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CARO BUBBICO, SCENDA IN PIAZZA, di Gian Marco Chiocci

Pubblicato il 17 aprile, 2014 in Cronaca, Politica | No Comments »

Caro viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico, non ce ne voglia ma siamo rimasti interdetti dalla sua intervista a Repubblica dove si dice indignato per le mele marce in polizia riservando solo poche timide righe ai soliti idioti che – alla faccia del codice – scorrazzano impuniti quando andrebbero fermati se sorpresi in strada armati e mascherati. Spiazzati perché a fronte della guerriglia urbana nel centro di Roma, dal referente governativo delle forze dell’ordine persino l’ultimo dei piantoni in commissariato si sarebbe aspettato un intervento più alto a difesa di quanti dopo aver passato ore a prendersi insulti, sputi, calci, pugni, pietre, bulloni, bastonate, bombe carta e bottiglie molotov, eccedono (sbagliando) tra i fumi dei lacrimogeni e la paura di restarci secchi. Anziché proporre misure drastiche contro i violenti che solo in questo disgraziato Paese sguazzano nell’impunità, Lei signor viceministro è riuscito a rilanciare la proposta antagonista di una schedatura identificativa degli agenti in ordine pubblico. Per rifarsi dello scivolone che metterebbe a rischio di rappresaglia gli operatori dei reparti mobili e le loro famiglie, ha oggi l’occasione di rifarsi, di capire meglio lo stato dell’arte e al contempo di passare alla storia del Viminale. Se permette, le suggeriamo come: al prossimo appuntamento con i black block, stipuli una polizza-vita, lasci l’ufficio e scenda in piazza insieme a poliziotti e carabinieri. Prima però indossi un casco, pretenda uno scudo (perché le pioverà addosso di tutto) e dopo aver trascorso anche solo dieci minuti tra gli eroi normali mandati al macello con stipendi da fame rispetto al suo, capirà tante cose. Per cominciare da che parte dovrebbe definitivamente stare lo Stato e chi, come Lei, lo rappresenta. Gian Marco Chiocci, Il Tempo, 17 aprile 2014

…….10 e lode al Direttore de IL tEMPO PER QUESTA LETTERA “APERTA” AL VICE MINISTRO DELL’INTERNO.

LE VIOLENZE A ROMA: IL SOLITO CAPRO ESPIATORIO

Pubblicato il 16 aprile, 2014 in Cronaca, Giustizia, Politica | No Comments »

Saranno contenti i giustizialisti un tanto al chilo, i perbenisti radical chic, i partigiani piagnucolosi del giornalismo a senso unico. Anche stavolta hanno trovato il colpevole per l’indecente guerriglia nel cuore di Roma culminata con il ricovero in ospedale di 20 poliziotti, acciaccati dalla testa ai piedi: il responsabile unico per gli assalti, per le molotov, le pietre, le vetrine infrante e le auto sfondate diventa un agente della questura ripreso in un video diffuso dalla trasmissione Servizio Pubblico mentre calpesta una manifestante a terra.

Immagine forte, dura, d’impatto. Obiettivamente difficile da giustificare anche se la corsa a condannarlo al patibolo mediatico dovrebbe far riflettere quanti si son dovuti ricredere su fatti analoghi poi smontati da sentenze assolutorie. Chi da sempre trasuda odio verso le forze di polizia, i nostri militari all’estero, un eroe come Quattrocchi che ricordò a tutti come ci si comporta da italiani, oggi danza felice intorno alle spoglie di questo servitore dello Stato che se ha sbagliato, e sottolineiamo «se», pagherà com’è giusto che sia.

Non ci accodiamo all’orda dei forcaioli col taccuino che mai una parola di condanna vergano sui black block. E nemmeno plaudiano a un capo della polizia che corre a dare del «cretino» a un suo uomo a dispetto di ogni garanzia e presunzione d’innocenza. L’eventuale comportamento ingiustificabile di un singolo agente non giustifica il silenzio assordante della politica e la tolleranza dei soliti media verso chi puntualmente distribuisce violenza e terrore nell’impunità totale. A quanti oggi invocano il riconoscimento numerico sui caschi degli agenti, chiediamo di immedesimarsi nei ragazzi e nei padri di famiglia abituati a giocarsi la pelle per 1.200 euro al mese sapendo che dai boschi della Tav alle curve dello stadio la ragione sarà sempre di chi offende. Nessuno difende i difensori, noi sì. Gian Marco Chiocci, iL TEMPO, 16 APRILE 2014

…….Meno male che c’è Chiocci, un giornalista coraggioso, e il Tempo, un quotidiano dalle antiche tradizioni liberali sin dai tempi del suo fondatore, Renato Angiolillo, che trovano il coraggio di difendere un servitore dello STATO TRASFORMATO, COME AL SOLITO, DOPO LE  VIOLENZE DEI CRIMINALI CHE HANNO MESSO A SOQUADRO rOMA NEL SILENZIO ASSORDANTE DI TUTTI, NEL CAPRIO ESPIATORIO ALLO SCOPO DI COPRIRE I VERI VIOLENTI E I VERI RESPONSABILI, VERI E PROPRI DELIQNUENTI A CUI SI RICONSOCE IL DIRITTO DI VIOLARE LE LEGGI, MENTRE SI PRETENDE CHE I SERVITORI DELO STATO DABBANO PRENDERLe SENZA DIFENDERSI.

