Archivio per la categoria ‘Cronaca’
LE VIOLENZE A ROMA: IL SOLITO CAPRO ESPIATORIO
Pubblicato il 16 aprile, 2014 in Cronaca, Giustizia, Politica | No Comments »
Saranno contenti i giustizialisti un tanto al chilo, i perbenisti radical chic, i partigiani piagnucolosi del giornalismo a senso unico. Anche stavolta hanno trovato il colpevole per l’indecente guerriglia nel cuore di Roma culminata con il ricovero in ospedale di 20 poliziotti, acciaccati dalla testa ai piedi: il responsabile unico per gli assalti, per le molotov, le pietre, le vetrine infrante e le auto sfondate diventa un agente della questura ripreso in un video diffuso dalla trasmissione Servizio Pubblico mentre calpesta una manifestante a terra.
Immagine forte, dura, d’impatto. Obiettivamente difficile da giustificare anche se la corsa a condannarlo al patibolo mediatico dovrebbe far riflettere quanti si son dovuti ricredere su fatti analoghi poi smontati da sentenze assolutorie. Chi da sempre trasuda odio verso le forze di polizia, i nostri militari all’estero, un eroe come Quattrocchi che ricordò a tutti come ci si comporta da italiani, oggi danza felice intorno alle spoglie di questo servitore dello Stato che se ha sbagliato, e sottolineiamo «se», pagherà com’è giusto che sia.
Non ci accodiamo all’orda dei forcaioli col taccuino che mai una parola di condanna vergano sui black block. E nemmeno plaudiano a un capo della polizia che corre a dare del «cretino» a un suo uomo a dispetto di ogni garanzia e presunzione d’innocenza. L’eventuale comportamento ingiustificabile di un singolo agente non giustifica il silenzio assordante della politica e la tolleranza dei soliti media verso chi puntualmente distribuisce violenza e terrore nell’impunità totale. A quanti oggi invocano il riconoscimento numerico sui caschi degli agenti, chiediamo di immedesimarsi nei ragazzi e nei padri di famiglia abituati a giocarsi la pelle per 1.200 euro al mese sapendo che dai boschi della Tav alle curve dello stadio la ragione sarà sempre di chi offende. Nessuno difende i difensori, noi sì.
ADDIO AD UN CARO AMICO, MIMMO MENNITTI
Pubblicato il 7 aprile, 2014 in Cronaca, Politica | No Comments »
E’ scomparso a 75 anni un caro amico di tempi ormai lontani, Mimmo Mennitti, dirigente giovanile nazionale missino, per più legislature deputato, giornalista brillante e di grande caratura morale, fondatore e direttore di IdeAzione, l’unico tentativo di dare anima alla Destra dopo la fine del Msi e la nascita di A.n., infine sindaco di Brindisi, la sua città, che oggi lo onora come un figlio amato e che tanto la amò. Eravamo, sebbene chi scrive avesse qualche anno in meno, tutti componenti del gruppo che riconosceva a livello regionale Pinuccio Tatarella come leader e infaticabile animatore e in quel gruppo, con la sua pacatezza, il suo carattere mite, Mennitti esercitava il ruolo di moderatore. Era un gruppo che a livello nazionale univa tutta la classe dirigente missina di secondo livello, quelli destinati a succedere ai leader nazionali, un gruppo che si sarebbe irrimediabilmente diviso in occasione della scissione di Democrazia Nazionale. Mennitti non aderì, come Tatarella, ma Mennitti anche allora si mostrò diverso, tanto che eletto deputato nella competizione del 1979, quella successiva alla scissione, la prima cosa che fece fu quella di andare a salutare l’on. Manco, deputato missino di Brindisi per due decenni, del quale era stato stretto collaboratore, esempio di dignitosa onestà intellettuale. Lo abbiamo rivisto negli anni tante volte in occasione dei tanti convegni promossi a Bari dalla Destra e sempre è stata una reciproca gioia salutarci e ricordare i tempi andati. Oggi, con grande dolore e grande commozione, lo ricordiamo con affetto e amicizia, ringraziandolo per i tanti esempi di lealtà e di correttezza che lascia a chiunque lo abbia conosciuto. g.
