che di quell’avviso dice di non sapere nulla, non nega lo spirito che la sua scuola intende seguire: “L’obiettivo del concerto da anni è riunire i vari percorsi educativi. È un lavoro di continuità che parte da settembre, con un lungo periodo di preparazione che serve a far partecipare tutti. Mi dispiacerebbe, anzi, che un’eventuale scelta inversa causasse l’esclusione di qualcuno. Per questo il ragionamento, durante quella riunione, sarà stato di scegliere canti attinenti al Natale che non fossero lesivi delle fedi altrui”.

Il concerto di lunedi Nella scuola Thouar del quartiere popolare delle Sorgenti sono iscritti oltre 300 alunni e alcuni arrivano da famiglie di confessione ortodossa e geoviana, ma anche musulmana. Al concerto di Natale di lunedì prossimo parteciperanno peraltro anche gli alunni delle scuole materna e media che fanno parte dello stesso istituto comprensivo. Nel programma compaiono titoli di canti natalizi di chiara tradizione cristiana, come “O notte di Natale” o “Va, dillo alla montagna”.

…..E’ FORSE QUESTA L’INTEGRAZIONE CHE PIACE AI TIPI CME FINI E AL SUO NUOVO PORTABORSE IL RADICALE DELLA VEDOVA? RINUNCIARE  IN CASA NOSTRA ALLE NOSTRE TRADIZIONI RELIGIOSE E CRISTIANE? NON CI STIAMO PERCHE’ SONO QUELLI CHE VENGONO IN CASA NOSTRA A DOVER RISPETTARE LE NOSTRE TRADIZIONI, FERMO RESTANDO CHE A CASA LORO  PRATICHINO LE LORO…..g.

SCANDALI ITALIANI: SUPER PENSIONE AL CATTIVO MAESTRO TONY NEGRI

Pubblicato il 11 dicembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

Tony Negri, per chi l’abbia dimenticato o per i più giovani che nulla ne sanno, è il “cattivo maestro”, l’ideologo delle Brigate Rosse, condannato a 30 anni dicarcere per associazione sovversiva, ridotti in appello a 17. Eletto deputato nelle file dei radicali, fece in tempo a partecipare a sole 9 sedute, prima di scappare all’estero, in Francia, per non essere arrestato e in Francia è rimasto fino a quando è rientrato in Itali per scontare un minimo residuo di pena. Ebbene, a questo signore, sovversivo con sentenza passata in giudicato, lo Stato versa ogni mese un vitalizio di circa 3000 euro al mese che ovviamente il prof. Negri, accanito oppositore dello stato borghese e dei suoi benefici, si guarda bene dl rifiutare. Su quyesta vicenda ecco un commneto di Francesco Borgonovo (Libero, 11 dicembre 2010).

Ai tranquilli lettori padovani dev’essere andata di traverso la brioche intinta nel cappuccio sfogliando al bar la copia del quotidiano Il Mattino. Il giornale ha inteso ricordare – nel bel mezzo del clima da fine dei giochi, mentre qualcuno le prova tutte pur di mandare all’aria  la legislatura – che un tempo i parlamentari ci pensavano bene, prima di abbattere un governo. Se non altro perché dopo due anni, sei mesi e un giorno maturavano il diritto alla pensione.

Facendo un riepilogo degli onorevoli che tra la prima e la seconda Repubblica hanno ottenuto il vitalizio, Il Mattino ha pescato anche Toni Negri, il cattivo maestro per eccellenza, il grande nemico dello Stato borghese e capitalista. Questo signore – come riporta il sito internet dell’Espresso – incassa ogni mese dai contribuenti 3108 euro e questo dal 1993, anno in cui varcò la soglia dei sessanta.
Non solo. Questa ragguardevole cifra, superiore alla retribuzione di molti nostri connazionali, se l’è guadagnata col sudore della fronte. Fu eletto infatti nelle liste radicali, uscendo dal carcere dove era stato rinchiuso dal 7 aprile 1979, dopo un processo in cui gli venivamo mosse pesanti accuse per legami col terrorismo rosso.
Fece il suo ingresso in Parlamento il 12 luglio del 1983 e prima che gli onorevoli colleghi autorizzassero il suo arresto, fuggì in Francia e tanti saluti. Dunque la sua esperienza in aula durò 64 giorni. In realtà, però, per via del periodo estivo e delle relative ferie, a Montecitorio vennero convocate soltanto 9 sedute.
La notizia non è nuova, in sé. Anzi, è stata scritta e riscritta, campeggia pure in La Casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, saggio vendutissimo ma forse non abbastanza letto, almeno dai politici. Nel libro, fra l’altro, viene citato un memorabile intervento dell’on. Negri, nel quale afferma: «Mi hanno accusato di aver vissuto in cento bande clandestine, ma l’unico corpo separato in cui mi è toccato di vivere è proprio questo Parlamento».
Però la pensioncina mica gli fa schifo. Anche se è “proprietà privata”.
Quel che sorprende è notare che nonostante tutte le segnalazioni, a Negri continui ad arrivare lo stipendiuccio da ex rappresentante del popolo italiano, garantitogli da quella democrazia borghese e padronale da lui tanto disprezzata.
Soprende ancor di più poiché Negri continua a pubblicare – anche con un certo successo negli ambienti salottieri che contano – i suoi libroni rivoluzionari. L’ultimo dei quali è uscito proprio qualche mese fa e si intitola Comune. Oltre il privato e il pubblico. Nel tempo libero, dicono, Negri si diletta a consigliare sinceri democratici come il caudillo venezuelano Hugo Chávez.
Vero, il professore padovano non è il solo a godere delle prebende da ex politico. Tanti come lui incassano e continuano ad approfittare di scandalosi benefici. Il suo però è un caso abbastanza clamoroso. Sia per il numero di giorni di “lavoro” in Parlamento sia per le dichiarazioni che il maestro rosso ancora sparge in giro.
Fosse così duro e puro come sembra, potrebbe anche fare un bel gesto e rinunciare all’assegno, ma del resto, come scrive nel suo più recente saggio, il mondo va preso com’è, tanto vale approfittarne.
«Dobbiamo renderci conto che, per quanto lo si giudichi con intelligenza critica e radicalità», teorizza,  «siamo destinati a vivere in questo mondo, non solo perché siamo sottomessi al suo dominio, ma anche perché siamo contagiati dalla sua corruzione. Abbandoniamo dunque i sogni di una politica incontaminata e i “grandi valori” che ci permetterebbero di restarne fuori!».  Ecco, basta coi valori, meglio i privilegi.

Ma visto che in Parlamento è accomodato qualcuno che con la scusa dei valori intende ribaltare Berlusconi – il presidente della Camera Gianfranco Fini – ci permettiamo di rivolgergli un appello, anzi un appellino. Lei che di Montecitorio è il massimo rappresentante, faccia una cosa di destra. Tolga queste pensioni ridicole. E, magari, inizi dal rivoluzionario Toni Negri.di Francesco Borgonovo