ADDIO AD UN CARO AMICO, MIMMO MENNITTI

Pubblicato il 7 aprile, 2014 in Cronaca, Politica | No Comments »

E’  scomparso a 75 anni un caro amico di tempi ormai lontani, Mimmo Mennitti, dirigente giovanile nazionale missino,   per più legislature deputato,  giornalista brillante e di grande caratura morale,  fondatore e  direttore di IdeAzione, l’unico tentativo di dare anima  alla Destra dopo la fine del Msi e la nascita di A.n.,  infine sindaco di Brindisi, la sua città, che oggi lo onora come un figlio amato e che tanto la amò. Eravamo, sebbene chi scrive avesse qualche anno in meno, tutti componenti del gruppo che riconosceva a livello regionale  Pinuccio Tatarella come leader e  infaticabile  animatore e in quel gruppo, con la sua pacatezza, il suo carattere mite, Mennitti esercitava il ruolo di moderatore. Era un gruppo che a livello nazionale univa tutta la classe dirigente missina di secondo livello, quelli destinati a succedere ai leader nazionali, un gruppo che si sarebbe irrimediabilmente diviso in occasione della scissione di Democrazia Nazionale. Mennitti non aderì, come Tatarella, ma Mennitti anche allora si mostrò diverso, tanto che eletto deputato nella competizione del 1979, quella successiva alla scissione, la prima cosa che fece fu quella di andare a salutare l’on. Manco, deputato missino di Brindisi per due decenni, del quale era stato stretto collaboratore, esempio di dignitosa onestà intellettuale. Lo abbiamo rivisto negli anni tante volte  in occasione dei tanti convegni promossi a Bari dalla Destra e sempre è stata una reciproca gioia salutarci e ricordare i tempi andati. Oggi, con grande dolore e grande commozione, lo ricordiamo  con affetto e amicizia,  ringraziandolo per i tanti esempi di lealtà e di correttezza che lascia a chiunque lo abbia conosciuto. g.

ECCO UNA STORIA DI STRAORDINARIA ONESTA’ A FRONTE DI ALTRE DI STRAORDINARIA DISONESTA’

Pubblicato il 7 gennaio, 2014 in Cronaca | No Comments »

«Io, insegnante con 1.780 euro di stipendio dovrò pagarne 2.122 per l’Imu»

Margherita Simonetta «Il notaio me l’aveva detto quando ho comprato casa. Sposti qui a Torino la residenza, pagherà meno. Ho pensato: perché devo dichiarare il falso?». Margherita Simonetta non l’ha fatto, e quest’anno ha sborsato soltanto di Imu 2.122 euro. Un’enormità per un appartamento di cento metri quadrati a Borgo San Paolo, periferia della città. Una mazzata per un’insegnante che guadagna 1.780 euro al mese.

Il paradosso è questo: Margherita Simonetta, 59 anni appena compiuti, docente di italiano e storia in un istituto professionale, lavora e abita a Milano, in un casa in affitto («Cucinino, soggiorno e camera da letto. Cinquecento euro al mese»). È un donna semplice ma determinata, non le andava di prendere in giro lo Stato. «La mia scuola, i miei interessi, i miei affetti sono qui in Lombardia. Perché devo spostare la residenza in una città dove non vivo».
Il ragionamento non fa una piega. Ma per il Fisco e la legge italiana l’abitazione torinese è a tutti gli effetti come una «seconda casa», un lusso su cui infierire a colpi di tasse. «Ho investito tutti i miei risparmi. Era l’appartamento dei miei genitori, ci hanno vissuto solo loro. Quando è morto mio padre l’ha lasciato a noi figli. Mi sono detta, se proprio devo acquistare una casa compro questa, così ho rilevato le quote degli altri tre fratelli».
Non si capacita che lo Stato possa essere così miope. «È l’unico immobile che possiedo, non mi risulta che la Costituzione imponga di acquistarlo nella città dove si lavora».

