Archivio per la categoria ‘Cronaca’

FALSO SCOOP: NON ERA VERA LA SCARCERAZONE DI SAKINEH

Pubblicato il 10 dicembre, 2010 in Cronaca, Politica estera | No Comments »

Sakineh non sarebbe stata scarcerata, come precedentemente riportato da alcune agenzie di stampa internazionali. Secondo Press TV, il canale televisivo iraniano di stato in lingua inglese, le immagini della donna e dell’avvocato pubblicate sui media occidentali non sarebbero altro che parte di un documentario messo a punto dallo stesso canale televisivo. “Contrariamente a quanto affermato dai media occidentali, secondo i quali l’omicida confessa Sakineh Mohammadi Ashtiani è stata rilasciata – si legge sul sito di Presstv.com – è accaduto che un team di operatori, d’intesa con la magistratura, ha ripreso Ashtiani nella sua abitazione, nell’ambito di un interrogatorio sulla scena del crimine. Il programma di Press tv, intitolato Iran today andrà in onda questa sera alle 20.35 e sabato all’1.35″.

“L’unico scopo del regime era giocarsi la carta Sakineh con il gruppo 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu e la Germania), con cui Teheran ha avuto dei nuovi colloqui”, ha commentato Taher Djafarizad, attivista del Comitato internazionale contro la lapidazione.

GLI AFFARI FINIANI A GOMORRA: ECCO LA RETE DI AMICI E PARENTI

Pubblicato il 7 dicembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

di Paolo Bracalini

Tutte le strade finiane portano in Campania, tra Napoli e Caserta, con un epicentro nella rinomata Casal di Principe. Lì opera un finiano dalle parentele importanti e dal cognome che non passa inosservato, Antonio Schiavone. Cognato di Italo Bocchino, avendo sposato la sorella Patrizia (già consigliera comunale di Aversa), Schiavone è il coordinatore provinciale di Generazione Italia, il movimento che rappresenta Fli sul territorio e che ha nel capogruppo finiano il suo motore e creatore. E proprio a Schiavone, insieme al cognato Bocchino, si deve la primissima gestazione del futuro asse con l’Udc, in chiave anti-Cosentino in Campania e in chiave anti-Berlusconi su scala nazionale. È questo uno degli ingredienti della Zuppa del Casale, l’inchiesta su Fli («Futuro e libertà-La vera storia») della Voce delle voci, mensile campano di sinistra su cui scrivono tra gli altri Imposimato, Beha, Giulietto Chiesa, parterre non esattamente berlusconiano.

Sarebbero loro, Bocchino e Schiavone, insieme al segretario Udc Lorenzo Cesa, i tessitori della tela per lanciare (in primavera scorsa) la candidatura di Domenico Zinzi, udiccino, alla presidenza della Provincia di Caserta (seggiola che Zinzi occupa attualmente). «Il patto Bocchino-Udc suggellato a Caserta – scrive Rita Pennarola su La Voce, secondo cui sarebbe Cesa e non Casini l’interlocutore vero di Fli – era evidentemente destinato ad allargarsi, coinvolgendo i destini del Paese». L’asse finian-udiccino, per sfortuna, qualche rogna giudiziaria l’ha avuta. Un candidato vicinissimo al presidente Zinzi, Luigi Cassandra, in piena campagna elettorale era stato diffidato dai carabinieri e quindi costretto ad astenersi dalla vita politica per tre anni, per via di alcune frequentazioni con Salvatore Laiso, detto «Chicchinoss», ritenuto vicino al clan Schiavone. Ma sono cose che, da quelle parti, possono accadere anche alle migliori compagnie.

Però, per lanciare un nuovo movimento servono soldi, e chi finanzia Fli e Generazione Italia? Il mensile si addentra in un groviglio di incroci finanziari e imprenditoriali da cui escono alcuni nomi. E si torna ancora a Caserta, «con la famiglia Di Rosa, industriali petroliferi, legati a Italo Bocchino da un antico feeling politico». Il manager di famiglia, Tommaso Di Rosa «è ai vertici di Confindustria Caserta e guida un impero che spazia dagli idrocarburi all’edilizia». È nell’estate 2009, secondo un racconto riportato dalla Voce, l’incontro foriero di futuri sviluppi. Quando Fini «durante una delle sue consuete battute di pesca subacquea, sarebbe rimasto in panne col suo “Acqua e sale”, presumibilmente a largo dell’Argentario. Fortuna che al seguito c’era la “Carla III” di Tommaso Di Rosa, che provvede a caricare il presidente della Camera e famiglia sul suo yacht e a rimorchiare quello di Fini nel porto più vicino». Leggenda marinara o verità? Resta la vicinanza forte tra l’industriale e i finiani in versione campana.

