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IL CONSIGLIO DEI MINISTRI HA APPROVATO IL PACCHETTO SICUREZZA

Pubblicato il 5 novembre, 2010 in Cronaca | No Comments »

Dal 1 gennaio ci si potra’ collegare liberamente, senza restrizioni, alla rete wi-fi

Il Consiglio dei ministri ha approvato il pacchetto sicurezza messo a punto dal ministro dell’Interno Roberto Maroni.

Il pacchetto si compone di un decreto legge ed un disegno di legge. Diverse le misure contenute nel provvedimento: si va dalla possibilita’ di espellere cittadini comunitari al ripristino dell’arresto in flagranza differita per i tifosi violenti, dal potenziamento dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati alla criminalita’ organizzata alla liberalizzazione delle connessioni internet. Nel pacchetto anche misure di sicurezza urbana come una stretta contro la prostituzione su strada e l’accattonaggio. In particolare sara’ applicata la misura del foglio di via per chi esercita la prostituzione su strada violando le ordinanze dei sindaci in materia. Dall’1 gennaio ci si potra’ collegare liberamente, senza restrizioni, alla rete wi-fi. Lo ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni in una conferenza stampa a Palazzo Chigi, illustrando le misure del pacchetto sicurezza approvato oggi. Con il provvedimento di oggi, ha spiegato Maroni, ‘’superiamo le restrizioni imposte dal decreto Pisanu cinque anni fa che ora sono state superate dall’evoluzione tecnologica”.

BERLUSCONI, DA CDM SI’ A PIANO, E’1 DEI 5 PUNTI – ”Abbiamo dato il via libera, come anticipato nei giorni scorsi, al piano sulla sicurezza che era uno dei cinque punti del programma di rilancio dell’azione di governo che ha ottenuto un’ampia fiducia in Parlamento”. Lo afferma il premier, Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri.  Il pacchetto sicurezza approvato oggi contiene diverse norme: sulle manifestazioni sportive, dove finora abbiamo ottenuto risultati molto buoni, con il 50% di incidenti in meno negli stadi; il potenziamento del contrasto alla criminalita’ organizzata; la tracciabilita’ dei flussi finanziari; la sicurezza urbana; il superamento dell’accesso al wi-fi. Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi in una conferenza stampa a Palazzo Chigi, al termine del Consiglio dei ministri.
MARONI, NEGLI ULTIMI 2 ANNI -12% REATI COMUNI - Negli ultimi due anni i reati comuni sono diminuiti di oltre il 12%, con un picco del 50% per le rapine in banca. Lo ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni in una conferenza stampa a Palazzo Chigi, illustrando le misure del pacchetto sicurezza approvato oggi.
DA 1 GENNAIO LIBERE CONNESSIONI WI-FI – Dall’1 gennaio ci si potrà collegare liberamente, senza restrizioni, alla rete wi-fi. Lo ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni in una conferenza stampa a Palazzo Chigi, illustrando le misure del pacchetto sicurezza approvato oggi. Con il provvedimento di oggi, ha spiegato Maroni, “superiamo le restrizioni imposte dal decreto Pisanu cinque anni fa che ora sono state superate dall’evoluzione tecnologica”.
SI’ A CARTA D’IDENTITA’ FIN DA NEONATI - “Abbiamo posto fine alla sperimentazione della carta d’identità elettronica e che andava avanti da 10 anni e che ha comportato una spesa di 300 milioni di euro. Apriamo un capitolo nuovo e cioé l’introduzione della carta d’identità come documento di sicurezza per tutti a costo zero a partire da quando si è neonati”. Lo afferma il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi. “Attraverso la registrazione delle impronte digitali nei Comuni – prosegue -, speriamo di arrivare anche prima della fine della legislatura all’utilizzo completo di questo nuovo strumento. Il nostro obiettivo resta quello di poter utilizzare questo documento per il voto elettronico”.
FOGLIO VIA PER PROSTITUTE SU STRADA – Sarà applicata la misura del foglio di via per chi esercita la prostituzione su strada violando le ordinanze dei sindaci in materia. Lo ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni in una conferenza stampa a Palazzo Chigi, illustrando le misure del pacchetto sicurezza approvato oggi.
FONTE ANSA 5 NOVEMBRE 2010

IL PARTITO DI FINI: GIA’ DIVISO IN SETTE CORRENTI, COME NELLA PEGGIORE MANIERA DELLA PRIMA REPUBBLICA

Pubblicato il 21 ottobre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

LA NEONATA FLI RISCHIA DI MORIRE IN CULLA DI RAFFREDDORE, CON TUTTE LE CORRENTI IN CUI SI SONO GIÀ DIVISI I FINIANI (GIA’ SE NE  CONTANO  SETTE) -  HANNO PIÙ SPIFFERI DELLA VECCHIA DC: DAI CORTIGIANI AI SOCIALISTI, DAI FEDELISSIMI AGLI ANTICLERICALI – L’ESERCITO DI FINI È DA FARE, MA LE DIVISIONI CI SONO GIÀ TUTTE – E, SORPRESA!, SONO I PIÙ ASSENTEISTI IN AULA (E I PIÙ PRESENTI IN TV)…

Franco Bechis per “Libero

Granata e Fini

Il partito non è ancora nato ufficialmente, ma ha già stabilito un record assoluto per la politica italiana: Futuro e Libertà per l’Italia può contare su un leader, Gianfranco Fini e già su sette correnti. Più di quelle che aveva la vecchia Democrazia cristiana, ma con una differenza non da poco: quelle sette correnti devono spartirsi un patrimonio di consensi che oggi vale circa un decimo di quelli della Balena bianca.