ECCO UNA STORIA DI STRAORDINARIA ONESTA’ A FRONTE DI ALTRE DI STRAORDINARIA DISONESTA’
Pubblicato il 7 gennaio, 2014 in Cronaca | No Comments »
«Io, insegnante con 1.780 euro di stipendio dovrò pagarne 2.122 per l’Imu»
«Il notaio me l’aveva detto quando ho comprato casa. Sposti qui a Torino la residenza, pagherà meno. Ho pensato: perché devo dichiarare il falso?». Margherita Simonetta non l’ha fatto, e quest’anno ha sborsato soltanto di Imu 2.122 euro. Un’enormità per un appartamento di cento metri quadrati a Borgo San Paolo, periferia della città. Una mazzata per un’insegnante che guadagna 1.780 euro al mese.
Il paradosso è questo: Margherita Simonetta, 59 anni appena compiuti, docente di italiano e storia in un istituto professionale, lavora e abita a Milano, in un casa in affitto («Cucinino, soggiorno e camera da letto. Cinquecento euro al mese»). È un donna semplice ma determinata, non le andava di prendere in giro lo Stato. «La mia scuola, i miei interessi, i miei affetti sono qui in Lombardia. Perché devo spostare la residenza in una città dove non vivo».
Il ragionamento non fa una piega. Ma per il Fisco e la legge italiana l’abitazione torinese è a tutti gli effetti come una «seconda casa», un lusso su cui infierire a colpi di tasse. «Ho investito tutti i miei risparmi. Era l’appartamento dei miei genitori, ci hanno vissuto solo loro. Quando è morto mio padre l’ha lasciato a noi figli. Mi sono detta, se proprio devo acquistare una casa compro questa, così ho rilevato le quote degli altri tre fratelli».
Non si capacita che lo Stato possa essere così miope. «È l’unico immobile che possiedo, non mi risulta che la Costituzione imponga di acquistarlo nella città dove si lavora».
In questi mesi talvolta ha vacillato, ha pensato che forse doveva dare retta al notaio, non può permettersi di «buttare» i soldi così. È durato poco, sui principi non intende transigere: «Non posso fare come una coppia di amici. Sono affiatatissimi, ma lei ha la residenza a Milano, lui nella casa a mare a Santa Margherita Ligure. Ufficialmente vivono separati…».
Sorride, perché nonostante tutto è ottimista. «È giusto pagare le tasse, ma è possibile che nemmeno la sinistra abbia mai fatto una proposta che tenga conto del reddito e della reale ricchezza dei contribuenti?». Ha votato Pd, ha partecipato alle primarie e dopo aver ricevuto la cartella dell’Imu ha scritto a Fassino (il sindaco della sua «seconda» città) e Letta, a Renzi e Saccomanni. «Solo Cuperlo mi ha risposto, magari l’ha fatto il suo staff, ma ho apprezzato. Mi ha scritto che ho ragione, che però dovevo pagare».
Su questo anche lei è d’accordo. Diligentemente ha onorato le due rate, e adesso è costretta a salti mortali per non andare in rosso. «Chiedo scusa, ma i quotidiani non li compro più. Purtroppo non solo io, una volta anche i miei colleghi arrivavano con il giornale sotto il braccio, adesso non vedo più nessuno».
Non solo. «Basta anche con il caffé al bar, soprattutto dopo che è aumentato a un euro. Cinque in meno a settimana sono venti euro al mese, 250 euro in un anno…».
Al parrucchiere però non può rinunciare. «Non posso presentarmi davanti agli studenti come una barbona. I ragazzi sono attentissimi a come vai vestita, ne va della tua autorevolezza». Però si è fatta furba. «Vado ogni settimana dai cinesi: 8 euro per una piega, così ne risparmio 7. Sono 32 euro al mese, più di trecento all’anno».
Al cinema è andata due volte da settembre, al teatro mai («Era già un lusso prima…»), i libri li compra di seconda mano («Nel banchetto di piazza Fontana»). Ai politici ha scritto: «Mi sembra gravissimo che un’insegnante sia costretta a tagliare su questo tipo di spese».
