Archivio per la categoria ‘Cultura’

IL PARTIGIANO BOCCA IMPALLINA SAVIANO

Pubblicato il 13 novembre, 2010 in Cultura | No Comments »

Giorgio Bocca E alla fine il partigiano Giorgio è sbottato. Lui che ha fatto la Resistenza, su pei monti piemontesi c’è andato senza scorta e un colpo di schioppo nella schiena l’ha rischiato davvero. Lui che dalle pagine patinate dell’Espresso, col cipiglio del duro e puro, assesta con la Lettera 22 stilettate a chi non gli garba. Lui che di libri ne ha scritti, ma di soldi non ne ha mica guadagnati come ha fatto quel Roberto in quattro e quattr’otto, e con la Mondadori, mica con Feltrinelli.
Roberto, chi? Roberto Saviano. Quello che un giorno sì e l’altro pure scrive in prima pagina su la Repubblica, il quotidiano che il partigiano Bocca tenne a battesimo. E che è una costola dell’Espresso, la rivista dove Giorgio scodella ogni settimana puntuti editoriali. A quel paese tutti, i direttori dioscuri Manfellotto Bruno e Mauro Ezio. E pure i sodali di sempre, Scalfari Eugenio e De Benedetti Carlo. «Saviano? È uno che recita. L’autore di “Gomorra” non è né di destra né di sinistra, ma solo molto savianesco». Ecco, Giorgio l’ha detto, il macigno dallo scarpone resistenziale se l’è tolto. E mica in un pourparler con i colleghi, mica al cellulare, ché magari lo intercettavano, ma sarebbe stato in privato. No, lo smascheramento dell’énfant prodige della narrativa d’inchiesta è partito coram populo. Dai microfoni di RadioRai 2, trasmissione «Un giorno da pecora». Incalzano Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro. E Bocca, a conferma del suo stile senza briglie: «Saviano è uno che recita, è un bravo attore, un bravo scrittore. Ma a me gli artisti non piacciono tanto. Sono un personaggio d’altri tempi, mi piacciono le cose concrete». Quindi anche Gomorra è una recita, affondano il coltello nella piaga gli intervistatori. «È una mafia esagerata, un po’ letteraria. Troppo divertente per essere vera. Una mafia colorata». Adesso, ve l’immaginate Roberto il tenebroso? Steso dal gancio più infido. Smascherato in quella che spaccia come la sua maggior virtù: raccontare la verità, rifilare all’Italia e al mondo reportage ineccepibili.
Più fratelli coltelli di così dentro il giornale-partito non si riesce. E più indisciplinato di così l’ottantenne Bocca – che cominciò fascista e poi finì sull’altra sponda – non può essere. Pane al pane e vino al vino. Sulla scia del «revisionista» Giampaolo Pansa, con il quale però il cuneese arcigno ha litigato proprio per via di quel «Sangue dei vinti» che sulla Resistenza, a suo autorevole parere, non la conta giusta. Viene da chiedersi: allora chi è che scrive davvero la verità? Il partigiano Giorgio o il divo Roberto? E tra il patinato l’Espresso e l’armato la Repubblica chi vince in trasparenza? Intanto il divo col girocollo scuro come la faccia mai sbarbata ha beccato la ramanzina dal padre fondatore. Ma un po’ se l’è meritata l’uomo che discetta di camorra e accusa i giornali di Caserta e dintorni di essere bugiardi e fiancheggiatori della mafia. Gli piace troppo stare sotto i riflettori. Muore Saramago e Saviano ricorda che era suo amico e gli ha insegnato a scrivere. Cantano gli U2 e Saviano scambia baci e abbracci con Bono. Santoro e Fabio Fazio hanno uno sgabello vuoto e Saviano ci si arrampica subito sopra. Roberto chi? Il «nonno» Bocca alla fine non ne ha potuto più. Scappellotto.