Come pure c’è un rapporto consumato tra Bocchino e Alfredo Romeo, imprenditore finito nell’inchiesta «Magnanapoli» che gli è costata una condanna per corruzione (pena sospesa). Voci insistenti dicono che sia Romeo un papabile acquirente per le quote che i Bocchino (attraverso la moglie, Gabriella Buontempo) hanno nel quotidiano Il Roma, diffuso soprattutto a Napoli. E proprio partendo dall’azionariato del quotidiano, si ricostruisce un’altra linea di nomi e interessi incrociati, che toccano la famiglia Buontempo, Vincenzo Maria Greco (imprenditore «pomiciniano» plurindagato in epoca Tangentopoli) e il grand commis Massimo Caputi (già Sviluppo Italia). Qui il reticolo è complicato. Il figlio di Greco, Ludovico, è partner di una società (la Proger) con Caputi, ma è anche partner (insieme alla sorella Maria Grazia Greco, giornalista, già collaboratrice dell’Indipendente edito da Italo Bocchino) della Retail Group, il cui fondatore e azionista si chiama Giancarlo Buontempo, architetto, fratello della moglie di Italo Bocchino. Una fitta rete che potrebbe, secondo il mensile, contribuire finanziariamente all’avventura finian-bocchiniana.

Paragrafo a parte per Carmelo Briguglio, altro estremista finiano ma siciliano. Sua moglie guida il Consorzio universitario per la formazione turistica internazionale, che eroga corsi di formazione finanziati anche dalla Regione Sicilia, dell’alleato nel disarcionamento del Cav, Raffaele Lombardo. Secondo la Lega siciliana, il Consorzio «brigugliano» avrebbe messo le mani anche sul Consorzio Taormina-Enta, un altro carrozzone parastatale. Ma sono solo voci. Voci della Campania e della Sicilia, là dove risuona il verbo finiano.

IL GIORNALE 7 DICEMBRE 2010

LA FIAT CHIEDE I DANNI AD ANNOZERO: MISTIFICATA LA PROVA DELLA MITO

Pubblicato il 7 dicembre, 2010 in Cronaca | No Comments »

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Annozero” ha artificialmente usato vecchi filmati montati ad arte per fornire al pubblico affermazioni che hanno gravemente leso l’immagine della Fiat. Lo sostengono i manager del Lingotto che hanno fatto sapere che Fiat Group Automobilies avvierà un’azione giudiziaria contro i responsabili del programma di Michele Santoro e chiederà un risarcimento per i danni subiti da alcuni servizi andati in onda nell’ultima puntata. Le conclusioni tratte sono “fortemente denigratorie e lesive dell’immagine e dell’onorabilità della società, dei suoi prodotti e dei suoi dipendenti fatte a commento di una pseudo-prova comparativa”, hanno spiegato i vertici Fiat assicurando che un eventuale risarcimento sarà interamente versato in beneficenza.

In particolare, il gruppo ha lamentato come “in modo del tutto strumentale ‘Annozero’ abbia illustrato le prestazioni di tre autovetture, fra cui una Alfa Romeo MiTo, impegnate in un test apparentemente eseguito nella stagione autunnale, per concludere, sulla sola base dei dati relativi alla velocità, che i risultati di questa “prova” avrebbero dimostrato una asserita inferiorità tecnica complessiva dell’Alfa Romeo MiTo”. Un risultato opposto, stando alla nota diffusa da Torino, rispetto a quello riportato dai tecnici del mensile Quattroruote che ha condotto il test.

Si trattava, hanno aggiunto i responsabili Fiat, di una ripresa televisiva che “è stata artificialmente collegata ad una prova comparativa condotta nella stagione primaverile, non con le stesse vetture, dal mensile Quattroruote e poi pubblicata nel numero dello scorso mese di giugno di questa rivista”.

…ANSA, 7 DICEMBRE 2010

IL DIRITTO ALLO STUDIO NELLA PUGLIA DI NIKI VENDOLA

Pubblicato il 3 dicembre, 2010 in Cronaca, Notizie locali | No Comments »

La giunta della Regione Puglia delibera:Vitalizi ai consiglieri con soldi libri di testo

di MASSIMILIANO SCAGLIARINI
BARI - Sarà un ricco Natale per i poveri consiglieri regionali che ad aprile non sono stati rieletti, e che – legge alla mano – hanno diritto ad un assegno di fine mandato e ad un vitalizio. Parliamo di una liquidazione a tutti gli effetti e di una pensione che per i politici pugliesi è la più alta d’Italia. Bene: siccome quest’anno il turn over è stato incredibilmente alto, le casse di via Capruzzi non ce la facevano a pagare. E dunque martedì alla giunta è toccato aprire i cordoni della borsa, raschiando il fondo del barile: due milioni e seicentomila euro attinti dal fondo di riserva, ma azzerando la disponibilità «di competenza» del capitolo dedicato all’acquisto dei libri di testo per gli studenti.

Certo, è solo un passaggio tecnico. Ma il segnale è quello che è: i comuni mortali (chi ha un’impresa, chi aspetta una borsa di studio) possono aspettare, gli ex consiglieri no. Nell’assestamento di bilancio, in agosto, la Regione riconobbe al Consiglio (cioé a se stessa) altri 4,5 milioni per spese di funzionamento, soldi che però non erano mai stati erogati. Il 23 novembre, la Ragioneria ha messo a disposizione di via Capruzzi i primi 2,8 milioni. Per trovare il resto, è invece stata necessaria la variazione di bilancio.

