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PIAZZA AFFARI IN ROSSO E SPREAD A QUOTA 530. MA SUPER MARIO NON DOVEVA SALVARE LA BORSA?

Pubblicato il 15 novembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Giornata al cardiopalma per le Borse europee. Le tensioni sui titoli di stato dei paesi europei spingono le borse del vecchio continente a una nuova chiusura negativa. Fa eccezione Londra che, essendo fuori dall’eurosistema, riesce a restare sopra la parità e termina la sessione in rialzo dello 0,28 % a 5.543,29 punti.

Ribassi a Piazza Affari

Ribassi a Piazza Affari
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Sprofonda invece Atene, giù del 4,71% a causa dell’ondata di vendite sui finanziari innescate dai pessimi dati sul pil. Le perdite riportate dalle altre piazze sono comunque inferiori a quelle, prossime al 2%, registrate a inizio seduta grazie alla tenuta di Wall Street, che limita i danni grazie ai positivi dati su prezzi alla produzione e vendite al dettaglio.

Mentre lo spread tra Btp italiani e Bund risale a livelli allarmanti, è tornata nel mirino anche la Francia, che ha visto i propri credit default swap salire a livelli record. A indossare la maglia nera è infatti Parigi, che cede l’1,92% con il Cac 40 a 3.049,13 punti. È a tale proposito significativo che oltralpe a guidare i ribassi siano le banche (Bnp Paribas -6,08%; SocGen -5,72%; Credit Agricole -4,44%), fortemente esposte ai titoli dei Piigs, laddove sui circuiti tedeschi le vendite sono estese a tutti i comparti, con Daimler (-2,59%) e Infineon (-2,59%) peggiori del listino. Il Dax di Francoforte arretra dello 0,87% a 5.933,14 punti. L’Ibex di Madrid lascia sul terreno l’1,39% a 8.256,2 punti.

In scia anche Milano. A Piazza Affari l’indice Ftse Mib ha chiuso in perdita dell’1,08% a 15.297 punti. Insomma, un’altra giornata complicata, vissuta sul filo, con un occhio allo spread e un altro alle consultazioni dei capi di partito. Molto negativo l’approccio, con gli indici in calo fino a un minimo del -3%, mentre lo spread supera i 530 punti e il rendimento dei Btp schizza sopra il 7%. Nel pomeriggio l’inversione di tendenza, in coincidenza con i positivi dati macro americani, e dichiarazioni concilianti da Roma che lasciano capire come il governo Monti sia ormai pronto a vedere la luce. Nuova cautela infine nelle ultime battute e indice ancora in negativo. Tra le blue chip Finmeccanica che, più volte sospesa in mattinata con un calo teorico del 15%, sconta l’annuncio che nel 2011 non ci sarà dividendo e il taglio dei ricavi. Tra il 2010 e il 2012 gli investimenti del gruppo guidato da Giuseppe Orsi verranno ridotti a 3,4 miliardi rispetto ai 3,6 previsti. Ci sarà anche un calo dei costi di struttura generali e amministrativi. Entro fine 2012, inoltre, Finmeccanica procederà a cedere attività per un valore di un miliardo in modo da ridurre l’indebitamento.

La stessa preoccupazione sempra iniziare a toccare anche l’Eliseo. Lo spread tra i rendimenti dei tassi decennali dei titoli di Stato francesi e quelli tedeschi ha aggiornato il nuovo massimo da quando esiste l’Eurozona a 182 punti base, a conferma delle forti tensioni sui rendimenti francesi. I rendimenti dei titoli decennali francesi sono al 3,5%, il massimo dal maggio 2011. La Spagna si mantiene oltre i 450 punti. 15 novembre 2011, ore 19,00

