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OGGI LO SPREAD TRA BTP ITALIOANI E BUND TEDESCHI E’ TORNATO A SALIRE SINO A 510 PUNTI: ECCO PERCHE’

Pubblicato il 28 dicembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Quello che ai più sfugge è che il differenziale tra Btp e Bund tedeschi oltre la soglia psicologica dei 500 punti base con rendimento al 7% non può far altro che obbligare il governo a varare entro breve un’altra manovra economica per riuscire a pagare quegli stessi interessi da capogiro che servono allo Stato per “piazzare” sul mercato i propri titoli.

Lo spread tra Btp e Bund in rialzo

Oggi come ad ottobre: nulla è cambiato. Basta dare un’occhiata al grafico dell’ultimo trimestre per capire che le dimissioni di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi non sono servite a niente. Adesso, però, le cassandre della sinistra tacciono, i giornali progressisti volano bassi e l’intellighentia dei poteri forti rivede le proprie posizioni. Perché non c’è più il Cavaliere da impallinare per una crisi economica che non nasce in Italia e che l’Italia non può risolvere (guarda il grafico interattivo).

Ci credevano davvero tutti quanti: cacciato Berlusconi tutto si sistemerà. Era diventato un mantra, una vera ossessione. Il leader Pd Pierluigi Bersani lo diceva una volta al giorno, manco gliel’avesse ordinato il medico. Da Repubblica al Fatto Quotidiano, dall’Economist al Financial Times: tutti a puntare il dito, sputare in faccia, accusare. Berlusconi capro espiatorio di una finanza che ha divorato i risparmi degli italiani. Non dev’essergli sembrato vero a tutti gli antiberlusconiani di poter addossare sulle spalle del Cavaliere le stregonerie dello spread. Già il 14 luglio l’Economist profetizzava il crollo del Belpaese e accusava l’allora presidente del Consiglio di aver dato un messaggio al mercato internazionale: “Picchiate noi perché siamo i più deboli”. Già in estate la sinistra furoreggiava. E dalle kermesse agostane di partito i vari leader assicuravano che solo le dimissioni di Berlusconi avrebbero salvato l’Italia. Da allora gli attacchi si sono fatti sempre più efficaci. Il 27 novembre il Times ha dipinto il Cavaliere come un clown e gli ha intimato di farsi da parte. Il 6 novembre, invece, il Financial Times lo ha accusato di ignorare la crisi del debito con il direttore Lionel Barber che lo ammoniva: “Nel nome di Dio, dell’Italia e dell’Europa, vattene“.

Tre mesi di differenziale tra Btp e Bund

Le tesi antiberlusconiane che circolavano in autunno sui quotidiani esteri, più che fondarsi sull’andamento dei titoli a Piazza Affari e sullo spread, scopiazzavano pedissequamente gli starnazzamenti dei vari leader all’opposizione. Il 25 ottobre il differenziale già galoppava verso la soglia record dei 400 punti base. Da lì l’idea di Bersani di usarlo come cavallodi Troia per tentare la spallata.  “Ora non c’è più tempo per crogiolarsi con le favole – diceva – per far ripartire l’Italia ha bisogno di un colpo di reni, di discontinuità sul piano politico”. Con novembre lo spread è balzato dai 390 ai 560 punti base. Un vero e proprio sussulta. E giù attacchi al Cavaliere. Ai primi del mese Massimo D’Alema assicurava: “E’ bastata la voce delle sue dimissioni per far calare di colpo i tassi d’interesse, mentre quando ha smentito gli interessi sono cresciuti. E’ la dimostrazione di quanto costa Berlusconi agli italiani”. E la laeder degli industriali Emma Marcegaglia gli faceva eco chiedendo – prepotente – l’intervento del capo dello Stato: “Se ci saranno le condizioni, dovrà intervenire”. Secondo la Confindustria uno spread oltre i 500 punti sarebbe costato al Paese quasi 9 miliardi di euro. A condire l’assalto al Cavaliere ci pensava anche Repubblica che, negli stessi giorni, invitava Berlusconi a seguire le orme di José Luis Zapatero: “Il mercato si interroga sul valore dell’addio di Berlusconi, almeno in termini di interessi sul debito pubblico. Secondo gli analisti un’uscita di scena del premier vale almeno 100 punti base sullo spread tra i btp decennali italiani e i bund tedeschi. Tradotto in soldoni, è un risparmio di 15 miliardi di euro in tre anni”. Il Fatto Quotidiano arrivava addirittura a inventarsi la “tassa Berlusconi”: “Il differenziale sui Bund tedeschi sta costando molto caro alle banche e a chi, in questo periodo, deve chiedere un finanziamento”.

Dallo spauracchio all’ossessione il passo è stato davvero breve.E’ infatti bastata una prima pagina del Sole 24Ore per mandare tutti nel panico. “Fate presto” il titolo scelto dal direttore Roberto Napoletano riprendendo il titolo apparso sul Mattino di Napoli tre giorni dopo il terremoto del 23 novembre del 1980 che sconvolse l’Irpinia. Leggere il quotidiano della Confindustria e ascoltare i panegirici di Giorgio Napolitano era la stessa cosa: appelli all’unità nazionale, richieste di sacrifici per tutti e, sotto sotto, il diktat “Berlusconi deve dimettersi”. Tanto che il 12 novembre le dimissioni del Cavaliere sono arrivate. Un gesto di responsabilità istituzionale che è stato accolto dai fischi e dagli insulti degli anti berlusconiani che per due giorni si sono dati ai festeggiamenti.

Caroselli nelle strade di Roma, brindisi nelle scuole occupate, scritte ingiuriose sui muri della Capitale. Una festa di liberazione, insomma. “Il dittatore di Arcore è caduto”, gridavano mentre in via del Nazareno i democratici festeggiavano vestendo i panni dei partigiani trionfatori.

Poi è arrivato Mario Monti. Poi è arrivato il governo tecnico. E qualcosa è cambiato? Eccome. La stampa progressista ha svelenito il clima e si è scordata di informare i lettori che tra il 14 e il 15 novembre lo spread tra Btp e Bund è tornato a salire a 540 punti base per poi tornare a scendere a fine mese a 483. Una vera e propria altalena che non guarda in faccia nessuno. Ma col Professore al governo l’Unione europea si è fatta sorniona, la stampa internazionale si è scordata della crisi del debito italiano e la Confindustria è andata in letargo. Con dicembre, infatti, i soloni non pointificavano già più di finanza e di economia. Qualcuno si è fatto sentire all’Immacolata quando il differenziale ha tirato un sospiro di sollievo ed è sceso a quota 358 punti. Un miraggio. Nessuno ci credeva realmente. Tanto che sono bastate un paio di settimane per far tornare tutto come era prima. Cos’è successo nel mentre? La manovra è stata approvata alla Camera (16 dicembre) e al Senato (22 dicembre).

Oggi come ieri, dunque. Inutili le dimissioni di Berlusconi. I soli effetti della manovra “salva Italia” si sono sentiti nel magro Natale. Con le associazioni dei consumatori che hanno calcolato un calo degli acquisti per 400 milioni di euro. Qualcuno ha parlato del “peggior Natale degli ultimi dieci anni”. E, al ritorno dalle vacanze, l’andamento di Piazza Affari resta incerto anche a causa dello spread che questa mattina è tornato a varcare la soglia psicologica dei 500 punti toccando quota 522 per poi ripiegare sotto i 490 grazie alla boccata d’ossigeno data dall’asta sui Bot. Il successo ottenuto dal Tesoro non riesce ad alleviare le tensioni sui titoli di stato. Tanto che nel giro di poche ore il differenziale è tornato a salire oltre i 510 punti base.