Così, con due delibere consecutive, martedì la giunta ha autorizzato il prelievo di 900mila euro da ciascuno dei fondi di riserva (quello per le spese obbligatorie e quello per le spese impreviste). Per effettuare il riequilibrio in termini di competenza, è stata azzerata la disponibilità del capitolo dedicato al contributo ai Comuni per la fornitura dei libri di testo.

«A fine anno – spiega l’assessore regionale al Bilancio, Michele Pelillo – si rastrella tutto quello che è possibile, quindi si vanno a individuare tutti i soldi che non sono stati spesi». Però quello di impadronirsi pure dei pochi spiccioli destinati ai libri di testo non è un bel segnale. «Attenzione – precisa Pelillo – perché si tratta solo di un adempimento tecnico. Avevamo in bilancio una certa cifra iscritta solo come competenza (cioè riferita all’anno in corso, ndr), perché i fondi del ministero per il contributo ai libri transitavano da noi: su quel capitolo non c’è mai stata alcuna disponibilità di cassa. Poi ad agosto abbiamo fatto un accordo con il ministero per l’erogazione diretta del contributo ai Comuni, quindi quella partita non aveva più ragione d’essere in bilancio e l’abbiamo azzerata».

Nel frattempo, il 22 settembre, il presidente del consiglio regionale Onofrio Introna ha scritto a Pelillo per chiedere altri 3 milioni necessari – guarda un po’ – a pagare vitalizi e gli assegni di fine mandato. Dagli uffici del Bilancio fanno sapere che per il momento non se ne parla. Così come non si parla dell’annunciato taglio del 10% delle retribuzioni e delle indennità dei consiglieri.

Il disegno di legge che lo prevede, intitolato «Norme in materia di ottimizzazione e valutazione della produttività del lavoro pubblico e di contenimento dei costi degli apparati amministrativi nella Regione Puglia», è stato rinviato dalla giunta per la seconda volta. Ma non – spiegano i bene informati – per quel taglio del 10%: in quel disegno di legge c’è un articoletto che renderebbe impossibili certe nuove stabilizzazioni…

La Gazzetta del Mezzogiorno del 3 dicembre 2010

…….ovviamente nessuno si straccierà le vesti contro gli affossatori del diritto allo studio,nessun collettivo studentesco occuperà scuole, farà cortei, ingiurierà Vendola per aver dirottato i fondi per il diritto alo studio a favore dei suoi colleghi consiglieri che, poveretti, muiono di fame. Queste cose si fanno solo contro i govfenri di centrodestra. Così va il mondo, bellezza….

AMICI SUOI, di Filippo Facci

Pubblicato il 2 dicembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

I funerali di Mario Monicelli, il grande regista che a 95 anni si è suicidato gettandosi dal balcone della clinica in cui era ricoverato, è stata occasione  da una parte di  polemica tra  fautori e contrari   dell’eutanasia e dall’altra per consentire ai soliti noti di tentare di usare la morte del regista come estremo atto di accusa del Monicelli, uomo di sinistra, contro il govenro della destra. Sciocchezza, quest’ultima che si commenta da sè ma come por freno alla logorrea della direttrice dell’Unità ceh di questa tesi si è fatta portavoce con una lettera aperta al defunto Monicelli suo suo giornale? Solo con l’ironia di Filippo Facci. Eccola.

Cara Conchita,

ciao, sono il Monicelli, sono l’anima de li mortacci tua, sono il Mario, quello hai evocato nel tuo editoriale sull’Unità che hai titolato «Caro Mario» per scassarmi i coglioni – scusami – anche da morto: sono qui in Purgatorio che sbrigo scartoffie (stavo per entrare in Paradiso, ma la Binetti e la Roccella hanno fatto ricorso) e voglio dirti che no, ascolta, la devi piantare di associarmi a ’sti giovinastri che occupano stazioni e autostrade spaccano vetrine e rovesciano autoblindi, tu non l’hai letta la mia ultima intervista che ho rilasciato per il libro «Gioventù sprecata» nel giugno scorso: dico che oggi i giovani sono «disinteressati a tutto, gran mammoni viziati, isolati, adagiati sul consumismo, senza interessi, senza il coraggio di dire niente, incapaci di avere qualcosa da dire in contrasto con gli altri».


E tu mi associ a ’sti pecoroni con lo zainetto firmato, a me che di sinistra lo fui davvero, a me che Benigni mi sta qua, a me che sdoganai l’Alberto Sordi che voi morettiani avete snobbato esattamente come Totò e Pietro Germi, a me che già nel ’77 vi spiegai tutto di quel «Borghese piccolo piccolo» che non vi votava e non vi vota, a me che l’odiato maschilismo l’ho fatto trionfare in «Amici miei», a me che devo pure leggermi i tuoi editoriali, adesso,  in cui spieghi che terapia tapioco come se fosse Antani. A me: che io so’ io, e voi siete Conchita.