A volte lo sconforto prende il sopravvento: «Non riesco più a trasmettere ai miei allievi il rispetto delle leggi e della Costituzione». Ma non molla, l’insegnamento è la sua vita: «In classe sono più gli stranieri, sudamericani, cinesi, romeni, albanesi… Un tempo era più facile, adesso devi dedicare molto tempo all’alfabetizzazione della lingua italiana, molti sono appena arrivati e conoscono solo poche parole». Studenti difficili? «Tutt’altro, sono molto volenterosi. Ci tengono a imparare, soprattutto le ragazze filippine. Tanti vogliono proseguire gli studi, andare all’università».
Stamattina, come fa da 32 anni, tornerà come sempre a scuola («In metropolitana, non ho mai avuto la macchina»), nella città dove lavora e dove vuole continuare a vivere. A che se la sua «prima casa» è altrove. Il Corriere della Sera, 7 gennaio 2014
……Una storia di stroardinaria onestà che qualcuno definirà di straordinaria imbecillità, specie quelli che ne inventano una al giorno per “sfuggire” al fisco, evadere o eludere (che è la stessa cosa) le tasse, così da scaricare i loro obblighi sugli altri, cioè i “fessi” che senza neppure aguzzare l’ingegno preferiscono essere onesti piuttosto che ladri.
CLASSI DIRIGENTI E COSCIENZE SPORCHE: CRONACHE DALLA PALUDE
Pubblicato il 17 novembre, 2013 in Costume, Cronaca | No Comments »
Non qualche organo dello Stato italiano, ma l’amministrazione della Marina degli Stati Uniti (si può aggiungere «a nostra vergogna» o è un’espressione esagerata?) si è data cura di elaborare i dati più aggiornati sull’inquinamento ambientale a Napoli e in Campania. I risultati sono noti grazie all’ Espresso : in pratica, chi si azzarda a bere l’acqua del rubinetto da Capodichino a Caserta lo fa a suo rischio e pericolo. Risultato: i giornali si agitano, i napoletani si preoccupano, il loro ineffabile sindaco minaccia azioni legali (immagino contro Obama). Non sembra però che in complesso ci sia una reazione molto diversa da quella che c’è stata una settimana fa, quando si è appreso che secondo un celebre capocamorrista in galera, coloro che abitano nelle medesime zone di cui sopra nel giro di venti anni saranno tutti morti di cancro a causa dei rifiuti tossici che la sua organizzazione ha riversato lì per anni. Profezia che peraltro – come ha raccontato benissimo sul Corriere di ieri Gian Antonio Stella – si sta già puntualmente avverando. In entrambi i casi costernazione, indignazione, ma tutto finisce lì. Il Sud può andare in malora, l’Italia sembra avere altro a cui pensare.
In altri tempi, quando al Parlamento sedevano rappresentanti veri delle popolazioni, e non burattini paracadutati come oggi, fatti del genere (si pensi all’epidemia di colera del ‘73) avrebbero scatenato la loro mobilitazione immediata e una conseguente azione fortissima sul governo. Così come in altri tempi, e sempre per cose del genere, i partiti e le organizzazioni sindacali delle zone interessate avrebbero fatto a dir poco l’ira di dio. Ma allora non c’era il Porcellum . Il Sud c’era ancora come grande questione nazionale. E forse, mi viene da aggiungere, c’era anche un’altra idea d’Italia.
Ma alla fine tutto dipende ancora da noi. Moltissimo è nelle mani dell’opinione pubblica meridionale; molto dipende dal convincimento che essa deve farsi che di questo passo il Mezzogiorno diventerà un posto simile a certi Stati della coca sudamericani. Così come molto dipende dalla capacità dell’opinione pubblica meridionale di resistere alla deprecazione di maniera di coloro che al minimo stormir di fronde sono abituati a strillare contro la «militarizzazione del territorio». Quando invece è proprio da una tale militarizzazione che tanta parte del Sud può aspettarsi la salvezza. Solo con il sostegno di questo nuovo sentimento collettivo lo Stato potrà fare la sua parte. Non servono leggi eccezionali. Serve un controllo capillare delle amministrazioni locali, un’azione continua e penetrante specialmente della Guardia di finanza, serve far funzionare tutto ciò che è pubblico: dai mezzi di trasporto, agli ospedali, alla scuola, alle poste. E servono anche gesti simbolici: per esempio la nomina a Caserta o a Reggio Calabria di un prefetto scelto tra gli alti gradi dei Carabinieri.
