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COSI’ LA TASSA MONTI SI DIVORA GLI STIPENDI, di Antonio Signorini

Pubblicato il 27 marzo, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Con la busta paga arriva la tassa Monti. Anzi, la prima tranche della stretta fiscale del governo tecnico, al momento l’unico vero contributo dell’esecutivo al risanamento dei conti italiani, insieme alla riforma previdenziale.

Stipendi e pensioni ridotti in primavera, per effetto dell’aumento delle imposte regionali, in attesa del salasso estivo che sarà ben più pesante e colpirà i proprietari di immobili: la nuova Imu, scadenza metà giugno. Di fatto, una patrimoniale che colpirà la maggioranza degli italiani. Poi ci sarà quello autunnale: l’aumento dell’Iva di due punti oppure, in alternativa, un taglio alle agevolazioni fiscali. Unica certezza, al momento, il fatto che dal primo ottobre il governo andrà a caccia di 13 miliardi di euro.
La prima stagione è appunto quella che inizia oggi. Riguarda l’Irpef, che crescerà in tutta Italia dello 0,33%, dallo 0,9% all’1,23%. Il Caf nazionale della Cisl, ha sommato questi aumenti – che sono certi e uguali in tutto il Paese – all’aumento medio delle addizionali comunali, che invece cambia da città a città. In media lo 0,2% in più. Questo, per effetto dell’ultima manovra varata dal governo di centrodestra. In tutto un aumento di mezzo punto percentuale della pressione fiscale, che non è tanto, ma abbastanza da farsi sentire. In particolare sui redditi di poco superiori alla soglia di esenzione: 7.700 euro all’anno. Si passa dai 51 euro in media in meno per i pensionati da 1.200 euro al mese ai 73 euro per chi ne guadagna 1.700 fino ai 137 per gli stipendi che superano i 3mila euro e i 250 per chi ne guadagna quasi seimila.

L’aumento delle addizionali è una compensazione alle autonomie locali per i vari tagli ai trasferimenti subiti negli ultimi anni. Ma l’obiettivo non sarà centrato, visto che, osservava ieri la Cgia di Mestre, nonostante «l’aumento della tassazione locale stabilita dal governo Monti, Regioni e Comuni rimarranno con la bocca asciutta». Il maggior gettito per le Regioni è pari a 2,2 miliardi di euro. Ma contemporaneamente, alle Regioni verranno tagliati 2,2 miliardi di trasferimenti al Fondo sanitario. Pertanto, per i governatori, il saldo sarà pari a zero, per i contribuenti è negativo: più imposte in cambio di nessun servizio.
Il mese nero del fisco sarà comunque giugno, quando scatterà la nuova Imu, che sostituisce l’Ici e altri tributi. La maggioranza dei comuni deve ancora fissare l’asticella, ma qualche giorno fa il Sole24ore ha sondato le intenzioni delle giunte, scoprendo che saranno in molte ad applicare l’aliquota massima consentita: il 10,6 per mille. Il risultato è che in alcuni casi ci saranno imposte triplicate rispetto alla vecchia Ici. Per 100 metri quadri a Milano, da zero a 352 euro per la prima casa, da 431 a 1.325 per una seconda casa in affitto, da 879 a 1.325 per una seconda casa vuota. Un paradosso che penalizza chi ha un affitto in chiaro, quindi i non evasori. E penalizza persino – ha evidenziato lo Spi Cgil – gli anziani che si trovano negli istituti di cura, la cui abitazione, con il trasferimento della residenza, diventa seconda casa. Una stangata media di 1.700 euro per circa 300mila anziani, stima il sindacato. Le detrazioni previste per la nuova imposta (200 euro più altri 50 per ogni figlio fino a un massimo di 400 euro) attenueranno appena il salasso.
Nessuno verrà risparmiato dall’aumento dell’Iva, che colpirà beni e servizi dal prossimo ottobre. L’ipotesi è di un aumento di quella ordinaria dal 21 al 23% e di quella agevolata dal 10 al 12%.

L’aumento di un punto era già previsto dalla manovra Tremonti in caso di mancato riordino delle agevolazioni fiscali – assistenziali (una giungla che vale 160 miliardi all’anno e comprende veri sgravi per chi ne ha bisogno, favori ad personam e oboli elettorali accumulati in 64 anni). Monti ci ha aggiunto un altro punto, ma forse solo per tornare, prima di ottobre, alla versione originale e dare ai contribuenti un sollievo parziale. Mezza stangata è meglio di una intera. Il Giornale, 27 marzo 2012

…………Intanto che sugli italiani si abbatte la stangata fiscale con cui Monti non ha neppure minimamente ridotto il debito pubblico che ormai sfiora i 2000 miliardi e non ha minimamente intaccato la spesa pubblica, vertiginosa e improduttiva che di certo non ri riduce con la modifica dell’art. 18, Monti da Seul dichiara con la sua aria lugubre da becchino più che da sacerdote: così è se vi pare, altrimenti me ne vado. Che si sia immedesimato nella aprte del caudillo ci sembra abbastanza evidente ma che possa ritenersi al di sopra di tutto, anche del Parlamento, ci sembra davvero troppo. Abbiamo le nostrre idee circa la riforma del lavoro ma non può pretendersi che il Parlamento non dica la sua in proposito. Altrimenti perchè rimane in carica? Solo per vedere sbocciare gli amori trasversali tra una deputata pdiellina e un hombre pieddino? Un pò poco per giustificare i quattrini che costano un migliaio di persone che se abbracciassimo le tesi del nuovo zar Mario – che accoèppiuata con l’imperatore Giorgio! -  non servono a nulla, salvo che a riscaldare la sedia. g.

P.S. Da Seul,  l’agguerrito ufficio stampa di Monti, che non è   da meno di quelli dei suoi predecessori quanto a componenti e costi,  ha fatto sapere che il premier cinese avrebbe detto a Monti che avrebbe invitato i cinesi ad investire in Italia. E che novità è questa? Sono decine le città, ad incominciare da Roma e dal popoloso e centralissimo quartiere Esquilino che sono nelle nelle mani di spregiudicati imprenditori cinesi che fanno concorrenza spietata agli italiani che o se ne vanno o finiscono nelle loro grinfie.

NONNI AL GOVERNO, MA NON IN FARMACIA, di Vittorio Feltri

Pubblicato il 26 marzo, 2012 in Costume, Economia, Politica | No Comments »

A volte nelle redazioni dei giornali arrivano notizie talmente assurde da essere scartate per manifesta infondatezza. Un paio di giorni fa, per esempio, abbiamo appreso che il governo ha approvato una norma secondo la quale il proprietario di una farmacia privata, compiuti i 65 anni di età, deve cedere il bastone – la responsabilità della conduzione e della gestione – a un collega meno anziano, che assuma la qualifica e lo stipendio di direttore.