GRANATA

C’è il correntino dell’entourage di Fini, l’unico staff di fedelissimi legati al leader a doppio mandato. Uno sparuto manipolo di corte, ognuno con il suo compito disegnato. Giulia Bongiorno pensa agli affari legali di Futuro e Libertà e anche a quelli personali di Fini.

Donato La Morte pensa al business e ai conti della formazione politica. Alessandro Ruben cura le relazioni internazionali. Francesco Proietti Cosimi è lì, in staff perché questo ha sempre fatto anche se oggi ne capisce poco il motivo. Luca Barbareschi va un po’ per conto suo, ma è anche il portavoce ufficiale del partito. E lì sta.

bocchino H

Nella corrente dell’entourage del leader c’è anche una sottocorrente, che va per conto suo. Quella di Giuseppe Consolo, cui sono affidati gli affari legali della compagna del leader. Anche lui starebbe nella cerchia dei fedelissimi. Ma guai a chiuderlo nella stessa stanza della Bongiorno. Sarebbe come mettere uno di fronte all’altro gli ultimi due Higlander rimasti sulla terra: ne resterebbe solo uno vivo. Il correntino dell’entourage sta nella cerchia più alta, quella vicina al leader. Ha potere. Ma non truppe: nemmeno un soldato a riporto. Non che siano tante, ma quelle spettano tutte ai correntoni.

ITALO BOCCHINO

C’è quello di Generazione Italia, guidato da Italo Bocchino. Con lui i nomi più noti sono Fabio Granata, Carmelo Briguglio, Angela Napoli e Antonio Buonfiglio. Sembra un po’ il correntone di Antonio Gava della vecchia dc, ma scrivendo questo paragone il rischio è che Granata e Briguglio ci inviino cento pm in redazione.

GRANDI E PICCOLI
Altro correntone, quello che forse ha più truppe in giro, si è dato il nome di “Area Nazionale”. Alla guida si possono trovare Silvano Moffa, Pasquale Viespoli e Roberto Menia. Essendo i più lealisti con il governo di Silvio Berlusconi, ne sono soci di diritto anche Andrea Ronchi e Salvatore Valditara.

BRIGUGLIO E BOCCHINO

Terza grande corrente, quella dei pensatori. Sparano idee a raffica, ma non sono dei Rambo nella realizzazione: è la corrente di Fare Futuro. La guida Adolfo Urso, e dentro c’è un po’di tutto: pensatori alla Alessandro Campi, giornalisti bohemien come Filippo Rossi, uomini più attenti alla cassa come Ferruccio Ferranti e Pierluigi Scibetta.

MORONI CHIARA

Da qualche giorno è nata anche la corrente socialista, che non si capisce bene che c’entri lì. Comunque l’ha fondata l’unica appartenente, Chiara Moroni e l’ha chiamata “Socialismo e libertà“. Un po’ l’una e un po’ l’altra cosa, che nella storia hanno fatto un po’a cazzotti. Forse è più azzeccato quel titolo di quello da cui prende le mosse: “Socialismo è libertà“, movimento fondato da Rino Formica nel 2003.

Il nome non se l’è ancora dato, ma in Futuro e Libertà è già pronta anche una correntina democristiana. La guiderebbero Giampiero Catone e Potito Salatto, e potrebbe farne parte anche Maria Grazia Siliquini. Sembra niente, però ha un suo peso quando si discute di giustizia. Conoscendo a fondo magistrati e tribunali, da queste parti del gruppo si è meno giustizialisti che altrove.

FLAVIA PERINA

Siamo arrivati a sei correnti. Ma c’è anche la settima, un po’ più trasversale. La chiamano “corrente dei secolari”, e il nome ha un doppio senso. Il primo richiama al Secolo d’Italia, perché da lì provengono i primi due aderenti, Enzo Raisi e Flavia Perina. Il secondo senso è più letterale: “secolari”come contrapposizione a “spirituali”. È il gruppo degli anticlericali e laicisti, che sposa in pieno questo primo antico passo della differenziazione di Fini dal resto della compagnia. Ne fa parte a pieno diritto Benedetto Della Vedova, e avrebbe potuto entrare anche la Moroni, che così però non si sentiva abbastanza importante e ha preferito fondare più che una corrente, uno spiffero tutto suo.

DELLA VEDOVA

Altro che colonnelli, con tanta abbondanza qui Fini rischia di essere circondato da capitani e sottotenenti convinti di comandare ognuno a casa sua. Se ne vedranno gli effetti già domani con la nomina dei coordinatori regionali, un altro modo di dare galloni all’esercito che così rischia di restare senza truppe.