02/12/2010

OMICIDIO SULL’AUTOSTRADA, 9 ANNI E 4 MESI AL POLIZIOTTO CHE SPARO’: FU OMICIDIO VOLONTARIO

Pubblicato il 1 dicembre, 2010 in Cronaca | No Comments »

Gabriele Sandri
E’ stato condannato a 9 anni e 4 mesi, Luigi Spaccarotella, il poliziotto ritenuto responsabile dell’omicidio di Gabriele Sandri, il tifoso laziale morto nell’area di servizio di Badia al Pino nei pressi di Arezzo l’11 novembre 2007. L’agente è stato ritenuto colpevole di omicidio volontario (sconto di un terzo della pena per rito abbreviato) dalla Corte d’Assise d’Appello di Firenze che ha ribaltato così la sentenza di primo grado pronunciata dalla Corte di Assise di Arezzo.
La prima sentenza aveva inflitto, infatti, a Spaccarotella una condanna a sei anni per omicidio colposo. Decisione contro cui si era fortemente schierata la famiglia Sandri.
Il ricorso, contro quella discussa condanna, è stato presentato dalla procura generale e da quella di Arezzo. Il procuratore generale Aldo Giubilaro ha chiesto la condanna per l’imputato a 14 anni di reclusione, tradotta poi in 9 anni e 4 mesi dalla corte che si è riunita in camera di consiglio poco dopo le 14:30.
Il procuratore aggiunto ha presentato la richiesta di condanna per omicidio volontario con dolo eventuale e con le attenuanti generiche. Assente in aula, l’agente Spaccarotella. A sostenere l’accusa – su sua richiesta – è stato anche il pm Giuseppe Ledda che aveva coordinato l’inchiesta aretina. L’avvocato del poliziotto ha già annunciato ricorso in Cassazione che deciderà in ultimo grado.
Presenti fin dal mattino, invece, entrambi i genitori di Gabriele Sandri. Giorgio e Daniela, in lacrime alla lettura della sentenza, hanno poi espresso la loro soddisfazione ai cronisti presenti: “E’ una giustizia – ha commentato Giorgio – che era dovuta. A differenza di quanto ho detto dopo il primo grado, la decisione dei giudici di oggi (mercoledì, ndr) mi fa sentire orgoglioso di essere italiano”.
.……La sentenza rende giustizia ai genitori del povero ragazzo che incrociò la sua vita con la pistola di un poliziotto che sparò senza ragione, dall’altra parte dell’autostrada, senza avere alcuna cognizione di quello che stava accadendo, ma per il solo gusto di fare il rambo. Una spacconata che è costata la vita a un ragazzo che aveva la sola colpa di  seguire  la sua squadra del cuore. Ora tocca alla società Autostrade rimuovere il divieto di apporre una targa ricordo nell’area di servizio che fu teatro di un delitto tanto assurdo. g

L’ULTIMO CIAK DI MONICELLI, il ritratto del grande regista a cura di Gian Luigi Rondi

Pubblicato il 30 novembre, 2010 in Cinema, Cronaca | No Comments »