In questi mesi talvolta ha vacillato, ha pensato che forse doveva dare retta al notaio, non può permettersi di «buttare» i soldi così. È durato poco, sui principi non intende transigere: «Non posso fare come una coppia di amici. Sono affiatatissimi, ma lei ha la residenza a Milano, lui nella casa a mare a Santa Margherita Ligure. Ufficialmente vivono separati…».
Sorride, perché nonostante tutto è ottimista. «È giusto pagare le tasse, ma è possibile che nemmeno la sinistra abbia mai fatto una proposta che tenga conto del reddito e della reale ricchezza dei contribuenti?». Ha votato Pd, ha partecipato alle primarie e dopo aver ricevuto la cartella dell’Imu ha scritto a Fassino (il sindaco della sua «seconda» città) e Letta, a Renzi e Saccomanni. «Solo Cuperlo mi ha risposto, magari l’ha fatto il suo staff, ma ho apprezzato. Mi ha scritto che ho ragione, che però dovevo pagare».
Su questo anche lei è d’accordo. Diligentemente ha onorato le due rate, e adesso è costretta a salti mortali per non andare in rosso. «Chiedo scusa, ma i quotidiani non li compro più. Purtroppo non solo io, una volta anche i miei colleghi arrivavano con il giornale sotto il braccio, adesso non vedo più nessuno».
Non solo. «Basta anche con il caffé al bar, soprattutto dopo che è aumentato a un euro. Cinque in meno a settimana sono venti euro al mese, 250 euro in un anno…».

Al parrucchiere però non può rinunciare. «Non posso presentarmi davanti agli studenti come una barbona. I ragazzi sono attentissimi a come vai vestita, ne va della tua autorevolezza». Però si è fatta furba. «Vado ogni settimana dai cinesi: 8 euro per una piega, così ne risparmio 7. Sono 32 euro al mese, più di trecento all’anno».
Al cinema è andata due volte da settembre, al teatro mai («Era già un lusso prima…»), i libri li compra di seconda mano («Nel banchetto di piazza Fontana»). Ai politici ha scritto: «Mi sembra gravissimo che un’insegnante sia costretta a tagliare su questo tipo di spese».
A volte lo sconforto prende il sopravvento: «Non riesco più a trasmettere ai miei allievi il rispetto delle leggi e della Costituzione». Ma non molla, l’insegnamento è la sua vita: «In classe sono più gli stranieri, sudamericani, cinesi, romeni, albanesi… Un tempo era più facile, adesso devi dedicare molto tempo all’alfabetizzazione della lingua italiana, molti sono appena arrivati e conoscono solo poche parole». Studenti difficili? «Tutt’altro, sono molto volenterosi. Ci tengono a imparare, soprattutto le ragazze filippine. Tanti vogliono proseguire gli studi, andare all’università».
Stamattina, come fa da 32 anni, tornerà come sempre a scuola («In metropolitana, non ho mai avuto la macchina»), nella città dove lavora e dove vuole continuare a vivere. A che se la sua «prima casa» è altrove. Il Corriere della Sera, 7 gennaio 2014

……Una storia di stroardinaria onestà che qualcuno definirà di straordinaria imbecillità, specie quelli che ne inventano una  al giorno per “sfuggire” al fisco, evadere o eludere (che è la stessa cosa) le tasse, così  da scaricare i loro obblighi sugli altri, cioè  i “fessi”  che senza neppure aguzzare l’ingegno preferiscono essere onesti piuttosto che ladri.

CLASSI DIRIGENTI E COSCIENZE SPORCHE: CRONACHE DALLA PALUDE

Pubblicato il 17 novembre, 2013 in Costume, Cronaca | No Comments »

Non qualche organo dello Stato italiano, ma l’amministrazione della Marina degli Stati Uniti (si può aggiungere «a nostra vergogna» o è un’espressione esagerata?) si è data cura di elaborare i dati più aggiornati sull’inquinamento ambientale a Napoli e in Campania. I risultati sono noti grazie all’ Espresso : in pratica, chi si azzarda a bere l’acqua del rubinetto da Capodichino a Caserta lo fa a suo rischio e pericolo. Risultato: i giornali si agitano, i napoletani si preoccupano, il loro ineffabile sindaco minaccia azioni legali (immagino contro Obama). Non sembra però che in complesso ci sia una reazione molto diversa da quella che c’è stata una settimana fa, quando si è appreso che secondo un celebre capocamorrista in galera, coloro che abitano nelle medesime zone di cui sopra nel giro di venti anni saranno tutti morti di cancro a causa dei rifiuti tossici che la sua organizzazione ha riversato lì per anni. Profezia che peraltro – come ha raccontato benissimo sul Corriere di ieri Gian Antonio Stella – si sta già puntualmente avverando. In entrambi i casi costernazione, indignazione, ma tutto finisce lì. Il Sud può andare in malora, l’Italia sembra avere altro a cui pensare.