Il titolare da quel momento non è più padrone in casa sua, lo obbligano a rassegnarsi al ruolo marginale di aiutante, viene espropriato della propria professionalità. Confessiamo di non avere creduto ai nostri occhi, e non abbiamo pubblicato una sola riga perché eravamo persuasi fosse una bufala o, per dirla alla romana, una sòla . Ci sembrava impossibile che il governo avesse approvato una legge tanto cretina. E invece, cari lettori, dobbiamo fare ammenda: è vero, trattasi di legge cretina, ma è altrettanto vero che è entrata in vigore. Immaginiamo il vostro stupore: è anche il nostro.

Si dà il caso che i professori abbiano riformato in fretta e furia il sistema pensionistico, imponendo ai lavoratori italiani di ritirarsi in quiescenza a 67 anni, per ora, poi a 70, ma- per motivi oscuri, forse razzistici- con una stravagante deroga: i proprietari di farmacia a 65 anni sono costretti a farsi da parte. Perché? Perché sì. Lo hanno deciso i bocconiani in un momento di malessere (mentale?). Diciamo questo giacché vogliamo concedere loro un’attenuante: può succedere, quando si è affaticati, di pensare un’idiozia e di realizzarla.Poco male. Basta riparare al volo.

Il provvedimento in questione non solo è insensato, quindi illogico, ma segna una svolta pericolosa nelle professioni di qualsiasi tipo. Se si afferma il principio che uno a 65 anni è rincoglionito e non in grado di vendere le supposte, ci domandiamo perché un uomo e una donna di quell’età possano, viceversa, fare il presidente del Consiglio dei ministri. In altri termini: se il titolare sessantacinquenne di farmacia è considerato inabile a comandare nel proprio negozio, per la medesima ragione (di presunto rincoglionimento) Mario Monti, 69 anni, va considerato inabile a svolgere i compiti del premier, per cui faccia la cortesia di togliersi dai piedi e di nominare un sostituto più giovane di lui che offra garanzie di maggiore equilibrio.

È una bestemmia? Nossignori. Poiché tutti i cittadini italiani sono uguali davanti alla legge, non si capisce perché un premier debba essere più uguale di un farmacista. Evidentemente l’esecutivo ha commesso un errore, causa distrazione, vogliamo pensare, altrimenti si richiederebbe l’intervento immediato non diciamo dei carabinieri, ma almeno degli infermieri. Tra l’altro… Tra l’altro (scusate,ma ci viene da ridere) abbiamo un presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che i 65 anni li ha superati da oltre un ventennio, eppure è capo dello Stato.

Monti non ci vorrà mica convincere che sia più difficile mandare avanti una farmacia che non il Quirinale? E che sia un lavoro più delicatosmerciarecompresseesciroppi che non quello di guidare il Paese? L’Italia, poi, è notoriamente una gerontocrazia: i chirurghi a 80 anni hanno facoltà di operare, gli avvocati di difendere, gli architetti e gli ingegneri di progettare, i consigli di amministrazione di banche e grandi aziende sono pieni zeppi di nonni e bisnonni, in ogni settore sono i vecchi a menare il torrone (suscitando l’invidia e il risentimento dei giovani) ma chissà perché in farmacia – quand’anche sia tua – non hai il diritto di esercitare il mestiere se sei entrato nel sessantaseiesimo anno di vita.

Che obbrobrio di legge è mai questa? Cancellatela in fretta o saremo autorizzati a spernacchiarvi da qui all’eternità. Vittorio Feltri, Il Giornale, 26 marzo 2012

………….Pare che la ministro Fornero dopo aver letto l’articolo di Feltri abbia dichiarato che la norma  dei farmacisti 65enni fuori dai banconi deve restare così com’è perchè ne va di mezzo il prestigio dei professori che anche quando fanno cazzate devono avere   ragione. E poi dicono che quello che aveva sempre ragione era Mussolini. Mica vero. Ora ci sono loro, i professori (anche a farci rimpiangere il bel tempo andato, quando  si stava meglio anche se si stava peggio). g.

LA PROSSIMA STANGATA SUGLI STIPENDI E SULLE PENSIONI: LE ADDIZIONALI IRPEF REGIONALI E COMUNALI

Pubblicato il 26 marzo, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Non sarà un salasso, ma poco ci manca. I lavoratori e i pensionati italiani troveranno una brutta sorpresa nella prossima busta paga. L’assegno di marzo sarà più leggero. Fanno eccezione soltanto i redditi bassissimi, sotto i 7.700 euro di pensione o di 8.000 euro di redditi da lavoro.

Pagamento delle tasse

Pagamento delle tasse
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Per tutti gli altri il nuovo balzello oscillerà tra i 51 euro per chi guadagna 1.200 euro lordi al mese e i 137 per chi ha un reddito di 3.200 euro. Come se non bastassero i continui rincari sui prezzi dei beni comuni, guidati dall’impennata della benzina, che viaggia inesorabilmente verso i 2 euro al litro, adesso i cittadini dovranno infatti fare i conti anche con lo sblocco delle addizionali regionali e comunali.

Irpef regionale: stangatina per tutti

L’aumento del prelievo, che scatterà sulle addizionali regionali, sarà dello 0,33 per cento con un effetto che varierà dai 51 euro per un salario da 1.200 euro al mese ai 137 per uno stipendio da 3.200 euro per l’Irpef Regionale. Pagheranno, invece, 73 euro i contribuenti con 1.700 euro di stipendio e 94 euro quelli che con una busta paga mensile di 2.200 euro.

Irpef comunale (per chi ha deliberato)

Resta ancora aperta l’incognita dell’Irpef comunale. In questo caso l’aumento verrà deciso dalle singole amministrazioni comunali che, se non lo hanno ancora deliberato, farà scattare l’eventuale aumento solo dopo. Qualche Comune ha però già deciso di utilizzare questa leva per aumentare i propri introiti tanto che, in questo caso, l’impatto annuale sulle buste paga potrà salire – è il caso di Chieti – fino a a 193 euro.