DIECI MOTIVI PER SNOBBARE SAVIANO

Pubblicato il 24 ottobre, 2010 in Costume, Cultura | No Comments »

di Massimiliano Parente

Il “Corriere della Sera” accusa la destra di aver perso una grande occasione regalando un “eroe” civile alla sinistra Ma lo scrittore vip ormai è un membro della Casta: demonizza il libero mercato e poi chiede 200mila euro alla Rai. Vietato parlarne male: chi osa criticarlo tacciato d’invidia. E Dispensa consigli per “aprire gli occhi agli elettori

È davvero formidabile la capacità della destra italiana di moltiplicare i suoi nemici». Formidabile, e di cosa stiamo parlando? Dunque, secondo Pierluigi Battista, che in genere leggo sempre volentieri, «la destra» ha «uno straordinario impulso masochista nel regalare alla sinistra Roberto Saviano, che di sinistra non è». Così ieri, per infiocchettare il regalo, Battista ha regalato alla destra una bella torta con ciliegina molto istruttiva e che vorrei ricambiare con dieci candeline.
1) Sono costretto a precisare che, per quanto mi riguarda, da scrittore né di destra né di sinistra (faccio bellissimi disegnini porno sulle schede elettorali da anni), ogni mia critica motivata a Saviano mi ha portato centinaia di insulti che se Battista vuole gli giro via mail, tra i quali il classico, che io lo attacco «per invidia». Se la destra usasse lo stesso argomento in sede politica si potrebbe disinnescare ogni critica a Berlusconi dicendo che chi la muove è invidioso dei suoi soldi, a cominciare dalla Gabanelli, perché vorrebbe le ville a Antigua anche lei.
2) Mi sarebbe piaciuto che Battista avesse fatto dei nomi, e non solo quello di Roberto Saviano rapportato a un’entità generica: la destra. Chi? Può fare qualche nome? Il bello è che quelli come Battista parlano sempre da un pulpito super partes, gli altri sono la destra, la sinistra. Intanto ricordo a Battista i saggisti o gli scrittori che hanno criticato Saviano nel merito del suo unico romanzo (sebbene, intervistato a Annozero, l’autore nomini pomposamente «i miei libri», e continua a sfuggirmi l’opera di Saviano, il cui valore poggia su meriti esclusivamente extraletterari). Per esempio Aldo Busi, non certo uno scrittore di destra, ha definito Gomorra «un romanzo di cassetta», e nessuno ha fiatato, mentre le critiche del sociologo di sinistra Alessandro Dal Lago, identiche alle mie ma con due anni di ritardo, sono state riprese dal Corriere della Sera, dove lo stesso Battista commentava elegantemente che criticare Saviano deve essere legittimo e non un tabù.
3) Saviano non è di sinistra, è vero, lo ha dichiarato proprio Saviano da Michele Santoro: «Io parlo anche agli elettori di destra, per aprirgli gli occhi quando vanno a votare». Sono gli elettori di destra imbecilli che votano a occhi chiusi senza sapere cosa votano, aspettano l’illuminazione di Saviano pagato con i loro soldi sul servizio pubblico. Dovendosene oltretutto, il telespettatore di destra o di sinistra, sentirsene rassicurato, perché «essere pagati è la garanzia di poter fare bene il proprio lavoro», e con meno di duecentomila euro effettivamente si lavora male per la causa comune, ecco perché anche un operaio paga il canone Rai.
4) Che poi Saviano sia di destra o di sinistra non capisco cosa cambi, anzi per me potrebbe anche essere fascista, vista la criminalizzazione che Saviano fa del libero mercato, al quale rende contigua, consequenziale e consustanziale l’esistenza della camorra, basta leggere Gomorra o i suoi articoli su Repubblica. Con Mussolini, in effetti, la mafia se la passava male.
5) Secondo Battista la destra non sa che Saviano è stato «fatto oggetto dei peggiori insulti sui siti e sui blog anti-imperialisti» per aver espresso solidarietà a Israele, dando quindi per scontato che la sinistra sia anti-israeliana, pur elogiando i viaggi di Fini in Israele come una conversione post fascista.