Guai a pensare però che sia solo una questione del Mezzogiorno. Lì c’è la testa della Piovra, che dopo essersi alimentata per anni con i rifiuti provenienti perlopiù dal Nord, ora sta allungando anche qui i suoi tentacoli. Essa sa bene, infatti, che l’Italia è una sola. Siamo noi che spesso ce ne dimentichiamo. Ernesto Galli della Loggia, Il Corriere della Sera, 17 novembrfe 2013
……………..Qualsiasi questione ci riporta allo stesso punto di partenza: la necessità di riformulare la legge elettorale, restituendo ai cittadini il diritto-dovere di scegliere da chi farsi rappresentare e agli eletti il dovere-obbligo di ben rappresentare gli elettorie il loro territorio. Altrimenti ciò che denuncia Galli della Loggia si ripeterà all’infinito, senza che alcun se ne senta responsabile. g.
DC, GLI ETERNI RITORNI E GLI INFINITI TENTATIVI DI IMITAZIONE
Pubblicato il 10 novembre, 2013 in Cronaca, Il territorio, Politica | No Comments »
«La Balena bianca non può rinascere, al massimo può riprodursi un balenottero. In giro ci sono numerosi tentativi di imitazione mal riusciti». Gerardo Bianco, 82 anni e una vita sotto le insegne dello Scudocrociato, l’ultimo capogruppo del partito che fu di De Gasperi, Fanfani, Moro e Andreotti (oggi presidente dell’associazione ex parlamentari) liquidava così due anni fa, parlando con Il Secolo, gli eterni ritorni sotto mentite spoglie della Democrazia Cristiana, o forse sarebbe il caso gli eterni tentativi di riesumare il partito-cardine della Prima Repubblica. Come se si potesse fermare la sabbia nella clessidra del tempo il richiamo e la tentazione sono irrefrenabili. L’ultima diretta evocazione è arrivata da Carlo Giovanardi che si è detto convinto che «il Pdl senza Berlusconi sarà la nuova Dc». Ma nelle ultime settimane, dando seguito alle divisioni nella galassia montiana, al movimentismo casiniano e ai contatti di quest’area con gli ex Dc del Pdl, la grande sagoma del balenottero è tornata a nuotare nelle acque dei retroscena giornalistici con costante frequenza e insistenza.
«La Balena bianca non può rinascere, al massimo può riprodursi un balenottero. In giro ci sono numerosi tentativi di imitazione mal riusciti». Gerardo Bianco, 82 anni e una vita sotto le insegne dello Scudocrociato, l’ultimo capogruppo del partito che fu di De Gasperi, Fanfani, Moro e Andreotti (oggi presidente dell’associazione ex parlamentari) liquidava così due anni fa, parlando con Il Secolo, gli eterni ritorni sotto mentite spoglie della Democrazia Cristiana, o forse sarebbe il caso gli eterni tentativi di riesumare il partito-cardine della Prima Repubblica. Come se si potesse fermare la sabbia nella clessidra del tempo il richiamo e la tentazione sono irrefrenabili. L’ultima diretta evocazione è arrivata da Carlo Giovanardi che si è detto convinto che «il Pdl senza Berlusconi sarà la nuova Dc». Ma nelle ultime settimane, dando seguito alle divisioni nella galassia montiana, al movimentismo casiniano e ai contatti di quest’area con gli ex Dc del Pdl, la grande sagoma del balenottero è tornata a nuotare nelle acque dei retroscena giornalistici con costante frequenza e insistenza.