Pochi i Comuni che hanno già deliberato

Fortunatamente i Comuni che hanno deliberato aumenti allo stato non sono molti. La manovra di Ferragosto firmata dall’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha riconosciuto ai Comuni la possibilità di deliberare, a partire dal 2012, aumenti dell’addizionale comunale fino a raggiungere un’aliquota massima complessiva pari allo 0,8%, possibilità che era stata “congelata” nel 2008 dallo stesso Tremonti. Ma nei casi in cui l’aumento sia già stato deliberato il conto arriverà martedì prossimo (altrimenti scatterà successivamente): si andrà, ad esempio, da un aumento (comunale) di 47 euro a Catanzaro (+51 euro per l’addizionale regionale, in tutto 98 euro in più) per un pensionato o lavoratore dipendente con 1.200 euro mensili (lordi) fino ad arrivare ai 193 euro di un pensionato o dipendente con 3.200 euro lordi mensili di Chieti (+137 euro di addizionale regionale e 56 euro per quella comunale). Insomma non un vero e proprio salasso ma una mini-stangata che si aggiungerà a tutte le altre in attesa del temuto arrivo dell’Imu a giugno e del “temutissimo” rincaro di due punti delle aliquota Iva da ottobre prossimo, anche se in quest’ultimo caso il Governo sembra stia cercando vie alternative.

Niente prelievo per i redditi bassissimi

Ad essere salvaguardati saranno solo i pensionati e i dipendenti con i redditi più bassi perché hanno salari talmente sottili da non dover pagare nemmeno l’Irpef principale. In particolare non dovranno alcuna addizionale i pensionati fino a 75 anni che guadagnano fino a 7.535 euro l’anno e quelli oltre 75 anni che guadagnano fino a 7.785 euro. I lavoratori, invece, saranno esenti fino a 8.030 euro.

Imu e Iva: stangate in arrivo

Il vero salasso per le tasche degli italiani arriverà a giugno con l’Imu. La nuova imposta municipale è una nuova Ici che si pagherà anche sulle prime case e che sarà ancora più alta sulle seconde. La chiamata alla cassa, per il debutto di questa nuova tassa, è per il 20 di giugno. Ad ottobre, poi, è in arrivo l’aumento dell’Iva dal 21 al 23 per cento. Introdotto come norma di “salvaguardia” per raggiungere il pareggio di bilancio potrà essere sostituito da altre fonti di entrata come la riduzione delle agevolazioni o il taglio delle spese con la spending review. Il Giornale, 26 marzo 2012

.………..Naturalmente il signor Monti, volato in Asia per dire ai presunti investitori di quelle parti che ora possono venire in Italia perchè è stato abolito l’art. 18, continua a sostenere che il suo governo è stato  “equo e rigoroso” e giusto che c’è anche solidale. Ma solo per se stesso e i suoi sodali.Come abbiamo già documentato le manovre del signor Monti le poteva fare un qualsiasi contabile, senza neppure l’ausilio di una calcolatrice a manovella d’altri tempi: si tratta solo di tasse e ancora tasse e solo tasse che incidono sulla vita della magigor aprte della gente, ma quella che vive del modesto reddito mensile ogni giorno di più ipotecato dagli esosi agenti del fisco e sottoposto ad ogni forma di pressione fiscale, diretta ed indiretta. Ma Monti, sfidando il ridicolo, si ostina a considerarsi un unto del Signore, mandato sulla  Terra per mettere a posto gli italiani la cui unica responsabilità è stata quella di aver affidato il Paese ad una calsse dirigeente inadeguata e spoesso criminale, la stessa che ora ha affidato a Monti il compito di “fare il cattivo” facendogli credere di essere il nuovo “uomo della Provvidenza”. g.

IL GOVERNO DEL SUPERMONTI LO CONFESSA: MACCHE’ TAGLI, SOLO TASSE

Pubblicato il 25 marzo, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Il governo ora lo confessa: macchè tagli, solo tasse

Doveva essere un paracadute d’emergenza, è diventata la strada maestra. I mesi passano e la possibilità che l’aumento dell’Iva di due punti percentuali previsto per ottobre riesca ad essere neutralizzato si fa sempre più sottile. Praticamente inesistente. «Dobbiamo vedere, ad oggi l’incremento è previsto. È chiaro che se abbiamo risultanze molto positive, possiamo evitarlo», ha ribadito ieri il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli. «L’impegno per evitare che succeda riguarda tutti», ha aggiunto il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, «anche se è quasi automatico se non troviamo altre fonti». Di sicuro non potremo contare sulla tanto sbandierata spending review, il progetto intorno a cui ruota l’unica speranza di vedere qualche sforbiciata alla spesa dopo le valanghe di balzelli. «Non penso che possa dare decine di miliardi», ha tagliato corto Grilli.

Insomma, la buona volontà c’è. La stangata fiscale pure. Ieri Mario Monti, da Cernobbio, ha finalmente ammesso: «Abbiamo dovuto aumentare le tasse. Non potevamo fare diversamente». Il problema è che la mazzata più dura, dopo quelle sulla casa, sull’Irpef, sui conti correnti, e via dicendo, deve ancora arrivare. Dall’incremento dal 10 al 12% dell’Iva ridotta e dal 21 al 23% di quella ordinaria è previsto un gettito aggiuntivo rispettivamente di 3,2 e 13,1 miliardi di euro. Dall’ulteriore aumento dello 0,5% che scatterà dal primo gennaio 2014 arriveranno nelle casse dello Stato altri 16,4 miliardi. Complessivamente, il macigno di tasse che piomberà sul groppone degli italiani ammonta a 32,7 miliardi di euro. Le stime sull’impatto della super Iva sono abbastanza omogenee. Secondo Confesercenti la spesa aggiuntiva annua a famiglia sarà di 426 euro. Simili i calcoli effettuati dal Codacons, che ritengono quantificabile in 418 euro il peso delle nuove tasse. Mentre Coldiretti prevede che l’aumento dell’Iva costerà agli italiani oltre un miliardo di euro solo per le spese alimentari.

Cifre che non tengono conto degli effetti indiretti sull’inflazione. E quelli sull’economia, che, a cascata, si ripercuoteranno sulle tasche degli italiani.
Per quanto riguarda i prezzi, il cui aumento dovuto alla stangata sull’Iva è dato per scontato anche dalla Bce, le stime oscillano di un incremento tra l’1 e l’1,5%. Rischia di essere devastante anche l’effetto depressivo sui consumi. Secondo i calcoli diffusi ieri dal presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, i rincari dell’Iva «nel triennio 2011-2014 porteranno ad una perdita nei consumi di 38 miliardi di euro».

Esagerazioni? Forse, anche se l’invito al governo ad «attenuare l’aumento delle aliquote Iva, in particolare di quella del 10%, dagli effetti distributivi più regressivi», è arrivato forte e chiaro anche dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. La stessa Corte dei Conti ha previsto che gli aumenti delle tasse indirette si «trasmetteranno, pur in un contesto di stagnazione della domanda, sulla dinamica dei prezzi al consumo, con un effetto di maggiore inflazione che  prudenzialmente può essere stimato di almeno un punto percentuale».