6) Secondo Battista la destra «è una curva che vede comunisti dappertutto» e Saviano non sarebbe di sinistra perché è riuscito a convincere i lettori «ad acquistare I racconti della Kolyma di Varlam Salamov, uno dei più sconvolgenti capi d’accusa contro i Gulag e “le atrocità del comunismo” (parole di Saviano) su cui “è calato il silenzio da troppo tempo” (parole di Saviano)». Quindi secondo Battista la sinistra italiana, oltre a essere antisemita, ha bisogno di essere convinta perfino per leggere Salamov, in altri termini la sinistra è ancora sovietica (parola di Battista, non di Berlusconi).
7) A proposito di libero mercato, scrive Battista, Saviano viene considerato «un avversario così spregevole da pretendere addirittura di essere pagato per una trasmissione televisiva (ma come, non si era detto che il mercato non doveva essere demonizzato?)». Appunto, ma chi lo demonizza? Io? La destra? O Saviano?
8) Secondo Battista «gli scrittori non sopportano che un loro collega vada troppo in televisione, perché andare troppo in televisione fa troppo “berlusconiano”». Anche qui, se non fa i nomi, parli per sé, per quanto mi riguarda nell’ultimo mese non ho fatto che rifiutare inviti televisivi perché sono troppo occupato a scrivere, e oltretutto, al contrario di quanto crede Battista, uno scrittore non ha colleghi, e se li ha non è uno scrittore ma un impiegato.
9) Il sottoscritto, è noto, ha attaccato negli ultimi anni, su Libero e sul Giornale, in nome della letteratura e in opposizione alla logica delle classifiche di vendita e del mercato quando si tratta di valore artistico, molti colleghi di Saviano, da Niccolò Ammaniti a Wu Ming a Alessandro Piperno, quest’ultimo non certo un’icona della sinistra, piuttosto un’icona del Corriere della Sera, secondo il quale sarebbe «il Proust italiano». Poiché sono autori Mondadori, l’anno scorso dopo essere stato accolto con grandi onori a Segrate, sono stato messo gentilmente alla porta «per quello che hai scritto su Saviano», con la motivazione che Saviano è una grossa fetta del fatturato di Segrate e il mio nome avrebbe messo i dirigenti in difficoltà. Se Battista vuole, anche qui, gli fornisco privatamente i dettagli, quando ho raccontato l’episodio su Dagospia non mi pare gliene fregasse granché, la libertà di stampa vale solo per chi già ce l’ha. Al dirigente ho detto «Capisco», ho preso armi e bagagli e me ne sono andato alla Newton Compton, e questo mentre Saviano, su Repubblica, firmava appelli sulla libertà di stampa, copyright Agenzia Santachiara, in prima pagina sopra la pubblicità di Gomorra, copyright Mondadori, e tra poco su Rai Tre, copyright Endemol.
10) È curioso perché a difesa dei duecentomila euro chiesti da Saviano, demonizzatore del libero mercato, sono arrivate perfino Norma Rangieri, direttrice del Manifesto, e Concita De Gregorio, direttrice de l’Unità, proprio in nome del libero mercato, perché l’audience, l’ascolto, il successo commerciale, sono diventati un criterio perfino sul servizio pubblico. Concita ha anche concitatamente puntualizzato che «è come per i calciatori», e a Gianluigi Paragone è stato detto che mille euro a puntata per lui sono già troppi. Se il principio è questo basterebbe mettere L’isola dei famosi contro Annozero e vedere chi vale di più, e bisognerebbe anche chiedersi quanto ascolto fanno, tradotto in copie vendute, l’Unità e Il Manifesto, e anche quanto ascolto fa l’eterno lupus in fabula, Silvio Berlusconi, tradotto in voti.

Il Giornale 24 ottobre 2010

L’ORGOGLIO DI ESSERE E DI DIRSI “DI DESTRA”

Pubblicato il 6 ottobre, 2010 in Cultura, Politica, Storia | No Comments »

