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QUELLA DI FINI E’ STATA UNA SCISSIONE PEMEDITATA E STUDIATA A TAVOLINO: ECCO LA PROVA

Pubblicato il 24 novembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

Gianfranco Fini Fa quasi rabbia la fortuna che ha Berlusconi di trovare tra i piedi avversari che si trafiggono da soli. I finiani hanno fornito la prova della premeditazione segue dalla prima della loro rottura con il Cavaliere. Altro che «espulsione» dal Pdl subìta a freddo e ingiustamente dal presidente della Camera il 29 luglio scorso con l’ormai famoso documento dell’ufficio di presidenza del partito: quello che la corte di Fini cita continuamente per giustificare prima la costituzione dei gruppi parlamentari autonomi di Futuro e Libertà, poi l’uscita dal governo e la richiesta perentoria della crisi. Come ha appena rivelato Bocchino, più di due mesi prima di quel 29 luglio, esattamente il 17 maggio, che era un lunedì, i finiani avevano registrato all’ufficio brevetti di Roma «Il vero centrodestra». Che è un marchio concepito per etichettare non certo una produzione di vino, o di birra, o di dolci, o di profumo, o di giocattoli, ma un partito, un movimento, un’alleanza, una campagna elettorale.

È stato certamente lesto Bocchino, o chi per lui, a depositarlo ma imprudentemente spavaldo ora a vantarsene, avendo regalato a Berlusconi la pistola fumante da esibire agli elettori contro Fini perché la ricordino bene quando andranno alle urne. Non importa a questo punto con quanto anticipo rispetto alla scadenza ordinaria del 2013. Già prima del 17 maggio, in verità, vi era stato un incontro conviviale al fulmicotone tra Fini e Berlusconi, svoltosi esattamente il 15 aprile. Anziché festeggiare i successi conseguiti dal centrodestra nelle elezioni regionali ed amministrative di qualche settimana prima, ai quali il presidente della Camera aveva dato un ben modesto contributo standosene in disparte per un insolito rispetto del suo ruolo «istituzionale», Fini aveva annunciato al Cavaliere la volontà di costituire gruppi parlamentari autonomi. E aveva reclamato, in subordine, il diritto di organizzare il dissenso interno, cioè una corrente, lamentando -giustamente, mi sembrò allora- che vi fossero poche occasioni e sedi nel partito per discutere e confrontarsi. Seguì finalmente il 22 aprile una riunione della direzione, dove poco mancò che Fini e Berlusconi venissero alle mani cantandosele di santa ragione.

Quella salutare, seppur tardiva, riunione di direzione si concluse con la certificazione del carattere fortemente minoritario della corrente finiana. Che si oppose con 12 voti soltanto al documento della maggioranza, approvato con 157 sì. Per ritorsione di stampo non proprio democratico la minoranza annunciò una «guerriglia parlamentare» di cui si avvertirono presto gli effetti. E corse a depositare dopo meno di un mese il suo bravo marchio elettorale all’ufficio brevetti, guadagnandosi -eccome- quella «incompatibilità» poi rinfacciata ufficialmente a Fini con il già ricordato documento dell’ufficio di presidenza del 29 luglio. Queste sono le date e i fatti. Tutto il resto, compreso il giudizio sommario contro un governo al quale i finiani hanno comodamente partecipato sino a pochi giorni fa, è un cumulo di chiacchiere, o di immondizie.Francesco Damato, Il Tempo,24/11/2010

IL BIDONE (DELL’IMMONDIZIA) DI FAZIO E SAVIANO

Pubblicato il 23 novembre, 2010 in Cronaca | No Comments »