Adesso, però, nessuno più parla. Nessuno chiede dimissioni. A Bersani non passa nemmeno per la testa l’idea di pretendere un passo indietro dal governo tecnico. La Confindustria non si sbraccia a dettare la ricetta per salvare il Paese. I vari Economist e Financial Times non pontificano più sul futuro dell’Italia e sulla tenuta della moneta unica. I vertici di Bruxelles non caldeggiano, a cadenza quotidiana, misure più incisive. Più che i cori di Natale, si sentono sospiri da Quaresima. Tra i palazzi capitolini si bisbiglia appena. Columnist ed editorialisti hanno riposto la stilografica nel taschino: per l’occasione stanno imparando a fare gli equilibristi con le parole. In giro non si vedono più falchi e leoni, soltanto candidi agnelli. Amen, e così sia. Andrea Indini, Il Giornale, 28 dicembre 2011

LA LEZIONE SPAGNOLA: TAGLI, TANTI E NIENTE TASSE

Pubblicato il 20 dicembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

La strada giusta scelta da Madrid: no al governo tecnico e subito al voto. Poi una manovra che riduce le spese

Ieri il nuovo premier spagnolo, il popolare Mariano Rajoy, si è presentato in Parlamento e ha detto due cose fondamentali: non verranno aumentate le tasse e si procederà a tagli della spesa pubblica, salvando però il potere di acquisto dei pensionati.

Mariano Rajoy

Mariano Rajoy, il premier spagnolo eletto dopo Zapatero

Il tutto condito da un piano di riforme liberalizzatrici dell’economia iberica; partendo dai potenti (anche lì) enti locali e arrivando al mondo del lavoro. Una manovra fiscale comunque ci sarà: e si prevede vicina ai 20 miliardi di euro. Fatte le debite proporzioni, in termini relativi è doppia rispetto a quella pensata da Monti. Ovviamente il discorso programmatico di un nuovo leader si deve poi concretizzare nei fatti. Entro la fine dell’anno, Rajoy, terrà il suo primo consiglio dei ministri e a quel punto capiremo nel dettaglio le mosse spagnole, e come dai principi si passerà alla pratica.

Cosa insegna all’Italia il caso spagnolo? Fondamentalmente tre cose. Le elezioni anche in tempi di crisi se danno una maggioranza forte e pienamente legittimata forniscono al nuovo governo una spinta riformista. L’idea che votare, durante una tempesta finanziaria, sia una sciagura è falso. Ci sono però due controindicazioni da prendere in considerazione: la prima è che il rigore dei conti si tiene meno bene a ridosso delle elezioni, la seconda è che le elezioni, soprattutto in Italia, non assicurano una maggioranza certa. Con altrettanta freddezza si deve però certificare che l’arrivo del governo Monti non ha migliorato i nostri differenziali e che la cosiddetta «credibilità internazionale» si vede più nelle foto e nei titoli dei giornali che nelle quotazioni dei mercati.

Il lato su cui aggredire la crisi del debito è quello della spesa. Non si devono ridurre, per quanto possibile, i quattrini nelle tasche dei cittadini attraverso nuove forme di tassazione o manovre estemporanee di cassa. Ovviamente non sta scritto da nessuna parte che la ricetta di Rajoy funzioni, ma noi riteniamo che sia la strada più giusta per la nostra politica economica.

Vediamo di essere più espliciti.
Proprio ieri i funzionari di Senato e Camera hanno certificato ciò che i giornalisti del Giornale vi hanno sempre detto: l’85 per cento del decreto salva Italia (è così berlusconiano e così poco tecnico questo appellativo!) è fatto di nuove entrate. E per il resto gran parte è affidata al congelamento dell’indicizzazione delle pensioni (che i popolari spagnoli hanno esplicitamente escluso). Insomma come l’acqua e il fuoco. Il governo tecnico fa esattamente il contrario di un governo politico. Sarebbe sciocco e preconcetto buttare a mare tutta la manovra di Monti. Il doppio passo di Elsa Fornero, di mettere a regime, bruscamente, le riforme delle pensioni fatte nel passato e provare a mettere mano al mercato del lavoro è cosa buona e giusta. E coraggiosa. Questa è materia che Berlusconi avrebbe dovuto fare senza indugio, portando piuttosto lo scontro fino alla sfiducia parlamentare (per la verità è ciò avvenne nel 1994). La strada è appunto questa: di riforma complessiva. Sembra invece, passateci il termine, che il governo invece di andare alla meta per conquistare il premio da un milione si fermi ad ogni passo per raccogliere cinque euro.

L’idea che ci siamo fatti è che la tipicità dell’emergenza italiana, che ovviamente esiste, sia largamente sopravvalutata, come la morte di quell’anziano signore. E in virtù di ciò ci si approfitta di raccogliere anche gli spiccioli nel mezzo del percorso. Bene la riforma delle pensioni; ma che senso ha tagliare il reddito disponibile dei pensionati con il trucchetto del blocco delle indicizzazioni? Se il sistema non è sostenibile si abbia il coraggio di adottare un taglio vero e strutturale e non un colpetto per fare cassa.

Discorso analogo sulle imposte. Veramente questo governo ritiene che sia possibile continuare con il processo di inseguimento della spesa pubblica attraverso l’aumento della tassazione? Tra pochi giorni le buste paga di tutti i dipendenti italiani (a giugno per gli autonomi) saranno gravate da un piccolo ma significativo conguaglio negativo per un’imposta aggiuntiva sul reddito che verrà prelevata con la dicitura addizionale regionale. Cosa è questa se non un innalzamento delle imposte su tutta la platea dei contribuenti e per di più con un meccanismo di scarsissima progressività?

Governare una Paese come il nostro è ovviamente molto complicato.

Farlo dopo un paio di settimane per dei maverik della politica lo è di più.

Se i nostri tecnici guardassero meglio al caso spagnolo (Paese che ha ovviamente delle differenze sostanziali rispetto all’Italia e ha un debito ben più gestibile) potrebbero abbandonare il loro pensiero unico: che è quello delle manovre depressive degli ultimi venti anni. Attendiamo la fase due, quella delle riforme e dello sviluppo. Nicola Porro, Il Giornale 20 dicembre 2011

……………….Se fosse stato il contrario, cioè che Zapatero avesse preso il posto di Rayoy, la sinistra italiana l’avrebbe preso ad esempio per pretendere le elezioni, come è giusto che sia in un paese democratico. Invece no. In Italia, tuti insieme appassionatamente da destra a sinistra,  si è preferito il governo dei tecnici, veri e propri commissari della democrazia parlamentare,  che ci hanno subissato di tasse senza fare nè tagli nè provvedimenti per la ripresa della crescita. E nion ci hanno risparmiato neppure nè le lacrime della Fornero nè le sue incredibnili affermazionmi di ieri: bisogna alzare i salari. Ma come, la signora Fornero non è la ministra del lavoro che ha bloccato i salari e addirittura bloccato la indicizzaizone delle pensioni? Ed ora scopre che i salari sono bassi, e quindi  sa  anche che le pensioni di 400 euro non consentno ai pensionati più poveri neppure di vivere. Eppure ha varato insieme al suo capataz la più forsennata operazione tassaiola di tutti i tempi. Qualcosa non va. O siamo da internare noi, o da internare è…indovina chi? g.