di Marcello Veneziani

Che schifo, è di destra. Sono pochi a definirsi di destra ma il disprezzo per la destra è ancora forte, nota Giuliano Ferrara. Lo sappiamo, lo sappiamo. Questa legge del disprezzo vige in tutto l’Occidente, nota Ferrara; ma in Italia ancor di più. Tre cose da noi conducono al disprezzo o alla morte civile: avere opinioni contrarie al politicamente corretto e magari in sintonia con il buon senso comune, preferendo i valori tradizionali, civili e religiosi; avere un giudizio diverso sul fascismo e sull’antifascismo, ma anche sul comunismo, rispetto al canone dominante; preferire Berlusconi ai suoi avversari o ex alleati. Quest’ultima pesa di più di tutte, anche se è la meno legata ad un’identità di destra e la più contingente. Si veda, a conferma, il caso Fini&finiani: il loro recente neofascismo viene ripulito dal loro neo-antiberlusconismo. Se il fascismo è il male assoluto, il berlusconismo è il male due volte assoluto, oltre che dissoluto.
Il disprezzo verso la destra si articola in due modi: è gridato se il personaggio è più esposto in vetrina, è al potere o è più grossolano; è taciuto, per simulare la sua inesistenza, se il personaggio è meno vistoso e più sobrio, e magari pure colto. Il primo è manganellato, il secondo è cancellato.
Nonostante il livore aggiuntivo verso chi tradisce la sinistra, il disprezzo verso gli ex è dimezzato: penso a Oriana Fallaci, a Pansa, allo stesso Ferrara. Con loro c’è un minimo di colloquio, si possono citare. Gli altri no, damnatio memoriae anche da vivi: sepoltura in piena attività o vituperio urlato a mezzo stampa. Nel caso della destra grossolana che commette vistose gaffe, ci sono episodi grotteschi. Prendete Ciarrapico: socio in affari per anni della sinistra editoriale, viene ora massacrato per un’infelice battuta e ribollato come fascistone. Vorrei ricordare una cosa: quando la sinistra tifava per gli arabi e i palestinesi contro Israele, il grossolano Ciarrapico pubblicava in difesa d’Israele un libro del leader ebreo Begin La rivolta e fu Israele. Che volete, le battute valgono più delle opere. Ma torniamo al tema serio.
Chi da destra denuncia il disprezzo viene accusato anche dai cosìddetti terzisti di vittimismo. Prendi le botte e zitto, non far la vittima. Mazziato e cornuto.
Il disprezzo verso la destra è cagionato da tre agenti: una sinistra settaria e velenosa che propaga ribrezzo etnico, antropologico, per quelli di destra; l’inevitabile presenza a destra di personaggi screditati, ma questo accade quando si è in tanti e quando si va al governo; e il complice, connivente, disprezzino dei cosiddetti indipendenti, terzisti veri e presunti, a volte persino centrodestrorsi vaghi, snob o vigliacchetti. È lì che nasce la barriera del disprezzo. I suddetti a volte usano il disprezzino verso la destra come alibi per poter poi criticare la sinistra, facendosi così una polizza contro rischi. Ci sono ballerini in punta di piedi che bilanciano ogni critica a sinistra con uno sputino gentile a destra, per mostrare che loro sono in perfetto equilibrio, personcine ammodo. Per la destra colta si adeguano alla legge non scritta del potere intellettuale: morte civile. Dei tre agenti di disprezzo, questo è forse il più nocivo.
Potrei ancora aggiungere che dire destra, in effetti, è dire poco: le destre sono tante e spesso tra loro si detestano o s’ignorano. Le destre presunte o implicite sono assai più di quelle che si dichiarano tali. Ci sono almeno tre destre: la destra liberale, un po’ conservatrice sul piano dei valori, liberista in economia, anticomunista e garantista; la destra della tradizione, con significative varianti cattoliche o ribelli; la nuova destra, sociale e comunitaria, critica verso il dominio del mercato e il modello consumista. Il tratto comune delle destre è oggi il richiamo alla sovranità popolare, la preferenza per una democrazia decisionista e un amor patrio territoriale e reale piuttosto che il patriottismo costituzionale. Fini sta alla destra come la posa dell’orzo sta al caffè.

Tre destre hard ribollono nei fondali del basic instinct: la destra reazionaria, rivolta al rimpianto del passato remoto; la destra neofascista, nostalgica del passato novecentesco; la destra autoritaria, che esige legge e ordine e a casa gli immigrati. L’operazione mediatica del disprezzo riduce le destre presenti a quelle hard: sarebbe come ridurre la sinistra presente a brigate rosse, stalinismo e mao-polpottismo. Il basic istinct è sempre feroce, e cova a destra come a sinistra. Ma se fai paragoni, ti dicono che soffri di nevrosi.
Sul piano dei fatti resta vero che, alla fine, la cosiddetta destra ha commesso meno errori in campo e in teoria della cosiddetta sinistra, ha saputo cogliere meglio la realtà e dar voce ai popoli, ha più aiutato lo sviluppo ed è stata più efficace, ha saputo meglio temperare libertà e tradizione, libertà e sicurezza, e ha meno vessato, perseguitato, oppresso i cittadini. E la destra culturale si è resa meno complice di intolleranze, totalitarismi vigenti e pericolose utopie, rispetto alla sinistra culturale. La destra ha generato sicuramente meno intellettuali, ma ha prodotto meno cattivi maestri e più grandi maestri (che sono rarità ma svettano nel Novecento).
So che dire destra significa poco e produce troppi malintesi, e io parlo di destra come di una definizione che riguarda più il mio passato che il presente e il futuro. Ma davanti al disprezzo ideologico e razziale verso chi è di destra, lasciate che vi esorti alla sobria fierezza di essere e dirsi di destra.