DELLA VEDOVA

ASSENTEISTI
Tanta divisione per il momento ha trovato piccolo specchio in Parlamento. Sulle questioni spinose – specie sulla giustizia – il gruppo di Futuro e Libertà marcia unito per colpire diviso. Lo fa quando da meno nell’occhio, ma lo fa. Qualcuno ha preso posizioni apertamente polemiche nei confronti del governo. Altri hanno scelto una tecnica più furba: al voto non vanno.

È accaduto quando si è trattato di concedere o meno le autorizzazioni a procedere nei confronti di Berlusconi per le querele di Antonio Di Pietro (su 34 a marcare visita sono stati ben 12 finiani). Ma accade in tutte le occasioni. Da quando è nato il gruppo finiano ha pensato più alla tv che alle aule parlamentari: è il gruppo con più assenteismo alle votazioni parlamentari.

ENZO RAISI

Luca Barbareschi

BUONE NOTIZIE

Pubblicato il 19 ottobre, 2010 in Cronaca | No Comments »

1. Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato dal presidente del Piemonte avverso la decisione del TAR del Piemonte che aveva disposto il riconteggio delle schede elettorali delle scorse regionali, dando ragione al presidente uscente, la pdieddina Bresso. Il Consiglio di Stato accogliendo il ricorso di Cota ha sospeso il riconteggio delle schede chiesto dalla Bresso nel presupposto che fossero invalide due liste elettorali che invece erano state dichiarate legittime dalla Corte d’Appelo di Torino. Il ribaltone giudiziario, almeno in Piemonte non è riuscito o, almeno, è rimandato.

2. La Commisisone Affari Costituzionali del Senato ha approvato con i voti del PDL, della Lega e deunico finano iun emendamento al disegno di legge costituzionale noto come Lodo Alfano con il quale è ammessa la sospensione dei processi alle due masime cariche dello Stato anche per i processi iniziati prima del mandato elettorale. Dura reazione dell’opposizione, non tanto per il merito, quanto per il voto favorevole del commissario finiano che evidenzia che al momento l’accordo parlamentare all’intenro della maggioranza regge.

3. Pare che il cosiddetto comico Roberto Benigni si sarebbe dichiarato disponibile ad una comparsata televisiva a RAI 3 senza compenso. Nessuno ci crede ma per il momento tutti esultano. Anche l’interessato che sa bene che alla fine le sue tasche rigonfieranno del vil danaro che come è noto “non olet”.

AD ADRO NO, A LIVORNO SI: L’ITALIA DEI DUE PESI E DELLE DUE MISURE

Pubblicato il 17 ottobre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

Il caso di Adro per settimane è stato il simbolo della presunta ingerenza della politica in un istituto scolastico. Ma nessuno si scandalizza se in una materna del centro storico della città toscana campeggia il vessillo del Pdci.

di Valentina Carosini

Uno spettro s’aggira per Livorno. È lo spettro, per altro un po’ gualcito, del (vecchio) comunismo che uscito dalla porta, ora tenta di rientrare dalla finestra. Per rimanere nella metafora, la «finestra» simbolica è quella di una scuola materna, sui muri della quale, ciclicamente, campeggiano tre bandiere. Un inno alla patria? Una trovata romantica? Non proprio. I vessilli in questione, falce e martello in campo rosso, simbolo di un marxismo-leninismo rivisitato in chiave tristemente italica, sono quelli del moderno partito dei Comunisti Italiani. Due più una multicolore bandiera della pace, di quelle che qualche anno fa sventolavano dai terrazzi di mezza Italia, sull’onda di un pacifismo color arcobaleno finito presto nel dimenticatoio. Un metro e mezzo per un metro di stoffa rossa che sventola sui muri esterni della scuola materna San Marco, nell’omonima via del quartiere Venezia, nel cuore del centro storico cittadino. Sono lì dallo scorso gennaio, dove annualmente vengono sistemate per celebrare la fondazione del Partito Comunista Italiano, nato a Livorno nel 1921. Di più. Nato proprio sul posto, come si legge dalla targa alla memoria, e «sorretto dall’ideologia di Marx, Engels, Lenin e Stalin» (per citare testualmente la lapide apposta su quelli che sono i muri dell’edificio scolastico), nelle sale dell’ex teatro San Marco, oggi scuola comunale.
Il comune, che sempre annualmente provvede a togliere le bandiere dopo le cerimonie, quest’anno se n’è dimenticato. Qualcuno se n’è accorto e ha protestato ispirando mozioni e interpellanze, mai arrivate alla discussione in consiglio comunale. Una curiosa risposta tutta toscana alla Adro leghista, con una sola differenza. Mentre in terra padana i simboli di partito, esposti in scuole e luoghi pubblici, hanno scatenato un putiferio mediatico nazionale, con tanto di proteste, prese di posizione e urla scandalizzate, manco si trattasse d’un colpo di stato, qui invece, nella terra del cacciucco, l’invasione di falce e martello è percepita come normale, almeno stando alla maggioranza cittadina. Questione di punti di vista.
«Siamo una città simbolo – s’infiammano subito gli abitanti della zona, se interpellati sull’opportunità o meno di un simbolo politico su un edificio pubblico – Non lo sa che siamo la culla del comunismo italiano?». Una culla del materialismo dialettico dove si può ignorare perfino il via al minuto di silenzio, alla memoria dei quattro soldati italiani morti in Afghanistan pochi giorni fa, che doveva essere osservato in tutte le classi di un liceo scientifico cittadino ma che è stato completamente ignorato da un professore che in aula ha continuato a fare lezione, un’occasione come un’altra per stigmatizzare la guerra in Afghanistan, lasciando sbalorditi gli stessi alunni. Questione di punti di vista anche per la maggioranza cittadina, compatta sulla «querelle delle bandiere».
«La scuola ha l’ingresso dall’altra parte dell’edificio, i bambini non le vedono neanche le bandiere – ribatte Gabriele Cantù, capogruppo Pd in consiglio comunale – E poi sono apposte su quel che resta del muro dell’ex teatro, parte della memoria storica che la città che non vuole negare». Teatro dentro il quale però, di fatto, ora c’è una scuola materna. Stesso edificio, stessi muri. Non c’è sofismo che tenga. È un simbolo politico su un edificio pubblico. Fine. E a Livorno, a quanto pare, si può fare.