Non che questo rappresenti una novità. Sono vent’anni che si succedono sedute spiritiche e travestimenti, e sigle più o meno improbabili, richiami al rassemblement dei moderati, ale Dc 2.0 e alle variabili «popolari». Mattia Feltri, di recente, sulla Stampa ha ricordato quando Giovanni Paolo II, a Loreto esortò all’impegno pubblico dei cattolici – era il 1994 – e il professore Rocco Buttiglione provò a lanciare l’amo: «Un’alleanza politica dei cattolici può portare solo benefici all’unità del paese». Da allora è stato tutto un susseguirsi di false partenze, strani incontri, improvvise fughe nella terra di nessuno. Ci fu la grande illusione rappresentata da Mario Segni, campione di scriteriata dissipazione da fare invidia a Gianfranco Fini. E poi nel tempo tante sigle in sequenza: dal Ppi al Ccd, dal Cdu all’Udr, dal Cdr (Cristiano Democratici per la Repubblica) all’Uduer, dalla Democrazia Europea di Giulio Andreotti e Sergio D’Antoni, fino al Nuovo Partito Popolare, oltre naturalmente alle varie riedizioni della Dc sic et simpliciter, con relative, infinite dispute sul nome e sul simbolo. Senza dimenticare gli unici partiti riusciti ottenere percentuali accettabili, come l’Udc di Pier Ferdinando Casini e la Margherita di Francesco Rutelli, sia pure in opposti schieramenti. Un collage disordinato e fragile. Una somma di sigle alla costante ricerca dell’ «eterno ritorno dell’uguale», incapaci di individuare la ricetta e la capacità attrattiva dell’originale. Perché in fondo, come spiega Gianfranco Rotondi che della materia se ne intende, «la Dc la puoi rifare se riesci a prendere gli elettori della Dc. Ma quegli elettori si sono dati a Berlusconi. Quindi se non si riesce a rifare la Dc il motivo per me è semplice: l’ha già rifatta Berlusconi». Rendendo vado l’infinito inseguimento di quello che oggi è soltanto un non luogo politico. Domenico De Feo, 10 novembre 2012
……Dedichiamo questa nota dedicata all’impossibile “ritorno” della DC, alias “balena bianca”, all’improvvido e torittese “balenabianca13″ firmatario di un annuncio elettorale per il 2014.
Non che questo rappresenti una novità. Sono vent’anni che si succedono sedute spiritiche e travestimenti, e sigle più o meno improbabili, richiami al rassemblement dei moderati, ale Dc 2.0 e alle variabili «popolari». Mattia Feltri, di recente, sulla Stampa ha ricordato quando Giovanni Paolo II, a Loreto esortò all’impegno pubblico dei cattolici – era il 1994 – e il professore Rocco Buttiglione provò a lanciare l’amo: «Un’alleanza politica dei cattolici può portare solo benefici all’unità del paese». Da allora è stato tutto un susseguirsi di false partenze, strani incontri, improvvise fughe nella terra di nessuno. Ci fu la grande illusione rappresentata da Mario Segni, campione di scriteriata dissipazione da fare invidia a Gianfranco Fini. E poi nel tempo tante sigle in sequenza: dal Ppi al Ccd, dal Cdu all’Udr, dal Cdr (Cristiano Democratici per la Repubblica) all’Uduer, dalla Democrazia Europea di Giulio Andreotti e Sergio D’Antoni, fino al Nuovo Partito Popolare, oltre naturalmente alle varie riedizioni della Dc sic et simpliciter, con relative, infinite dispute sul nome e sul simbolo. Senza dimenticare gli unici partiti riusciti ottenere percentuali accettabili, come l’Udc di Pier Ferdinando Casini e la Margherita di Francesco Rutelli, sia pure in opposti schieramenti. Un collage disordinato e fragile. Una somma di sigle alla costante ricerca dell’ «eterno ritorno dell’uguale», incapaci di individuare la ricetta e la capacità attrattiva dell’originale. Perché in fondo, come spiega Gianfranco Rotondi che della materia se ne intende, «la Dc la puoi rifare se riesci a prendere gli elettori della Dc. Ma quegli elettori si sono dati a Berlusconi. Quindi se non si riesce a rifare la Dc il motivo per me è semplice: l’ha già rifatta Berlusconi». Rendendo vado l’infinito inseguimento di quello che oggi è soltanto un non luogo politico. Domenico De Feo, 10 novembre 2012
……Dedichiamo questa nota dedicata all’impossibile “ritorno” della DC, alias “balena bianca”, all’improvvido e torittese “balenabianca13″ firmatario di un annuncio elettorale per il 2014.
