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COLLOQUIO TELEFONICO TRA MONTI E OBAMA: CHISSA’ SE MONTI HA RIFERITO A OBAMA CHE LO SPREAD IERI HA TOCCATO 450 PUNTI

Pubblicato il 16 maggio, 2012 in Economia, Politica, Politica estera | No Comments »

Mario Monti-Barack Obama (Washington, 9 febbraio 2012)

Colloquio telefonico tra il premier italiano e il capo della Casa Bianca in cui si è parlato della situazione economica in Europa e della necessità di intensificare gli sforzi per promuovere crescita e occupazione.

.….Lo riferisce l’ANSA questa mattina, naturalmente fornendo notizie diramate dall’ufficio stampa del premier italiano, lo stesso ufficio che, smentito clamorosamente, aveva dato notizia di un presunto ringraziamento di Obama a Monti qualche settimana fa, risultato falso. Comunque, quel che l’Ansa non riferisce è se Monti abbia riferito  a Obama  durante la telefonata che ieri lo spread tra i titoli di stato italiano e quelli tedeschi ha toccato i 450 punti, risalendo ai picchi dello scorso novembre in virtù dei quali fu chiamato in veste di salvatore della Patria. Sarebbe interessante sapere a chi abbia dato la colpa Monti di questa nuova impennata dello spread, ma c’è da giurare che secondo Monti  la colpa è dei mercati, mentre prima era di Berlusconi. g.

L’EUROPA SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI, di Mario Sechi

Pubblicato il 11 maggio, 2012 in Economia, Il territorio, Politica | No Comments »

L’Europa si sta giocando il suo futuro, la Germania la sua credibilità e forza, la Francia il suo ruolo di Paese dei Lumi, l’Italia la sua anima mediterranea, la Grecia la sua grandezza mitologica. Siamo a un passaggio decisivo della nostra storia. L’altro ieri a Bruxelles, al Parlamento europeo, ho avuto la netta sensazione che stiamo per attraversare il passo scosceso della rottura dell’Eurozona, che le forze irrazionali abbiano preso la guida della diligenza impazzita del Vecchio Continente. Corre verso il vuoto. Quando il presidente della Commissione Ue, il portoghese Josè Manuel Barroso, dice senza curarsi troppo del peso delle sue parole che «se la Grecia non rispetta i patti, allora è meglio che vada via dall’Euro», siamo allo scasso istituzionale. Il voto dei popoli per gli euroburocrati non conta niente. E invece no, caro Barroso, quel voto conta. Bisogna interpretarlo e trovare le soluzioni per un problema che l’Europa – insieme alla classe politica greca – ha creato. Non riconoscerò mai un’Unine che affama i bambini greci. E siamo in tanti a pensarlo.

Nelle stesse ore in cui Barroso certificava il suo fallimento culturale, il presidente del Consiglio Mario Monti scriveva una lettera al capo dello Stato Giorgio Napolitano in cui ribadiva la «determinazione nella realizzazione del mandato che Lei ci ha affidato». Caro Monti, vuole farci la grazia di chiarirci qual è il mandato in questo scenario? L’Unione Europea si sta sfracellando sul muro di titanio eretto dalla Germania, noi che facciamo? Stiamo a guardare il dito della cancelliera Merkel che indica la luna o ascoltiamo l’urlo di disperazione che si sta alzando dalla parte produttiva del Paese? Fin dal suo insediamento il governo ha sciorinato analisi sulla crisi – tra l’altro, con non pochi punti di riferimento sbagliati e un’insufficiente conoscenza dell’operatività reale dei mercati finanziari – ma le soluzioni, quelle che hanno il dovere di fornire i governanti, sono state tutte improntate al torchio fiscale. Se escludiamo la riforma previdenziale, il resto, con tutto il rispetto, è tutto loden e tasse.Nel frattempo l’Europa sta saltando per aria e il rischio di un breakup dell’Eurozona è sempre più vicino. Due euro. Quando la scorsa estate pubblicammo sul nostro giornale i primi scenari sull’Euro a due velocità, qualcuno ci prese per matti. Avevamo solo fatto le letture giuste. Ora ci siamo. I grandi uffici legali internazionali mettono nei loro contratti la clausola della doppia moneta, le banche d’affari sfornano studi sulle conseguenze economiche e tutti sembrano scoprire l’acqua calda. E si bruceranno. Mario Sechi, Il Tempo, 11/05/2012