In altri tempi, quando al Parlamento sedevano rappresentanti veri delle popolazioni, e non burattini paracadutati come oggi, fatti del genere (si pensi all’epidemia di colera del ‘73) avrebbero scatenato la loro mobilitazione immediata e una conseguente azione fortissima sul governo. Così come in altri tempi, e sempre per cose del genere, i partiti e le organizzazioni sindacali delle zone interessate avrebbero fatto a dir poco l’ira di dio. Ma allora non c’era il Porcellum . Il Sud c’era ancora come grande questione nazionale. E forse, mi viene da aggiungere, c’era anche un’altra idea d’Italia.

Ma alla fine tutto dipende ancora da noi. Moltissimo è nelle mani dell’opinione pubblica meridionale; molto dipende dal convincimento che essa deve farsi che di questo passo il Mezzogiorno diventerà un posto simile a certi Stati della coca sudamericani. Così come molto dipende dalla capacità dell’opinione pubblica meridionale di resistere alla deprecazione di maniera di coloro che al minimo stormir di fronde sono abituati a strillare contro la «militarizzazione del territorio». Quando invece è proprio da una tale militarizzazione che tanta parte del Sud può aspettarsi la salvezza. Solo con il sostegno di questo nuovo sentimento collettivo lo Stato potrà fare la sua parte. Non servono leggi eccezionali. Serve un controllo capillare delle amministrazioni locali, un’azione continua e penetrante specialmente della Guardia di finanza, serve far funzionare tutto ciò che è pubblico: dai mezzi di trasporto, agli ospedali, alla scuola, alle poste. E servono anche gesti simbolici: per esempio la nomina a Caserta o a Reggio Calabria di un prefetto scelto tra gli alti gradi dei Carabinieri.

Guai a pensare però che sia solo una questione del Mezzogiorno. Lì c’è la testa della Piovra, che dopo essersi alimentata per anni con i rifiuti provenienti perlopiù dal Nord, ora sta allungando anche qui i suoi tentacoli. Essa sa bene, infatti, che l’Italia è una sola. Siamo noi che spesso ce ne dimentichiamo. Ernesto Galli della Loggia, Il Corriere della Sera, 17 novembrfe 2013

……………..Qualsiasi questione ci riporta allo stesso punto di partenza: la necessità di riformulare la legge elettorale, restituendo ai cittadini il diritto-dovere di scegliere da chi farsi rappresentare e agli eletti il dovere-obbligo di ben rappresentare gli elettorie il loro territorio. Altrimenti ciò che denuncia Galli della Loggia si ripeterà all’infinito, senza che alcun se ne senta responsabile. g.

DC, GLI ETERNI RITORNI E GLI INFINITI TENTATIVI DI IMITAZIONE

Pubblicato il 10 novembre, 2013 in Cronaca, Il territorio, Politica | No Comments »

«La Balena bianca non può rinascere, al massimo può riprodursi un balenottero. In giro ci sono numerosi tentativi di imitazione mal riusciti». Gerardo Bianco, 82 anni e una vita sotto le insegne dello Scudocrociato, l’ultimo capogruppo del partito che fu di De Gasperi, Fanfani, Moro e Andreotti (oggi presidente dell’associazione ex parlamentari) liquidava così due anni fa, parlando con Il Secolo, gli eterni ritorni sotto mentite spoglie della Democrazia Cristiana, o forse sarebbe il caso gli eterni tentativi di riesumare il partito-cardine della Prima Repubblica. Come se si potesse fermare la sabbia nella clessidra del tempo il richiamo e la tentazione sono irrefrenabili. L’ultima diretta evocazione è arrivata da Carlo Giovanardi che si è detto convinto che «il Pdl senza Berlusconi sarà la nuova Dc». Ma nelle ultime settimane, dando seguito alle divisioni nella galassia montiana, al movimentismo casiniano e ai contatti di quest’area con gli ex Dc del Pdl, la grande sagoma del balenottero è tornata a nuotare nelle acque dei retroscena giornalistici con costante frequenza e insistenza.