Il regista Mario Monicelli Mi era capitato spesso di definire Mario Monicelli, insieme con Luigi Comencini e Dino Risi, uno dei padri della Commedia all’italiana, pur verificando nella sua carriera anche delle svolte nel drammatico che me lo rivelavano altrettanto grande e altrettanto creativo (persino tra le pieghe di racconti ameni, dove il dramma si poteva intuire quasi soltanto tra le righe). Un giorno, parlandomi di Amici miei, mi aveva detto: «Cosa c’è di più tragico di un quartetto di vecchi che si mascherano da giovani perché hanno capito che sono arrivati all’anticamera della morte?». Ecco la tragicità che, anche solo in modo implicito, Monicelli aveva sempre saputo esprimere con incisività e decisione pur non partecipandovi in nessun modo perché, anche negli ultimi anni, nonostante il suo Montgomery di lana chiara, i pullover colorati e, spesso, la calottina in testa con fiocco, non si poteva certo dire che si mascherasse da giovane. Era giovane davvero e la sua euforia, i suoi slanci, la vivacità del suo carattere dedito spesso, da buon toscano, ai sarcasmi più taglienti, lo immergevano costantemente in un’atmosfera sciolta e disinvolta, vivida e allegra, contro la quale andavano a frantumarsi i molti anni che passavano; lasciandogli solo dei segni esteriori come i capelli bianchi che aumentavano specie nei periodi in cui portava una barbetta corta quasi da moschettiere. Senza mai però che questa allegria, nella vita come nelle opere, sminuisse il tono serio che invece lo distingueva, non in contraddizione con se stesso e la sua attività, ma anzi con logiche precise. E questo addirittura fin dagli inizi, da quando, in sodalizio con Steno, aveva dato vita, appunto, al filone della Commedia all’italiana. Sembrava che ci fossero solo scherzi in quei suoi film con Totò, e poi con Fabrizi e con Sordi, e invece, pur tra un lazzo e l’altro, facevano già da allora, anche se molti non se ne accorgevano, critica attenta di costume. Con una serietà che, sempre più cosciente e matura, la si sarebbe poi trovata al centro di tutti i suoi «scherzi», compreso quello sui Picari, certamente diverso, per gusto, linguaggio e impostazione, da Totò cerca casa, dal delizioso Guardie e ladri, dal ghiottissimo Totò e Carolina, ma, a ben guardare sorretto dallo stesso impegno critico che quei film lontani anticipavano. Annunciando un autore che, conseguente con se stesso fin dal primo giorno – «la conseguenza è un difetto, lo so – mi disse una volta – ma io ce l’ho e me la tengo, tanto non fa male a nessuno» – non solo non si sarebbe più discostato da quella linea ma, anzi, con il passare degli anni, l’avrebbe via via sempre più approfondita. Con ricerche stilistiche all’insegna di un genere che dovevano poi in molti casi persino nobilitare. E non è stata «nobiltà», del resto, quel segno metà amaro metà gaio che dava forza ai Soliti ignoti, oggi considerato un classico, e che segnava, fra l’altro, proprio il momento della svolta della Commedia all’italiana verso la critica di costume? E non è stata nobiltà l’incontro dell’ironia con la storia – storia patria e storia sociale – nella Grande guerra e nei Compagni? La ricerca, qui, superava la cronaca, usciva dal quotidiano e, pur continuando a tenersi nella tradizione, si dava addirittura delle mete di osservazione dall’alto. Perché la critica diventasse saggio. Un saggio, nuovamente a livello di storia, ma questa volta tutta popolare, anche se implicitamente molto colta, che si era fatto poi avanti nell‘Armata Brancaleone e in Brancaleone alle crociate, con sapori e colori che si dovevano ritrovare più tardi, o con le stesse cifre, in Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, o in cifre diverse ma con intenzioni analoghe, nei due «atti» di Amici miei: la somma degli scherzi di Monicelli anche nel perpetuarsi più convinto del loro incontro con una critica che si fasciava a un certo momento di dolore. Come, e questa volta senza più scherzi, in film da importanti testi letterari, quali Caro Michele, tratto, con serietà e severità ispirate, dal romanzo omonimo di Natalia Ginzburg, o Un borghese piccolo, piccolo, dal romanzo di Vincenzo Cerami, o Viaggio con Anita, da una storia di Federico Fellini. Film, anzi «opere», da collocare oggi, all’ora dei bilanci, tra le pagine più serie di Monicelli regista. Non diverse da quelle sapientemente in equilibrio fra la comicità e la critica su cui si costruiva Speriamo che sia femmina, tra i suoi film più fervidi, una grande commedia che avrebbe potuto essere anche un bellissimo romanzo. Scritto, del resto, insieme con Monicelli, da alcuni fra i più prestigiosi scrittori del nostro cinema, da Tullio Pinelli a Suso Cecchi d’Amico, a Leo Benvenuti, a Piero De Bernardi. Una storia di donne.

Come a volte anche in Bergman, come a volte anche in Strindberg, ma con quel «tocco» alla Monicelli che, con estrema sapienza, riusciva a tenere insieme, senza contrasto, il dramma e la commedia, con nostalgie e tenerezze, beffe (anche beffe) e giochi sottili d’amore. Tutto secondo i toni più giusti, i tempi studiati e soppesati con cura, gli effetti dosati con misurata attenzione. Perché tutto avesse un senso e un sapore. E con una narrazione così stretta attorno ai protagonisti e ai loro casi che sembrava di esservi in mezzo e di parteciparvi, con logica così ferrea nel disegno di ogni personaggio e di ogni reazione che tutto, anche come ritmi emotivi e drammatici, ci sfilava sempre davanti con naturalezza estrema, senza un intoppo. Tanto ogni gesto, ogni replica, ogni movimento corrispondevano esattamente a quello che lì, in quel luogo e in quel momento, dovevano essere; senza possibilità di alternative diverse. Messi ancor più in evidenza da una regia che preferiva non imporsi, che dava spazio soprattutto al racconto e, nel racconto, ai singoli caratteri, badando ancora una volta a graduare i passaggi dal sorridente al dolente e, come segno d’autore, rivelandosi soprattutto quando sfumava, specie se la leggerezza del tocco, conciliandosi con la severità di una osservazione spesso nascosta, ma presente, si esercitava nella direzione degli attori. Esattamente come nei lontani film con Totò e poi con Sordi, Gassman, Montesano, Mastroianni, Tognazzi, oltre, naturalmente, in quella Ragazza con la pistola che doveva rivelarci Monica Vitti attrice comica. Una dote, quella della direzione degli attori, che Monicelli, se gliela si riconosceva, accettava, sorvolando però su quasi tutte le altre perché rifiutava programmaticamente ogni indulgenza per l’effetto. «Man mano che vado avanti, infatti – tenne una volta a dichiararmi – io alla regia, nel senso della macchina da presa, credo sempre di meno. La regia, in realtà, è solo la ricerca del personaggio, è lo studio di una certa atmosfera, è la piccola cosa che si fa fare a un attore, è un taglio al momento giusto. Cosa faceva ai suoi tempi Chaplin? Come regia «tecnica», nei film di Chaplin non c’è niente. Ed è così che deve essere, perché bisogna rappresentare le cose come sono, facendo in modo che appaiano le più semplici possibili. Con uno scopo solo: far vedere al pubblico tutto quello che serve per capire, senza mettersi in mezzo con le tecniche. Perché allora c’è il rischio che non veda più niente». La sua firma. In calce però a una galleria di personaggi – e di storie – di cui doveva essere diventato uno degli autori cinematografici italiani più rappresentativi della seconda metà del Novecento. E non c’era bisogno che nel ‘91, per dimostrarlo, gli dessimo il Leone d’oro alla Mostra di Venezia. Gian Luigi Rondi, Il Termpo, 30/11/2010