.…Insomma ora è del tutto chiaro. Il neo re e imperatore d’Italia, Giorgio 1°, ha usato la storiella dello spread e della borsa in rosso al solo scopo di convincere Berlusconi e il PDL a gettare il guanto sul ring, senza ko, cioè senza alcuna sfiducia del Parlamento, unico organo abilitato a sfiduciare un governo in carica, per far posto al “suo” uomo, il super Mario che doveva dalla sera alla mattina, anzi da un minuto all’altro salvare l’Italia e gli italiani dalla speculazione internazionale a cui Berlusocni non era simpatico come non lo era il governo di centrodestra italiano, al contario dei due governi di centrodestra francese e tedesco, quelli che hanno ordito per proprio tornaconto il boicottaggio dell’Italia. Ora è chiaro, con le borse che affondano e lo spread che vola che erano pretesti. Erano pretesti, solo pretesti per far fuori l’uomo che dal 1994 ha scombinato i piani della sinistra italiana postcomunsita, che da allora non riesce a combinarne una buona e sopratutto non riesce ad occupare il potere che dopo tantentepoli sembrava dovesse essergli dovuto. Dal 1994 le hanno tentate tutte, l’ultima gli è riuscita. Hanno recitato, sotto la direzione di un allenato direttore d’orchestra, il silenzioso Napolitano, lo stesso che in silenzio assistè al bagno di sangue nel quale furono schiacciate le rivolte dei ragazzi di Budapest e di quelli di Praga e che ora si preoccupa dei giovani neoitaliani,  la parte dei pensosi estremamamente  preoccupati per le sorti dell’economia italiana e hanno ottenuto che un governo nel pieno delle sue prerogative, con un Senato a schiacciante maggioranza di centrodestra e una Camera nella quale solo alcuni mascalzoni e qualche soubrette da avanspettacolo hanno fatto venir meno su un atto secondario la maggioranza, si dimettesse per far posto ad un governo di non eletti che pretenderà di compiere atti di straordianaria eccezionalità a carico di un Paese e di un popolo defraudati del  sacrosanto diritto di scegliere chi deve governarli. Oggi, ora, più che mai: al voto, al voto, al voto. g.

EFFETTO MONTI: UN FLOP, di Nicola Porro

Pubblicato il 15 novembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Ma questo spread proprio non lo vuole capire. I barbari sono fuori. Via, raus. È arrivata la Bocconi, laTrilateral, Cernobbio. Ma come diavolo si è permesso di toccare ieri la pericolosissima (almeno così veniva definita fino alla settimana scorsa) quota 500? Ueeee ragazzi sveglia, c’è Monti.

Mario Monti

Ma non avete letto Repubblica ?E il Sole24ore?

E Le Monde ? C’è Monti. Snello (copyright Conchita), elegante, preparato, sobrio, rassicurante, con il trolley… E la Borsa? Quegli sciagurati ieri si sono azzardati a chiudere con un calo del 2 per cento: peggio dei grandi europei. Ma dove vivono? C’è Monti.
I mercati, purtroppo, cosa facilmente prevedibile da chi non abbia i paraocchi, se ne infischiano di Berlusconi e di Monti.

Anzi possiamo con certezza affermare che l’uscita di scena del Cavaliere un primo grande risultato l’ha ottenuto: sarà finalmente chiaro per tutti che la questione finanziaria ha poco a che vedere con la credibilità di chi ci guida. Certo essa ha un grande peso nel nostro giudizio politico. Ma il punto vero si chiama debito e comportamento della Banca centrale europea. Con l’uscita di scena di Berlusconi ci renderemo conto in che pasticcio siamo (questa sì vera omissione del governo, che fino a ieri sottovalutava la tempesta). E di come non sia sufficiente sbarazzarsi del premier per risolvere magicamente i nostri problemi.

Oggi i mercati potrebbero rimbalzare o di nuovo crollare. Non sarebbe merito di Monti, come ieri non era demerito di Berlusconi (ci siamo annoiati ormai a scriverlo). Ma in buona parte nelle incertezze di francesi e tedeschi nell’affrontare una crisi sia economica sia finanziaria che sta investendo rispettivamente l’Europa  e l’euro. Ieri la mazzata finale è arrivata da Wolfgang Schäuble. Il potente ministro finanziario tedesco ha detto: «No al finanziamento del debito attraverso la Bce». Insomma no alla creazione di nuova moneta, così come stanno facendo tutte le altre banche centrali del mondo. E i mercati sono sprofondati. Colpa di Monti? Ma va là.