STUPRATA DAL MANIACO? “E’ CONCORSO DI COLPA, PERCHE’ GLI HA APERTO LA PORTA”, SECONDO
Pubblicato il 20 ottobre, 2013 in Cronaca, Giustizia | No Comments »
La vittima aveva 74 anni. Secondo l’Avvocatura dello Stato la donna agì incautamente, quindi non dev’essere risarcita
La vittima aveva 74 anni. Secondo l’Avvocatura dello Stato la donna agì incautamente, quindi non dev’essere risarcita
Ha aperto la porta all’uomo che poi l’avrebbe violentata? Non ha diritto al risarcimento: ha contribuito allo stupro. Insomma, come dire, che quasi sarebbe stata «consenziente».
Ginevra è nome da favola, che solo a pronunciarlo fa venire a mente castelli fatati e principi azzurri. Ginevra è il nome che la fantasia dona a una signora sassarese finita all’inferno.
Nel 2007 aveva 74 anni. Una donna che non si è mai sposata, molto religiosa. Ma a casa sua un giorno arrivò il «diavolo».
Un uomo, poi dichiarato seminfermo di mente, che bussa. Lei apre. Lui la strattona, la picchia, la violenta. A processo il maniaco sceglie il rito abbreviato e se la cava con quattro anni. Oggi è libero. La vittima, invece, è ancora prigioniera: la depressione non l’ha più abbandonata. E ora ha un nuovo nemico: la Repubblica italiana. Il suo violentatore avrebbe dovuto risarcirla, come sentenziato dal Tribunale, con 30.000 euro. Ma quello, squattrinato, s’è ben guardato dal farlo. I legali dell’anziana hanno allora citato in giudizio la Presidenza del consiglio dei ministri, fidando su una direttiva europea del 2004 che in caso di insolvenza del responsabile impone al Paese di residenza di garantire un indennizzo a chi abbia subito un crimine violento. Deciderà il giudice. Intanto, l’Avvocatura di Stato s’è opposta, come logico nel gioco delle parti, sollevando mille eccezioni. Tra tutte una risalta. Suona più o meno così: «La parte attrice ha aperto consapevolmente e incautamente ad uno sconosciuto: pertanto deve rispondere a titolo di concorso di colpa di quanto accaduto».
Insomma: non aprite quella porta. E più che il titolo d’un vecchio film horror è l’orrore che trasuda da un atto giudiziario che s’inserisce nel solco della triste giurisprudenza statale sui crimini del sesso. Favorisce il suo stupratore chi, ignara, socchiude l’uscio al trillo del campanello così come agevolava il suo aggressore la ragazza che indossava jeans così stretti da lasciar presumere che se non ci fosse stata «la sua fattiva collaborazione mai alcuna violenza intima avrebbe potuto esserle usata»: era il 1999, e la Terza sezione della Cassazione il suo convincimento lo affidava a una sentenza prontamente messa in naftalina tanto era assurda. Eppure, è stato necessario attendere il 2008 perché la Suprema Corte, sempre attraverso la Terza sezione, riconoscesse che «i jeans non sono paragonabili ad una cintura di castità» e che dunque, a ben considerare, non sono d’ostacolo alla violenza sessuale. Ma assolti da ogni responsabilità i calzoni a cinque tasche, sul banco degli imputati è rimasta la donna: se lo stupro riguarda una fanciulla non più vergine «il trauma sarà da ritenersi più lieve» ed il maschio assalitore «avrà diritto ad una condanna più lieve», ha stabilito nel 2006 ovviamente la Terza sezione. La stessa che un anno fa ha bissato: quando lo stupro è di gruppo, in attesa di giudizio ben può il giudice adottare misure alternative alla carcerazione. E nell’ottobre del 2012 un’altra pronuncia da manuale: se più sono i violentatori «va riconosciuto uno sconto di pena a chi non abbia partecipato a indurre la vittima a soggiacere alle richieste sessuali del gruppo, ma si sia limitato a consumare l’atto».