……….Marcello Veneziani è uno dei pochi intellettuali “di destra” che rivendica orgogliosamente di esserlo. Ed è uno dei pochi intellettuali “di destra” che non strizza l’occhio a sinistra per cercare complicità e compiacimenti. Meno male che c’è Veneziani, altrimenti la destra intellettuale sarebbe ridotta ai supporter di Fini che si dicono di destra parlando il peggior linguaggio della sinistra più vetera e massimalista. Quasi a confine con le Brigare Rosse, ovviamente avendo come nemico non le mitraglie ma solo Berlusconi. g.

LA PARTIGIANA ORIANA FALLACI FA A PEZZI L’ANTIFASCISMO

Pubblicato il 10 maggio, 2010 in Cultura | No Comments »

di Marcello Veneziani

Spunta una lettera inedita di dieci anni fa  in cui la scrittrice dice che l’uccisione di Gentile fu una carognata, i gappisti erano dei “cacasotto” e semmai dovevano ammazzare Croce, che “leccava il culo” al Duce. Oriana ha ragione su tutto, tranne  che sull’ultimo punto.

Ci voleva la zampata postuma di Oriana Fallaci, da morta, per rianimare il dibattito sulla cultura italiana. Ieri hanno fatto brillare una mina lasciata dalla bellicosa Oriana in una lettera inedita di dieci anni fa. È una lettera su Gentile, Croce e la viltà degli antifascisti, dura e schietta come nella prosa fallaciana, scritta a Chicco Testa e resa nota dal Riformista. In questa densa lettera (scritta a fine luglio del 2000), la Fallaci dice quattro cose: che l’assassinio di Gentile fu una carognata ingiusta e vigliacca. Che Gentile non era fascista. Che gli antifascisti furono dei «cacasotto» perché uccisero un grande e inerme filosofo mentre non ebbero il coraggio di sminare i ponti di Firenze che i tedeschi avevano minato. E infine, che avrebbero dovuto ammazzare Croce, che, parole sue, all’inizio «leccò il culo» a Mussolini, come molti intellettuali «che poi sarebbero diventati numi del Pci». In quattro mosse la Fallaci descrive con la sua brutale franchezza il Novecento intellettuale italiano.

Sì, l’assassinio di Gentile fu una carognata, ingiusta e vigliacca, ha ragione la Fallaci. Ma la cosa più grave che alla Fallaci sfugge fu che Gentile non fu ucciso perché fascista intransigente, ma al contrario perché puntava alla concordia, chiedeva a fascisti e antifascisti di sentirsi prima di tutto italiani e uniti nella tragedia della guerra. Questo non gli fu perdonato: non piaceva ai fascisti fanatici e spiazzava gli antifascisti feroci, in larga parte di estrazione comunista. De Felice distinse tra fascismo-movimento, radicale e rivoluzionario, e fascismo-regime, conservatore e autoritario. Io credo che esista anche un fascismo-partito e un fascismo-nazione, ovvero una visione militante e partigiana del fascismo; ed un fascismo-nazione che pensava al fascismo come al braccio secolare dell’Italia, nel senso che il fascismo era per loro la realizzazione dell’Italia nel Novecento, come il Risorgimento lo era stato nel secolo precedente; ma l’Italia era il punto fermo. A questa idea del fascismo-nazione aderirono Gentile e Rocco, Volpe e altri grandi. Anche la Repubblica sociale fu per loro una necessità storica ma non l’apoteosi del fascismo. Gentile vi aderì per coerenza col suo passato, Volpe si tenne in disparte, Rocco era già morto. Tutto il pensiero di Gentile era percorso dall’idea di unità, identità, comunità e non da quello di fazione e guerra civile.