Fabio Fazio e Roberto Maroni La camorra smaltisce tutto: rifiuti normali, quelli tossici, le vecchie banconote della Banca d’Italia e perfino i morti (sono rifiuti speciali anche loro) che non entrano nei cimiteri. Ieri a «Vieni via con me», il programma serale di Raitre con Fabio Fazio e Roberto Saviano, è stato il giorno dell’immondizia, un’immondizia bipartisan. Come abbia fatto Saviano a sostenere che anni e anni di emergenza rifiuti nel Napoletano e in tutta la Campania siano stati causati dalla malapolitica, ma che non è colpa di alcun politico in particolare, forse solo un po’ di Berlusconi, è difficile da capire. Ma l’ha fatto. Le parole d’ordine sono state: «I camorristi rinunciano ad una parte dei loro guadagni per dare soldi ai politici. A tutti i politici». Con buona pace del fatto che per sedici anni la spazzatura ha fatto arrivare otto miliardi di euro, lo dice Saviano stesso, in Campania. E ad un certo punto, dopo anni di amministrazioni locali rosse, arriva il governo Berlusconi. E nella trasmissione fa capolino il regista Gabriele Salvatores che ricorda con l’aria indignata (qui ce l’hanno tutti) come lui, il Cav, avesse promesso di risolvere il problema dell’immondizia e, come tutti possono vedere, non l’ha fatto. E Bassolino? E la Iervolino? Di loro non si parla. Comunque la spazzatura che arriva nel Napoletano è del Nord. Come è possibile? «Semplice – dice Saviano – i rifiuti straordinari del Nord arrivano in Campania e “magicamente” diventano rifiuti ordinari».
Poi i camorristi li vendono, sì, se li fanno pagare, dai contadini come fertilizzante e la frutta viene su ingrassata dai toner delle stampanti. Questa la trasmissione prima che potesse intervenire il ministro Maroni, quello che dei camorristi non ne parla, ma manda la polizia ad arrestarli. Maroni, sentendo il programma della settimana precedente, non aveva condiviso molte cose. Ha chiesto il diritto di replica e l’ha ottenuto. Con buona pace dei padroni di casa che preferiscono far parlare chi dicono loro. Il ministro Maroni è stato logico, ha dato una lezione su come si combattono veramente le mafie. Non con le ecoballe. «Le mafie si combattono – ha detto – dando la caccia ai superlatitanti». Non con le chiacchiere e le manifestazioni. Un discorso duro e sereno. Breve (i tre minuti canonici), ma che ha potuto contare su cifre secche ed inoppugnabili. Maroni ha elencato i tanti superboss che lui, ministro del Nord, ha fatto arrestare e alla fine ha detto: «Ne mancano solo due», lasciando capire che si sta lavorando anche per quelli. Alla fine dei tre minuti canonici Fazio, che evidentemente non aveva mandato giù il rospo di aver dovuto aprire le porte ad un’ospite così, ha polemizzato sul diritto di replica: «Se magari a me non piace come lei fa il ministro – ha detto il conduttore – poi vengo io a fare il ministro al posto suo…». Maroni, che era stato misurato e garbato è stato anche spiritoso: «Ma sì – ha risposto – venga lei a fare il ministro dell’Interno, che io me ne vado una settimana al mare». Tutta la trasmissione di ieri sera è stata una sorta di «preparazione» all’intervento di Roberto Maroni, ministro dell’Interno, del Nord. Ricordando che la spazzatura, tossica, arriva dal Nord e finisce sotto le case, le scuole, «modifica la geografia della mia regione», dice Saviano. «Vieni via con me» ieri sera è iniziato come sempre alle nove e passa.
Gli ascoltatori sono stati subito accolti dal padrone di casa Fabio Fazio che ha sparato un bel pistolotto sottolineando come siano noiosi quelli che pretendono il diritto di replica. Perché chi ne ha diritto o no lo decide lui. Primo ospite Luca Zingaretti (il commissario Montalbano) che ha letto un bel brano di Andrea Camilleri (purtroppo lui non c’era) e poi un’altra bella lettera di Carlo Fruttero sull’elogio della vecchiaia. Si sarebbe potuto fermare lì. Peccato. Non l’ha fatto. Di Luca Zingaretti sappiamo che è un grande attore. Non sapevamo che è un pessimo cantante. Da ieri lo sappiamo: ha cantato «Vieni via con me» in modo straziante. Francamente se lo poteva risparmiare, come cantante è riuscito ad essere peggio anche di Roberto Benigni. Il resto della trasmissione è stata «ordinaria amministrazione», con buoni (sicuramente) ascolti per la rete. Comprese le sparate contro il papa di Corrado Guzzanti, osannato dalla clacque. Per la felicità degli inserzionisti pubblicitari. Si perché tra una parte e l’altra della trasmissione di Fazio-Saviano vanno gli spot, come quello per il disincrostante per il water. Come in tutti gli altri programmi.

IL TEMPO, 23 NOVEMBRE 2010

ASSESSORE MILANESE LASCIA FINI E RITORNA AL PDL

Pubblicato il 19 novembre, 2010 in Cronaca | No Comments »

Giampaolo Landi di Chiavenna lascia Fli e torna nel Pdl. Lo ha annunciato lo stesso assessore alla Salute del Comune ed ex deputato di An, che era stato fra i primi ad aderire a Futuro e Libertà, il movimento lanciato da Gianfranco Fini dopo la rottura con Silvio Berlusconi. Landi di Chiavenna  ha reso nota la sua decisione durante una conferenza stampa a Palazzo Marino. “Ho fatto – ha detto Landi – una scelta radicale. Sono stato fra i primissimi a entrare in Fli e sono il primo a uscirne. Rientro nel Pdl soprattutto per sostenere la candidatura di Letizia Moratti. Cercherò di portare il contributo che avrei portato come Futuro e Libertà sul programma politico anche nel centrodestra, su temi importanti come la meritocrazia, la legalità, la tutela della salute”.

“Non ho ricevuto alcuna pressione dal Pdl, la mia è una libera scelta dettata dal fatto che non condivido alcune decisioni di Fli in particolare quelle ‘terzopoliste’ che a Milano – spiega Landi di Chiavenna – possono portare alla vittoria di Pisapia e della sinistra”. Landi di Chiavenna ha definito “equivoca la politica nazionale di Futuro e Libertà, non accetto ad esempio che in Sicilia si appoggi Lombardo insieme al Partito democratico. Sono sempre stato bipolarista e vedo scelte che non condivido”.

L’assessore alla Salute ha anche criticato la gestione milanese di Futuro e Libertà spiegando che “ci sono state delle adesioni che hanno ricordato il metodo delle raccomandazioni e dei carrieristi. Ho detto in passato che non sarei stato come il carro Amsa, quello che raccoglie la spazzatura e rimango fedele a quanto ho detto. Da adesso lavorerò nel Pdl per la conferma di Letizia Moratti”.