.……………Il più patetico e il più ridicolo, fate voi!, in questo panorama da cataclisma finale è Mario Monti che impeterrito annuncia a Napolitano – perchè a Napolitano?, forse che il Parlamento italiano è stato sciolto?, forse che Napolitano ha poteri che la Costituzione non gli assegna?, forse che ci siamo trasformati, senza che nessuno lo sappia, in una Repubblica presidenziale?- che lui “andrà avanti nell’incarico ricevuto”. Se non ci trovassimo alla vigilia di una tragedia senza eguali ci metteremmo a ridere dinanzi a tanta tracontante insulsaggine di questo superincapace che di fronte alla sua constatata  ignoranza della realtà, per non dire che non riesce neppure a capire cosa stia succedendo, monta a cavallo e fa ancora il Napoleone, questa volta, però, di Waterloo, dove il “grand empereur”  trovò la sconfitta e l’oblio. Purtroppo, però, non si tratta della sconfitta di Monti e del suo immanente oblio, qui si gioca con i destini di un continente, e dei suoi popoli, dei suoi bambini. Scrive Sechi, ed ha ragione,  che non si può rimanere inerti dinanzi all’affamamento dei bambini greci, per effetto  di un revanscismo germanico che non è migliore di quello che produsse  la tragedia  della seconda guerra mondiale, e, dopo, dei bambini, compresi quelli italiani,  dei popoli del vecchio continente che non può finire stritolato dalle logiche affaristiche e finanziarie delle banche che fanno perno sui “nein” della Germania per arricchirsi a danno dei popoli. A parte, poi, che una volta arricchiti non saprebbero che farsene della ricchezza in un continente desertificato. g.

LA TECNOCRAZIA NON E’ DEMOCRAZIA

Pubblicato il 10 maggio, 2012 in Economia, Politica, Politica estera | No Comments »

Le note dell’intervento tenuto ieri a Bruxelles da Mario Sechi, direttore de Il Tempo,  al convegno del Parlamento europeo “Quale futuro per l’Europa”.

Europa Il tema di cui discutiamo è la sovranità. Ma le elezioni presidenziali in Francia e quelle in Grecia segnalano un’inversione di tendenza: siamo tornati alle nazioni. Come reazione alla politica europea che non è condivisa dai popoli. A Parigi si è votato pour la France e contre l’Allemagne, ad Atene hanno vinto i partiti «no Euro», «no Bruxelles», «no Bce», tutto ciò che era ed è l’Europa di cui stiamo parlando qui, nel Parlamento. Ho ascoltato con grande attenzione le parole di Cohn Bendit, e devo dire che condivido il fondo della sua analisi: c’è una perdita di democrazia, rispetto ai dogmatismi contabili e agli accordi dei governi, i Parlamenti contano sempre meno. Ecco perché le elezioni nazionali hanno avuto come argomenti principali l’Europa e i suoi mali. Ma in quale scenario si sta svolgendo questo dibattito? Cari amici, sull’agenda ci sono almeno quattro parole chiave: 1. Lavoro: secondo gli ultimi dati del fondo monetario internazionale nel mondo industrializzato ci sono duecento milioni di uomini e donne in cerca di occupazione. Duecento milioni! Questa è una minaccia, un problema sociale che può sfociare in una guerra sociale. 2. Crescita: l’ho sentita evocare spesso nel Parlamento italiano e anche in questa sala più volte. È l’ultimo mantra di una politica che però non riesce a crearla. Sembra di vedere un veliero fantasma galleggiare in un mare morto. E mentre i governi cercano la crescita, la recessione sta distruggendo imprese, posti di lavoro, ma soprattutto speranza. Il fiscal compact che alcuni Parlamenti hanno approvato senza neppure leggerlo e altri non hanno nemmeno discusso ma dato per buono, è contro qualsiasi ipotesi di crescita, anzi è un ammazza-crescita. Verrebbe quasi da sospettare, ma lo facciamo solo per amore dell’analisi di scenario, che la Germania lo difenda così tanto perché in fondo consente ai tedeschi, attraverso il gioco degli spread, di finanziare il proprio sviluppo emettendo debito a bassissimo tasso d’interesse.