Non che questo rappresenti una novità. Sono vent’anni che si succedono sedute spiritiche e travestimenti, e sigle più o meno improbabili, richiami al rassemblement dei moderati, ale Dc 2.0 e alle variabili «popolari». Mattia Feltri, di recente, sulla Stampa ha ricordato quando Giovanni Paolo II, a Loreto esortò all’impegno pubblico dei cattolici – era il 1994 – e il professore Rocco Buttiglione provò a lanciare l’amo: «Un’alleanza politica dei cattolici può portare solo benefici all’unità del paese». Da allora è stato tutto un susseguirsi di false partenze, strani incontri, improvvise fughe nella terra di nessuno. Ci fu la grande illusione rappresentata da Mario Segni, campione di scriteriata dissipazione da fare invidia a Gianfranco Fini. E poi nel tempo tante sigle in sequenza: dal Ppi al Ccd, dal Cdu all’Udr, dal Cdr (Cristiano Democratici per la Repubblica) all’Uduer, dalla Democrazia Europea di Giulio Andreotti e Sergio D’Antoni, fino al Nuovo Partito Popolare, oltre naturalmente alle varie riedizioni della Dc sic et simpliciter, con relative, infinite dispute sul nome e sul simbolo. Senza dimenticare gli unici partiti riusciti ottenere percentuali accettabili, come l’Udc di Pier Ferdinando Casini e la Margherita di Francesco Rutelli, sia pure in opposti schieramenti. Un collage disordinato e fragile. Una somma di sigle alla costante ricerca dell’ «eterno ritorno dell’uguale», incapaci di individuare la ricetta e la capacità attrattiva dell’originale. Perché in fondo, come spiega Gianfranco Rotondi che della materia se ne intende, «la Dc la puoi rifare se riesci a prendere gli elettori della Dc. Ma quegli elettori si sono dati a Berlusconi. Quindi se non si riesce a rifare la Dc il motivo per me è semplice: l’ha già rifatta Berlusconi». Rendendo vado l’infinito inseguimento di quello che oggi è soltanto un non luogo politico. Domenico De Feo, 10 novembre 2012

……Dedichiamo questa nota dedicata all’impossibile “ritorno”  della DC,  alias “balena bianca”, all’improvvido e torittese   “balenabianca13″ firmatario di un annuncio elettorale per il 2014.

STUPRATA DAL MANIACO? “E’ CONCORSO DI COLPA, PERCHE’ GLI HA APERTO LA PORTA”, SECONDO

Pubblicato il 20 ottobre, 2013 in Cronaca, Giustizia | No Comments »

La vittima aveva 74 anni. Secondo l’Avvocatura dello Stato la donna agì incautamente, quindi non dev’essere risarcita

Ha aperto la porta all’uomo che poi l’avrebbe violentata? Non ha diritto al risarcimento: ha contribuito allo stupro. Insomma, come dire, che quasi sarebbe stata «consenziente».

Ginevra è nome da favola, che solo a pronunciarlo fa venire a mente castelli fatati e principi azzurri. Ginevra è il nome che la fantasia dona a una signora sassarese finita all’inferno.

Nel 2007 aveva 74 anni. Una donna che non si è mai sposata, molto religiosa. Ma a casa sua un giorno arrivò il «diavolo».
Un uomo, poi dichiarato seminfermo di mente, che bussa. Lei apre. Lui la strattona, la picchia, la violenta. A processo il maniaco sceglie il rito abbreviato e se la cava con quattro anni. Oggi è libero. La vittima, invece, è ancora prigioniera: la depressione non l’ha più abbandonata. E ora ha un nuovo nemico: la Repubblica italiana. Il suo violentatore avrebbe dovuto risarcirla, come sentenziato dal Tribunale, con 30.000 euro. Ma quello, squattrinato, s’è ben guardato dal farlo. I legali dell’anziana hanno allora citato in giudizio la Presidenza del consiglio dei ministri, fidando su una direttiva europea del 2004 che in caso di insolvenza del responsabile impone al Paese di residenza di garantire un indennizzo a chi abbia subito un crimine violento. Deciderà il giudice. Intanto, l’Avvocatura di Stato s’è opposta, come logico nel gioco delle parti, sollevando mille eccezioni. Tra tutte una risalta. Suona più o meno così: «La parte attrice ha aperto consapevolmente e incautamente ad uno sconosciuto: pertanto deve rispondere a titolo di concorso di colpa di quanto accaduto».
Insomma: non aprite quella porta. E più che il titolo d’un vecchio film horror è l’orrore che trasuda da un atto giudiziario che s’inserisce nel solco della triste giurisprudenza statale sui crimini del sesso. Favorisce il suo stupratore chi, ignara, socchiude l’uscio al trillo del campanello così come agevolava il suo aggressore la ragazza che indossava jeans così stretti da lasciar presumere che se non ci fosse stata «la sua fattiva collaborazione mai alcuna violenza intima avrebbe potuto esserle usata»: era il 1999, e la Terza sezione della Cassazione il suo convincimento lo affidava a una sentenza prontamente messa in naftalina tanto era assurda. Eppure, è stato necessario attendere il 2008 perché la Suprema Corte, sempre attraverso la Terza sezione, riconoscesse che «i jeans non sono paragonabili ad una cintura di castità» e che dunque, a ben considerare, non sono d’ostacolo alla violenza sessuale. Ma assolti da ogni responsabilità i calzoni a cinque tasche, sul banco degli imputati è rimasta la donna: se lo stupro riguarda una fanciulla non più vergine «il trauma sarà da ritenersi più lieve» ed il maschio assalitore «avrà diritto ad una condanna più lieve», ha stabilito nel 2006 ovviamente la Terza sezione. La stessa che un anno fa ha bissato: quando lo stupro è di gruppo, in attesa di giudizio ben può il giudice adottare misure alternative alla carcerazione. E nell’ottobre del 2012 un’altra pronuncia da manuale: se più sono i violentatori «va riconosciuto uno sconto di pena a chi non abbia partecipato a indurre la vittima a soggiacere alle richieste sessuali del gruppo, ma si sia limitato a consumare l’atto».
La giustizia non è di questo mondo. Esiste solo nelle fiabe. Ginevra, adesso, lo sa.