“Credo che sia un segnale importante per un grande partito che è il partito di maggioranza di questo Paese”. Così il sindaco Letizia Moratti a margine di un convegno dei Giovani per Expo all’Università Cattolica ha commentato la decisione di Landi di Chiavenna. La Moratti ha poi voluto sottolineare che Landi “è un buon assessore e ha sempre dimostrato di avere a cuore gli interessi della città“. “Credo che anche questo – ha concluso il sindaco – sia importante in quello che è il suo percorso politico”.

…..Chi è di destra non andrà mai a sinistra, Fini o Fini.

I SONDAGGI DANNO VINCENTI PDL E LEGA

Pubblicato il 19 novembre, 2010 in Cronaca | No Comments »

Pareva dessero i numeri e invece li avevano letti. Bossi che il giorno prima frenava, «il governo dura fino al 27 marzo», e ieri invece accelerava: «Io preferire andare alle elezioni. Con il voto ci pensa il popolo a raddrizzare il governo». E Fini che, al contrario, dopo aver aperto la crisi, ieri ha disperatamente tentato di chiuderla, con uno stonato: «Chi ha avuto l’onore e l’onere di governare onori quell’impegno attraverso una agenda di governo». Vacci a capire e poi ecco i numeri. In serata è chiaro che devono aver letto gli stessi, l’Umberto e Gianfranco. Dice un sondaggio di Euromedia Research di Alessandra Ghisleri che se tornassero alle urne gli italiani voterebbero di nuovo il Pdl, con una forbice fra il 29 e il 31 per cento. Senza grandi fughe verso il Fli, che si attesta fra il 4 e il 6 per cento. E rafforzando se mai la Lega Nord, che guadagnerebbe il 12 per cento e forse pure il 14.
Né ha aiutato l’altro sondaggio, quello di Demos che Repubblica.it ha pubblicato con titolo trionfale: «L’Ulivo sorpassa Pdl e Lega. E il terzo polo è a quota 16%». Cifre rassicuranti per il centrosinistra, ma non abbastanza. Perché a ben guardare il sorpasso non sarebbe dovuto al Pd, che anzi cala dal 26 al 24 per cento. Ma dando per scontata un’alleanza con Idv, dato in crescita dal 5.5 al 6.8, e la Sinistra di Vendola, che secondo Demos passerebbe dal 4.7 al 6.6. Il tutto mentre il Pdl sarebbe comunque al 26 e il Carroccio al 10, non proprio la soglia di sicurezza per decretarli sconfitti una volta per tutte. E poi c’è il Terzo Polo. Fli più Udc secondo Demos sarebbero al 15 per cento, con i primi all’8 e i secondi al 7, per Euromedia fra il 10 e il 14, con i finiani fra il 4 e il 6 e i centristi fra il 6 e l’8.
In ogni caso, per Fini il rischio è di restare relegato a fare il leader di un partitino nell’area grigia di chi si candida a fare l’ago della bilancia, con buona pace dello sbandierato grido di battaglia: un’altra destra è possibile. La destra c’è già e ruota intorno all’asse Berlusconi-Bossi, avvertono i sondaggi. Quanto alla sinistra, dice Euromedia che Sel rischia di non raggiungere la quota di sicurezza del 4 per cento, che il Pd non si schioda dalla forbice 24-26, che Idv vale come l’Udc, 6-8. Inesistenti l’Api di Francesco Rutelli e pure il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Primo partito d’Italia quello degli indecisi sul se e cosa votare, a quota 35-38. Letti nella sfida alle urne, i numeri dicono che la certezza di battere Pdl e Lega si avrebbe solo con un’armata Brancaleone che mettesse in fila in una stessa fotrografia, da sinistra a destra: Vendola, Di Pietro, Bersani e Casini. Lasciando Fini fuori dai giochi. Un pasticcio. Che ieri ha indotto Fini al testacoda, dopo che dal Colle sono giunti segnali poco rassicuranti sull’opportunità di scongiurare il voto anticipato con un governo tecnico, di transizione o vattelapesca.
Così, ieri Bossi s’è divertito a lanciare messaggi contrapposti: «Berlusconi avrà la fiducia e andrà avanti ma io preferirei le elezioni». Il senso di tutto sta nella frase che ha ripetuto in serata: «Ci pensa la gente a mettere a posto le cose». Traduzione: se il Fli farà cadere il governo, torneremo alle urne e ce lo riprenderemo. Vista dal Fli, è meno divertente.

IL VERO SAVIANO? ECCO DUE ARTICOLI CHE LO RACCONTANO, SPOGLIANDOLO DALL’AUREOLA DI UN EROISMO DI FACCIATA

Pubblicato il 18 novembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

1- FENOMENOLOGIA SFIGATA DI SAN SAVIANO
Gian Marco Chiocci e Pier Francesco Borgia per “Il Giornale

SAVIANO

Se il buongiorno si vede dal mattino, ieri Roberto Saviano non vedeva l’ora di andare a dormire. Per l’imbarazzo. Perché lo schiaffo ricevuto a metà pomeriggio dal ministro Maroni è di quelli che stordiscono i più accecati detrattori del governo Berlusconi, a cominciare dallo scrittore di Gomorra che in tv ha catechizzato gli ascoltatori sulla connection fra la Lega e le ‘ndrine del nord.