POVERO MONTI, NON CONTA NIENTE, di Vittorio Feltri

Pubblicato il 10 dicembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Mario Monti a Porta a porta , davanti a un Bruno Vespa incredulo, ha affermato che quando lui è arrivato a Palazzo Chigi l’Italia era a tre mesi da un crollo alla greca. Una boutade sobria? Non sappiamo.

Ma se il premier ha ragione, una cosa è certa: il default è ancora dietro l’angolo. Con un’aggravante: che alla catastrofe non mancano più tre mesi, bensì solo due. Difatti la manovra dei tecnici non ha modificato di una virgola la situazione che, quindi, rimane drammatica esattamente come 90 giorni orsono. Una manovra pesante per i contribuenti, ma leggerissima e ininfluente ai fini del debito pubblico, la cui entità è inalterata.

I miliardi recuperati nelle nostre tasche dal professore bocconiano e dai suoi colleghi serviranno a malapena a compensare le maggiori uscite dovute al rialzo dello spread, cioè degli interessi passivi sui prestiti. D’altronde, è noto a chiunque che,per diminuire il debito, e i suoi oneri, o si riduce la spesa o si fa un buco nell’acqua. Il trionfalismo suscitato dalle misure che l’esecutivo ha adottato (alle quali la stampa ha dedicato commenti encomiastici) è ingiustificato non soltanto perché esse non risolvono il problema, ma lo complicano. Motivo? Inasprire il prelievo fiscale non agevola la sospirata (e illusoria) crescita; al contrario, incentiva la depressione e favorisce la recessione. Proprio un bel risultato.

In ogni caso è inutile prendersela con il «signore in loden», cui va riconosciuto il merito di rischiare la faccia (e la perderà), visto e considerato che lui, per quanto si dia da fare, non conta e non conterà nulla nella determinazione dei destini della Patria, che dipendono esclusivamente dall’Europa e dall’euro. Lo si evince da quello che sta accadendo in questi giorni nelle trattative in sede Ue, finora inconcludenti sul piano sostanziale. Non c’è verso che le maggiori potenze trovino un accordo serio. L’Inghilterra si è defilata, infischiandosene della moneta unica che ha sempre respinto. La Germania insiste nel rifiutare gli eurobond. La Francia traccheggia. L’Italia è in balìa di tutti, perché giudicata responsabile dell’acuirsi della crisi.

Praticamente, l’unica decisione assunta dai padreterni che rappresentano le nazioni cardine dell’Unione europea è stata quella di rinviare a marzo il momento della verità, quando essi si riuniranno di nuovoallo scopo di misurare la febbre dell’euro, oggi molto alta. Il dato, dunque, è che noi siamo un vaso di vetro fra tanti vasi di coccio, ciascuno dei quali cerca di salvare se stesso e non ha alcun interesse autentico per il destino degli altri.

Ha voglia Monti di alzare le aliquote dell’Iva e di riesumare l’Ici, brodini privi di effetti benefici. Occorre ben altro per assicurare un riparo alle economie occidentali legate l’una all’altra da una moneta unica, che poi è una gabbia nella quale convivono sistemi politici diversi, diverse capacità produttive e di crescita, diverse lingue e culture. Si percepisce a occhio nudo che l’euro è in agonia, tenuto su a forza di flebo che ne prolungano l’esistenza senza alcuna possibilità di guarirlo. Va da sé che prima o poi la divisa imploderà. Sarà una liberazione o una catastrofe? Forse entrambe le cose. Certo è che avanti così non si può andare. Se i capi di Stato e di governo confluiti nella Ue avessero coraggio, o almeno non temessero di essere sconfitti alle elezioni in casa propria, dovrebbero rassegnarsi all’eutanasia della valuta fasulla e del contenitore burocratico, politicamente insignificante, chiamato Unione europea. Basta con questa finzione.

Infine, Monti si persuada di non essere in grado di compiere un prodigio: ciò che accade in Italia è il riflesso di ciò che avviene, o non avviene, a livello internazionale. Quello che lui fa è vano perché non è in condizione di ammazzare il debito pubblico.

Oddio, dalle sue iniziative qualcuno che sta per guadagnare c’è: le banche.

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Che,d’ora in avanti,con la storia della tracciabilità moltiplicheranno gli affari. Già. Se i pensionati che percepiscono un assegno superiore a 500 euro non potranno riscuotere denaro contante, ovvio, saranno obbligati ad accendere un conto corrente, e il loro reddito netto sarà ancor più modesto, mentre quello lordo degli istituti di credito ancor più ricco.

Tutto questo accanimento contro i poveracci e gli anziani, fra l’altro,non darà alcun frutto, ma creerà malcontento per non dire di peggio. Anche perché, e non ci stanchiamo di ripeterlo, i giochi non si svolgono qui nel Belpaese ma a Bruxelles, dove noi (dove Monti) siamo importanti come il due di picche quando la briscola è a bastoni.

Presidente, per favore, non pigliamoci in giro. Vittorio Feltri, Il Giornale, 10 dicembre 2011

IL VERO BENE DELLA CHIESA

Pubblicato il 8 dicembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Dirigibiel Goodyear nei cieli di Roma: una veduta aerea di San Pietro (foto Gmt) Come previsto, la vicenda dell’Ici sui beni ecclesiastici è decollata e coinvolge in maniera trasversale destra e sinistra. Le richieste di assoggettare all’imposta gli immobili della Chiesa che ne sono esenti provengono da varie aree politiche. Alcuni sono mossi da un disegno ideologico (sinistra radicale, laicisti, liberali), altri da sentimenti di «equità» più o meno sinceri. Non ci sono dubbi però che il tema sia nell’agenda del Palazzo. Quel che continua ad essere un oggetto misterioso è la posizione del Vaticano. Perché appoggiare la manovra di Monti – come ha saggiamente fatto ieri il segretario di Stato cardinal Bertone – non sposta di una virgola il problema dell’Ici: la Santa Sede e la Cei hanno una linea da presentare non solo ai fedeli, ma anche al contribuente italiano? Il cittadino al quale vengono chiesti, appunto, sacrifici, in cuor suo credo si ponga anche un’altra domanda: cosa ne pensa di questa vicenda il Papa? Come si vede, porre la questione non è un esercizio scolastico, ma valutare le implicazioni del caso. Che non riguardano solo il Fisco, ma anche l’etica e il comune sentire in un momento particolare della vita italiana. Immagino che Ratzinger sia pienamente informato della situazione e che il cardinal Bertone e il cardinal Bagnasco – presidente della Cei – abbiano parlato con il Santo Padre dei risvolti che può assumere questa vicenda. Ci sono ancora alcune domande da porsi: è giusto che la Chiesa faccia muro sul tema e dica no a prescindere? O piuttosto è il caso di aprire un dialogo con lo Stato italiano e trovare una soluzione negoziata? Visto il dibattito interno, valutato il contesto economico e il peso di una manovra da 30 miliardi, penso che la seconda opzione sia quella più conveniente. La categoria di immobili «protetta» infatti è fuori dai Patti Lateranensi (che tutelano gli immobili della Città del Vaticano) e in qualsiasi momento lo Stato potrebbe gabellarvi sopra come meglio crede. Un accordo oggi avrebbe il vantaggio per il Vaticano di operare con certezza sul domani. Renderebbe pretestuose, inoltre, le richieste di revisione del gettito dell’otto per mille. La comunità dei cattolici ha bisogno di risposte certe e meditate. Io da credente me le attendo. Per il bene della Chiesa.  Mario Sechi, Il Tempo, 8 dicembre 2011