La giustizia non è di questo mondo. Esiste solo nelle fiabe. Ginevra, adesso, lo sa.
…..Siamo curiosi di sapere cosa sentenzierà questa volta la Magistratura: se accoglierà la tesi pateticamente ridicola dell’Avvocatura di Stato che ci fa riandare col pensiero all’indimenticabile Flaiano secondo il quale in Italia anche le tragedie finiscono in farsa, oppure se condannerà lo Stato a risarcire la vittima dello stupro. In tal auspicabilke ipotesi dovrebbe condannerà gli incauti funzinari dell’Avvocatura di Starto alla pena acessoria della stessa violenza subita della 74enne. Perchè in futuro si asterrebbero dallo scrivere cazzate. g.
NEL 2012 ALLA FACCIA DELLA CRISI SPESO UN MILIARDO PER LE AUTO BLU
Pubblicato il 4 agosto, 2013 in Cronaca, Economia, Politica | No Comments »
Per le auto blu è stato speso oltre un miliardo di euro nel 2012, con un calo di 128 milioni rispetto al 2011 (-12%) e – 26% rispetto al 2009. Sono i primi risultati del monitoraggio dei costi delle auto della PA realizzato da Formez PA per il Dipartimento della Funzione Pubblica, avviato nel mese di maggio 2013. La spesa totale sostenuta nel 2012 per la gestione del parco auto è stimata pari a 1.050 milioni di euro, 128 milioni in meno rispetto al 2011 (-12%). Le variazioni sono sostanzialmente analoghe nella PA centrale (circa 25 milioni di euro pari al -12,4%) e nell’Amministrazione locale (103 milioni di euro pari al -11,9%, equivalente). La gestione include le spese per acquisizioni in proprietà e noleggio, le spese ripartibili e non ripartibili e le spese per il personale dedicato, tra cui gli autisti. Rispetto alla spesa sostenuta dalle amministrazioni nel 2009, anno di riferimento per le nuove e più stringenti norme e direttive per il contenimento dei costi, la riduzione della spesa per le auto della P.A. nel 2012 è stata di 335,5 milioni di euro (-26,3%), 282,8 milioni di euro per le Amministrazioni locali (-27,0%) e 53,7 milioni di euro per l’Amministrazione centrale. Considerando la spesa per tipologia di auto, si può constatare che per le auto blu (ossia le vetture assegnate ad una persona sia in uso esclusivo che non esclusivo, le auto a disposizione degli uffici con autista e le vetture con e senza autista se di cilindrata superiore a 1.600 cc), il totale della spesa per il 2012 ammonta a circa 400 milioni di euro, con una riduzione di 72 milioni di euro rispetto all’anno precedente. La spesa per le auto cosiddette ‘ grigiè (vetture a disposizione degli uffici e servizi senza autista e auto con e senza autista inferiore ai 1.600 cc) è stata pari a 539 milioni di euro, con una riduzione di circa 55 milioni di euro rispetto al 2011. Fonte: agenzie di stampa
………………Naturalmente nessuno del “palazzo” si preoccupa più di tanto, nemmeno che quel che si spende per le auto della casta è pari ad un quarto dell’IMU sulla prima casa.
IL “CALIFFO” NON CI INCANTERA’ PIU’
Pubblicato il 31 marzo, 2013 in Costume, Cronaca | No Comments »
Franco Califano è morto ieri nella sua casa ad Acilia in seguito a una crisi respiratoria. Era nato a Tripoli, il 14 settembre del 1938.
Cantante, ma anche attore, scrittore e personaggio tv, il «Califfo » è stato autore di molti brani di successo. Era malato da tempo ma solo pochi giorni fa, il 18 marzo, si era esibito al Teatro Sistina di Roma.Con lui scompare a 75 anni il musicista romano dopo una vita davvero spericolata: piena di successi ma anche di momenti durissimi
C’era, certo che c’era un filo diretto tra la sua voce e quelle parole, intense, robuste eppure poetiche, mai usate per caso e sempre nel posto giusto, nella canzone giusta. Gli veniva così, a Franco Califano. I suoi toni e il roboare dei bassi le vestivano poi con un taglio sartoriale, neppure una piega. Ciao Maestro.