L’ITALIA NELLO SGOMENTO

Pubblicato il 16 ottobre, 2010 in Costume, Cronaca | No Comments »

Ieri è stato un giorno spiacevole. Due episodi, gli ultimi, che insieme a tanti altri ci lasciano sempre più sgomenti e senza parole. A Roma la giovane infermiera rumena colpita al volto  qualche giorno fa da un pugno di un giovane ventenne ha cessato di vivere dopo essere rimasta in coma per alcuni giorni. Un banale litigio, una banale discussione su chi doveva per primo acquistare un biglietto della metropolitana finisce in tragedia. Una vita spenta, quella della giovane infermiere, una vita dannata, quella del ragazzo che è ora imputato di omicidio preterinzionale, cioè un omicidio che non voleva commettere ma che ha commesso. E’ certo che il ragazzo non voleva uccidere, ma è accaduto  e la vittima ha pagato con la vita un episodio che sa di assurdo. Non è la prima volta che accade e forse non è neanche l’ultima. Ma non si può nascondere l’orrore per una vita spenta per una semplice “precedenza”. L’altra notizia ci ha raggiunto a notte inoltrata, da Manduria. La Procura della Repubblica di Taranto ha sottoposto a fermo giudiziario, anticamera dell’arresto vero e proprio, la cugina della quindicenne Sarah Scazzi, sparita il 26 agosto e ritrovata dopo 45 giorni in un pozzo dove l’aveva seppellita lo zio che ha confessato di averla uccisa e violentata, forse prima o, orrore, dopo l’omicidio. Ieri una improvvisa svolta. Lo zio assassino avrebbe dichiarato che a tenere ferma la ragazza mentre egli la strangolava sarebbe stata la figlia, cioè la cugina di Sarah, la stessa che durante i 45 giorni della disperata ricerca della ragazza lanciava messaggi e appelli alla cugina perchè ritornasse  a casa,  o agli eventuali rapitori perchè la  liberassero.  Ieri sera  un programma in TV  stava seguendo momento per momento l’evolversi della situazione dopo che la cugina della vittima era stata portata in caserma e sottoposta ad interrogatorio,  quando il conduttore della trasmissione ha diffuso una prima indiscrezione sulla nuova verità; confessiamo che  abbiamo avuto una immediata reazione di rifiuto a credere a questa notizia. Non poteva essere possibile che la ragazza, coetanea e cugina della vittima, poteva aver parteciapto al suo assassinio e poi all’occultamento del cadavere. Ci siamo arresi stupiti e inorriditi quando è stato letto il comunicato ufficiale della Procura di Taranto che ne dava formale comunicazione. Ci siamo arresi,  pur nella naturale speranza che questa verità non sia tale per l’evidente orrore che essa suscita,  ma siamo rimasti senza parole. Non solo uno zio-padre assassino e seviziatore di una giovane vita, ma, secondo la Procura di Taranto,  anche una cugina-amica del cuore, partecipe di un fatto odioso, orrendo, disumano, terribile e inaccettabile per la nostra coscienza. E forse, secondo giornalisti e opininionisti, non saremmo ancora alla  fine del dramma, altre terribili verità potrebbero esserci dietro l’angolo. Nei prossimi gorni un confronto tra padre e figlia potrebbe fornire nuove notizie e magari una verità diversa da quella che oggi ci ammutolisce. Ma  ugualmente  lo sgomento  coglie non solo la piccola comunità in cui il dramma si è svolto, ma l’intero Paese che si domanda angosciato verso quale terribile approdo va la società italiana. g.

LA CASA DI MONTECARLO: IL PREZZO E’ OK, MA NEL 1999

Pubblicato il 15 ottobre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

    Il valore fissato dal Principato è quello fiscale del 1999, non di mercato nel 2008. Ma i giornali amici assecondano Fini e s’inventano la bufala del “prezzo giusto”. Ecco come si imbroglia la pubblica opinione si fa credere che la storia che ha visto Fini invischiato sia finita a tarallucci e vino. Così non è. Ecco perchè.