…………Ha detto il Cardinal Bertone, Segretario di Stato del Vaticano, che in tempi difficili è giusto imporre e fare sacrifici. Chi può dargli torto? E allora è altrettanto giusto (ci guardiamo bene dal dire “è sacrosanto”!) che tutti facciano sacrificoi. Anche la Chiesa nella sua veste temporale, quale è allorquando ci si riferisce  alle migliaia di immobili di cui è proprietaria, fuori dalla Città del Vaticano, come giustamente nota Sechi, che non sono sottoposti al particolare status derivante dai mussoliniani  (e craxiani) Patti Lateranensi, e per i quali la Chiuesa gode di particolari privilegi, il primo dei quali è l’esenzione dall’ICI, benchè la maggior parte di questi immobili sono utilizzati per lucrose  attività  commerciali che spesso con la Chiesa nulla hanno a che fare. E’ vero, la Chiesa svolge una funzione importante, specie nella meritevole e insostituibile azione di aiuto ai poveri, ma non siamo ormai tutti poveri, specie i lavoratori e i pensionati a carico dei quali pesa la ingiusta, iniqua, settaria manovra dei professori? E allora ci pare che la proposta di Sechi sia una proposta di buon senso. Il Vaticano si sieda a un tavolo di trattativa con lo Stato e accetti di trovare un accordo che salvaguardi la sua azione e nel contempo distribuisca i sacrifici in maniera  più equa. E già che ci siamo, una forbiciata va data anche e subito ai privilegi della politica per nulla toccati dalla manovra di Monti, salvo una avveniristica cancellazione di qualche centinaio di cariche nelle Provincie. VANNO ELIMINATI I VITALIZI, A TUTTI E PER SEMPRE. Ai deputati e ai consiglieri regionali, senza distinzione e immediatamente. I deputati e i consiglieri regionali  scelgono liberamente di candidarsi alle cariche pubbliche e se eletti percepiscono una indennità di carica. Appunto, una indennità che è legata alla carica. Cessata la carica, cessa anche l’indennità. E’ stato un abuso consentire che l’attività politica si trasformasse in un mestiere e alla cessazione della carica e quindi dell’indennità si desse luogo a quello che è stato chiamato vitalizio. Non hanno mestiere deputati e consiglieri regionali? Peggio per loro! E siccome la crisi economica sta travolgendo tutti, è una vera e propria catastrofe secondo Monti,  che però si guarda bene dal fornire  dettagli quasi fossimo tutti cretini, travolga anche e prima degli altri quelli che con il loro comportamento ci hanno portato al punto di non ritorno. Senza fare storie e prenderci in giro. Quando si arriva a negare il modesto adeguamento delle pensioni a chi vive con 1401 euro al mese (sempre che passi l’emendamento che lo consente alle pensioni sino ai 1400 euro mensili) non si possono più fare sconti a nessuno. g.

BANCHE, CHIESA E RICCHI GRAZIATI DALLA NUOVA ICI

Pubblicato il 7 dicembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

La stangata non è uguale per tutti: gli istituti e altre categorie verranno colpiti da un aumento degli estimi del 20%.

Banche,  Chiesa e  ricchi graziati dalla nuova Ici

Non è stata uguale per tutti la stangata sull’Ici decisa dal governo di Mario Monti per decreto legge.  Se la batosta arriva senza eccezioni per tutti i cittadini sulle prime e seconde case con un aumento medio degli estimi del 60%, dalle grinfie del governo si sono però salvate molte categorie privilegiate. La nuova Ici, travestita da Imu, si baserà su un rincaro degli estimi pari al 61% per negozi e botteghe, colpendo quindi i commercianti che ne sono naturali proprietari, ma sarà assai meno salata per banche e assicurazioni, la cui rivalutazione degli estimi salirà dall’attuale 50% al 60%, con un aumento in termini percentuali pari al 20%, un terzo di quello che tocca a tutti i cittadini. Il privilegio ottenuto dalle banche e dalle assicurazioni per le proprie agenzie (che pagano la metà di tasse sugli immobili rispetto ai pensionati sulla prima casa), è per altro in buona compagnia: parzialmente risparmiati dalla stangata sono anche proprietari di alberghi e pensioni, di numerosi fabbricati utilizzati per attività commerciali e di immobili utilizzati per cinema, teatri e sale per concerti e spettacoli. Tutti con un rincaro medio degli estimi pari al 20 per cento.

E la Chiesa non paga…  – Vien da dire che il governo dei banchieri ha graziato ricchi, privilegiati ed istituti di credito, allargando ulteriormente la forbice dei privilegi che esisteva già da prima. Per fare un esempio, la vecchia rivalutazione catastale di banche e alberghi (e come loro tutti gli altri graziati) era al 50%, la metà rispetto a quella del mattone di un privato cittadino. Poiché le nuove rivalutazioni in termini percentuali sono addirittura inferiori per le categorie che già pagavano meno, i privati, i normali cittadini, oggi pagheranno una differenza ancora maggiore rispetto a quanto corrisposto dalle banche. La stangata di Monti, però, non si è abbattuta nemmeno sulla Chiesa, che riesce sempre a sfangarla e a non pagare mai l’Ici. Niente balzello per gli immobili commerciali di proprietà del Vaticano. Mario Monti, nella conferenza stampa con la stampa estera, aveva candidamente ammesso: “Perché non abbiamo imposto l’Ici alla Chiesa? E’ una questione che non ci siamo mai posti”. Peccato che l’esenzione non sia soltanto palesemente ingiusta, ma anche contraria all’articolo 108 del Trattato europeo: questo è quanto aveva stabilito la sentenza 1678 del 2010 della Corte di Cassazione, anche alla luce del fatto che le norme comunitarie hanno rilievo costituzionale.