…..Siamo curiosi di sapere cosa sentenzierà questa volta la Magistratura:  se accoglierà la tesi pateticamente ridicola dell’Avvocatura di Stato che ci fa riandare col pensiero all’indimenticabile Flaiano secondo il quale in Italia anche le tragedie finiscono in farsa, oppure se condannerà lo Stato a risarcire la vittima dello stupro. In tal auspicabilke ipotesi dovrebbe   condannerà gli incauti funzinari dell’Avvocatura di Starto alla pena acessoria della stessa violenza subita  della 74enne. Perchè  in futuro si asterrebbero dallo scrivere cazzate. g.

NEL 2012 ALLA FACCIA DELLA CRISI SPESO UN MILIARDO PER LE AUTO BLU

Pubblicato il 4 agosto, 2013 in Cronaca, Economia, Politica | No Comments »

Auto blu

Per le auto blu è stato speso oltre un miliardo di euro nel 2012, con un calo di 128 milioni rispetto al 2011 (-12%) e – 26% rispetto al 2009. Sono i primi risultati del monitoraggio dei costi delle auto della PA realizzato da Formez PA per il Dipartimento della Funzione Pubblica, avviato nel mese di maggio 2013. La spesa totale sostenuta nel 2012 per la gestione del parco auto è stimata pari a 1.050 milioni di euro, 128 milioni in meno rispetto al 2011 (-12%). Le variazioni sono sostanzialmente analoghe nella PA centrale (circa 25 milioni di euro pari al -12,4%) e nell’Amministrazione locale (103 milioni di euro pari al -11,9%, equivalente). La gestione include le spese per acquisizioni in proprietà e noleggio, le spese ripartibili e non ripartibili e le spese per il personale dedicato, tra cui gli autisti. Rispetto alla spesa sostenuta dalle amministrazioni nel 2009, anno di riferimento per le nuove e più stringenti norme e direttive per il contenimento dei costi, la riduzione della spesa per le auto della P.A. nel 2012 è stata di 335,5 milioni di euro (-26,3%), 282,8 milioni di euro per le Amministrazioni locali (-27,0%) e 53,7 milioni di euro per l’Amministrazione centrale. Considerando la spesa per tipologia di auto, si può constatare che per le auto blu (ossia le vetture assegnate ad una persona sia in uso esclusivo che non esclusivo, le auto a disposizione degli uffici con autista e le vetture con e senza autista se di cilindrata superiore a 1.600 cc), il totale della spesa per il 2012 ammonta a circa 400 milioni di euro, con una riduzione di 72 milioni di euro rispetto all’anno precedente. La spesa per le auto cosiddette ‘ grigiè (vetture a disposizione degli uffici e servizi senza autista e auto con e senza autista inferiore ai 1.600 cc) è stata pari a 539 milioni di euro, con una riduzione di circa 55 milioni di euro rispetto al 2011. Fonte: agenzie di stampa

………………Naturalmente nessuno del “palazzo” si preoccupa più di tanto, nemmeno che quel che si spende per le auto della casta è pari ad un quarto dell’IMU sulla prima casa.

IL “CALIFFO” NON CI INCANTERA’ PIU’

Pubblicato il 31 marzo, 2013 in Costume, Cronaca | No Comments »

Franco Califano è morto ieri nella sua casa ad Aci­lia in seguito a una crisi respiratoria. Era nato a Tripoli, il 14 settembre del 1938.