Per la Fallaci, Gentile non era fascista; è una mezza verità. Sì, perché il suo pensiero si era compiuto prima che nascesse il fascismo: l’arco della sua teoria è già conchiuso nella prima guerra mondiale. Sul piano della cultura politica il suo fu un pensiero risorgimentale, percorso da un’idea della politica come religione civile e dello Stato come valore etico super partes. Con le pericolose controindicazioni totalitarie che sappiamo. La sua riforma della scuola non fu la più fascista delle riforme, come disse Mussolini, ma una grande riforma umanistica di idealismo educativo, percorsa da amor patrio. La sua «Enciclopedia» fu aperta a studiosi antifascisti. Ma la sua adesione al fascismo non fu un incidente di percorso e nemmeno un equivoco: l’idea dello Stato nel fascismo ebbe in lui il teorico più forte; la filosofia della guerra ebbe in Gentile la sua più alta elaborazione; il tentativo di annodare il fascismo al Risorgimento fu opera di Gentile sul piano filosofico e di Volpe sul piano storico. No, non fu occasionale il suo fascismo.

Dure ma veritiere poi le parole di Oriana Fallaci sugli antifascisti. Noto solo che quei partigiani non vollero sminare i ponti non solo per mancanza di coraggio, come lei scrive, ma perché -come insegna anche la vicenda via Rasella-Fosse ardeatine a Roma – c’era in alcuni capi partigiani la logica del tanto peggio tanto meglio. Ovvero le brutalità naziste potevano servire a generare un clima di odio verso i medesimi e i loro alleati fascisti, e quindi a legittimare la lotta antifascista, la guerra rivoluzionaria e le vendette più atroci.
Infine trovo ingiusto il giudizio della Fallaci su Croce. È vero che il primo Croce sostenne il fascismo e anzi lo alimentò anche teoricamente: le opere di Sorel, che furono breviari per il fascismo, le aveva portate lui in Italia. L’idea di un dittatore che rimettesse a posto l’Italia dopo il biennio rosso non dispiaceva a Croce. Ma pensava ad una dittatura momentanea, come ai tempi dei romani. E non dimentichiamo che, a differenza di Gentile, Croce non fu interventista; era e restava giolittiano. Poi, dal ’25 in avanti, avversò il fascismo, chiamò a raccolta gli intellettuali nel celebre manifesto, mantenne dignitoso dissenso, e pubblicò per quasi tutto il ventennio La Critica che fu una palestra di antifascismo. No, Croce non fu un «leccaculo» e nemmeno un voltagabbana.

E qui, infine, vorrei dire una cosa sugli intellettuali italiani. Li consideriamo opportunisti e vigliacchi, camaleonti e servili ma è giusto se ci riferiamo alle seconde file. I grandi intellettuali italiani del Novecento furono coerenti e pagarono di persona. Tralascio quanti combatterono o persero la vita nella prima guerra mondiale, interventisti intervenuti, ma dico Gentile e Gobetti, Gramsci e Martinetti, Rensi e Soffici, Bonaiuti e Ducati, Volpe e Marinetti o fra i più giovani Berto Ricci e Giaime Pintor. Alcuni furono uccisi, altri pagarono con l’emarginazione, l’esilio, la perdita delle loro cattedre. A differenza di altri intellettuali europei pusillanimi e defilati: penso ad esempio a Sartre o al grande Heidegger. Croce non patì per il suo antifascismo ma fu comunque sorvegliato e minacciato. Il vero errore degli intellettuali civili italiani fu che credettero alla coincidenza di cultura e politica, e così restarono prigionieri del loro sogno totalitario: dico Gentile, Gramsci, Gobetti. L’idea che cultura e politica coincidono fu la madre di tutte le più rovinose utopie e di quella brutta razza che fu l’intellettuale organico e asservito al potere.

Sciagurato è pure separare cultura e politica: più saggio è pensare alla loro continuità pur nell’autonomia delle sfere. Ma toglietevi il cappello quando parlate di loro, perché pagarono di persona le loro idee. E non confondeteli con la media, anzi con la marmaglia dei professori che giurarono per il regime e per le leggi razziali, pur essendo antifascisti, e poi saltarono il fosso. I mediocri galleggiano sempre, tra clan mafiosi e servitù; i grandi pagano la loro grandezza con la vita e la solitudine.