Schiaffo bissato da un ceffone ancor più doloroso se si pensa che ad arrestare il boss Antonio Iovine, ci ha pensato l’ufficio guidato da un poliziotto coraggioso nella lotta al crimine quanto impreparato a difendersi dall’accusa di«lesa maestà»: parliamo del capo della Squadra Mobile di Napoli, Vittorio Pisani, che per aver osato dubitare sull’urgenza di una maxi scorta allo scrittore, è stato crocifisso dai fan dello scrittore casertano, già sgomenti per l’archiviazione dell’inchiesta sul fantomatico attentato natalizio sbandierato a mezzo stampa anche se mai pensato dalle cosche:

Fazio Benigni e Saviano a Vieni via con me

«Dopo gli accertamenti sulle minacce che Saviano asseriva aver ricevuto – confessò lo sbirro impenitente di cui Repubblica chiese l’allontanamento – demmo parere negativo sull’assegnazione della scorta. Resto perplesso quando vedo scortare persone che hanno fatto meno di tantissimi poliziotti, carabinieri, magistrati e giornalisti che combattono la camorra da anni».

Il castello di carta può non scricchiolare ma basta un debole alito per farlo crollare. Mettere insieme pezzi disordinati di inchieste (giornalistiche o giudiziarie poco importa), condirli con retorica deamicisiana e azzardare teoremi suggestivi, è una ricetta vincente per un gourmet della cattiva informazione. Partiamo dall’origine, da “Gomorra”.

Roberto Maroni, ministro dell’Interno

Nessun politico è promosso, tranne uno: Lorenzo Diana, già parlamentare Ds, membro nella commissione antimafia, ora dipietrista convinto. Eppure secondo alcuni suoi lontani trascorsi ripresi in interpellanze parlamentari (che a politici come Cosentino non sarebbero perdonati) vien fuori che alla fine degli anni Settanta, Diana era in giunta a San Cipriano d’Aversa con Ernesto Bardellino (fratello del super­boss Antonio) e Franco Diana (arrestato e ucciso in cella per un regolamento di conti).

Niente di grave, per carità. Ma se in una giunta simile ci fosse stato Cosentino? La risposta è scontata. Saviano, per dire, non ha perdonato all’ex sottosegretario nemmeno certe scomode parentele che nelle piccole comunità sono la regola: «Un fratello di Cosentino è sposato con la sorella di Giuseppe Russo, detto Peppe il Padrino, esponente dei casalesi e della famiglia Schiavone!» E poco importa che anche don Diana, il sacerdote ucciso dalla camorra e che Saviano celebra ogni volta che può, avesse parentele scomode come quelle di Cosentino: «Il parroco era mio parente da parte di papà – racconta a verbale Carmine Schiavone, killer pentito – mentre la sorella Maria ha sposato Zara Antonio, figlio di Schiavone Maria e di Schiavone Vincenzo».

E importa ancora meno che il prete, sempre a detta del collaborante, si fidasse del futuro sottosegretario all’Economia tanto da non far mistero di votare per lui. Quello che vale per gli altri, insomma, non vale per sé. Saviano non ha il copyright dell’anticamorra in “Terra di Lavoro”, non è l’unico cronista a battersi per la verità sco­moda ai clan. Dei dodici colleghi­eroi senza scorta e senza ribalta, a cui i casalesi hanno bruciato l’auto, sparato a casa, recapitato resti di animale in redazione, Saviano non parla. Trova piuttosto il tempo di attaccare quei quotidiani locali per certi titoli a effetto che lo scrittore esula dal contesto (un verbale, una testimonianza) e definisce infami.

Non ha mai parlato delle rivelazioni che il Giornale mandò in stampa il 18 marzo 2009 dal titolo: «Così Saviano ha copiato Gomorra». Interi brani ripresi, senza citarli, da «corrispondenze di guerra» di cronisti con l’elmetto da sempre. Nulla da dire nemmeno sulla citazione per danni da mezzo milione di euro di Simone Di Meo, segugio di Cronache di Napoli che solo dopo aver ottenuto la correzione e la citazione della fonte (il suo nome) a partire dall’undicesima ristampa di Gomorra , ha deciso di soprassedere. Nessuna citazione per le numerose disgrazie del centrosinistra nel regno del nemico «Sandokan».

Un esempio, decine di esempi. La giunta dell’ex presidente della provincia di Caserta, Sandro De Franciscis, è finita nei guai per i lavori affidati a ditte del boss stragista Giuseppe Setola e lo stesso ex presidente è stato intercettato mentre parlava di protezioni della «camorra di Casale».

cosentino

Nessuno sputtanamento mediatico sul modello di quelli riservati ai big del centro-destra. È ovvio che poi Saviano non può pretendere di passare, a prescindere, per «credibile». È scontato che poi gli invidiosi ironizzino sulle improbabili confidenze liceali con Pietro Taricone nonostante i quattro anni di differenza. Ed è normale che il destino si accanisca anche a commento del suo annuncio di darsi alla boxe come Pietro Aurino («il mio mito»), purtroppo per Saviano arrestato perché picchiava chi non pagava il pizzo. La verità, insomma, è più prosaica di un’informazione «spettacolare».

carmine schiavone

2- LA TV TRIBUNIZIA – SAVIANO E L’EUTANASIA: E IL CAMPIONE DI LEGALITÀ ELOGIÒ LA NON-LEGGE
Domenico Delle Foglie per “Avvenire”

Sappiamo bene che criticare un “mostro sacro” è una partita a perdere, ma si potrà pure dissentire con Roberto Saviano senza passare per camorristi, fascisti o disfattisti. Se un intellettuale, nel caso uno scrittore coraggioso, vuole vestire i panni del maître à penser televisivo, del faro che illumina le coscienze, sa di dover fare i conti non solo con il mezzo, ma anche con i telespettatori. Milioni di persone diverse, ognuna con una sensibilità propria eppure tutte con un mondo di valori di riferimento dall’inevitabile base comune: la vita e la morte non tollerano giochi di parole ed esercizi concettuali spericolati e irrispettosi.