    È la stampa bellezza. Quando c’è da fare la morale, si sta tutti lì con il viso appeso: vergogna, queste cose non si fanno. Poi chi sputa sentenze si affretta a mascherare la verità per non far piangere il povero Fini. È capitato ancora una volta su Montecarlo. La storia è questa. In Procura a Roma arrivano gli atti della rogatoria. Le autorità del Principato fanno sapere che il prezzo fiscale, che non corrisponde a quello di mercato, della casa eredità da An, è congruo. Nel 1999, all’atto di successione, era corretto il valore di 270mila euro per l’appartamento. I giornalisti non sono sprovveduti. Sanno benissimo che questa informazione non dice praticamente nulla. Quello che conta è il prezzo di vendita dei 70 metri quadri zona centro nel 2008. È lì che Storace e gli ex An, quelli che hanno fatto la denuncia, sentono puzza di imbroglio. È lì che gli elettori di Fini e gli iscritti dell’ex An chiedono sia fatta chiarezza. Ma di questo Montecarlo non parla.
    Fini, furbone, appena sente la notizia spara: «Era quello che stavo aspettando, ora ci divertiremo con le querele». Le agenzie ribattono, il bla bla bla aumenta, i benpensanti sorridono e molti fanno finta di non capire. Tocca alla Procura chiarire che si sta parlando del 1999, che congruo è il valore fiscale; attenzione, quindi la questione è ancora tutta aperta. Questo avviene nel pomeriggio, quando i quotidiani sono ancora lontani dallo stress della chiusura e chi ci lavora ha il tempo di riflettere. E invece niente.
    Il giorno dopo la stampa beneducata sceglie allineata la linea finiana e chi se ne frega di quello che dice la Procura. Brindiamo alla sconfitta de Il Giornale. Il Fatto in megagrassetto sbatte in pagina un «Ok, il prezzo è giusto». Repubblica, più compassata, va sul didascalico: «Montecarlo, congruo il valore della casa». L’Unità si limita a una notiziola, Conchita non si sporca con queste cose, ma le bastano poche righe per marchiare la verità. Il titolo è: «Il prezzo è giusto, i pm chiudono il caso Montecarlo». La Stampa di Torino batte tutti: «La casa di Montecarlo venduta a prezzo equo». Notare il «venduta», ci manca solo il solidale e stiamo a posto.
    Insomma, la stampa con il vestito pulito ha l’anima sporca. Fa il giochino di dare ragione a Fini, nascondendo la precisazione della Procura e il piccolo particolare che il prezzo congruo non è quello di vendita del 2008, ma quello della stima del 2001. L’importante è far capire al lettore che Il Giornale ha toppato e l’onorevole Fini può vendicarsi di chi ha osato tirare fuori la storia di Montecarlo. Nessuno dice che la questione è tutt’altro che chiusa. Nessuno scrive che Fini nonostante le tante interviste non ha mai risposto. Nessuno racconta che il cognato Tulliani non ha ancora chiarito come si sia intrufolato nella casa lasciata in eredità ad Alleanza nazionale. Non si interrogano sul perché siano usate società offshore. Non spiegano che il catasto è una cosa e il mercato un’altra. Non fanno differenza tra il 1999 e il 2008. Qualcuno lo abbozza nell’articolo, ma il titolo cancella tutto.
    Ok il prezzo è giusto. Questo è il messaggio. Ma quale prezzo? Di cosa stiamo parlando? Questi sono gli stessi giornali che parlano di dossieraggio, che si strappano i capelli per la volgarità gratuità degli altri. Allora, si può fare una domanda? Non è dossieraggio questo? O è solo un modo per nascondere la verità sgradita? Non è fango? Non è un modo per sputtanare un altro quotidiano? Non è una diceria che vi ripetete di bocca in bocca come fanno le comari del paesino per mettere all’indice chi non è allineato? Non vi imbarazza questo coro di menzogne che vi piace mettere in giro? No, la vostra vox populi trova l’applauso dei salotti buoni e del presidente della Camera. Ok il prezzo è giusto è un dossier di massa. È un’orgia di falsa informazione. L’importante è coprirsi le spalle gli uni con gli altri. La disinformazione gridata in coro è una falsa verità ben confezionata. Chi volete che si indigni? Quelli de Il Giornale, si sa, sono marchiati come infami. Questi sono i maestri del giornalismo. I sacerdoti della notizia. Peccato che questa notizia sia una patacca servita male. Ok, il prezzo è giusto. Tutto il resto meno.

    CILE IN FESTA: SALVI I 33 MINATORI

    Pubblicato il 14 ottobre, 2010 in Cronaca | No Comments »