E scaricando il costo del debito sui Paesi più deboli e che resteranno tali finché non si sarà allentata la morsa fiscale e data loro una possibilità di sviluppo che non vuol dire uscire dal rigore, come si pensa a Berlino, ma aprire le porte a una nuova èra di investimenti. 3. Banche: anche ieri la prima pagina del Financial Times dava il titolo principale al salvataggio con soldi pubblici di Bankia, il terzo gruppo spagnolo per asset posseduti. Che sorpresa, ancora una volta i soldi dei contribuenti vengono utilizzati per salvare chi continua a fare finanza per la finanza, senza mai servire l’economia reale. Proprio ieri mentre viaggiavo verso Bruxelles stavo rileggendo i saggi politici di Orwell, ecco mi sembra di essere piombato in un romanzo orwelliano in cui il paradigma del «too big to fail» (troppo grande per fallire) non può essere applicato ai giganti della finanza, ma gli Stati e i loro popoli invece possono fallire. Per cui siamo al paradosso che le banche che hanno speculato sulla Grecia vanno salvate mentre lo Stato greco può fallire e il suo popolo essere affamato. È questa l’Unione europea che sognavate? È questa l’Europa che volevano costruire Spinelli, Schuman e i padri fondatori? Secondo un rapporto dell’Unicef in Grecia 450 mila bambini sono sulla soglia della fame. È una vergogna e non smetterò mai di scriverlo e dirlo in pubblico. Certamente questa non può essere la mia Europa. Risolvere il problema della Grecia qualche anno fa sarebbe costato solo 50 miliardi, ma si è preferito attendere perché la finanza non voleva perdere un euro e il risultato è tutto nella drammaticità di queste ore. La Grecia non ha ancora un governo, in Parlamento sono arrivati i partiti estremisti, Atene rischia di tornare a votare senza risolvere i suoi problemi, il default è un rischio concreto, il ritorno alla dracma per un popolo esasperato è diventato una speranza, e l’Eurozona rischia il break up, la rottura. Che cosa succede se si realizza lo scenario previsto da uno studio dell’università di Cardiff per cui arriviamo al doppio euro? Chi lo gestisce? Cosa succede? Quali saranno le conseguenze? Lo sanno tutti che i contratti delle grandi corporation ormai prevedono clausole di salvaguardia nel caso in Europa dovesse rompersi l’Eurozona. Gli studi legali internazionali già prendono contromisure, le mettono nero su bianco, preparano la diga in caso del diluvio. E i governi europei che fanno? E il Parlamento che fa contro la cattiva finanza? Non c’è neppure un ombrello in caso di pioggia. Ripeto, banche e cattiva finanza questo è il problema, l’origine della crisi che parte nel 2008 con i mutui subprime in America e si propaga come un virus in tutto il mondo. È ora che anche le banche prendano atto che possono fallire, non si salva la finanza che lavora solo per la finanza. Deve essere chiaro una volta per tutte, bisogna finirla con questa mistificazione e manipolazione del linguaggio e mi appello a tutti i giornalisti affinché raccontino quel che sta accadendo: l’Europa è in pericolo, grave pericolo. 4. Democrazia versus Tecnocrazia: è questo il nocciolo del problema occidentale, ma in particolare europeo. La discussione sul funzionamento istituzionale dell’Unione a cui ho assistito dimostra che bisogna ripensare il rapporto tra organi rappresentativi, eletti e soprattutto elettori. Il mio Paese, l’Italia, è una metafora di questo problema. La tecnocratica way of life italiana è interessante nei suoi esiti perché avete qui davanti un signore che ha sostenuto il governo Monti, pensa che non vi sia alternativa, ha salutato con favore l’uscita del governo Berlusconi, ma alcuni mesi dopo deve prendere atto della realtà. La ricetta dettata dalla Bce e da Bruxelles ha dei limiti enormi: quando un Paese in recessione viene sottoposto a una cura fiscale eccessiva – siamo ben oltre il 45% di prelievo – non occorre essere laureato in economia a Princeton per capire che il risultato è quello di produrre ancora più recessione, distruzione di posti di lavoro e turbolenza sociale. E anche in Italia le ultime elezioni hanno confermato la tendenza europea al «no euro», «no Bce» «no Bruxelles». È un fiume carsico pericoloso, perché ripeto, sono tornate le nazioni e invece c’è bisogno di un’Europa che funzioni. Non è possibile vedere uno scenario in cui la France è contre l’Allemagne, Atene brucia e Berlino irride, l’Italia si dibatte in una ricetta suicida e intanto nel mondo circolano trecento trilioni di dollari di titoli derivati, vera spazzatura, senza alcuna copertura fondamentale, una bomba atomica sulla quale siamo seduti, dieci volte la ricchezza mondiale, e nessuno fa niente. Cari amici del Parlamento europeo, dov’è la soluzione per la cattiva finanza? Non la vedo. Ma abbiamo accettato che le banche non possono fallire e gli Stati sì. Io non so se l’Italia riuscirà a salvarsi o meno da questa crisi profonda e drammatica. Ma di una cosa sono certo: senza l’Italia non ci sarà mai l’Europa. Da Il Tempo, 10 maggio 2012

IMU E’ UNA TASSA RAPINA: LA LEGA PORTABANDIERA DELLA DISOBBEDIENZA CIVILE

Pubblicato il 28 aprile, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Imu 'tassa rapina', Lega fa disobbedienza civile