Tra pochi giorni sarà chiaro a tutti come i mercati siano stati, in fondo, la clava per far fuori un governo politico. Una clava in mano all’opposizione che l’ha utilizzata con spregiudicatezza. Le tensioni sui tassi potranno anche essere una buon incentivo a mettere mano alle riforme che si debbono fare per ridurre strutturalmente la spesa pubblica e dunque essere meno ricattabili in futuro. Ma il giochetto della credibilità alta di Monti, bassa di Berlusconi, già ieri si è ben capito conta poco. Molte delle cose che Monti ha scritto e detto nelle ultime settimane ( non certo la patrimoniale come bene continuano a scrivere Alesina & Giavazzi sul Corriere della Sera) saranno molto utili al risanamento strutturale di questo Paese.

Ci dobbiamo augurare che i temi delle liberalizzazioni, pensioni, mercato del lavoro e giustizia (cosa che caparbiamente i radicali continuano a buona ragione a porre al centro dell’agenda politica) siano affrontati con coraggio da Monti. Che riesca dunque nel miracolo di strappare i voti in Parlamento delle fasce più conservatricidellacoalizioneberlusconiana e dell’opposizione. Questo è il miracolo che ci possiamo attendere dal premier incaricato. Non quello assurdo e mal posto di rimettere in sesto i mercati per il solo fatto di esistere. Quasi avesse una bacchetta magica.

P.s.: gli stessi banchieri che ci raccontavano dell’attacco speculativo all’Italia e di come fosse relativamente irrilevante il suo premier, ieri ci hanno soffiato un’indiscrezione che sta prendendo piede nei consessi che contano.

E cioè che il nuovo governo si appresterebbe a chiedere un prestito monstre al Fmi con il quale finanziare gran parte delle prossime emissioni. Ci auguriamo che sia una remota ipotesi di studio, come spesso se ne sentono in queste ore. Si tratterebbe altrimenti di una follia, di un vero commissariamento internazionale del nostro Paese. Una cambiale che ci darebbe ossigeno per qualche mese e ci strozzerebbe quando portata all’incasso. Nicola Porro, Il Giornale, 15 novembre 2011

OGGI GIU’ LE BORSE, COMPRESA MILANO. SCHIZZA A QUOTA 500 LO SPREAD BTP. E’ GIA’ FINITO L’EFFETTO MONTI?

Pubblicato il 14 novembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Le borse europee aprono la giornata in grande spolvero, sull’onda delle asiatiche e degli Stati Uniti. Rallentano poi notevolmente, passando in negativo. Anche Piazza Affari chiude in negativo, con lo spread in risalita che raggiunte i 590 punti.

Piazza Affari

La vivacità iniziale mostrata dalla borsa milanese, a +1,3% in apertura, durante la giornata viene limitata verso il basso, scendendo prima all’1%, poi raggiungendo lo 0,39% relativamente all’Ftse Mib e virando infine in negativo, fino a chiudere sotto dell’1,99%, con 15.464 punti. L’Ftse All-Share lascia invece l’1,75% a 16.243,9 punti.  Il grafico negativo riguarda anche lo spread tra Btp e Bund tedeschi, con l’asta sui Btp a 5 anni che evidenzia rendimenti record, del 6,29%.

In chiusura lo spread rimane in aerea 490 punti, in netta salita rispetto a questa mattina, quando la quota era ferma a 456 punti base.

In rialzo erano partiti anche i mercati europei, per poi rallentare, avvicinandosi al pareggio e scendendo infine sotto lo 0. In chiusura Londra segna -0,47% a 5.519 punti, Francoforte -1,19% a 5.985, Parigi -1,28% a 3.108 e Amsterdam -1,36% a 296.

A farne le spese sulla piazza milanese soprattutto le banche, con Unicredit in caduta di oltre il 6% dopo i conti e l’annuncio dell’aumento di capitale; in rosso industriali ed energia, flessioni per Mediaset e i titoli del settore finanziario. Male Campari dopo la trimestrale.

I titolo Unicredit, dopo una partenza molto positiva, hanno ridotto i propri guadagni, finendo sotto del 6%. La percentuale di perdita è comunque diminuita dopo l’annuncio, da parte di Unicredit, del via libera a un aumento di capitale di 7,5 miliardi, secondo indiscrezioni proposto ieri dal comitato permanente strategico della banca al cda e l’approvazione del piano industrale 2012-2016.