    L’ultimo dei 33 minatori che dai primi di agosto erano rimasti intrappolati a 700 metri di profondità di una minera cilena è risalito in superficie all’interno della capsula speciale costruita in collaborazione con la NASA poche ore fa: era avvolto nella bandiera cilena ed è stato accolto da un tripudio festoso dei presenti e dell’intera Nazione cilena che in questi due mesi si era stretta intorno ai 33 minatori e alle loro famiglie. E’ finito quindi felicemente  un incubo e una lotta disperata contro la natura  prima di tutto  vinta dai 33 minatori che hanno mostrato un coraggio straordinario, attendendo fiduciosi che le operazioni di salvataggio si concretizassero, senza mai perdere la speranza e senza mai lasciarsi andare a momenti di disperazione. Sono stati essi uno straordinario movente per tutti coloro che hanno partecipato alle operazioni di salvataggio che si sono concluse molto prima del previsto e senza che nulla le intralciasse. Non osiamo pensare cosa sarebbe accaduto in Italia se un evento del genere si fosse verificato nel nostro Paese. L’incidente sarebbe stato motivo  di accuse al governo (vedo il terremoto dell’Aquila) per non aver previsto l’incidente ovvero la frana che ha ostruito il ritorno in superficie dei minatori; poi sarebbe iniziato il solito confronto tra le mille ipotesi di salvataggio con reciproche accuse di incapacità,   magari, di strupratori del salvataggio; poi il solito solerte pm di turno che avrebbe immediatamente fatto mettere sotto controllo il telefono dei soccorritori caso mai sotto sotto nell’incidente ci fosse un complotto dei soliti noti, amici di Vittorio e infine non sarebbe mancato, qualunque fosse stato l’esito, l’immancabile bocchino che avrebbe proposto commissario all’emergenza miniera il super leader Fini, buono per tutti gli usi e per tutte le stagioni, basta scuoterlo un pochino.  Diciamo la verità, meno male che l’incidente si è verificato in una Nazione seria e composta, il cui presidente ha potuto dire alla felice conclusione dell’avventura dei 33 minatori che il Cile ora è più forte. Perchè, come sanno i saggi,  le sventure fortificano e non dividono. g.

    Odissea minatori cileni alla fine: 90 metri per ultimare il pozzo

    Pubblicato il 8 ottobre, 2010 in Cronaca | No Comments »

    Conto alla rovescia per i 33 minatori intrappolati dal 5 agosto scorso a 700 metri di profondità nella miniera di San José in Cile. “Nel corso del finesettimana, sicuramente entro sabato” sarà ultimato il pozzo di soccorso, ha dichiarato il ministro delle Miniere cileno, Laurence Golborne, davanti alla folla di giornalisti, ogni giorno più numerosa. Dopo saranno necessari almeno altri “due-tre giorni” per portare in superficie i minatori, sempre che gli ingegneri non decidano di rivestire d’acciaio le pareti del pozzo, in quel caso “da otto a dieci giorni”. Intanto, all’imbocco della miniera, ogni giorno compaiono nuove antenne satellitari, tende, pulmini tv, giornalisti, tutti pronti a catturare l’attimo in cui gli eroi della miniera vedranno finalmente la luce, dopo più due mesi nelle viscere della terra. L’escavatore “T-130″, che opera su quello più avanzato dei tre pozzi di soccorso, è arrivato a 535 metri di profondità, meno di 90 metri dall’obiettivo. Il ministro non ha escluso che “con un po’ di fortuna” l’escavatore possa raggiungere la meta già oggi “anche se sarà molto difficile”. In bocca al lupo!

    UNA SENTENZA CHE CI FA PIACERE

    Pubblicato il 22 settembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

    ROMA - «Il fatto non sussiste». Con questa formula inequivocabile oggi il gup di Roma, Marina Finiti, ha assolto Vittorio Emanuele di Savoia e gli altri cinque imputati nel processo per il cosiddetto ‘Savoiagate’, l’indagine sui nulla osta legati ai videopoker avviata nel 2006 dal pm di Potenza Henry John Woodcock e poi passata a Roma per competenza.

    Secondo l’accusa, a partire dal 2004, i sei avevano messo in piedi una associazione per delinquere «impegnata nel settore del gioco d’azzardo fuori legge, attiva nel mercato illegale dei nulla osta per videopoker procurati e rilasciati dai Monopoli di Stato attraverso il sistematico ricorso allo strumento della corruzione e del falso».
    A chiedere il processo era stato il pm Andrea De Gasperis, oggi procuratore capo a Latina.

    Oggi il gup ha assolto tutti gli imputati. Oltre a Vittorio Emanuele, Rocco Migliardi, Nunzio Laganà, suo stretto collaboratore, Ugo Bonazza, Gian Nicolino Narducci e Achille De Luca.
    «L’esito assolutorio di oggi conferma definitivamente – afferma l’avvocato Vincendo Dresda, legale di Bonazza – quanto già statuito nelle archiviazioni precedenti in ordine alle imputazioni connesse e consente di ribadire con maggior forza che gli arresti eseguiti quattro anni fa si fondavano su accuse inconsistenti».

    da La Gazzetta del Mezzogiorno – 22 settembre 2010

    ….Ci fa piacere non per il personaggio, Vittorio Emanuele,  che francamente non riscuote la nostra simpatia, ma perchè immanginare l’ultimo erede della Famiglia a cui, nel bene e nel male, dobbiamo gran parte dei meriti per l’unità italiana, coivolto in così spregevoli fatti di malaffare ci amareggiò. Ancor più saremmo stati amareggiati se la sentenza fosse stata di diverso tenore proprio in concomitanza con i festeggiamenti per il 150° dell’Unità che, lo ripetiamo, si realizzò sopratutto,  grazie e intorno a Casa Savoia. Celebrare l’unità nazionale con un Savoia che dopo la galera fosse stato condannato sarebbe stato grave, peggio che  doverci sorbire il suo “successore” far da valletto ai pupi e alle gabrielle facendo a botte con sintassi, grammatica e congiuntivi   Detto ciò, ci domandiamo che cosa capiterà all’ineffabile pubblico ministero che evidentemente sulla scorta di nulla  che fosse uno straccio di prova,  dispose l’arresto di Vittorio Emanuele, il suo trascinamento per un migliaio di chilometri a bordo di un’auto poco più che utilitaria sino al carcere di Potenza, il suo mantenimento in quel carcere come un qualsiasi delinquente, salvo poi vedere smontare le sue accuse dal GUP che, notoriamente, si esprime sugli atti, gli stessi usati per arerstare Vittorio Emanuele dal  signor Woodcock  ora trasferito a Napoli, dove, immaginiamo, continua a istruire indagini, tipo quello sulle veline, anch’esso, come quella   su Vittorio Emanuele, costruita sul nulla. Pagherà il signor Woodcock come qualsiai altro funzionariuo pubblico che sbagli, per esempio come i medici che litigano in sala parto? L’esperienza ci insegna che il signor Woodcock non pagherà un bel nulla e come sempre in Italia “chi ha dato ha dato…”. g.