APPALTI IN SICILIA: BUFERA SULLA PD ANNA FINOCCHIARO

Pubblicato il 29 novembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

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Anna Finocchiaro, capogruppo del PD al Senato, insieme al marito

Giuseppe Giustolisi per “il Fatto Quotidiano

Il sito di SudPress

Nessuno osi parlare di familismo perché lei minaccia sfracelli (e querele). Parliamo della capogruppo dei senatori Pd Anna Finocchiaro e della notizia dell’appalto per l’informatizzazione della Casa della salute di Giarre, in provincia di Catania, affidato dalla Regione al marito Melchiorre Fidelbo, di professione ginecologo, come stabilisce la convenzione firmata quattro mesi fa dal direttore generale della Asp 3 (l’azienda sanitaria) Giuseppe Calaciura.

La notizia sta facendo il giro delle redazioni e impazza sui siti internet e sui social network, coi relativi commenti tra il disilluso e l’arrabbiato dei navigatori. Trecentocinquanta mila euro tondi tondi, questa è la cifra tirata fuori dalle casse pubbliche, come compenso per il lavoro svolto dalla Solsamb, società di cui Fidelbo è amministratore delegato e che prima d’ora pare non brillasse per fatturati da capogiro.

Inaugurazione centro sanitario Giarre con Turco, Finocchiaro e Fidelbo

La presentazione del progetto (proposto dal Consorzio sanità digitale e ambiente di cui la Solsamb era una sorta di società collaterale) risale al 2007, ai tempi del governo Cuffaro, quando assessore alla Sanità era Roberto Lagalla, professore di diagnostica dell’Università di Palermo e da un paio d’anni rettore.

E di sicuro c’è che non c’è stata gara d’appalto. Anzi la pratica ha viaggiato su un binario veloce. Il progetto infatti nel giro di pochi giorni passò dal tavolo dell’allora direttore generale dell’Asp 3 di Catania a quello dell’assessorato retto da Lagalla (che diede parere favorevole), per poi varcare il portone del Ministero della Salute e ottenere il relativo finanziamento ministeriale. Poi l’iter viene bloccato dalla riforma sanitaria voluta dalla giunta Lombardo.

Le Case della salute, infatti, sono diventate presidi territoriali di assistenza e la Solsamb deve rifare il progetto (nel frattempo il Consorzio sanità digitale e ambiente riconosce la titolarità del progetto alla Solsamb che firma direttamente la convenzione con l’Asp 3 nel luglio 2010).

Una vicenda intricata e con più di un aspetto che non si comprende, come conferma, interpellato dal Fatto, l’assessore regionale alla sanità Massimo Russo, che parla di strumentalizzazioni politiche e abbozza una difesa d’ufficio della senatrice: “Che c’entra il familismo? Probabilmente la Finocchiaro nemmeno sapeva di questa storia”. È un po’ difficile da credere, visto che era pure presente all’inaugurazione del centro insieme al marito.

Ma “era lì per accompagnare Livia Turco che da ministro ha fortemente voluto questo tipo di sistema sanitario decentrato”, ribatte l’assessore. Poi annuncia un’indagine interna e dice: “In questa vicenda voglio vederci chiaro, non capisco perché, come pare, non ci sia stata gara e come mai l’assessorato abbia autorizzato la pratica in tempo record. Lunedì chiederò una verifica per accertare quello che è successo”.

UNA SPELDENTE ANNA FINOCCHIARO

Il direttore generale dell’Asp Giuseppe Calaciura si tira fuori da ogni responsabilità perché all’epoca in cui venne presentato il progetto per la prima volta non era direttore. Ma la convenzione l’ha firmata lui. Forse i funzionari che gli hanno istruito la pratica avrebbero potuto sbirciare un po’ meglio tra le righe e fargli presente la cosa. L’assessore Russo intanto garantisce che nessun servizio sarà affidato ai presìdi sanitari siciliani senza che ci sia una gara.

Antonello Cracolici, presidente del gruppo Pd all’Assemblea regionale siciliana, commenta la vicenda nel suo blog e parla di “manganello mediatico contro chi nel Pd si è macchiato della colpa di sostenere il governo Lombardo”, dichiara guerra senza quartiere a chi riferisce la notizia senza discutere del merito.

Livio Gigliuto, segretario dei giovani democratici di Catania usa toni ben diversi: “In generale penso che fare chiarezza sia una cosa positiva, non so se sia il caso di questa vicenda di cui so solo quel che hanno scritto i giornali. Ci terrei però a dire che noi giovani democratici di Catania abbiamo sempre espresso la nostra totale contrarietà al sostegno della giunta Lombardo da parte del Pd. Un partito come il nostro deve sostenere solo persone limpide e non chi come Lombardo ha un modo clientelare di gestire potere e per di più è sospettato di aver frequentazioni con mafiosi”.