Monti dice che non si poteva evitare. Eppure, solo qualche mese  fa si parlava di un patrimonio immobiliare dello Stato che ammonta addirittura a 1.800 miliardi di cui 700 immediatamente fruttiferi e di 44 miliardi di partecipazioni pubbliche del Tesoro. Che fine hanno fatto i capitoli dismissioni e privatizzazioni? Monti nel suo discorso programmatico di novembre scorso aveva annunciato un «calendario puntuale». Ieri, però, Passera ha spiegato quali saranno le prossime mosse del governo. «Nei primi 4 mesi», ha detto il ministro dello Sviluppo, «abbiamo preso iniziative strutturali, su riforma lavoro e produttività; oggi dobbiamo impegnarci sui capitoli della crescita, spending review e recupero evasione perché è da lì che possono arrivare risorse». Di privatizzazione e dimissioni non c’è l’ombra. Se consideriamo, poi, che dalla spending review, come dice Grilli, arriveranno pochi spiccioli e che il tesoretto del recupero dell’evasione, come detto recentemente dallo stesso ministro dell’Economia, non potrà essere ancora usato per ridurre le tasse, lo scenario è chiaro. Preparate il portafoglio. di Sandro Iacometti, Libero, 25 marzo 2012

.…………Insomma il nuovo messia “chiamato a risolvere i problemi creati dagli altri” ha inventanto ciò che già c’era, cioè le tasse. E ci voleva Monti’? Bastava un qualsiasi contabile, e Monti lo si poteva lasciare lì dov’era, a fare il consuletne ben pagato delle Banche internazionali.  Di certo avremmo risparmiato i 25 mila euro al mese che percepisce da senatore a vita la cui  nomina ha preteso per accettare l’incarico di contabile.Complimenti a Napoliano e ai partiti,  complici di questo squallido e vergognoso inciucio. g.

ASPETTANDO SQUINZI, di Alessandro Sallusti

Pubblicato il 21 marzo, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Si parla di quella del lavoro, ma la vera riforma che si chiede è quella del sindacato. Anzi, dei sindacati, quelli dei lavoratori (Cgil, Cisl, Uil) e quello dei padroni (Confindustria).

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Senza questa, qualsiasi altra riforma sarebbe, oltre che difficilmente raggiungibile, monca perché frutto di compromessi ideologici, di antiche ruggini e rivalse, di difesa della casta più che dei rappresentati della casta stessa. Proprio in queste ore sta emergendo con chiarezza quanto ormai sindacati e Confindustria siano due carrozzoni fuori dal tempo, tanto lenti e appesantiti da essere superati pure dalla terza casta dello Stato, quella della politica, che in confronto appare più responsabile e disponibile, sia pure perché costretta dai fatti a iniziare un percorso di autoriforma.

La Camusso, Landini e soci possono anche resistere a Monti, ma non alla storia, rispetto alla quale hanno accumulato un pesante ritardo. Va difeso, questo sì fino alla morte, il lavoratore, non il posto di lavoro. E l’unica via possibile è quella di renderlo un soggetto libero dentro il libero mercato, spinto e incentivato a cercare opportunità invece che ancorato come un peso morto ad aziende decotte destinate a sicura fine. Così come Confindustria deve smettere il piagnisteo continuo sul mondo cattivo, i governi incapaci, la congiuntura sfavorevole. Una sola battaglia, ma vera, dura e senza sconti: meno tasse per le aziende, cuneo fiscale più stretto per i lavoratori. Meno convegni e più palle, dovrebbe essere il programma del prossimo presidente che sarà eletto domani in sostituzione della Marcegaglia giunta, per fortuna, a fine corsa. In corsa ci sono due numeri uno dell’imprenditoria italiana: Giorgio Squinzi (patron del gruppo Mapei) e Alberto Bombassei (gruppo Brembo). È la prima volta, dopo tempo immemore, che si arriva all’atto finale dell’elezione senza accordo e quindi con uno scontro vero. Buon segno, significa che anche dentro l’ovattato mondo confindustriale si sono stufati di pagare quote associative da capogiro in cambio di poco o niente. I pronostici danno in vantaggio Squinzi. Noi ci auguriamo che non sbaglino. Ci sembra l’uomo giusto al momento giusto. È amico della Marcegaglia, e questo lo rende umano, è la prova che anche lui non è perfetto. Oggi non serve perfezione ma decisione. E dopo la doppietta Montezemolo-donna Emma, uno di Cisano Bergamasco è quello che serve alla categoria e al Paese. Alessandro Sallusti, Il Giornale, 21 marzo 2012

.……………Il premier Monti ha annunciato che la riforma del lavoro è ormai problema del Parlamento che dovrà approvarla. Ed è sicuro, e con lui molti leader di partito salvo qualche eccezione, che questa riforma “liberererà risorse ed energie che consentiranno all’Italia di riprendere la crescita e lo sviluppo”. E’ una sciocchezza stratosferica perchè è solo un programma di buone intenzioni che prenderanno corpo, se mia lo prenderanno, solo nel 2017, salvo la rimodulazione del famigerato art. 18, che andrà in vigore da subito, e che ha una sola variante significativa: i licenziamenti disciplinari, cioè per ragioni soggettive, se accertati come ingiustificati daranno luogo ad insindacabile giudizio del solito giudice o al reintegro o all’indennizzo pari da 15 a 27 mensilità. In un Paese che da decenni dibatte sui problemi insoluti della giustizia, mette nelle mani di quella stessa giustizia ingiusta e tardiva  decisioni a dir poco scioccanti. Perchè è scioccante che un licenziamento ingiustificato si possa conlcudere per decisione di un giudice con un indennizzo di poche migliaia di euro. Immaginatevi la fine che farà  un lavoratore di 57/58 anni, licenziato ingiustificatamente ed indennizzato con qualche decina di miglia di euro con cui potrà tirare avanti per un anno o due e non riciclabile in un mercato del lavoro che stenta a inserire i giovani o a mantenere gli esperti, figuriamoci un lavoratore stanco e per giunta disamorato per via di una odissea che nessuno vorrebbe vivere e vedere. Ma intanto il premier Monti tanto decisionista in questioni che ci appaiono di lana caprina, fa finta di non vedere ciò che Sallusti, sia pure di sbilenco, accenna nel suo editoriale. Ci sono i sindacati che dopo i partiti sono l’altra casta che s’ingrassa suiu lavoratori. Fior di libri hanno narrato quanto sia vasto e redditizio il tesoro di cui godono i sindacati italiani,  dall’eredità dei beni dei sindacati fascisti alla gestione di incontrollabili  e enormi rendite finanziarie  provenienti  dall’assistenza dei lavoratori sempre miuficiamente remuenrata dallo Stato o direttamente o attraverso gli entiu di patronato che in Italia sono più numerosi delle mosche d’estate. Tutto ciò senza alcun controllo, poichè i sindacati come i partiti non hanno riconosicmento giuridico e perciò riescono a sfuggire ai controlli, proprio come i partiti i cui proventi dal finanzimentio pubblico è solo virtualmente  sottoposto a controlli, mentre in effetti non danno conto in alcun modo di come e dove e quando e con chi spendono e spandono i entinai di milioni di eurto che ricevono dallo Stato e quindi dai cittadini che per il solo fatti di avere 18 anni ed elettori costituiscono fonte di 2rimborso2 per i partiti. Come per i partiti, anche per i sindacati, Monti (che “è stato chiamato” ) fa finta di niente e mentre ne inventa una più del diavolo per tassare sempre di più gli italiani non muove iun dito er porr fne al paese dei balocchi di partiti e sindacati. g.