    UN ALTRO MILITARE ITALIANO MUORE IN AFGHANISTAN

    Pubblicato il 17 settembre, 2010 in Cronaca, Politica estera | No Comments »

    La vittima è il tenente Alessandro Romani del nono Reggimento d’assalto Col Moschin

    Afghanistan: morto uno degli italiani feriti

    HERAT (AFGHANISTAN) – Uno o più colpi di kalashnikov durante un blitz per catturare quattro ‘insorti’ che, poco prima, avevano piazzato una bomba lungo una strada. E’ morto così, nella provincia di Farah, il tenente Alessandro Romani, 36 anni, romano, ufficiale del 9/o reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin della Folgore. Un nuovo lutto che cade alla vigilia di una giornata considerata “cruciale”, il voto per le elezioni legislative, e caratterizzata da una quantità di incidenti in tutto l’Afghanistan, compreso l’Ovest affidato al comando del generale degli alpini Claudio Berto, dove un razzo è stato tirato contro una base italiana, sono stati sequestrati candidati e loro sostenitori, sono stati compiuti attentati ai mezzi che trasportavano le schede elettorali e un ordigno rudimentale piazzato su una bicicletta è stato fatto esplodere nel cuore di Herat, dove si trovano le due basi principali degli oltre 3.500 soldati italiani. Il tenente Romani – celibe, con molte missioni in prima linea alle spalle – è stato ucciso nel distretto di Bakwa, nella parte orientale della provincia ad altissimo rischio di Farah, ad un anno esatto dalla strage di Kabul, in cui vennero uccisi altri sei parà della Folgore.

    Tutto era cominciato di prima mattina, quando un aereo senza pilota Predator dell’Aeronautica militare italiana aveva avvistato quattro persone intente a posizionare una bomba sotto l’asfalto, lungo la strada che collega Farah a Delaram. Sempre il Predator ha ’seguito’ gli attentatori e segnalato il luogo dove questi si erano rifugiati. A questo punto è scattata l’operazione affidata alla ‘Task force 45′, composta dagli uomini delle Forze speciali italiane. Il team di incursori del 9/o Col Moschin della Folgore è partito da Farah a bordo di un elicottero Ch 47, scortato da due elicotteri d’attacco Mangusta. Dopo poco è giunto sul posto ed é atterrato nei pressi della casa dove si erano nascosti gli insorti. Durante l’incursione, però, due dei commandos italiani sono stati centrati da un numero imprecisato di colpi di arma da fuoco. Li hanno soccorsi e portati via, all’ospedale militare da campo di Farah. Le loro condizioni, in un primo momento, non erano state definite gravi (“feriti a una spalla”), anche se uno dei due era un “codice A”. E’ stato sottoposto ad un intervento chirurgico durante il quale ci sarebbero state “complicazioni”. La notizia della sua morte è arrivata inattesa a Camp Arena, il quartier generale italiano di Herat. L’altro ferito, un militare di truppa sempre del Col Moschin, non correrebbe invece pericolo. Sull’operazione non si conoscono altri particolari, così come ammantata dal riserbo è l’attività della Task force 45, di cui si conosce pochissimo. Ignota pure la sorte dei talebani: quello che è certo è che i due elicotteri Mangusta hanno scaricato contro il loro rifugio l’enorme potenziale di fuoco di cui sono dotati. “Sono tornati scarichi”, ha detto una fonte, e questo rende l’idea di che inferno possa essere stato. Ma nel settore dell’Afghanistan affidato al comando italiano questa vigilia di elezioni è stata caldissima ovunque. Nel cuore di Herat, al bazar della Cittadella, l’antica fortezza che si dice sia stata costruita per volere di Alessandro Magno, alle 18.12 è saltata in aria una bicicletta esplosiva: l’ordigno rudimentale è stato azionato con un radiocomando. Tre feriti, tutti civili. Poco prima, più o meno nello stesso luogo, alcuni giornalisti italiani stavano facendo interviste in mezzo alle bancarelle e il clima non era del tutto cordiale. “Andrà a votare domani?”.