E qui ci permettiamo di inserire il rammarico: argomentare contro le mafie di ogni colore è un grande merito civile che unisce il Paese, tirare conclusioni politiche è un esercizio di libertà (e chi lo compie dovrebbe sapere di poter essere chiamato a renderne conto), ma schierarsi a favore del suicidio assistito e dell’eutanasia è un azzardo che come minimo squassa le coscienze e divide il popolo.

Noi sappiamo solo in parte – per quel po’ che ci hanno fatto sapere – che cosa hanno pensato e patito le migliaia di donne e uomini in carne e ossa che tutti i giorni accudiscono in famiglia un malato terminale o un grave disabile senza risparmio di energie, sentimenti e risorse finanziarie, nel sentirsi dire con la forza della parola televisiva che quella vita lì, proprio quella, non è degna di essere vissuta.

Paolo Rossi

Lunedì sera, a “Vieni via con me”, è andata in scena una pagina sconcertante di quella «dittatura dei sentimenti» che sembra ormai voler legittimare ogni tragitto individuale e anche ogni scelta estrema, fuori da un contesto comunitario, al di là del sentire comune, persino oltre i confini della razionalità umana.

Ragione umana che viene invocata per opporsi alle mafie, ma non viene messa in campo se è in gioco la vita di un essere umano nella condizione di massima fragilità. Saviano, con la sua performance, si è reso colpevole del più grave degli addebiti che si possano avanzare nei confronti di un cultore della laicità: ha eliminato con un tratto di penna la cultura del dubbio. Secoli di severa laicità, di continuo sbattuta in faccia ai credenti, bruciati in pochi minuti. Così Saviano ha mostrato all’improvviso il volto del moderno giacobino che oscura la ragione: «Quella di Piergiorgio Welby non era più vita».

MARCO TARQUINIO, direttore di Avvenire

Ecco, questo nostro tempo è pieno di tradimenti della ragione e ci dispiace scoprire che l’ implacabile accusatore dei più feroci camorristi non si faccia scrupolo nel liquidare ferocemente una vita, nascondendosi dietro l’idolo assoluto della libertà senza vincoli di solidarietà. Sino al punto di suggerire a tanti altri, uomini e donne, di seguire la strada che porta al darsi e al dare la morte.

piergiorgio welby3

Lo rimbeccano i dati di realtà, che tradiscono meno degli intellettuali: dopo i drammi di Eluana Englaro e di Piergiorgio Welby, abbiamo assistito a un solo caso di suicidio assistito, con una donna italiana accompagnata a morte in Olanda. Eppure ci è toccato ascoltare, dalla voce di Saviano, la “certificazione” (già tentata in tv da altri) che negli ospedali italiani, con una manciata di euro, è possibile effettuare un’eutanasia.

Lui che è un professionista della legalità (e non è il solo) perché non fa denuncia alla magistratura? Forse condivide questa scorciatoia, e tacita la coscienza? Come può chiedere ai taglieggiati di ribellarsi alle mafie se spinge, lui, a calpestare la legge dello Stato che non consente eutanasia né suicidio assistito e persegue chi li favorisce con il reato di omicidio del consenziente? Ci sono leggi che secondo il maestro Saviano, e con lui Fazio, il campione dei sornioni, si possono violare senza pagare dazio? Che differenza c’è fra loro e quanti cercano leggi “ad personam”, o giustificano chi non si sottomette alla legge?

Bagnasco

La coscienza, Saviano pretende a suo modo di insegnarlo, è un tempio interiore da salvaguardare. Ma lo è sempre, sia dinanzi alla mano omicida del camorrista sia dinanzi a quella che si erge, presuntuosa e autoritaria, ad affamare e assetare l’inerme. Uno come noi e come lui. O no?

I DUE ARTICOLI SONO STATI RIPRESI DA DAGOSPIA

GONGOLA MARONI: AGGUANTATO DOPO 14 ANNI IL BOSS DEI CASALESI ANTONIO IOVINE

Pubblicato il 17 novembre, 2010 in Cronaca | No Comments »

Il ministro dell’Interno Maroni gongola conversando con i giornalisti mentre ancora attende che Saviano gli chieda scusa o accetti il confronto, gongola e ne ha di ragioni: è stato appena informato che reparti della polizia di Napoli e Caserta, insieme ad operatori del Servizio Speciale hanno appena arrestato il capo del clan dei casalesi, Antonio Iovine, latitante imprendibile da 14 anni. Lo hanno preso a Casal di Principe dopo appostamenti e pedinamenti che sono riiusciti ad evitare di essere scoperti e il boss se la squagliasse. E’ felice il Ministro e lo siamo tutti perchè ancora una volta  l’antimafia del fare e del sacrificio, quello degli uomini che operano con sprezzo del pericolo,  ha battuto l’antimafia delle parole che sulle parole costruisce le sue fortune non solo editoriali. g.