I ricchi – I più abbienti, inoltre, con la nuova Imu rischiano addirittura di pagare di meno. L’analisi è stata realizzata dagli artigiani della Cgia di Mestre: per i proprietari con redditi oltre i 100mila euro l’Imu diventerà addirittura più vantaggiosa dell’Ici. Nelle simulazioni realizzate, infatti, sono stati presi in esame quattro casi di proprietari con livelli di reddito crescenti (25mila euro, 50mila euro, 100mila euro, 150mila euro). Con l’attuale tassazione si è presa in esame una Ici con un’aliquota media che è pari a quella nazionale del 6,4 per mille, un’addizionale Irpef regionale dello 0,9% e un’addizionale Irpef Comunale dello 0,4 per cento. Nel caso dell’Imu, invece, è stata presa in esame un’aliquota media del 7,6 per mille ed una rivalutazione catastale del 60 per cento. In buona sostanza, la nuova Imu sarà praticamente una tassa piatta, che consentirà ai più ricchi, rispetto all’applicazione dell’Ici, aggravi di imposta più lievi man mano che cresce il reddito. Oltre i 100mila euro i proprietari di seconda casa pagheranno addirittura meno di quanto hanno pagato sinora con l’Ici. Libero, 7 dicembre 2011

ICI, IRPEF E CONTI CORRENTI. TUTTI GLI ERORRI DI SUPER MARIO

Pubblicato il 4 dicembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Invece di ragliare la spesa pubblica e gli sprechi Monti si è accanito sul ceto medio che, come sempre, pagherà per tutti

Ici, Irpef e conti correnti Tutti gli errori del premier

Occhio ai conti correnti. Domani mattina il saldo potrebbe essere un po’ calato. Il governo ha assicurato alle forze politiche che non ci sarà alcun prelievo forzoso allo sportello. Eppure la tentazione di ripetere il “colpo in banca” realizzato in piena notte da Giuliano Amato nel 1992 è  forte. L’opzione  è sul tavolo di Mario Monti. E il premier la valuta. Del resto, con una tassa al 6 per mille in stile Amato, il gettito immediato  per le casse dello Stato sarebbe di oltre 8 miliardi di euro. Un terzo, calcolatrice alla mano, dei 25 complessivi necessari a coprire l’intera  manovra sui conti pubblici in arrivo oggi  (o al più tardi domani) a Palazzo Chigi.

Così il termometro della patrimoniale in banca sale e segna di nuovo febbre alta. Per un conto corrente con 2mila euro, il salasso sarebbe di 12 euro. Cifra che schizzerebbe a 60 euro con un saldo da 10mila euro. E via a salire. Roba da far venire i brividi. La  voce è tornata a girare ieri come una trottola impazzita. C’è chi ha collegato l’ipotesi di un consiglio dei ministri  anticipato a oggi, all’intenzione dell’esecutivo di accelerare i tempi. Ciò, magari, per riuscire a pubblicare subito il decreto in Gazzetta ufficiale  e rendere operativa la misura fra 24 ore.    Ieri il telefono del viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, era infuocato. A chi lo ha contattato per chiarimenti, l’ex direttore generale del Tesoro avrebbe escluso con fermezza la misura. La stessa linea tenuta da  Monti con i leader di partito. Tuttavia, un intervento nel recinto bancario pare   inevitabile, secondo indiscrezioni raccolte a via Venti Settembre.

La patrimoniale in banca, insomma, potrebbe essere mascherata. Non una tassa secca su conti e depositi. Ma più misure slegate tra loro. Un modo come un altro per mischiare le carte e smussare la rabbia degli italiani. A cominciare, a esempio, da un ritocco all’insù dell’imposta di bollo: potrebbe essere inasprito l’aumento già scattato a luglio sui dossier titoli (la botta arrivava fino a 1.500 euro) da estendere ai conti (oggi si pagano 34,2 euro). Alla fine della giostra verrebbero colpiti i risparmi. Non solo. Altri balzelli sparsi potrebbero arrivare sulle carte di credito e sui bancomat. Sulle tessere di plastica potrebbe essere chiesto qualche sacrificio anche alle banche con un abbattimento delle commissioni pagate dai commercianti. Mossa che sarebbe abbinata alle norme (blande) sulla lotta all’evasione fiscale, tra le quali, appunto,  la riduzione dell’uso del contante (massimo 300 euro). I banchieri, invece, escludono un giro di vite fiscale: a fine anno, d’altra parte, quasi tutti  i bilanci dei gruppi creditizi saranno in perdita.

Anche ai piani alti degli istituti, comunque, è forte il  timore per un  blitz sui conti correnti.  Che, di là dal “prelievo” immediato dello Stato, avrebbe altri effetti devastanti.  Si corre il rischio, infatti, di generare sfiducia tra i correntisti con ricadute sulla raccolta  delle banche. E se diminuisice    il denaro versato allo sportello dai clienti,  calano consequenzialmente i prestiti concessi a famiglie e imprese, già  drammaticamente strozzati dalla bufera finanziaria. Gli esperti delle aziende di credito hanno calcolato che nel ’92 la crescita della raccolta (misurata col rapporto tra depositi e Pil) è calata dell’1,4% nei nove mesi successivi allo scippo di Amato, mentre nel periodo precedente aumentava al ritmo del 4%.

Numeri che dovrebbero far riflettere chi in queste ore ha in mano le sorti del Paese. E che invece di dare  il via a una sfilza di tagli alla spesa pubblica e agli sprechi, pensa di risolvere i problemi dell’Italia e di aggredire il debito pubblico (1.900 miliardi) soltanto allungando le mani nelle tasche dei cittadini.
Nel provvedimento dell’esecutivo, stando alle bozze, non c’è traccia di interventi seri sulla cosiddetta Casta, peraltro promessi dal primo ministro nel programma illustrato in Parlamento. Dopo settimane di finte e dribbling, il governo dei professori (e delle tasse) ha gettato la maschera. La manovra è tutta una patrimoniale, o giù di lì. Colpisce, anzitutto,  gli immobili. Un po’ meno scontato il  ritorno dell’Ici sulla prima casa , è dietro l’angolo  una tassa molto alta sulle seconde e terze abitazioni, nonché una stangata sui beni di lusso, come gli yacht e, forse, le auto di grossa cilindrata.

Sotto tiro anche i redditi del cosiddetto ceto medio. L’idea (che potrebbe essere in parte accantonata) è portare al 45% l’aliquota del 43% e spostare al 43% quella oggi inchiodata al 41%.  Mossa che andrebbe a colpire redditi provenienti in larghissima parte da lavoro dipendente e da pensione per una quota che si aggira intorno all’80%. Denaro, in buona sostanza, che  non sfugge al fisco. Denaro di cittadini che le tasse le pagano già. Poco chiaro il capitolo sullo sviluppo: congelato il pacchetto sul rilancio delle infrastrutture, appaiono impalpabili gli sgravi fiscali (irap) per le imprese . Sul fronte della spesa statale (previsti tagli per il trasporto pubblico e  la sanità con inevitabili aumenti del ticket ospedaliero), gli unici interventi condivisibili sono quelli sulle pensioni: sistema contributivo per tutti, 42 anni di contributi per smettere di lavorare, più alta l’età per le donne. Provvedimenti coraggiosi e di buon senso.
Da chi ha studiato una vita alla Bocconi,  però,  era legittimo aspettarsi di più e di  meglio. O no?
Francesco de Dominicis, LIBERO, 4 dicembre 2011

I PROFESSORI FACCIANO IL LORO COMPITO. LI GIUDICHEREMO NOI, di Giuliano Ferrara

Pubblicato il 4 dicembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Ora è il professor Monti a rifilare una poderosa stangata a tutti i contribuenti (quelli che pagano le tasse, gli altri si vedrà in un molto ipotetico futuro). Un colpo duro a tutti i pensionati e pensionandi, pubblici e privati, maschi e femmine.

Mario Monti

Mario Monti
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Ai proprietari di quel bene rifugio universale chiamato prima casa, agli utenti dei pubblici servizi sanitari e di trasporto, agli enti locali territoriali e alle Regioni. Un prelievo rapace nelle tasche dei cittadini, e una intrusione forte nei modi di vita di tutti gli italiani, che farà rimpiangere le morbidezze dei Prodi, dei Padoa- Schioppa, dei Tremonti e dei Berlusconi.