ROMA – La Lega Nord carica a testa bassa sulle tasse e lancia la ‘rivolta fiscale’ contro l’Imu, facendo leva sui sindaci del Carroccio. L’iniziativa che sara’ promossa martedi’ prossimo, e’ stata spiegata da Roberto Maroni, in una piena giornata di campagna elettorale in vista delle amministrative di domenica 6 maggio. Anche il segretario del Pdl Angelino Alfano incalza il governo sulla necessita’ di abbassare le tasse, e preannuncia una proposta di legge del Pdl per compensare i crediti delle imprese verso lo Stato con un eguale taglio delle imposte. Il Pd, con toni meno bataglieri, chiede comunque al governo di dare ”un segnale” a famiglie e imprese prima delle scadenze di giugno. La ”rivolta fiscale” contro l’Imu e’ stata spiegata da Roberto Maroni. La lancera’ marted a Zanica (Bergamo), in occasione del ‘Lega Unita Day’, il secondo raduno per esorcizzare lo spettro degli scandali che hanno toccato il partito. ”Promuoveremo – ha detto l’ex ministro dell’Interno – la disobbedienza civile e l’opposizione fiscale, in modo da non mettere nei pasticci i cittadini”. ”Coinvolgeremo i nostri oltre 500 sindaci – ha aggiunto Maroni – perche’ diano copertura a chi aderira’ alla nostra iniziativa. La gente non deve scendere in piazza, ma deve fare obiezione fiscale. Allora si’ che saltera’ il banco”. Maroni spera di intercettare la rabbia di tutti i sindaci, che il 24 maggio hanno in programma una manifestazione promossa dall’Anci. I primi cittadini sono arrabbiati, come ha spiegato oggi Giuliano Pisapia, perche’ essi devono far pagare l’Imu ai cittadini ma l’imposta andra’ tutta nelle casse dello Stato, mentre quelle dei comuni sono davvero in crisi. Addirittura Pisapia ha aperto alla possibilita’ di convergenze tra sindaci e Lega: ”Se ci sono, su battaglie giuste, possibilita’ di unita’ di intenti e di azione credo sia dovere di un amministratore perseguirle”. E Piasapia ha convenuto pure sulla giustezza di un’altra proposta di Maroni, quella che i comuni disdicano il contratto con Equitalia per la riscossione delle imposte comunali: Cosa prevista, peraltro, dal decreto sviluppo del 2011 e mai attuata dai sindaci per la difficolta’ di riscuotere in proprio. Tant’e’ vero che Piasapia ha escluso che Milano lo faccia. ”Vadano avanti i piccoli comuni” ha detto. E sull’Imu e sulla eccessiva pressione fiscale ha battuto anche il segretario del Pdl Angelino Alfano, impegnato nel difficile equilibrio di tenere aperto un filo con la Lega, sostenere il governo Monti e arginare la spinta degli ex An per le urne anticipate (”non abbiamo nessun problema con gli amici che provengono d An” ha pero’ assicurato). Alfano, rivolgendosi al governo Monti, ha detto che ”la prima misura per la crescita” e’ abbassare le tasse, la prima delle quali e’ proprio l’Imu, che andrebbe ”alleggerita” grazie al taglio delle spese inutili. Sulle troppe tasse ha convenuto il neopresidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ”Il nostro Paese e’ pi— che sufficientemente tartassato” con una pressione fiscale che ”e’ a un livello che non e’ pi— ragionevole”. Alfano ha pure annunciato che il Pdl presentera’ una proposta di legge che preveda ”la possibilita’ per gli imprenditori che vantano crediti verso lo Sato di non pagare le tasse fino all’ammontare del loro credito”. Proposta gia’ presentata come emendamento a diversi ddl del governo e sempre respinta dell’esecutivo, che ha debiti per 70 miliardi verso le imprese. Questa proposta, come le parole sull’Imu, hanno suscitato la reazione positiva degli imprenditori, con Confedilizia che ha chiesto ad Alfano di passare dalle parole ai fatti, ”impedendo che nell’ambito del ddl lavoro, si porti dall’85% al 95% la tassazione sui canoni d’affitto’. Fonte ANSA, 28 aprile 2012

……………..L’iniziativa della Lega dovrebbe diventare iniziativa di tutti i partiti contro la sfacciata indiffenrenza del governo dei cosiddetti tecnici (ma quali tecnici? La Fornero oggi ha fornito una ulteriore prova della sua incompetneza: dopo aver tanto blaterato sull’art. 18, ha dichairato, compunta, che l’art. 18 non è stato smantellato, ma solo ampliato…) rispetto alla strangolante pressione fiscale che ogni giorno si arricchisce di nuovi, aberrabnti capitoli. Quanto ad Alfano e alla sua intenzione di presentare una proposta di legge mirata a consentire agli imprednitori in credito con il fisco di non pagare le tasse sino alla concorrenza del credito vantanto, gli facciamo presente che in attesa che il disegno di elgge diviene legge, gli imprenditori fanno in tempo, bene che gli vada, a vedersi espropriati delle loro proprietà dalla vorac Equitalia e se gli va male a spararsi un colpo di pistola. Se davvero vuol fare   quel che dice, Alfano deve imporre al governo un decreto legge , immediatamente efficace, da convertire in legge in 60 giorni. Altrimenti è una presa per i fondelli e gli imprenditori che sono cittadini contribuenti più espsoti degli altri ne hanno già subite tante. g.