FELTRI: E’ STATA VERA CENSURA, DICONO MINZOLINI, PANSA E BATTISTA.

Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

Per il direttore del Tg1: “Folle zittire Feltri, il doppiopesismo è fastidioso”.  L’editorialista del “Corriere” Pier Lugi Battista contro Scalfari e D’Avanzo: “Arroganti”

«Quando viene imbavaglia­to un giornalista è censura, no­nostante quello che pensano a Repubblica ». L’ultimo a sma­scherare il doppiopesismo del­la stampa di sinistra sul caso Fel­tri è l’editorialista del Corriere della Sera Pierluigi Battista. La sospensione a tre mesi del diret­tore editoriale del Giornale comminata dall’Ordine dei giornalisti per il caso Boffo ha di­viso il mondo politico e dell’in­formazione, riaprendo la vec­chia ferita sul destino degli ordi­ni professionali (il referendum radicale per abolirli venne scon­­fitto dall’astensionismo, il mo­vimento per l’Italia del sottose­gretario all’Attuazione del pro­gramma Daniela Santanchè sta raccogliendo le firme per can­cellare quello dei giornalisti). La questione Feltri, secondo Battista, si muove sul terreno scivoloso della libertà di stam­pa. «Che idea bislacca può mai avere chi la rivendica solo per sé – si è chiesto Battista sul Cor­riere di ieri – per poi negarla, con la stessa arrogante perento­rietà, a chi non gli aggrada?». I destinatari del messaggio sono il fondatore di Repubblica Euge­ni­o Scalfari e il cronista giudizia­rio Giuseppe D’Avanzo, che qualche giorno fa hanno spara­to­a palle incatenate contro Fel­tri.

A loro è arrivato anche il mes­saggio in codice del direttore del Tg1 Augusto Minzolini, in­tervenuto domenica sera alla trasmissione Niente di persona­le su La7 : «La condanna è una cosa folle – ha detto Minzolini al conduttore Antonello Piroso- il fatto che qualcuno sia zittito di­mostra un doppiopesismo che mi dà fastidio: per molti altri er­rori macroscopici fatti da altra stampa, l’Ordine non intervie­ne ». Chi pensa che la difesa di Fel­tri condotta da Battista e Minzo­lini rientri in una qualche logi­ca politica è stato spiazzato già nei giorni scorsi, quando a dife­sa del direttore editoriale del Giornale sono scesi in campo giornalisti tradizionalmente più vicini all’emisfero sinistro dei media come il direttore del TgLa7 Enrico Mentana, l’ex nu­mero uno dell’ Espresso e della Stampa Giulio Anselmi e il di­r­ettore del Fatto quotidiano An­tonio Padellaro. Se per quest’ul­timo «conta più il parere dei let­tori che sanno giudicare anche più severamente degli ordini deontologici», Anselmi è con­vinto che Feltri abbia sbagliato su Boffo: «Giusto che paghi, ma non mi piace che si impedisca ad un giornalista di fare il suo mestiere. Si poteva pensare ad una sanzione economica». Nel mirino c’è sempre l’Ordi­ne dei giornalisti («non serve a niente, va abolito», parere con­diviso anche da Giampaolo Pansa sul Riformista ), che pro­prio ieri ha risposto piccato alle critiche mosse da destra e sini­stra. «Sono emerse inesattezze e vere e proprie falsificazioni», ha detto il segretario del Consi­gl­io nazionale dell’Ordine Gian­carlo Ghirra: «Non abbiamo agi­t­o per capriccio, passione politi­ca o simpatie personali ma ab­biamo fatto rispettare la legge. Né potevamo inventare sanzio­ni ». Quanto al «bavaglio» com­minato per tre mesi a Feltri Ghir­ra sembra arrampicarsi sugli specchi:«L’Ordine non ha alcu­na intenzione di impedire a ne­s­sun cittadino italiano la possibi­lità di manifestare il suo pensie­ro con parole e scritti. E per for­tuna nessuno può riuscirci». A quanto pare invece sì.