La stangata è sostanziale e procedurale. La sostanza è nella corrosione di interessi corposi, difesi fino ad ora male e in modo corporativo, ma difesi con le unghie e con i denti, e con la famosa concertazione, un modo di impedire sistematicamente la decisione politica a vantaggio di una inerzia nichilista che dura da decenni. Questi interessi adesso verranno travolti. Le conseguenze saranno purtroppo di lungo periodo, e solo la proverbiale pazienza degli italiani, e la loro prostrazione di fronte alle lezioni di declinismo e catastrofismo oggi in auge, eviterà guai sociali seri. La forma procedurale è addirittura ferina per quanto risulta crudelmente offensiva. La consultazione informativa al posto della negoziazione, questo offre la ditta tecnocratica.

Di fronte a un governo tecnico e alla sua missione di salvezza nazionale ed europea concordata con il Quirinale, con l’Eliseo, con la Cancelleria federale di Berlino e con la Casa Bianca, ma cosa volete che sia se non una fastidiosa formalità un colloquio seriale, nel week end, con Casini, Alfano e Bersani, seguito da un giro di tavola con Camusso, Angeletti e Bonanni, per non parlare della Marcegaglia e altri minori.

«Venite che vi spiego quel che ho deciso, non c’è tempo per troppe vostre domande, il sapere non si contratta, non sono forse un professore? Non mi avete forse incaricato di fare al posto vostro quello che non avete saputo e voluto fare fino ad ora? Non mi avete appena votato la fiducia? Non sono forse stato cortese con voi, non ho forse proclamato la necessità di riconciliare cittadini e politica, rispettando il ruolo di Parlamento e partiti? Adesso incamerate tutto il rispetto che vi è dovuto, e fatemi fare la mia parte, perché avete appena accettato di assistere alla commedia, siamo solo al primo atto, non è tempo di buuuuuh e di fischi, lì fuori ci sono i corazzieri dei mercati, se non bastassero quelli del Quirinale». Also sprach Herr Professor Monti. Così parlò il professor Monti.

Messi davanti alla verità, strillano adesso quelli che fino a ieri ci hanno rimproverato, a noi pochi refrattari, quelli che fino a ieri ci hanno spiegato sussiegosi che la democrazia non è sospesa, che è tutto regolare, che i partiti sono in gran forma, che è avviata una spirale virtuosa di riforme di struttura anticrisi, e che le istituzioni impedendo il libero voto dei cittadini si preservano, si lustrano, si conservano in naftalina per un inverno duro, poi nella primavera del 2013 le si ritirerà fuori e, zacchete!, vedrete come ricominceranno a funzionare carburate dal consenso civile.

La posizione dei sindacati, senza distinzione, è ridicola. Si sono comportati da combriccola classista o corporativa, fa lo stesso, e si sono dimostrati meno democratici dei sindacati greci e dei centri sociali che tirano le molotov contro le banche, per dire di due cattivi soggetti ormai famosi nel mondo. Avete accettato il governo tecnocratico, il piglio di Passera a Termini Imerese vi è piaciuto, si può sempre fare roba con gente nominata come voi siete, meglio di un presidente eletto con un suo programma e una sua maggioranza, e adesso volete pure negoziare come se fossimo nella prima o nella seconda Repubblica? No cari, ora sbrigatevi, fate in fretta, esaurite il tempo concesso per la consultazione, e poi buttatevi dalla finestra di opportunità che, come ha scritto la vignettista Elle Kappa, il professore ha appena aperto per voi e per le altre parti sociali.

Dei tripartiti della maggioranza tecnocratica tripartita non mi va nemmeno di parlare. Sbuffano, rognano, rosicano, approntano le Camere per trappole che non scatteranno, perché sanno benissimo di essere del tutto impotenti, sono potenziali capri espiatori se qualcosa andasse male al cospetto dell’Europa e dei nuovi maestri di palazzo, questo sono,e non si azzardino a fare alcunché a parte un po’ di ammuina, chi sta sotto va sopra, chi sta a destra va a sinistra, e chi sta sopra va sotto e chi sta a sinistra va a destra; c’è chi vuole la patrimoniale per fare il rosso sulle barricate al grido di «equità», chi vuole difendere il ceto medio produttivo e l’imprenditoria diffusa ma si accorge che è un po’ tardi per battersi contro le tasse a chi le paga, oltre la frontiera del prelievo tollerabile, ma molto oltre; e infine, minoranza di opposizione leghista a parte, ci stanno i demo-centristi che sguazzano nell’equivoco della democrazia sospesa e dell’inciucio permanente e legittimato dalla tecnica, e se la ridono in fila indiana davanti all’ufficio di Monti.

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Ora pagate il fio della vostra dabbenaggine, sindacati e partiti che avete steso il tappeto rosso davanti al Preside e al suo Consiglio di facoltà. Noi che la fiducia non l’abbiamo votata, ora ci leggiamo le carte di Monti, vediamo se ci sia qualcosa di serio per lo sviluppo e la libertà economica competitiva, e poi giudicheremo come si fa agli esami. Siamo professori anche noi, mica assistenti del colpo di mano che ha portato al governo i professori. Giuliano Ferrara, 4 dicembre 2011

PIU’ DEI SOLDI MANCANO LE IDEE. PAGA CHIA HA SEMPRE PAGATO.