DA MAGGIO BOLLETTA ENEL PIU’ CARA DEL 4,3%, ULTIMO REGALO DELLA CURA MONTI

Pubblicato il 27 aprile, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Authority: bolletta dell'elettricità più cara da maggio, +4,3%
Aumenta il costo dell’elettricità da maggio, con un rincaro della bolletta del 4,3%. Lo comunica l’Autorità per l’energia, affermando che per la famiglia tipo ci sarà una maggiore spesa di altri 21,44 euro su base annua. L’Authority ha approvato infatti l’adeguamento della componente tariffaria a copertura dei costi per gli incentivi diretti alle fonti rinnovabili e assimilate (la componente A3 degli oneri generali di sistema) per tutte le categorie di utenti. L’adeguamento è in linea con le stime indicate dall’Autorità il 30 marzo, quando ha approvato l’aggiornamento del secondo trimestre 2012 per le sole componenti legate alla materia prima, alle tariffe di rete e agli oneri di dispacciamento (+5,8%,), aggiungendo che a fine aprile sarebbe stato necessario un ulteriore aumento a copertura della componente A3 “per salvaguardare i diritti acquisiti agli incentivi”. Fonte Ansa, 27 aprile 2012

..….E’ l’ultimo regalo in ordine di tempo del governo del prof. Monti, professore di che non si sa, visto cxhe l’unica cosa che sa fare è aumentare a dismisura la presisone fiscale sui soliti noti, cioè sui contribuenti più esposti e più deboli, cioè lavoratori e pensionati e, sopratutto, le imprese che ormai sono al collasso. Solo questo signore non si rende conto che in questo modo uccide il Paese, e non lo aiuta di certo ad uscire dalla crisi. g.

LA MONETA CREATA E LA SCHIAVITU’ DEL DEBITO, di Gaimapaolo Rossi

Pubblicato il 26 aprile, 2012 in Economia | No Comments »

“Il tempo è denaro”. Lo scrisse, nel 1736, Benjamin Franklin, uno che del tempo fece un uso incredibilmente consapevole. Tra l’invenzione del parafulmine, un’ambasciata a Parigi e la stesura della Costituzione americana, l’inventore-patriota gettò, con quella frase, le fondamenta del nuovo spirito capitalista che avrebbe penetrato la civiltà moderna. Non a caso Max Weber, il  grande sociologo tedesco che indagò la natura del capitalismo, vide in questo padre dell’America, in questo puritano votato agli ideali massonici, una sorta di teorico di quell’etica basata “sull’acquisizione di denaro e sempre più denaro” in maniera quasi “trascendente e assolutamente irrazionale”. E’ raro che una frase riesca a presagire in maniera così chiara la trasformazione della società e dell’uomo. Forse solo il “Dio è morto!” di Nietzsche ha avuto la stessa forza profetica della frase di Franklin. E infatti, eclissi del sacro e dittatura del denaro, sono la trama finita del tempo in cui viviamo.
Franklin fu uno dei protagonisti della lotta d’indipendenza americana e fu strenuo sostenitore del diritto dei coloni a battere una propria moneta, svincolandosi dall’obbligo imposto dalla corona britannica (e dalla Banca d’Inghilterra) di effettuare i pagamenti in oro e argento. La Rivoluzione che portò alla nascita della più grande democrazia del mondo sarebbe nata da due fattori congiunti: eccesso di pressione fiscale e mancanza di sovranità monetaria. Chissà cosa avrebbe pensato lui dell’Euro. Di questa furbizia storica che ha portato ad un’Europa fatta da Stati senza moneta e da una moneta senza Stato.
Ma l’intuizione di Franklin ci consente di comprendere la natura perversa del modello economico in cui viviamo e della crisi che ci sta travolgendo.
Se il tempo è denaro, allora il denaro cos’è? La risposta è semplice: il denaro è tempo. Un tempo concepito come continua proiezione futura, una promessa all’interno dell’astratto meccanismo credito/debito. L’intero sistema capitalistico moderno si basa sul rapporto tra un credito puro e un debito infinito generati da una moneta creata dal nulla. Il denaro, non più legato ad alcun elemento di natura (per esempio l’oro), ha cessato di essere intermediario di scambi e strumento di circolazione di beni. Il capitalismo finanziario, generando la moneta dal nulla, ha trasformato il denaro in valore in sé proiettandolo in un tempo futuro.  Un gioco di prestigio che ha reso i banchieri moderni demiurghi delle nostre vite e dei nostri destini.
La moneta creata dal nulla (l’invenzione più importante della modernità) porta con sé un aspetto del tutto nuovo: il denaro che le banche centrali stampano e mettono in circolo è un debito per loro e un credito per chi lo possiede. Ma nello stesso tempo, acquisendo corso legale, quel debito è moneta, cioè pagamento. In altre parole, un debito che non potrà mai essere estinto se non per mezzo di altro debito (cioè altro denaro). Una magia che, come tutte le magie, genera un potere assoluto nelle mani di chi la detiene.
Quando banchieri, economisti e politici espressione delle potenti élite finanziarie ci dicono che la pesante pressione fiscale (da sempre strumento di limitazione della libertà individuale da parte dello Stato) e le manovre “lacrime e sangue”, sono un prezzo da pagare, un sacrificio momentaneo per riequilibrare i debiti sovrani e garantirci il futuro, mentono sapendo di mentire. Perché è proprio del nostro futuro che si stanno impossessando. Il sistema non consente che alcun debito venga estinto perché è su di esso e sulla promessa del pagamento che legittima la sua esistenza. Il debito è la nuova schiavitù cui sono sottomessi i popoli e le generazioni future. Dalla condizione di debitori non si esce (il cittadino nei confronti dello Stato, lo Stato nei confronti delle banche centrali, il cittadino nei confronti della sistema finanziario, il sistema finanziario verso se stesso).
Pochi giorni fa, il suicidio dell’architetto francese davanti all’ufficio delle imposte ha seguito i suicidi degli imprenditori italiani strozzati dalle banche e dal sistema del credito e del debito. L’Europa è attraversata da una disperazione collettiva che gli istituti di sondaggio non colgono e i media del grande potere nascondono. C’è solo una via di uscita: far saltare questo sistema. Ma servirebbe una politica in grado di recuperare la sua missione di governo del bene pubblico. Per ora la politica si è arresa. Dopo essersi barricata per oltre 30 anni nei suoi nascondigli parlamentari, è uscita a mani alzate scortata dagli sgherri del nuovo potere mondiale. Aspettiamo che torni a battere un colpo. Giampaolo Rossi, Il blog dell’Anarca, Il Borghese, aprile 2012