Avete mai sentito Tutto il resto è noia cantata da un altro? È parodistica, quasi.C’è quel verso,«la barba fatta con maggiore cura», attenzione: «maggiore» e non «maggior»,che non poteva essere che suo. Popolano ma aristocratico. Agghindato a festa ma per un giorno qualunque. Aveva quel dono, Franco Califano, lo swing che ti porta fino all’aggettivo perfetto, alla metafora, all’allusione che spiega tutto ma neppure lui sapeva spiegarsi come facesse. «Me vengono» sorrideva, e così diceva anche dei suoi sonetti d’amore e di sesso. Oggi che non c’è più,morto da solo in casa, proprio lui che la apriva sempre agli amici, sarà un temporale di retorica sul grande autore che tutti diranno di aver sempre adorato.
In realtà non è così, e lui lo sapeva benissimo, se ne rammaricava, tra sé e sé si chiedeva come mai, ma com’è possibile. Ha scritto testi favolosi che si sono persi nel vuoto, e persino nel suo debutto, lo sconquassato singolo Ti raggiungerò del 1965, c’è il guizzo del talento che poi il disco L’evidenza dell’autunno ,
1973, aveva spiegato canzone dopo canzone, ammutolendo chi non s’aspettava che questo borgataro alto e spaccone, bello come Marlon Brando e vizioso come Steve McQueen, sapesse anche scrivere versi non eversivi né utopici ma semplicemente poetici, innamorati del bello e non di loro stessi. Mai autoreferenziale, altro che, il Califfo. «Mi piace scrivere per altri, perché mi siedo lì, mi immagino di esser loro e però di parlare con il mio cuore».
Ha composto Minuetto , capolavoro. E ha firmato con Mino Reitano Una ragione di più , uno dei brani più belli, struggenti e passionali della nostra canzone d’autore, spesso sottovalutato perché orfano di impegno politico odi visionarietà ideale ma fragoroso e italianissimo nella costruzione e nello sviluppo. Anche per questo Califano, che non ha mai dominato le classifiche né riempito gli stadi, è diventato così popolare, amato, imitato e parodiato fino alla noia. Se girava per Roma, era realmente il Califfo. Bastava che prendesse la sua spider,e una volta l’ha fatto anche con me dal centro fino a Fiumicino, e chiunque lo riconoscesse gli sorrideva, si spostava, lo salutava manco fosse il vicino di casa che gli era andata bene.
Intanto, non sempre gli era andata così bene. Finché erano i deragliamenti d’amore, pazienza, magari faceva arrabbiare qualcuno ma poi basta. Ma nel 1970, quando finì nei guai nella vicenda di Walter Chiari per possesso di stupefacenti, e nel 1983 sconfinò nel caso Tortora per droga e possesso d’armi, fu sempre assolto con formula piena dalla corte ma comunque condannato dai cortigiani a esser sempre quello lì, quello ai confini, quasi un personaggio da commedia all’italiana. «Lo so, ma me ne importa poco» diceva. E poi lui era così, soffriva ma non lo ammetteva manco a pagarlo. Anzi: prima di uscire da Regina Coeli trascorse le ore d’aria della vigilia sempre al sole, «così quando mi vedono abbronzato capiscono che sto bene e non sono battuto ».Già. E sorrideva fuori dalla porta, come sorrideva quel giorno. «Dimenticai di colpo un passato folle in un tempo piccolo» scrisse anni dopo in un altro capolavoro come Tempo piccolo , che ha un verso che lo spiega tutto, questo Califano nobile borgataro: «Dipinsi l’anima su tela anonima e mescolai la vodka con l’acqua tonica».In fondo,che andasse al Festival di Sanremo o a Music Farm o che fosse sul palco del Sistina di Roma come pochi giorni fa per l’ultima volta,Califano si dipingeva sempre su tela anonima, nel disperato e dolce bisogno di aiuto che ti impone la solitudine quando scopri che è l’unica fidanzata che riesci a non tradire. ……Ci accompagnato, come nessun altro, nella nostra giovinezza. Continueremo ad ascoltarlo, commuovendoci, come sempre.