Pubblicato il 4 dicembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Soldi Tanti saluti all’idea che si doveva far pagare quelli che non avevano pagato. Pagheranno quelli che hanno sempre pagato, per giunta di più, vale a dire le fasce alte delle aliquote Irpef. Non è un colpo di scena, ce lo aspettavamo. Credere che fosse possibile il contrario è un po’ credere nelle favole, e noi non ci crediamo. Però c’è un aspetto fastidioso, un elemento culturale che segnaliamo ai professori al governo, talché lo mettano nel conto di reazioni negative: sostenere che questo sia un atto di giustizia sociale, perché così pagano i “ricchi”, è una tesi intollerabile. Primo, perché così pagano solo le persone oneste. Secondo, perché immaginare come “ricchi” i redditi che superano i 55mila euro può farlo solo chi preferisce coltivare pregiudizi sociali al far di conto. Il ceto medio e professionale subisce una spazzolata fiscale senza veder modificare, anche nel senso di maggiore apertura alla concorrenza, le regole del proprio lavoro. Peccato, perché le riforme avrebbero favorito la crescita, mentre i prelievi favoriscono solo la depressione. A questo si aggiunga che rimane in predicato un possibile innalzamento dell’Iva, già cresciuta di un punto, il che ulteriormente colpisce i consumi, già in recessione da mesi. Ma che volete? diranno quelli del governo: siamo in un momento terribile, abbiamo ereditato una situazione difficilissima e non potevamo fare altro. È vero, avrebbero ragione a dirlo. Ma è anche drammatico perché, se ci si limita a quel che si mormora e annuncia, vuol dire che siamo finiti in un vicolo cieco. Dove i primi ad essere bendati, però, sono gli stessi che dovrebbero tirarcene fuori. Perché, per dirne una, non sento parlare di vendite e privatizzazioni? Anche con quelle si farebbe cassa, ma senza incrudelire la recessione e senza lasciare in bocca il sapore sgradevole della vendetta sociale (inaccetabile). Conosco l’obiezione: ci vuole tempo e i soldi servono subito. Ma con tante belle menti a disposizione si possono trovare soluzioni tecniche capaci di produrre liquidità. Ad esempio si possono mettere i beni pubblici dentro un contenitore immediatamente valorizzabile, quindi immediatamente capace di trasformarsi in moneta sonante. Si può anche immaginare di portare verso quel veicolo, anche forzosamente, i quattrini degli italiani che si trovano ad avere liquidità, di modo che quei soldi verrebbero comunque schierati nella trincea del debito pubblico, ma senza essere ufficialmente sequestrati da un inasprimento fiscale, bensì speranzosamente riposti sul Piave, in attesa che Vittorio Veneto getti nel passato Caporetto. Una proposta di questo tipo è stata già descritta da Enrico Cisnetto, meriterebbe che ci si spiegasse perché non preferirla al torchio dell’erario (oltre tutto egli è genovese, quindi spontaneamente portato alla micragna, sicché dovrebbe trovare ascolto in un governo ufficialmente nato per far venire il braccino corto alla spesa pubblica, non per allungare le mani nelle tasche delle persone per bene, dei benemeriti che non nascondono i guadagni). Non essendo mai stato in cattedra, dall’ultimo banco vorrei segnalare un problema, a tanti illustri docenti: se l’unica cosa che si riesce a fare, vale a dire tassare, è la medesima che chiunque altro sarebbe stato in grado di concepire, se l’attesa dei provvedimenti si corona con la presentazione dei più scontati, esclusa l’incompetenza degli autori prende corpo la disperazione dei cittadini. Insomma, vuol dire che siamo alla frutta e che le idee scarseggiano più dei talleri. È per questo, non certo per amore degli equilibrismi politici, che speriamo si sappia aggiungere alle misure di cassa anche non meno concreti provvedimenti per lo sviluppo. Nel primo semestre dell’anno in corso i distretti italiani hanno segnato una crescita delle esprotazioni più alta dei tedeschi. La migliore in Europa. Se si interseca il dato regionale (l’area più forte è stata il Nord-Est) con quello merceologico si scopre che l’area più debole, ovvero il Sud, ha elementi d’eccellenza, che la pongono all’avanguardia, laddove si parla di tecnologia avanzata. Cito questo dato per dire che l’Italia produttiva c’è, quella che rischia, che studia e che inventa, è presente. A quest’Italia non si deve raccontare la storia triste dei ricchi da punire, specialmente se l’asticella della ricchezza viene collocata così in basso. Guai a stroncare le gambe di chi vuol correre, guai a distruggere il morale di chi ha l’ambizione di vincere, perché così facendo poi ci ritroviamo solo con l’Italia che campa di trasferimenti pubblici, ovvero gli stessi che si dovrebbero comprimere. A quel punto ci troveremmo a verificare la conferma di una dannazione: il consenso elettorale raccolto proprio grazie a una spesa che condanna l’Italia a scivolare indietro, lasciando senza degna rappresentanza gli italiani che incarnano l’unica seria alternativa alla rassegnazione declinante. Il governo Monti aveva ed ha la possibilità di ridare fiducia e dignità a questa Italia. Stia attento, per assenza di coraggio e fantasia, a non accartocciarsi nella retorica del sacrificio e della sofferenza, quasi fossero lussurie e non malanni. Ricordi che siamo una delle gradi potenze economiche del mondo. Che certamente necessita di rimettere ordine nei propri conti pubblici, che sicuramente, nel farlo, si possono rompere privilegi e tabù, ma non si può e non si deve farlo fracassando le ossa all’Italia dei privati produttivi, assai meno indebitati, quindi più virtuosi, dei loro simili nel resto d’Europa.  Davide Giacalone, Il Tempo, 4 dicembre 2011

.…………..Le tasse che super Monti sta per far cadere sulle spalle degli italiani non sono ancora formalmente definite, ma lo saranno nelle prossime ore se è vero che super Monti (da non confondere con Superman,  eroe dei fumetti e dei ragazzini) subito dopo aver “incontrato” partiti e parti sociali, infischiandosene delle loro opinioni e magari delle loro contrarietà, se ne andrà in Consiglio dei Ministri con gli altri superdii a cui Re Giorgio 1° ha affidato il compito di spremere gli italiani e delibererà come gli aggrada. Non si sa quindi se i redditi superiori ai 55 mila euro saranno definiti “da ricchi” e quindi penalizzabili con un aumento del prelievo IRPEF. In attesa di saperlo non possiamo che essere d’accordo con Giacalone quando ironizza sulle cifre che contrassegnerebbero i “ricchi” del nostro Paese. Perchè se sono da definire “ricchi” i percettori di 55 mila euro all’anno, poco più di 2600 euro al mese, come si dovrebbero definire quelli che percepiscono 72 mila euro al mese, al mese!, 2400 euro al giorno, al giorno!, 864000 euro all’anno? E chi è che percepisce tale fortuna, un super enalotto  annuale? Ma proprio lui, il super Monti, quello che vorrebbe imporre ai pensionati che superino i 936 euro al mese,  936 al mese!, 31 al giorno!, il congelamento dell’adeguamento della pensione al tasso di inflazione  per il 2012 (e si sa, in Italia quando si tratta di tasse si incomincia per un anno e si finisce per renderle stabili per sempre – come insegna l’addizionale per il terremoto di Messina del 1908!). Infatti super Monti percepisce 35 mila euro al mese di pensione per l’attività lavorativa svolta da “professore” a cui si aggiungono 25 mila euro al mese quale indennità di senatore a vita (ma non dovevano essere eliminati i senatori a vita?!) e infine 12 mila euro mensili quale indennità di presidente del Consiglio, in tutto 72 mila euro al mese, ripetiamo, al mese! E questo super introitatore di migliaia di euro al mese ha la faccia tosta si imporre ai lavoratori e ai pensionati l’ennesima super stangata. Ma lui perchè non rinuncia, e in proporzione è sempre poco, all’indennità di senatore a vita e all’indennità di presidente del Consiglio? Lo capiamo, se rinunciasse, forse andrebbe a dormire sotto i ponti del Tevere e insieme alla moglie andrebbe alla mensa dei poveri. Va a finire che saremmo c0stretti a fare una colletta per trovargli alloggio a pensione completa. g.

LA STANGATA DI MONTI: SE ALFANO E IL PDL CI SONO, ORA BATTANO UN COLPO, PERCHE’ E’ L’ULTIMA CHIAMATA PER FERMARE MONTI

Pubblicato il 3 dicembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Pdl in Senato ha i numeri per bloccare Monti: lo scambio imposte-interventi sulle pensioni accontenta forse il Pd, non gli azzurri

Se Alfano e il Pdl ci sono, ora  battano un colpo: è l'ultima  chiamata per fermare Monti

Giorno dopo giorno prende corpo la stangata di Mario Monti, una manovra che secondo le ultime stime dovrebbe aggirarsi intorno ai 23-25 miliardi di euro. All’interno del pacchetto sono quattro i punti che il Pdl proprio non riesce a digerire: Ici, Irpef, patrimoniale e tracciabilità dei pagamenti al di sopra di 500 euro, alias il grande fratello fiscale. Segue il commento di Martino Cervo.