DECIDE IL POPOLO NON LA FINANZA

Pubblicato il 24 aprile, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Da sinistra il cancelliere Merkel e il premier Monti Lo scenario europeo dopo il primo turno presidenziale in Francia e la crisi del governo in Olanda è vulcanico: è iniziata un’ondata antieuropeista di cui non conosciamo gli esiti ma possiamo immaginare la rapida ascesa. Di fronte a questo fenomeno, dobbiamo chiederci che cosa succederà in Italia. I sintomi del malessere sono manifesti: recessione, tassazione record, divario Nord-Sud sempre più grande, larga disoccupazione tra i giovani e le donne. I rimedi sul piano della politica di governo per ora non ci sono. Preoccuparsi dello spread era ed è importante, ma poi si vive di lavoro. E su questo fronte non ci siamo. Monti l’altro ieri ha escluso un aumento della spesa pubblica in investimenti per stimolare la crescita. Niente ricetta keynesiana. Bene. Allora ne resta solo un’altra: il taglio della spesa improduttiva e l’abbassamento della pressione fiscale. È un punto sul quale insistiamo da sempre e siamo in buona compagnia. Lo hanno ribadito ieri sia la Corte dei Conti che Bankitalia. Il peso delle tasse su lavoratori e imprese deve scendere. A questo va aggiunto un altro punto chiave: le banche devono tornare a fare il loro mestiere, cioè prestare soldi a famiglie e aziende meritevoli di fiducia. Il denaro deve essere impiegato nell’economia reale e non nella finanza per la finanza. Senza queste misure, parlare di crescita è una presa in giro. Senza una risposta concreta, i partiti della protesta demagogica prenderanno il largo.Lo scenario italiano rischia di essere ben più grave di quello francese e olandese. Noi non abbiamo una destra identitaria come quella guidata da Marine Le Pen, il Belpaese presenta una Lega in fase di autodistruzione, un’Italia dei Valori che semina spesso livori, una sinistra altermondista con idee fuori dal mercato e, soprattutto, un movimento guidato da un comico, Beppe Grillo, accreditato dai sondaggi come una forza da tre milioni di voti. Questo scenario fumante ci dice che consegnare il Paese al caos è semplice: basta continuare a prendere ordini da Berlino e «fare i compiti a casa». Salvarlo non è impossibile: bisogna dire alla maestra Merkel che ha esagerato. E ricordarle che non comanda la finanza, ma i popoli. La politica può andare in letargo, ma prima o poi torna. E ruggisce. Mario Sechi, Il Tempo, 24 aprile 2012