DA DAGOSPIA, 29 novembre 2010

ASSAGE, L’INVENTORE DEL SITO CHE STA PROVOCANDO CAOS NELLA DIPLOMAZIA INTERNAZIONALE

Pubblicato il 28 novembre, 2010 in Cronaca, Politica estera | No Comments »

Mentre attraverso alcuni quotidiani che li hanno ricevuti in anticipo già si conoscono alcuni delle centinaia di migliaia di documenti del Dipartimento di Stato amerciano messi in rete dal sito Wikileaks, ecco un ritratto del suo inventore, Julian Paul Assange,  ricercato dall’Interpol per violenze sessuali in Svezia.

Julian Paul Assange, il pifferaio magico della trasparenza a oltranza, il campione delle rivelazioni scottanti su internet, soprattutto anti-occidentali, è l’uomo meno trasparente del pianeta. Il suo vero motto potrebbe essere: «Pubblico i segreti degli altri, ma non certo i miei».

L’algido visionario fa impazzire il mondo con la crociata di Wikileaks. Il sito che sta inguaiando gli americani dall’Irak all’Afghanistan, in attesa dell’annunciata valanga di documenti che scuoterà più di un alleato degli Stati Uniti compresa l’Italia. Non soltanto: Assange si presenta come paladino anti-cattivoni (Pentagono, Cia, ecc.) ma allo stesso tempo vive e raccoglie informazione come una spia, con la differenza che alla fine le pubblica in rete. Un gioco degli specchi che deve far comodo a qualche servizio segreto, mai sfiorato da una sola rivelazione, come quello russo o cinese.

Capelli bianchi, smilzo, mezzo ascetico e spesso vestito di nero, Assange è nato nel 1971 in Australia. A 17 anni fa il suo esordio nel mondo della pirateria informatica con gli «International subversives», che penetrano i computer della Nasa. Nel 1999 registra il dominio leaks.org, che vuol dire letteralmente «trapelare». Otto anni dopo ci aggiungerà davanti Wiki, per trasformare il suo sito nell’enciclopedia in rete delle rivelazioni planetarie. «I nostri principali bersagli – dichiara al momento del lancio di Wikileaks – sono i regimi oppressivi come la Cina, la Russia, e quelli dell’Asia centrale. Ma ci aspettiamo di essere d’aiuto anche per chi in Occidente vorrebbe che fossero denunciati comportamenti illegali e immorali dei governi e delle grandi società».

In realtà le rivelazioni di Assange si sono concentrate soprattutto contro l’Occidente. Amnesty International lo premia nel 2009 per una fuga di notizie sugli omicidi di stato in Kenya. Tutta robetta, rispetto a oggi, ma il visionario predicatore della trasparenza, a senso unico, comincia a crearsi un’immagine. Vagabonda facendo tappa in Islanda, ma qualcuno giura che ha soggiornato pure in Russia e Georgia. Il sito anti segreti diventa molto famoso quando rende noto un video di elicotteri americani a Bagdad, che uccidono giornalisti locali. Guarda caso Assange conquista il premio Sam Adams, organizzato da ex agenti della Cia, in nome di un’etica nei servizi segreti. I sostenitori del complotto dietro l’11 settembre sono convinti che il guru di internet sia al soldo della Cia. L’unico dato certo è che fino a oggi ha pubblicato migliaia di documenti riservati del Pentagono e sono in arrivo quelli del Dipartimento di Stato, ma dalla sede dell’agenzia a Langley non salta fuori nulla. I colpi grossi arrivano con le rivelazioni sulla guerra in Irak e Afghanistan. La tv americana Fox news chiede a gran voce che Assange sia incriminato per spionaggio. «Queste cosiddette fughe di notizie sono chirurgiche e riguardano sempre l’Occidente. Wikileaks è diventato uno strumento di potere amplificato dai media. Sono tutti sintomi che dimostrano come il sito non sia più in mano a un paladino della verità, ma sotto l’influenza di uno o più apparati di intelligence di grandi potenze», spiega Fabio Ghioni, l’hacker più famoso d’Italia.

Mosca e Pechino, per ora, sono uscite indenni dalle soffiate di Wikileaks, che prima degli scoop mondiali sulle guerre degli americani stava per chiudere i battenti per mancanza di fondi. Proprio sulle finanze del sito anti segreti si addensano i dubbi più pesanti. Assange sostiene di aver incassato nell’ultimo anno un milione di dollari in donazioni via internet. Ufficialmente i collaboratori di Wikileaks lavorano gratis. In realtà mantenere in piedi un’operazione del genere costa molto, a cominciare dai server dispersi per il mondo. Per non parlare dei soldi per tirar fuori le notizie e delle spese di Assange che vive, come dice lui, «in aeroporto, sempre in movimento». Oltre alle parcelle legali per le cause e l’ultima grana sulla presunta violenza sessuale del fondatore in Svezia. Assange ha incaricato della difesa il miglior avvocato del Paese, ma la storia puzza di trappola sessuale, come ai tempi del Kgb. Le due presunte vittime sono strane fan di guru di internet. Lui ha ammesso di esserci andato a letto perché consenzienti. Sull’uomo meno trasparente del mondo è piombato il mandato di cattura di un procuratore svedese. Assange, che voleva chiedere asilo politico in Svizzera, è da pochi giorni un latitante ricercato dall’Interpol. Non si capisce dove sia e chi lo protegga, ma proprio in rete c’è chi ha lanciato un appello alla Cina per concedergli rifugio.