Effettivamente, erano misure «impressionanti», e adesso il pettine è gonfio di nodi. Questione di ore e dovrebbe chiarirsi se le bozze trapelate ieri sono fantasie o realtà con cui le tasche degli italiani faranno rapidamente i conti, con tanti saluti alla lettera alla Bce. C’è una terza ipotesi: che la spremuta di tasse prospettata sia una mossa molto poco tecnica da parte del governo.  Che sia cioè l’equivalente di una sparata a quota 100 fatta per portare a casa 40, guadagnando anche un’immagine di ragionevolezza.

Monti e Angelino Fosse così, a maggior ragione oggi il colloquio tra Mario Monti e Angelino Alfano (e Silvio Berlusconi, se sarà confermata l’intenzione del premier di ascoltare il suo predecessore) assume un peso politico senza precedenti, perché dal suo esito dipendono le condizioni economiche, dunque una fetta di libertà, di milioni di elettori. Attenzione: non necessariamente del Pdl. L’innalzamento delle ultime due aliquote dal 41 al 43 e dal 43 al 45 investirebbe redditi mensili netti a partire da 2.600 euro di lavoratori dipendenti. Privilegiati, certo, ma difficili da considerare benestanti o tantomeno abbienti, se membri di nuclei familiari monoreddito, e senza parlare dell’Ici. C’è di mezzo pure un fiume di elettori del Pd.

Lo scambio di Pier Luigi Sarà interessante capire se è vero che il segretario democratico Pier Luigi Bersani ha di fatto condotto una trattativa che vedeva su un piatto il soffertissimo sì al ritocco delle pensioni contro cui la Cgil prepara barricate e sull’altro la macelleria di ceto medio uscita ieri pomeriggio tramite le agenzie. In pratica, avrebbe «ottenuto» tasse da far dimenticare il livello già record in cambio di assenso politico sulle pensioni e, forse, sugli interventi legati al mercato del lavoro. Se il Terzo polo fosse allineato a questa posizione, la maggioranza alla Camera può esserci. Al Senato, sulla carta, no. Oggi Angelino Alfano ha l’occasione di mettersi alle spalle una giornata storica nel suo cammino di segretario politico del Pdl.

Tecnici addio La garbata perifrasi del governo tecnico è durata lo spazio di settimane stordite dalla novità fulminea imposta dal Colle, ma in queste ore è la politica – caduto il grande alibi del Cavaliere – a fare i conti con scelte raramente così decisive per la vita dei cittadini, per di più con gli occhi di mezzo mondo puntati su Roma. O Alfano gioca il peso in Aula del partito che rappresenta – recuperando, almeno su questo, l’asse con la Lega – e fa valere l’idea di fisco, di persona, di società, che gli elettori hanno mostrato di voler difesa, o c’è da chiedersi se il Pdl meriti di esserci ancora. Anche perché, malgrado sia passato nel dimenticatoio del confuso frullato di manovre estive, il vecchio governo ha già inserito il contributo di solidarietà biennale, cui la stangata Irpef e Ici si cumulerebbe. Rendersi partecipe, con qualunque pressione dettata dall’urgenza o dal calcolo sulla durata dell’esecutivo, di quest’altra batosta, sarebbe un certificato di distruzione di identità.
di Martino Cervo, Libero, 3 dicembre 2011

DA MONTI UNA PIOGGIA DI TASSE: E’ LA STRADA PIU’ FACILE

Pubblicato il 3 dicembre, 2011 in Economia, Il territorio, Politica | No Comments »

Il governo tecnico ha la mano pesante. E aziona la leva fiscale senza pietà. D’altronde i medici pietosi non hanno mai salvato alcun paziente, e l’Italia è malata grave.

Mario Monti

Mario Monti
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Il morbo che la affligge è il debito pubblico, ormai cronico dopo quarant’anni di pessima amministrazione. Da notare che i politici responsabili d’aver sperperato denaro l’hanno sempre fatta franca. E il conto adesso lo pagano, come sempre in questi casi, i cittadini. Dal premier però ci si aspettava qualcosa di diverso dalle solite stangate.

Anche lui invece – forse per la fretta di affrontare l’emergenza – pare comportarsi alla vecchia maniera: e cioè prelevando sangue dal corpo anemico dei contribuenti onesti, quelli che hanno sempre versato di più. Prendiamone atto. Per commentare la manovra in arrivo usiamo una frase celebre: «Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse; l’abilità consiste nel ridurre le spese» (senza demolire la qualità dei servizi, s’intende). La scrisse all’inizio del 1900 il padre della scienza delle finanze italiana, Maffeo Pantaleoni. Oltre un secolo più tardi, Tommaso Padoa-Schioppa tentò maldestramente di correggere il maestro con la seguente espressione: «Le tasse sono belle ». Talmente belle che gli evasori italiani sono rinomati nel mondo.

Transeat. Aggiungiamo soltanto che il presidente del Consiglio se non altro ha provato a incidere sulla spesa corrente,quella che provoca l’innalzamento del debito, ritoccando il sistema pensionistico (vedremo lunedì prossimo come) e annunciando tagli alla sanità. Poca roba rispetto alle necessità di bilancio, ma è sempre meglio del niente fatto finora dagli esecutivi incapaci di eseguire il loro compito: non vivere al di sopra delle proprie possibilità, preoccuparsi di recuperare le risorse prima di spartirle. Prediche inutili. Per il resto, a giudicare da quanto si è saputo, il professore bocconiano non ha resistito alla tentazione di agire sul piano dell’ovvietà: aumentare i tributi, esattamente il contrario di ciò che suggeriva Pantaleoni, del quale abbiamo ricordato l’insegnamento.

E allora che dire? Per inasprire le aliquote dell’Iva e dell’Irpef (sui redditi stupidamente considerati alti, quando invece sono bassissimi: circa 70mila euro ed oltre), per reintrodurre l’Ici sulla prima casa e aggiungere un’Ici (patrimoniale) sulla seconda e la terza, per rivalutare gli estimi catastali degli immobili (minimo 15 per cento), per tagliuzzare qua e là, parliamoci chiaro, forse non era indispensabile un governo di docenti: come già abbiamo avuto modo di dire, sarebbe potuto bastare un ragionier Rossi, un Andreotti qualunque.

Infatti, il gigantesco apparato burocratico messo in piedi in sessant’anni di Repubblica delle banane, i numerosi enti dannosi che costano e non producono (le Authority per esempio, o i Tar, ma ce ne sono a bizzeffe), le Regioni, le Province eccetera non saranno nemmeno sfiorati dalle cesoie.

In sostanza, con i provvedimenti che Monti si accinge a presentare non andremo da nessuna parte. Nel senso che non sistemeremo i conti pubblici, non aggiusteremo lo spread, non cominceremo neppure l’opera di risanamento sollecitata dalla Ue. La speranza è che il premier abbia qualche altra carta da giocare e che il Parlamento gli spiani la strada anziché, com’è sua abitudine,creargli ostacoli e vanificare i suoi deboli sforzi. Difficile essere ottimisti. Antonio Di Pietro, sulle pensioni, ha già detto a Monti: marameo. Idem la Lega. Vittorio Feltri, Il Giornale, 3 dicembre 2011