QUELLA STRANA CORSA AL RIALZO DEI MERCATI,di Mario Sechi

Pubblicato il 20 marzo, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Incontro Governo-parti sociali al Ministero del Lavoro I mercati segnalano sempre una febbre in corso da qualche parte. La finanza ha ripreso a correre. I trader fanno il loro lavoro, speculano. Negli Usa gli indici volano e in molti si interrogano: dura o no? C’è chi sostiene che siamo al livello della primavera 2011 e dunque vicini a un altro crollo dei listini, ma c’è una scuola di pensiero che raffronta l’impennata con quella del 1995, anno in cui l’indice S&P 500 guadagnò il 34 per cento. Per me valgono sempre le due regole d’oro di Buffett: prima regola, ricordati di non perdere soldi; seconda regola, non dimenticarti la prima regola. Detto questo, quel che accade nei mercati – come abbiamo visto nel caso del cambio di governo in Italia – ci interessa da vicino. La sbornia da spread in Europa è passata (per ora) solo perché il presidente della Bce Mario Draghi ha immesso un fiume di liquidità nelle banche. Nessuno parla più della Grecia, ma in realtà tra Atene e il resto del mondo accadono cose notevoli: come per esempio il fatto che chi si era assicurato sui bond greci con i Credit Default Swaps (Cds) sta ricevendo un rimborso che non è il cento per cento del valore investito. Chi aveva 100 euro di debito greco assicurato, ne sta ricevendo in cambio 78 in base a un meccanismo che apre un buco nero sulla validità di questi strumenti di protezione del rischio. La Grecia resta un problema. È uscita dalla porta, ma rientrerà dalla finestra. Nel frattempo l’opinione pubblica – dalla crisi dei mutui subprime nel 2008 – ha maturato la convinzione che le banche si muovano come locuste che divorano il raccolto per conto dell’industria finanziaria. Italiani, brava gente. Quando leggo che Salvatore Ligresti si è fatto liquidare quaranta milioni di euro di consulenze da Fonsai e Milano Assicurazioni nel periodo 2003-2010, mi chiedo come si possa far digerire all’opinione pubblica tutto questo. I comportamenti etici non sono un problema della sola politica, ma anche dell’impresa e dei suoi protagonisti. Se la produzione in Italia è colata a picco, ci sono responsabilità grandi da parte degli imprenditori e dei sindacati. Le barricate che hanno alzato sulla riforma del lavoro ne sono la prova. Se un simbolo della sinistra come Giorgio Napolitano arriva a invocare un barlume di saggezza da parte di Confindustria e sindacati, vuol dire che non c’è consapevolezza del rischio in corso, nonostante il crollo del fatturato industriale. La riforma del mercato del lavoro non ci farà crescere subito, ma libererà risorse ed energie. I partiti sembrano più seri. Forse hanno compreso che se ieri il problema ero lo spread, domani per la speculazione sarà una riforma del lavoro senza capo né coda. Sono in ballo punti di pil futuro, cioè quello che manca all’Italia. Se i mercati non tengono botta, abbiamo fatto lo stesso un passo avanti. Mario Sechi, Il Tempo,  20 Marzo 2012

.…………Abbiamo grande stima del direttore de Il Tempo e leggiamo sempre con attenzione i suoi editoriali, condividendone le analisi. Anche oggi Sechi evidenzia le difficoltà in cui versa il Paese,   ad onta di quel che un giorno si e l’altro no, a corrente alternata, a seconda della bisogna, sostiene il premier unto da Dio, Monti, e cioè che grazie a lui e al suo governo le difficoltà maggiori starebbero dietro le spalle.  Ciò che scrive Sechi a proposito dei mercati e dei problemi finanziari è la verità. Quel che non ci convince è invece la tesi secondo cui i mercati stanno a guardare la riforma del lavoro per valutare la credibilità dell’Italia e quindi essere invogliati ad investire, anzi a ritornare ad investire nel nostro Paese. A questo riguardo ancor più esplicito è stato il segretario del PDL, Alfano, il quale in una dichiarazione alla stampa di questa mattina ha sostenuto che tutto dipende dall’art. 18  che rallenterebbe gli investimenti delle aziende straniere in Italia. Da sempre siamo convinti che il famigeraro art. 18 non è un totem e che una sua riformulazione è auspicabile, pur nell’ambito di una riconfermata tutela dei lavoratori dipendenti, ma considerarlo il colpevole dei mancati investimenti stranieri in Italia e/o dell’altrettanta latitanza di investimenti degli imprenditori italiani ci sembra una baggianata, esplicita quella di Alfano, più soft quella di Sechi. E’ una baggianata, intanto perchè da più parti ci si preoccupa di sostenere che l’art. 18 tutela poche persone e forse sarà vero, ma se ciò è vero, allora, perchè impantanarsi su un aspetto marginale e quasi inifluente? La verità è che quella dell’art. 18 è solo una barricata sulla quale si stanno arrampicando da una parte il governo Monti che vuol far mostra di polso e dall’altra tutti coloro che fanno finta di ignorare che il male italiano è la burocrazia, che lungi dall’essere  stata messa agli angoli, continua imperterrita, ad ogni livello, ad imperversare, aiutata da un legislazione ferraginosa e tortuosa che atterrisce sia gli imprednitori italiani, sia, sopratutto, quelli stranieri. Basta ricordare da una parte il rigassificatore di Brindisi per il quale dopo quasi un decennio di guerriglia burocratica l’impresa  inglese che doveva realizzarlo ha alzato le mani, con grave danno per l’economia – diretta e indiretta – sia nazionale, sia del Sud che ha perso centinaia di posti di lavoro, e dall’altra la TAV,  la ferrovia ad alta velocità tra Italia e Francia, e quindi verso il resto dell’Europa,  la cui realizazzione  consentirebbe enormi risparmi per il trasporto delle merci che segna ilpasso ad opera di qualche centinaio di invasati che sino a qualche settimana fa hanno avuto la copertura di forze politiche che le hanno usate per mero calcolo antigovernativo. Sono questi i veri nemici e gli eterni ostacoli alla ripresa degli investimenti e non l’art. 18, falso tabù e altrettanto falso totem.  Il quale, va detto, è comunque uno strumento di tutela, non necessariamente giudiziario, contro iniquità che nel mondo del lavoro non sono poi tanto infrequenti. g