Cantante, ma anche attore, scrittore e personaggio tv, il «Calif­fo » è stato autore di molti brani di successo. Era malato da tempo ma solo pochi giorni fa, il 18 mar­zo, si era esibito al Teatro Sistina di Roma.Con lui scompare a 75 anni il musicista romano dopo una vita davvero spericolata: piena di successi ma anche di momenti durissimi

C’era, certo che c’era un filo diretto tra la sua voce e quelle pa­role, intense, robuste eppure po­etiche, mai usate per caso e sem­pre nel posto giusto, nella canzo­ne giusta. Gli veniva così, a Fran­co Califano. I suoi toni e il roboa­re dei bassi le vestivano poi con un taglio sartoriale, neppure una piega. Ciao Maestro.
Avete mai sentito Tutto il resto è noia cantata da un altro? È paro­distica, quasi.C’è quel verso,«la barba fatta con maggiore cura», attenzione: «maggiore» e non «maggior»,che non poteva esse­re che suo. Popolano ma aristo­cratico. Agghindato a festa ma per un giorno qualunque. Aveva quel dono, Franco Califano, lo swing che ti porta fino all’aggetti­vo perfetto, alla metafora, all’al­lusione che spiega tutto ma nep­pure lui sapeva spiegarsi come facesse. «Me vengono» sorride­va, e così diceva anche dei suoi sonetti d’amore e di sesso. Oggi che non c’è più,morto da solo in casa, proprio lui che la apriva sempre agli amici, sarà un tem­porale di retorica sul grande au­tore che tutti diranno di aver sempre adorato.
In realtà non è così, e lui lo sa­peva benissimo, se ne rammari­cava, tra sé e sé si chiedeva come mai, ma com’è possibile. Ha scritto testi favolosi che si sono persi nel vuoto, e persino nel suo debutto, lo sconquassato singo­lo Ti raggiungerò del 1965, c’è il guizzo del talento che poi il di­sco L’evidenza dell’autunno ,
1973, aveva spiegato canzone dopo canzone, ammutolendo chi non s’aspettava che questo borgataro alto e spaccone, bello come Marlon Brando e vizioso come Steve McQueen, sapesse anche scrivere versi non eversivi né utopici ma semplicemente poetici, innamorati del bello e non di loro stessi. Mai autorefe­renziale, altro che, il Califfo. «Mi piace scrivere per altri, perché mi siedo lì, mi immagino di esser loro e però di parlare con il mio cuore».
Ha composto Minuetto , capo­lavoro. E ha firmato con Mino Reitano Una ragione di più , uno dei brani più belli, struggenti e passionali della nostra canzone d’autore, spesso sottovalutato perché orfano di impegno politi­co o­di visionarietà ideale ma fra­goroso e italianissimo nella co­struzione e nello sviluppo. An­che per questo Califano, che non ha mai dominato le classifi­che né riempito gli stadi, è diven­tato così popolare, amato, imita­to e parodiato fino alla noia. Se gi­rava per Roma, era realmente il Califfo. Bastava che prendesse la sua spider,e una volta l’ha fat­to anche con me dal centro fino a Fiumicino, e chiunque lo ricono­scesse gli sorrideva, si spostava, lo salutava manco fosse il vicino di casa che gli era andata bene.
Intanto, non sempre gli era an­data così bene. Finché erano i de­ragliamenti d’amore, pazienza, magari faceva arrabbiare qual­cuno ma poi basta. Ma nel 1970, quando finì nei guai nella vicen­da di Walter Chiari per possesso di stupefacenti, e nel 1983 sconfi­nò nel caso Tortora per droga e possesso d’armi, fu sempre as­solto con formula piena dalla corte ma comunque condanna­to dai cortigiani a esser sempre quello lì, quello ai confini, quasi un personaggio da commedia al­l’italiana. «Lo so, ma me ne im­porta poco» diceva. E poi lui era così, soffriva ma non lo ammette­va manco a pagarlo. Anzi: prima di uscire da Regina Coeli trascor­se le ore d’aria della vigilia sem­pre al sole, «così quando mi ve­dono abbronzato capiscono che sto bene e non sono battu­to ».
Già. E sorrideva fuori dalla por­ta, come sorrideva quel giorno. «Dimenticai di colpo un passato folle in un tempo piccolo» scris­se anni dopo in un altro capola­voro come Tempo piccolo , che ha un verso che lo spiega tutto, questo Califano nobile borgata­ro: «Dipinsi l’anima su tela ano­nima e mescolai la vodka con l’acqua tonica».In fondo,che an­dasse al Festival di Sanremo o a Music Farm o che fosse sul palco del Sistina di Roma come pochi giorni fa per l’ultima volta,Califa­no si dipingeva sempre su tela anonima, nel disperato e dolce bisogno di aiuto che ti impone la solitudine quando scopri che è l’unica fidanzata che riesci a non tradire. ……Ci accompagnato, come nessun  altro,   nella nostra giovinezza. Continueremo ad ascoltarlo,  commuovendoci, come sempre.

MONTI E I SUOI TRADITORI DELL’ITALIA

Pubblicato il 23 marzo, 2013 in Costume, Cronaca, Politica estera | No Comments »

Un Paese non può vivere di solo spread, di tagli agli stipendi della casta o di presunti conflitti di interesse.