.……………Non va detto solo alla Merkel, ma notificato anche al suo plenipotenziario italiano, cioè il prof. Monti, il quale o non capisce niente di economia o è agli ordini di una potenza straniera come al tempo delle spie. In un caso e nell’altro deve togliere le tende e poco male se questo significa andare al voto. Votare è una delle più determinanti ragion d’essere della democrazia e nulla può essere più essenziale del voto per un popolo che deve avere il diritto alla autodeterminazione. Interessatamente  i partiti che quattro mesi fa rinunciarono alle loro prerogative e nel contempo ai loro doveri per affidarsi nelle mani di un gruppo di disperati (non quelli dannunziani…) insigniti della legion d’onore del toccasana, ora continuano a ciurlare nel manico ma solo per ragioni di bottega. Le loro scelte non sono dettate dagli interessi generali ma solo dai propri e l’opzione del voto non è subordinata ai parametri degli interessi generali ma solo ai propri. Ecco perchè,  benchè sia chiaro a tutti che Monti e compagni sono solo dei volgarissimi dilettanti allo sbaraglio, addirittura peggiori dei pur tanto spregevoli politicanti che si aggirano per le stanze del potere, nessuno si decide a dar loro gli otto giorni, restituendoli alle loro attività e alle loro presunte competenze. Ma così facendo il quadro, nero, che disegna Sechi è destinato ad annerirsi sempre di più, con esiti e conseguenze indeterminabili nella loro concretezze e nella loro pericolosità. La responsabilità dei partiti in questo frangente è enorme e occorre che chi ha gli strumenti per  richiamarle agli occhi dei partiti e delle loro sconquassate classi dirigenti deve farlo, senza giri di parole ed eufemismi di qualisiasi genere. Si dica pane al pane e vino al vino, costringendoli a scendere degli olimpi sui quali si sono rinchiusi per confrontarsi sul terreno dei problemi quotidiani. Una cosa sopratutto va detta: la democrazia è scelta del popolo e assunzioone di responsabilità da parte dei prescelti. Il popolo voti e chi verrà scelto dovrà farsi carico delle decisioni necessarie. Compresa una. Notificare all’Europa, della Merkel come di chiunque altri, che o si fa l’Europa dei popoli e delle nazioni, o ciascuno per la propria strada. g.

LA CORTE DEI CONTI: LA RECESSIONE BRUCERA’ 37 MILIARDI: TAGLIARE LE TASSE PER FAVORIRE LA CRESCITA

Pubblicato il 23 aprile, 2012 in Economia | No Comments »

Il presidente Giampaolino in Parlamento: Corto circuito rigore-crescita, nel 2013 la recessione dissolverà la metà di quanto si guadagna dalle tasse

Monti, taglia le tasse ora  o perdiamo 37 miliardi

Un “corto circuito rigore-crescita”. E’ questo il nuovo allarme lanciato dalla Corte dei Conti, che stronca con decisione il Documento di economia e finanza appena licenziato dal governo per il biennio 2013-2015. Davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato il presidente Luigi Giampaolino ha sottolineato come il Def si concentri a centrare il pareggio di bilancio, ma in tempi troppo brevi per evitare effetti recessivi: “La ristrettezza dei margini temporali, imposti dalle intese europee complica infatti la realizzabilità di una strategia di politica economica nella quale si compongano le esigenze di riequilibrio del bilancio con quelle della ripresa economica, affidata alle riforme strutturali”. La conseguenza è semplice: “La politica di bilancio deve confrontarsi con un abbassamento, in parte inatteso, delle prospettive di crescita anche a livello internazionale”. In numeri, la traduzione fa tremare i polsi: nel solo 2013, l’effetto recessivo causato dall’azione del governo “dissolverebbe circa la metà dei 75 miliardi di correzione netta attribuiti alla manovra di riequilibrio”. La soluzione, per Giampaolino, è una e semplice: “Riconsiderare drasticamente” alcune voci di spesa pubblica. E’ la tanto decantata spending review mai partita veramente. E nel mirino della Corte dei Conti ci finiscono “tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza”. Libero, 23 aprile 2012

……………Ma Monti è troppo borioso per ammettere che la sua cura è peggiore del male e che per curare l’ammalato non lo si può imbottire di medicinali che producono effetti collaterali estremamente depressivi. Il problema è che quelli che lo hanno “chiamato”  a loro volta non vogliono ammettere diaver preso un abbaglio, perchè in tal modo mostrerebbeo al Paese che sono incapaci anche di individuare gli strumenti giusti per uscire dalla crisi. E’ il classico cane che si morde la coda. Solo che a pagare il conto non è nè il cane nè la coda, ma naoialtri, i contribuenti. g.