E ORA LA GIUSTIZIA SIA VELOCE, SOPRATUTTO FEROCEMENTE SEVERA

Pubblicato il 11 novembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

E’ morto a Milano il tassista che per aver investito, senza volerlo, un cane,  è stato bastonato ferocemente da tre mascalzoni che ora stanno in galera. Il povero tassista che si era fermato, era sceso dall’auto, aveva tentato di prestare soccorso al cane, dopo essere stato massacrato di botte e in ultimo colpito da una violenta ginocchiata al capo da uno dei tre energumeni (fra di loro c’è anche una donna!), era stato trasportato in ospedale e ricoverato in coma. Così è rimasto per quasi un mese e poche ore fa è morto. Ora i tre assalitori,  che hanno anche goduto di una cortina di protezioni tra i presenti al pestaggio che hanno tentato di depistare le indagini, sono accusati di omicidio volontario.  E’ il minimo. Ma devono rimanere in carcere e devono essere processati al più presto e devono essere condannati  al massimo della pena possibile  e devono scontarla per intero. Non per vendetta, ma per doveroso rispetto di un uomo che ogni giorno faceva il suo dovere, si guadagnava da vivere, per sè e la propria famiglia, che nutriva rispetto per tutti, anche per un cane dinanzi al cui corpo,  investito per caso,  non è fuggito, e che ha fatto una morte che fa rimanere increduli. Ci sono e ci sono stati anche nel recente passato episodi di automobilisti, ubriachi o drogati, che hanno stroncato la vita di persone inermi, talvolta giovani vite, ma mai era accaduto che costoro rimanessero vittime di una specie di “giustizia” privata, messa in atto  tra l’altro con la crudeltà con cui è stato ucciso il povero Luca Massari a Milano. Se la giustizia, quella pubblica,  che opera nel nome del popolo italiano  consentisse che gli autori di tanta selvaggia esecuzione di un uomo la facessero franca o se la cavassero con poco,  non solo verrbbero meno al loro dovere ma aprirebbero la strada ad altri episodi del genere e se oggi è accaduto per un cane investito, la prossima volta potrebbe accadere per una briciola di pane caduta per caso dinanzi al negozio di qualche suffragetta in cerca di emozioni. Ci auguriamo fortemente che la domanda di giustizia che  prepotente sale nell’anino della gente trovi adeguata risposta. g.

IN NOME DELLA LIBERTA’ DI STAMPA (per la sola stampa di sinistra) L’ORDINE DEI GIORNALISTI SANZIONA VITTORIO FELTRI CON TRE MESI DI SOSPENSIONE

Pubblicato il 11 novembre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

L’Ordine dei giornalisti imbavaglia Feltri. Ancora un attacco contro le voci libere della stampa. Il Consiglio dell’Ordine nazionale dei giornalisti ha sospeso per tre mesi il direttore del Giornale Vittorio Feltri. L’Odg ha ridotto da sei a tre mesi la sospensione inflitta dall’Ordine della Lombardia a Vittorio Feltri per il caso Boffo. A quanto si apprende, nell’ultima votazione (la terza) il Consiglio si è diviso a metà: 66 i voti favorevoli a confermare la sospensione di sei mesi, 66 quelli per la riduzione della sanzione a tre mesi. Come da regolamento, ha prevalso la soluzione più favorevole all’imputato.

“Non mi aspettavo niente di meglio”: è questa la prima reazione di Vittorio Feltri alla notizia della riduzione, da parte del Consiglio dell’Ordine nazionale dei giornalisti, da sei a tre mesi della sospensione inflitta dall’Ordine della Lombardia. “D’altronde – commenta Feltri -, si era visto subito che la maggioranza era ostile, così come peraltro accaduto a Milano”.

“Gli errori li fanno tutti in questo mestiere, ma se Repubblica sbaglia 50 volte nessuno se ne accorge. Se succede a noi è una tragedia”: lo ha detto Vittorio Feltri in una pausa della riunione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, poco prima che l’ordine decidesse sulla sua sospensione. La richiesta era stata proposta nel marzo 2010 con una sentenza dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Per Feltri, che stamane ha spiegato la sua posizione ai vertici nazionale dell’Ordine, rispondendo alle domande dei consiglieri assistito dal suo avvocato, “qualunque giornalista dovrebbe capire queste cose. Io ho pubblicato la rettifica”. Rettifica che è stata pubblicata il 4 dicembre 2009. Nel maggio 2010, Feltri ha fatto ricorso contro la sentenza dell’Ordine della Lombardia, chiedendo l’annullamento, la revoca o una riforma del provvedimento, chiedendo anche la sospensione della sanzione. “Ho detto di essere iscritto all’ordine da 43 anni e da 25 anni sono direttore – ha spiegato il giornalista – Ma in tutta la mia carriera sono stato censurato una volta. Auguro a tutti di non trovarsi nella mia situazione. La disoccupazione, anche temporanea, non mi sembra una cosa civile”. E ancora: “Facciamo le lotte per la libertà di stampa… ma ora facciano come vogliono, che devo fare?”.

.…..al Direttore Feltri va tutta la nostra solidarietà. Sul caso Boffo, ora spesso richiamato come metodo Feltri fu tratto in inganno da una inforamtiva risultata falsa. Subito dopo Feltri si scusò pubblicamente con Boffo e pubblicò la smentita sul Giornale (nel frattempo però, Boffo, che si era dimesso da direttore del quotidiano dei vescovi italiani era stato subito sostituito e ha dovuto attender un bel pò perchè gli si trovasse un’altra collacazione all’interno della organizzazione cui fa capo il quotidiano dei vescovi italiani). Magari tutti quelli che, ingiustamente,  vengono sbattuti ion prima pagina e sottoposti al ludibrio mediatico da parte di certa stampa di sinistra o quelli che vengono fatti oggetto di scurrili e false accuse da parte di certi giornalisti sempre e solo di sinistra ricevessero le scuse quando si accerta che le accuse erano false e gli autori dei falsi perseguiti come accaduto per Feltri….magari! Invece, i giornalisti di sinistra godono di una vera e propria licenza di insulto, e non parliamo dei giudici. Ultima  quella di Milano che ha accusato Maroni di aver detto il falso in Parlamento per il caso Ruby, e si scopre che Maroni ha solo letto ciò che era contenuto in una ordinanza del Tribunale dei minori di Milano dove lavora l’accusatrice di Maroni.  Maroni ha querelato la giudice incontinente ma chissà quando Maroni avrà giustizia. Mica la giudice è Feltri. g.