    Il giovane ha risposto ringhiando: “Qui ci sono troppi infedeli”. Un quarto d’ora dopo lo scoppio. Sempre nella provincia di Herat, ad Adraskan, un candidato alle elezioni di domani è stato rapito, stessa sorte subita da 10 sostenitori di un altro candidato e da otto componenti della Commissione elettorale indipendente a Moqur, nella provincia di Badghis, sempre nell’ovest. Nel distretto di Shindand, un convoglio di camion che trasportava schede elettorali è stato coinvolto in un attentato: è esploso un ordigno, provocando il ferimento del conducente di un mezzo e di due passanti. E’ stato fatto intervenire uno dei team di “reazione rapida” italiani predisposti per garantire la sicurezza delle elezioni: i blindati Freccia sono giunti sul posto e, dopo aver messo in sicurezza l’area, hanno portato il materiale elettorale a destinazione. Ancora a Shindand, un razzo è caduto nell’area perimetrale che ospita la base militare italiana, senza provocare né feriti né danni. In mattinata un’operazione molto delicata di trasporto schede era stata compiuta da un elicottero Ch47 dell’Esercito, scortato da due Mangusta. L’equipaggio, sfidando una tempesta di sabbia, era riuscito ad arrivare nel remoto distretto di Por Chaman, dopo che per giorni l’impresa era fallita. Al comando italiano di Herat erano molto soddisfatti nell’annunciare la riuscita dell’operazione, perché solo in quel distretto non erano riusciti ancora a arrivare. Era cominciata bene e nessuno immaginava che non sarebbe stata una buona giornata.

    IL CORDOGLIO DI NAPOLITANO – Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa con profonda commozione la notizia dello scontro a fuoco in cui ha perso la vita il Tenente Alessandro Romani, mentre assolveva ai propri compiti operativi nell’ambito della missione ISAF in Afghanistan, ha espresso alla famiglia – rendendosi interprete del profondo cordoglio del Paese – i sentimenti della sua affettuosa vicinanza e della più sincera partecipazione al loro grande dolore. Nella tragica circostanza, il Capo dello Stato ha altresì chiesto al Capo di Stato Maggiore della Difesa, gen. Vincenzo Camporini, di rendersi interprete presso l’Esercito dei suoi sentimenti di cordoglio, di commossa solidarietà e di partecipazione al dolore provocato dal luttuoso evento. Il Presidente Napolitano ha inoltre fatto pervenire il suo incoraggiamento e un affettuoso augurio al primo Caporal maggiore Elio Domenico Rapisarda, ferito nello scontro a fuoco.

    IL CORDOGLIO DI BERLUSCONI - “Ho appreso con dolore la notizia della morte del Tenente Alessandro Romani, colpito in uno scontro a fuoco in Afghanistan. A lui va il mio profondo ringraziamento e alla sua famiglia il mio più sentito cordoglio”. E’ quanto si legge in una dichiarazione del presidente del consiglio Silvio Berlusconi.

    IL CORDOGLIO DI SCHIFANI – “Appresa la notizia della morte del Tenente del 9 Reggimento d’assalto Col Moschin Alessandro Romani, caduto nel corso di una operazione militare in Afghanistan, esprimo a nome mio personale e dell’intera Assemblea di Palazzo Madama, i sentimenti del più profondo e commosso cordoglio, pregandola di farli giungere ai familiari dell’ufficiale che ha sacrificato la vita per difendere la pace, la democrazia e la sicurezza nel mondo”. E’ quanto scrive il Presidente del Senato Renato Schifani nel messaggio inviato al Capo di Stato Maggiore della Difesa, Gen. C.A. Vincenzo Camporini.

    FINI ESPRIME CORDOGLIO, PRESENZA INDISPENSABILE – “Nell’apprendere la tragica notizia dell’attentato odierno nel quale ha perso la vita il Tenente Alessandro Romani del nono reggimento d’assalto “Col Moschin”, e che ha causato il ferimento di un altro soldato, desidero manifestarLe i sensi della più intensa vicinanza mia personale e della Camera dei deputati alle forze militari italiane impegnate in Afghanistan”. Lo afferma il presidente della Camera Gianfranco Fini in un messaggio inviato al Capo di Stato maggiore della difesa Vincenzo Camporini.

    LA RUSSA, PROFONDAMENTE COLPITO DA MORTE ITALIANO – Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, è “profondamente colpito” dalla notizia della morte del militare italiano in Afghanistan. Il ministro ha inviato al capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Giuseppe Valotto, un telegramma per esprimere “i sentimenti di sincero cordoglio delle forze armate e la mia sentita personale partecipazione al gravissimo lutto che ha colpito l’Esercito” e gli auguri di pronta guarigione al ferito. La Russa ha inoltre inviato un telegramma ai genitori del militare morto. “Partecipo – scrive – con profonda commozione, unitamente a tutto il personale delle forze armate, alla perdita di Alessandro, generosamente impegnato in una missione di grande valore umanitario. Il suo ricordo rimarrà per sempre nella memoria di chi crede nella pace e nella solidarietà fra i popoli”.

    DA MARONI TELEGRAMMA CORDOGLIO - Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha inviato al ministro della Difesa, Ignazio La Russa, un telegramma nel quale ha espresso il proprio cordoglio alla famiglia del Tenente Alessandro Romani, deceduto oggi durante l’espletamento del dovere in Afghanistan e gli auguri di una pronta guarigione ai familiari del militare rimasto ferito. Lo riferisce una nota del ministero.