PER FAVORIRE LA CRESCITA SERVE IL TAGLIO DELLE TASSE: LO DICE IL VICE DIRETTORE DI BANKITALIA

Pubblicato il 23 aprile, 2012 in Economia | No Comments »

Per ritrovare la crescita dell’economia italiana, che “é l’obiettivo principale”, “bisognerà trovare il modo di ridurre la pressione fiscale” su lavoratori e imprese. E’ quanto afferma il vice direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi, secondo cui l’elevata pressione mette a repentaglio la crescita.

Rossi, rispondendo alle domande di alcuni parlamentari in una audizione alla Camera, ha ricordato come “la pressione fiscale sia molto alta in Italia sia nel confronto storico che internazionale”, è una “situazione che mette a repentaglio il rilancio della crescita che rappresenta l’obiettivo principale che noi dobbiamo porci”. Per Rossi, infatti, si tratta “dell’obiettivo nazionale interrompere un lungo periodo crescita bassa e stagnazione”. “E’ indubbio – conclude – che per cogliere l’obiettivo bisognerà trovare il modo di ridurre la pressione fiscale, e in modo particolare le aliquote legali” su lavoratori e imprese. ANSA, 23 aprile 2012

LE ELEZIONI FRANCESCI UNA SBERLA ALL’EUROPA DI MONTI

Pubblicato il 23 aprile, 2012 in Economia, Politica, Politica estera | No Comments »

Prima di una vittoria del socialista Hollande, prima di ogni altra cosa, il primo turno delle presidenziali in Francia è un pugno all’Europa. Parigi scrive a Bruxelles e ai suoi tecnocrati che spadroneggiano decidendo chi e come deve governare, urlano contro la Merkel che ha imposto a tutti la sua linea tedesco-centrica.

Il grande sconfitto al primo turno francese. Alsecondo andrà KO.

Basta. Lo dicono i numeri di Marine Le Pen, che da antieuropeista convinta sfiora il 20%; lo dice il successo di tappa di Hollande che promette di riscrivere tutte le regole europee; lo dice persino il recupero di Sarkozy che non crolla, guardacaso, dopo aver garantito che cambierà alcune cose del suo rapporto con la Germania. La Francia straccia la foto simbolo degli ultimi tempi: quella di Sarkò che ride beffardo dell’Italia guardando la Merkel. Boccia quella supponenza, quel senso di superiorità, quella voglia di imporre a chiunque le decisioni di un duopolio che ha condizionato tutto e tutti, a cominciare dall’imposizione dei tecnici al governo in Grecia e soprattutto in Italia. È una sconfitta dell’Europa dei Monti, questa. Uno schiaffo alle logiche e alle strategie che da Bruxelles, passando per Berlino e Parigi, hanno portato a Palazzo Chigi i professori.

Sarkozy perde il primo turno con un avversario che non aveva mai vinto prima d’ora, che ha persino faticato a prendersi la leadership del suo partito. È una sconfitta contenuta nei numeri e che lascia la possibilità di recupero, ma resta una sconfitta pesante, perché impone a Sarkò di cambiare per provare a rimanere all’Eliseo: la Francia dice al suo presidente di non credere a quel che è oggi. Cioè un capetto, uno partito liberale e diventato statalista per opportunismo, uno che ha imposto i propri interessi al resto del continente, ovviamente partendo da noi italiani. La Francia racconta che non si può partire per essere il nuovo Reagan e finire diventando peggio di Monti. Meno Bruxelles e più Parigi, dicono le urne: se vuol vincere, Sarkò deve prendere i voti della Le Pen, quindi della più acerrima nemica dell’europeismo. Non vogliono, i francesi come molti altri, la politica fatta dai commissari, da vigili urbani che la gestiscono solo seguendo rigidamente le norme. Fare i professori non paga, evidentemente. Siano tecnici o politici a farlo. Parigi è un avvertimento per se stessa e poi anche per il resto d’Europa. Qualcuno lo capirà anche in Italia. Il Giornale, 23 aprile 2012

.….Di certo lo hanno capito i mercati che stanno affondando le borse europee e in primo luogo quella di Milano, mentre si allarga la distanza tra i btp italiani e i bund tedeschi che tocca i 410 punti. Sinora nessun commento nè di Monti nè dei suoi ciarlieri ministri, salvo il vice di Monti all’economia, Grilli, che ha assicurato che non ci sarà nessuna nuova manovra con nuove tasse. Il che può esser certo solo  se questi ministri e viceministri, tutti ex super burocrati  che hanno spadroneggiato durante tutti i governi degli ultimi 20 anni senza mai fiatare sulle scorribande governative all’intenro delle saccheggiate casse dello stato, quanto prima tolgono il disturbo. g.