SCUSACI MARCO (BIAGI) PER QUESTA RIFORMA (DELL’ART.18)

Pubblicato il 17 marzo, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Poche ore dopo che alla Camera dei deputati le più importanti autorità della Repubblica avranno commemorato il X anniversario dell’assassinio di Marco Biagi (rievocato, sere fa, in un ottimo servizio de La storia siamo noi), il presidente del Consiglio Mario Monti convocherà le parti sociali per concludere il negoziato sulla riforma del mercato del lavoro. Si profila un’intesa su tutti i punti, anche sui più controversi. Come sia potuto cambiare all’improvviso uno scenario convulso ed inconcludente, intessuto di veti, polemiche e minacce di scioperi più o meno generali, può sembrare incomprensibile ad osservatori sempre disposti a sorvolare sui contenuti e a valorizzare gli aspetti mediatici di ogni vicenda. In questa logica è fin troppo facile tenere insieme i due eventi – la ricorrenza del professore bolognese e l’accordo “storico” sottoscritto da tutte le parti sociali (il solito eufemismo per dire che ha firmato anche la Cgil) – e magari stabilire tra di loro un nesso. Un collega ha addirittura proposto di dedicare la riforma a Marco Biagi. Eppure, se le cose non cambieranno entro martedì (ed è improbabile che ciò accada), saranno i nemici di Biagi ad avere vinto una importante battaglia, perché la legge che porta il nome del professore bolognese verrà smontata pezzo per pezzo, in cambio di un simulacro di revisione dell’articolo 18 dello statuto. In sostanza, sulle tipologie contrattuali flessibili – le stesse che tra il 1997 e il 2007, pur in presenza di una modesta dinamica di crescita del Pil, hanno consentito di dimezzare la disoccupazione ed aumentare l’occupazione giovanile – calerà una coltre di sospetto, opererà una vera e propria presunzione di illegittimità. Per potersi avvalere di queste forme di impiego, fino ad ora riconosciute dalla legge, i datori saranno costretti a subire una sorta di inversione dell’onere della prova, nel senso che dovranno essere loro a dimostrare la regolarità di rapporti altrimenti ritenuti elusivi di quel contratto di lavoro a tempo indeterminato assunto ed indicato come condizione di lavoro normale e prevalente. Sarà il trionfo dei teorici di un precariato descritto ormai come una classe sociale, alla stregua di quello che fu (o pretese di essere nelle ideologie dominanti del secolo scorso) il proletariato. A sentire la Cgil e certi settori della sinistra, i problemi dell’Italia non derivano dall’alto livello di disoccupazione giovanile, dal numero elevato di persone che non studiano, non hanno un lavoro e non si preoccupano neppure di cercarlo; e neanche dall’occupazione irregolare. È la precarietà il “male assoluto”, da vincere scardinandone l’impianto, mediante una scorciatoia normativa, che annulla, vieta, proibisce, autorizza. Lo stesso governo che si vanta di aver liberalizzato l’economia, rimuovendone i lacci e i laccioli che le impediscono di volare, che pretende di aver semplificato la vita dei cittadini e delle imprese, in materia di mercato del lavoro si affida ai controlli, alle ispezioni, agli adempimenti amministrativi, alle presunzioni relative ed assolute, nel nome di un XI comandamento che recita: solo il rapporto a tempo indeterminato è vero lavoro. I contratti flessibili devono guadagnarsi il diritto di cittadinanza sottoponendosi alla vigilanza quotidiana degli ispettori del lavoro e dell’Inps e all’ultima parola dei giudici, i quali potranno in ogni momento sanzionare i comportamenti dei datori ritenuti inadempienti stabilizzando automaticamente il rapporto. Nessuna traccia di un eventuale potenziamento degli strumenti di certificazione dei rapporti di lavoro, allo scopo di dare alle imprese affidamenti sulla correttezza delle relative modalità di assunzione e di fornire garanzie di regolarità ai lavoratori. Era, quella della certificazione, un’intuizione importante di Marco Biagi. Tutti diranno e scriveranno, adesso,che l’accordo rappresenta una svolta storica. E lo faranno per motivi che nulla hanno a che vedere con i contenuti di merito. Questo quadro politico – ecco la ragione – deve andare avanti a tutti i costi. Il Pd e la Cgil ottengono un importante risultato (Cisl e Uil potrebbero essere più realisti del re e rifiutare ciò che il governo è pronto a riconoscere a Susanna Camusso?). Il Pdl sembra avere una sola preoccupazione: che nei vertici di questa stramba maggioranza non si parli di Rai e giustizia. La Confindustria tace. Le piccole imprese si preoccupano solo dei costi degli ammortizzatori sociali come se avessero il diritto di averli riconosciuti gratis. Tutto qui. Marco scusaci. Giuliano Cazzola, ex segretario confederale della CGIL, ora  deputato del Pdl, 17 marzo 2012

.………………Allora sii coerente. Quando arriverà alla Camera dei Deputati il provvediumento legislativo che darà sostanza all’accordo che tutti (da noi a Vendola) definiscono il topolino partorito dalla montagna, capeggia la rivolta dei deputati contro un accordo che ha solo valore propagandistico ma nessun effetto reale. Come tutti gli altri porvvedimenti di Monti, salvo quelli relativi allo strangolamento mediante tassazione degli italiani. Altrimenti Cazzola stia zitto e si goda le prebende del regime. g.

BENZINA SENZA FRENI: LA VERDE TOCCA IL PICCO DI EURO 1,86 A LITRO. E IL GOVERNO TACE!

Pubblicato il 6 marzo, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Benzina: nuovi record per la verde, picco a 1,86 ROMA – Ancora record sulla rete carburanti italiana che naviga ormai senza freni verso i 2 euro al litro per la benzina. Secondo Staffetta Quotidiana si e’ raggiunto un picco di 1,861 euro presso i distributori Ip con un rialzo di 4 centesimi. La verde e’ sotto 1,8 euro soltanto in Veneto e Lombardia.