RAI: ASPETTANDO SGARBI CHE DICE “SARO’ L’ANTISAVIANO DELLA TV”

Pubblicato il 28 novembre, 2010 in Cronaca, Spettacolo | No Comments »

Eccolo, l’anti-Saviano: Vittorio Sgarbi. Chi, se non lui, può raccogliere la sfida di inventarsi una trasmissione di forte impatto che possa raccogliere un pensiero diverso da quello ecologista-pacifista-buonista di sinistra che si è raccolto intorno allo show Vieni via con me? E così il critico, dopo l’ultima vicenda delle associazioni pro-life che non hanno ottenuto diritto di parola nello show di Fazio (per replicare ai sostenitori dell’eutanasia), ha deciso di scoprire le carte.
Da tempo il bellicoso intellettuale stava progettando insieme ai vertici Rai di organizzare una trasmissione alternativa, in cui parlare soprattutto di cultura, di valori, dei temi alti della vita, insomma da Michelangelo a Dio. E da anni l’area culturale e politica più vicina alla destra e al pensiero liberale cerca un campione che possa reggere il confronto televisivo, anche se Sgarbi è ben lungi dall’essere inquadrato in qualsiasi categoria politica o ideologica. Comunque sia, ieri, Sgarbi ha confermato l’avvio del progetto e gli incontri avvenuti con il direttore generale della tv di Stato, Mauro Masi. Lo show dovrebbe avere una vetrina importante: le prime indiscrezioni parlavano di sei puntate in prima serata su Raiuno, anche perché Sgarbi o gioca in grande oppure non comincia nemmeno. «In realtà – spiega il sindaco di Salemi – ora cominciamo con realizzare un numero zero, poi studieremo la rete e la collocazione giusta. Potremmo partire già da gennaio. L’importante è che vada in onda in prima serata per avere una risonanza tale da rispondere ai dibattiti suscitati da Fazio». Tanto che nel primo giorno di messa in onda verrà dato spazio ai movimenti che si battono contro l’eutanasia e che avrebbero voluto parlare a Vieni via con me. «L’idea che una persona che assiste un malato non possa parlare in tv è assurda – aggiunge -. Queste persone avranno lo spazio che serve per affrontare problemi profondi e parlare del bello, di spiritualità, grazia, miracolo, mistero e vita. Una trasmissione così l’avevo già in mente vent’anni fa, la stavo progettando con Gugliemi, si doveva chiamare Forza Italia!».

Ma il critico non ha intenzione di realizzare un ennesimo talk show dove litigano esponenti pro e contro qualcosa (come, del resto, non è neanche quello di Fazio), ripartirà invece da Sgarbi-quotidiani, la sua famosa rubrica in onda su Canale 5. In sostanza, i temi saranno decisi dal conduttore, ma si darà possibilità di replica, a chi ovviamente ha titolo e testa per parlare. «Se ha avuto un merito Saviano – continua il critico – è stato quello di dimostrare che il pubblico non si annoia quando si articola un discorso più lungo di tre minuti, al contrario di quello che sosteneva Bernabei (lo storico direttore della Rai), indicazione che ha condizionato tutta la nostra tv. Invece milioni di persone sono rimaste inchiodate ad ascoltare monologhi di venti minuti, come facevo io a Sgarbi Quotidiani e come farò nella prossima trasmissione». Il titolo non è stato ancora deciso. «Potrebbe essere, ma dico così per dire, Vieni via con noi o Il bene e il male, l’importante sono i temi: nella prima puntata vorrei parlare di Dio, nella seconda del falso e del vero, nella terza dell’onore». Un esempio: si annuncia che si parla di Andreotti, in realtà non si tratta del personaggio politico, ma di Libero Andreotti, artista toscano; oppure si lancia un dibattito su Gelli, non il capo della P2, ma Lelio Gelli, scultore fiorentino.

Ora vedremo se i dirigenti Rai, che pure hanno sollecitato Sgarbi a realizzare una trasmissione di questo tipo, avranno il coraggio e la forza di mandarla in onda in prima serata. Intanto gli stessi dirigenti domani dovranno vedersela con l’ultima puntata di Vieni via con me: oltre alle proteste dei movimenti pro-life esclusi dallo show, ci saranno sicuramente polemiche per l’argomento che affronterà Saviano nel suo monologo: il terremoto dell’Aquila e tutti i problemi legati alla ricostruzione con le conseguenti critiche all’operato del Governo.

.……Ci auguriamo che il progetto vada in porto. Sgarbi è l’unico,  tra gli intellettuali e uomini di cultura di destra,  che sia in grado di inventare e condurre una trasmisisone di cui si ha grande bisogno, una trasmissione che riesca ad essere per la destra ciò che lo sono per la sinistra quelle condotte dai Fazio, dai Santoro, dai Floris,  e compagnia cantando.