Mario Monti con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone

Qualsiasi agenda deve avere al primo punto il rispetto della bandiera simbolo della nazione, dignità e orgoglio, difesa di chi serve lo Stato rischiando la vita. Tutto il resto ne discende. E invece siamo ripiombati nell’italietta di inizio secolo scorso: debole, confusa, pasticciona, ingrata, senza nerbo e parola. Lo dobbiamo a Monti e al suo governo. Nel giro di una settimana prima hanno tradito la parola data agli indiani, poi quella a noi italiani e al mondo intero. Il caso è quello dei due marò del San Marco arrestati in India. Ce li avevano rispediti in licenza per qualche settimana con l’assicurazione di un loro ritorno per il processo. Abbiamo annunciato con squilli di tromba che ce li saremmo tenuti, ma di fronte all’India che ha mostrato i muscoli (e non solo quelli) abbiamo calato le braghe: sono già in volo verso New Delhi, con tante scuse.

Questo è Monti, l’uomo che doveva ridarci la credibilità internazionale che ci avevano fatto credere persa. Questo è Terzi, il ministro già ambasciatore in America. Questa è l’Italia dei tecnici voluta e sostenuta dai salotti di banchieri e intellettuali, dai giornaloni della sinistra. Una manica di incapaci, egoisti ed egocentrici, senza alcuna legittimazione, traditori di parole date (ricordate il «mai mi candiderò» di Monti?). Volevano suonare l’Italia e gli elettori li hanno suonati, volevano cantarle all’India e il mondo l’ha cantata a loro. Hanno preso ordini non dagli italiani ma da capi di Stato e governo stranieri.

Altro che Grillo e democrazia pop a Cinque stelle. Quando qualcuno pensa di prescindere dalla politica, il risultato è quello oggi dei marò e domani delle banche chiuse su disposizione della Merkel o chissà cos’altro. Quello che serve è un governo politico e forte. Bersani sta ripetendo l’errore-orrore di Monti: pensare alla sua salvezza e non alla nostra e del Paese. Dice no a un patto col Pdl, l’unica soluzione indicata dalle urne. Anche noi siamo molto, ma molto scettici. Ma allora la soluzione è una sola: tornare a votare e subito. O cambia idea, oppure ogni giorno che Bersani perde nella speranza di rubare il consenso a un pugno di grillini è un giorno in più in cui l’Italia viene umiliata e messa sempre più a rischio. Anche se ci riuscisse, cosa improbabile, il suo sarebbe un governo talmente debole che saremmo in balia del mondo intero più di quanto lo siamo con Monti. Napolitano ci pensi bene prima di avventurarsi su strade ad alto rischio.  Alessandro Sallusti, 23 marzo 2013

….,..Nemmeno l’Italietta giolittiana, quella dei giri di valzer e dei valzer senza giri, era riuscita a tanto. A farsi prendere per i fondelli, non una, ma due volte. E’ riuscito all’Italietta di Monti e ai suoi bravos alla mortadella, dal ministro degli esteri, l’uomo di Fini, Terzi di Santagata, al ministro della difesa De Paola il cui unico obiettivo è quello di  accappararsi incarichi per “arrotondare” la già più che  pingue pensione. Il caso dei due Marò restituiti all’india dopo aver solennemente dichiarato che rimanevano in Italia è da manuale e da oggi farà parte del kit dei boy-scouts americani. Non è il caso che ricapitoliamo la storia che si trascina da quasi un anno. Contano sopratutto le ultime 24 ore. I due ritornano in India   perchè, dichiara il sottosegretario che ha il nome di un prodotto agricolo, De Mistura, l’India ha aassiocurato che non rischiano la pena capitale. Oh bella! Perchè se gli danno 30 anni da scontare in una putrida galera indiana c’è da stare allegri?  Ma l’India fa sapere, dopo che i due sono ritornati in India,  che non c’è nessun impegno in  questo senso. Cioè, per dirla tutta, l’India  fa intendere che i due rischiano proprio la pena capitale. Che figura di merda per Monti e i suoi compagni. Sopratutto per quella faccia di pietra di Monti che quando i due ritornarono in Italia per “licenza elettorale” li ricevette a Palazzo Chigi, proprio come si faceva nella putridissima prima Repubblica, quando tutto faceva brodo per far voti, dalle Madonne pellegrine ai trattori di Stalin. E tutto ciò mentre il mondo ci ride dietro: siamo stati offesi e gabbati e forse per una manciata di quattrini  (eggi affari) ci prendiamo in faccia non soltano lo scherno del mondo universo ma anche la possibilità di avere sulla coscienza se non due morti morti due morti vivi. Bella roba per uno che doveva riscattarci da Berlusconi. Ma Berlusconi mai avrebbe consentito che questa farsa che può trasformarsi in dramma  fosse rappresentata. g.