Le medie ponderate nazionali, salgono a 1,826 euro/litro per la benzina (+0,8 centesimi) e a 1,761 euro/litro per il diesel (+0,2 centesimi). Stando alla consueta rilevazione della Staffetta Quotidiana, questa mattina il market leader Eni ha messo a segno il diciassettesimo rialzo dell’anno: +0,7 centesimi sulla benzina (media nazionale Eni calcolata dalla Staffetta a 1,830 euro/litro), +0,4 centesimi sul diesel (media a 1,766 euro/litro). Sale anche Esso, i cui prezzi restano sempre al di sotto della media di mercato: +0,6 centesimi sulla benzina a 1,813 euro/litro. Per quanto riguarda IP viene messo in evidenza che la compagnia del gruppo Api “é in questo momento la più esposta agli umori dei prezzi e dei mercati internazionali, priva, fra l’altro, di attività di estrazione di idrocarburi”. ANSA, 6 marzo 2012

..……..Sin qui il comunicato dell’ANSA, asciutto ed estremamente chiaro. La benzina verde tocca il picco di 1 euro e 86 centisemi a litro, con pnte ancor più alte in alcune regione dove arriva a 2 euro a litro, cioè qualcosa come 4000  delle vecchie lire. L’aumento così vertiginoso e senza freni della benzina è il segnale di una economia che non cresce alla faccia di tutti i decreti di Monti trasformati in legge dopo essere stati retoricamente denominati “salva Italia”, “cresci Italia”, semplifica Italia”. L’aumento della benzina è di per sè indicatore dell’aumento generalizzato dei costi  delle merci perchè in Italia il 90% della merce viaggia su gomma,  a causa della scarsa qualità ed efficienza  dei trasporti alternativi – treni e navi – e per quanto attiene i treni a causa del quasi del tutto assente  carente miglioramento della rete ferroviaria che è ancora quella del primo dopoguerra. E ciò a differenza degli altri Paesi europei le cui vie di trasporto sono essenzialmente le ferroviarie. In Spagna, dieci anni fa, nel 2002,  la rete ferroviaria era stata rimodernata e in tutte le tratte, anche quelle interne  o meno frequentate, si viaggiava   su binari ad alta velocità ma mezzi altamente  moderni, nonostante la Spagna fosse giunta alla democrazia con 30 anni di ritardi rispetto all’Italia. E’ di questi giorni l’ennesima discesa in piazz<a dei cosiddetti No Tav, quelli che per giustificare la loro contrrarietà alla linea ferroviaria Torino-Lione obiettano che andarci in 4 ore piuttosto che in sette non è importante, ed è vero, ma è importante che siano le merci a viaggiare in metà temtpo e metà costi, il che favorirebbe sia l’interscambio, sia contribuirebbe alla riduzione dei costi. Per quanto rigiuarda il costo della benzina, sul quale grava pesantemente la tassazione dello Stato, qualsiasi economista punta il dito proprio sull’alta tassazione che fa lievitare il costo e determina l’aumento dei prezzi. Eppure Monti, il più illustre degli economisti italiani,  tanto che per fargli assumere il comando della nave Italia lo si è dovuto pagare con 25 mila euro al mese sino a fine vita, fa orecchi da mercante ed ignora il “grido di disperazione” che si alza da ogni parte d’Italia e da parte di ogni categoria del nostro Paese, meno quella dei boiardi di Stato e dei componenti delle numerose caste le quali o viaggiano gratis  o guadagnano abbastanza per non doversi preoccupare di “non farcela più″.   g

IL PIENO DI CARBURANTE COSTA PIU’ CHE FARE LA SPESA. LA BENZINA VERDE TOCCA EURO 1,92! E MONTI DOV’E'?…AL MARE

Pubblicato il 27 febbraio, 2012 in Economia | No Comments »

Ormai fare il pieno costa più che fare la spesa. Avere un’automobile e spostarsi, magari per andare al lavoro, è diventato un lusso. Infatti ad oggi il costo del pieno per un’auto media (50 litri), ha superato i 90 euro, cioè più della media di quanto si spende per fare la spesa.

Pompe di benzina

Pompe di benzina
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È quanto emerge da un’indagine della Coldiretti, secondo la quale il prezzo della benzina è aumentato del 17,4% in un anno, e quello del diesel è cresciuto addirittura del 25,2%. Insomma, il prezzo di un litro di benzina ha superato abbondantemente quello di un chilo di pasta o di latte.

La Coldiretti fa sapere che “Il costo familiare per trasporti, combustibili ed energia elettrica ha superato quello per alimenti e bevande”. Per di più in un Paese in cui “L’88% dei trasporti commerciali avviene per strada, il record dei prezzi dei carburanti ha un effetto valanga sulla spesa, con un aumento dei costi di trasporto oltre che di quelli di produzione, trasformazione e conservazione”, afferma l’associazione.

Durante il fine settimana i prezzi dei carburanti hanno registrato un rialzo, in seguito al secondo aumento consecutivo deciso venerdì da Eni: la media nazionale dei prezzi, tra i diversi marchi in modalità servito, vede la benzina a 1,811 euro al litro e il gasolio a 1,754. Una media data dai prezzi registrati nelle varie zone del Paese, dato che al Sud il gasolio arriva a costare 1,79 al litro e la verde al Centro costa anche 1,92 euro al litro.

……………..e Monti dov’è? A far finta di governare nell’interesse del Paese. Ma l’interesse del Paese è di non essere affamato. Invece siamo alla canna del gas della sopportazione. La benzina non è un lusso, è uno strumento di lavoro in senso lato. Tassare la benzina significa colpire le fasce popolari del nostro Paese, colpire, cioè, al cuore il sistema Paese, bloccarlo, bloccandone i consumi, e quindi la crescita. Ma Monti si diletta ad occuparsi di fatti marginali, di varare improbabili liberalizzazioni, salvo fare marcia indietro, come è accaduto anche con le due o tre che erano riuscite a passare il filo spinato dell’OK dei partiti della maggiorazna (sic!), Infatti marcia indietro sulle farmacie e marcia indietro pe ri tassisti, a prescindere che entrambe le strambalate liberalizzazioni proposte da Monti e compagni non producevano alcun vantagigo per i cittadini comuni, cioè per il popolo che paga le tasse senza neppure poter vantare il diritto al mugugno riconosciuto da Mussolini, in pieno regime fascista, ai portuali di Genova. Nè se ne rendono conto i partiti, specie quelli che sostengono Monti, tutti impeganti in una loro personale partita a scacchi proiettata al futuro, con obiettivo il potere dopo Monti. Non se ne rendono conto, ma sopratutto non si rendono conto che questo disinteresse alla tutela  delle attese dei cittadini elettori potranno essere chiamati a pagarlo, salatamente, in termini di consenso elettorale allorqando si tornerà alle urne, nelle quali non saranno nè Napolitano, ne le tante caste a deporre le schede,  ma i cittadini tartassati e stremati dalla pressione fiscale che colpisce solo le categorie che mai si sono sognate o si sognerebbero di ingrossare le file degli evasori, oltretutto perchè non potrebbero.g.