GLI UOMINI DI FINI: IL SEN. STRANO E L’ON. CATONE

Pubblicato il 9 novembre, 2010 in Cronaca, Gossip, Politica | No Comments »

Il neo capo del neo partito del FLI, cioè Fini, a Perugia, come a Mirabello, si è riempito la bocca della parola “legalità“, innalzandola a bandiera del nuovo schieramento. E però ciò non gli ha impedito di arrulare nella sua nuova truppa due personaggi che rispondono ai nomi del sen. Nino Strano e dell’on. Giampiero Catone.Chi siano costoro lo apprendiamo dalle colonne del Fatto Quotidiano, giornale di Travaglio, che li descrive nel modo che segue.

NINO STRANO: DALLE INCHIESTE ALLA MORTADELLA…
Giuseppe Lo Bianco per “il Fatto Quotidiano

Se gli si parla di “bunga bunga” il senatore Nino Strano pensa subito ai bronzi di Riace: “Mi squaglio davanti a una creatura di marmo”. Precisando: “Ma non ho mai avuto un rapporto sessuale con un gay”. In Parlamento lo ricordano con la bocca piena di mortadella celebrare la sconfitta del governo Prodi in un pomeriggio di “bon ton” a palazzo Madama arricchito dall’offesa al collega Nuccio Cusumano, chiamato “checca squallida”.

“A me piace il turpiloquio, mi afferra, mi tira per un braccio” rivelò il senatore che si definisce oggi “esteta fottuto, amico di travestiti, troie e omosessuali”. Chissà se utilizzava lo stesso linguaggio all’inizio della sua carriera politica, negli anni del dopo stragi, quando, sotto l’ombrello della mafia stragista, si candidò, nel ‘94, nel movimento indipendentista Lega Sicilia, fondato da lui stesso e da Nando Platania, quest’ultimo accusato dal pentito Tullio Cannella di cambiare “pizzini” che lo stesso collaboratore avrebbe recapitato a Bagarella.

Una stagione ancora oscura durante la quale il boss corleonese invaghito di separatismo voleva duplicare l’esperimento leghista catanese a Palermo, racconta il pentito, che parla anche della candidatura di Strano alla presidenza della provincia di Catania. L’inchiesta finì in un’archiviazione, lui proseguì l’avventura politica in An: l’anno scorso è stato assessore regionale al Turismo della giunta Lombardo e lanciò tra le polemiche la Sicilia come meta del turismo gay.

Poi tentò la riconferma, ma Lombardo gli negò la qualità di “tecnico”, lasciandolo fuori dalla sua quarta giunta. Si consola con la Film Commission, decidendo di finanziare film in base a criteri turistici, piuttosto che culturali. L’indagine per mafia lo sorprende a Perugia, alla convention di Fli, ma il suo motto ricorda passioni di altri leader: “Frequento con piacere i locali dove ogni desiderio è possibile. Le mie donne sono sempre con me. Vivo dannatamente di contraddizioni”.

2 – GIAMPIERO CATONE: RICICLATO E PLURINDAGATO…
Chiara Paolin per “
il Fatto Quotidiano

Chissà cosa farà nella sua prossima vita l’onorevole Giampiero Catone: già ne ha vissute molte. Napoletano di nascita e abruzzese d’adozione, 54 anni ben portati, uomo Dc devoto a Rocco Buttiglione sin dalla più tenera età, Catone è un virtuoso dello slalom politico-istituzionale.

Mentre la Prima Repubblica cadeva a pezzi, lui riuscì fortunosamente a impossessarsi del simbolo scudocrociato assicurandolo in dote all’amico Rocco, il quale lo premiò nominandolo suo capo di Gabinetto al ministero delle Politiche Comunitarie con delega particolare allo sviluppo economico. Un posto ideale per Catone, ormai approdato a una felice vita Udc: economia, lavoro e relativi fondi lo hanno sempre appassionato moltissimo. Al punto da inventarsi attività inesistenti per cui richiedere lauti finanziamenti al Ministero dell’industria.

Per questo nel 2001 fu arrestato con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, falso, false comunicazioni sociali e bancarotta fraudolenta pluriaggravata. In pratica, due bancarotte da 12 milioni di euro l’una, e 6 milioni di finanziamenti ottenuti a fondo perduto. Dopo una serie di pericolosi rinvii a giudizio, arrivò la manna della prescrizione, ma ancora nel 2003 e nel 2007 la giustizia tornò a occuparsi di lui per bancarotta fraudolenta ed estorsione. Accuse da cui venne assolto, e subito promosso al Pdl: un seggio sicuro in Lombardia, una lussuosa poltrona da deputato che però non gli ha fatto passare la voglia di cambiare ancora.

È infatti entrato in Fli il 24 settembre, nei giorni più caldi del divorzio libertario: in cambio è arrivata la nomina a responsabile del movimento per l’Abruzzo. Ma la base locale ha reagito malissimo, dimissioni a raffica e una domanda: come parlare di legalità con un rappresentante plurindagato? Il 4 novembre il clamoroso dietrofront: Daniele Toto, nipote dell’avioimprenditore (e a sua volta indagato) Carlo, ha scalzato Catone.