IL CARRELLO DELLA SPESA SALE DEL 4% E IL PREZZO DELLA BENZINA S’IMPENNA

Pubblicato il 22 febbraio, 2012 in Economia, Politica | No Comments »

Il tasso d’inflazione rallenta lievemente, ma in controtendenza con questo dato, a gennaio crescono i prezzi al consumo dei prodotti acquistati più di frequente, quelli che compongono il cosiddetto “carrello della spesa“. L’aumento percepito durante il primo mese dell’anno è del 4,2% tendenziale (contro un 3,2% del dato complessivo) e dello 0,8% sul mese precedente.

Rincaro sul carrello della spesa

Un aumento congiunturale del 3,9% riguarda i beni energetici, il cui tasso tendenziale raggiunge il 15,5%, dato in accelerazione dal 13,7% di dicembre. L’aumento è da imputare agli incrementi nei prezzi che si sono registrati tanto nel comparto regolamentato che in quello non regolamentato.

Nel comparto regolamentato i prezzi crescono del 3,9% su dicembre e del 14,1% sull’anno scorso. Nel comparto non regolamentato i prezzi aumentano su base congiunturale del 4,0% e crescono su base annua del 16,4% (+16,1% a dicembre).

L’aumento su base mensile riguarda il prezzo del pane e della pasta (entrambi +0,3%), in crescita su base tendenziale del 2,9% e del 2,1%. Rialzi anche per caffè (+0,5%, +16,5%) e zucchero (+0,3%, +15,9% su base annua). Nel settore degli alimentari non lavorati il rialzo congiunturale dipende largamente dall’aumento dei prezzi dei vegetali freschi (+2,3%), in flessione su base annua dell’8,7%. A dicembre il rialzo sul carrello era stato il maggiore da ottobre del 2008.

Per quanto riguarda l’inflazione, quella acquisita per il 2012 è pari all’1,6%, quella di fondo, calcolata al netto dei beni energetici e degli alimentari freschi, scende al 2,3% dal 2,4% di dicembre 2011, mentre al netto dei soli beni energetici, il tasso di crescita tendenziale dell’indice dei prezzi al consumo scende al 2,2% (era +2,3% a dicembre).

Il rallentamento dell’inflazione, spiega l’Istat, deriva dal lieve aumento del tasso di crescita tendenziale dei prezzi dei beni (+3,9%, dal +3,8% di dicembre 2011), più che compensato dal calo di quello dei servizi (+2,3%, dal +2,5% del mese precedente). Il Giornale, 22 febbraio 2012

.……….La notizia rimbalza dall’ANSA a tutti i giornali, ma l’uomo della strada, o la donna di casa, queste cose le sa per proprio conto, perchè non hanno bisogno che qualcuno dica loro quel che constatano ogni giorno andando a fare la spesa o recandosi alla pompa di benzina, rendendosi conto che non solo le tasse strangolano i cittadini, ma anche le misure economiche che hanno immediato riflesso sui prezzi, demolendo ogni giorno di più il potere di acquisto delle paghe, salari, stipendi, pensioni, dei cittadini comuni, del 95% dei cittadini italiani, lasciando il residuo 5% a campar bene. Tra questi ovviamente ci sono i componenti delle varie caste, da quella dei politici a quella dei giudici, attraversando il malmelmoso territorio che si acquatta dietro e accanto al potere, traendone tuti i vantaggi possibili e magari sciogliendosi in lacrime di coccodrillo per quelli che stanno fra il 95% della popolazione italiana. E di certo non allevia lo stato precomatoso in cui versano i cittadini stritolati dalle tasse e dai prezzi che si impennano il sapere che i ministri hanno messo a disposizione online i loro redditi. Anzi, per chi si è precipitato, mosso da curisoità,  a guardare i lo redditi è cresciuta la rabbia. Come può il signor Monti, con il suo milione mezzo di redditi e il suo cospicuo capitale, qualcosa come 11 milioni di euro, disseminati in  vari conti  aperti in  altrettante varie banche, conoscere, capire, comprendere, il dramma che vivono i cittadini comuni, quelli che percepiscono poche centinaia di euro al mese, qualche volta poco più di mille, con cui debbono far fronte alle tasse, altrimenti rischiano di essere perseguitati dagli ispettori alla rambo di Equitalia, alle spese quotidiane, alle esigenze dei figli, alla preoccupazione per il futuro, anche quello più immediato, e ai rischi che sono sempre nascosti diettro l’angolo di qualche malattia che li costringa alla esigenza di analisi diagnostiche, di esami radiologici, di visite specialistiche, fino, per esempio, ad un ricovero in un luogo di cura dove però non rischiare di finire in barrella, legato come un salame, per mancanza di posti letto? Può il sig. Monti,  che predica equità e rigore, ma solo per il popolo “sovrano”,  e che annuncia che siamo fuori del baratro (sic)  ma si riserva di diminuire le tasse solo nel 2014,  fermo restando che all’eventuale abbassamento del prelievo fiscale deve essere destinato  solo ciò che si ricava dalla lotta  all’evasione fiscale facendo finta di non sapere che  tutti i governi che si sono succeduti dal 1970 in poi nei loro conti economici avevano messo in uscita (puntualmente effettuate) i ricavi (mai arrivati) della lotta all’evasione, può il sig. Monti essere affidabile per la gente, e può più essere affidabile una classe dirigente, tutta intera, al di là delle posizioni politiche, che si è affidata al super ricco  Monti   e ai suoi super ricchi ministri, tutti titolari di cospicui trattamenti stipendiali o di quiescenza,a due-tre unita e cinque zeri, e di altrettanto cospicue proprietà immobiliari (la ministro Cancellieri, quella dei figli che sono mammoni, ne possiede 24 , tra fabbricati e terreni)  per  conservare le proprie intoccabili prerogative e gli altrettanti intoccabili prvilegi, lasciando solo ai cittadini qualsiasi, lo ripetiamo, al popolo fintamente sovrano, il compito di far fronte alla crisi con sacrifici che divengono giorno per giorno più pesanti e più inaccettabili? La risposta è ovvia, ma non scontata, perchè c’è chi incomincia chiedersi, come  domandava Costanzo al tenmrine di una sua fortunata trassmisisone televisiva, cosa può esserci dietro l’angolo. Domanda alla quale oggi come oggi neppure il nuovo guru della democrazia commissariata, cioè il re Giorgio, è in grado di rispondere. g.