Il titolo aveva perso nell’ultimo periodo circa il 20%.

Dopo un inizio di giornata con lo spread tra i titoli di Stato italiani e i Bund tedeschi assestato e quasi stabile, intorno ai 456 punti, si assiste a una crescita notevole, che raggiunge quasi i 500 punti base. I rendimenti dei Btp decennali hanno nuovamente superato la soglia critica di 6,5 punti percentuali, dopo che stamattina erano scesi fino al 6,33 per cento, secondo aluni per una prima reazione all’incarico conferito a Mario Monti. Il calo non ha però tenuto a lungo e, già nel pomeriggio, i tassi sono risaliti.

I tentativi di attenuare la pressione sui titoli di Stato hanno portato la tensione dei mercati sulla Spagna. Anche il rendimento dei titoli spagnoli ha subito un nuovo aumento. Il differenziale dei titoli di Stato spagnoli ha portato lo spread con i titoli tedeschi a un nuovo record, 422 punti base, con un rendimento oltre il 6,02 per cento sui titoli a dieci anni. A salire anche lo spread relativo ai titoli francersi, che tocca quota 165 punti.

E sull’andamento dei mercati arriva anche il parere di Olli Rehn. Il commissario agli affari economici, contraddicendo quanti vedevano in Monti e in generale nei “tecnici”, vista anche la situazione greca, la panacea per la situazione delle borse, ha ricordato che a cambiare la diagnosi sull’economia italiana non basterà la creazione di un nuovo governo.

IL CAPPIO DELL’AUSTERITA’, di Mario Sechi

Pubblicato il 3 novembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

La forca eretta dai manifestanti davanti al Parlamento greco durante lo sciopero generale di giugno scorso Visto il desolante nulla di fatto del consiglio dei ministri e in attesa di capire se la storia di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi è al «the end» o meno, sul mio taccuino resta una sola vera notizia alla voce «indice manifatturiero». Ieri Markit ha diffuso i dati di ottobre e c’è da chiedersi che cos’altro debba accadere per varare dei provvedimenti per la crescita.
Tira un’ariaccia: nell’Eurozona l’indice è 47,1 punti, registra il terzo calo consecutivo e per la prima volta dal settembre del 2009 anche la Germania scivola sotto la soglia critica dei 50 punti. E in Italia? L’indice è il più basso degli ultimi 28 mesi, segna 43.3 punti. Ma quel che allarma è il brusco crollo rispetto alle previsioni che vedevano il livello di caduta a 47.1. Quattro punti sotto le stime. Dietro di noi c’è la Grecia con un eloquente 40.5. Il solo bagliore positivo è dell’Irlanda che per la prima volta dal maggio scorso supera il tetto dei 50 punti, unico paese in espansione. Non occorre una cattedra in economia per comprendere che l’Europa ha bisogno di una cura diversa da quella finora proposta dalla Bce e dalla governance di Bruxelles. L’austerità a tutti i costi ha già certificato la sua inefficacia. É il cappio al collo dell’economia. Speriamo che oggi al vertice del G20 a Cannes il presidente della Bce Mario Draghi tenga conto di questi numeri. Nei suoi discorsi da governatore di Bankitalia ha sempre ricordato che la crescita deve essere stimolata, vedremo se sarà capace di cambiare i dogmi di Eurotower.

Gli stessi numeri dovrebbe tenerli a mente anche il governo, ma da mesi la voce «crescita» è stata cancellata dal vocabolario tremontista e a Palazzo Chigi si è lasciata scorrere la sabbia nella clessidra. Così siamo arrivati all’oggi. Male e tardi. In momenti come questo una nazione tira fuori le energie positive, lascia da parte la logica di fazione e cerca di superare l’ostacolo. Poi si regolano i conti politici, si chiedono le dimissioni e si vota la sfiducia. Si sono scritti tanti decreti inutili, ma proprio quello necessario e urgente più di tutti lo si è evitato. É uno sberleffo suicida ai mercati, un cinico escamotage che serve a schierare meglio il plotone d’esecuzione per Berlusconi. Buona fortuna.  Mario Sechi, Il Tempo, 3 novembre 2011

BERLUSCONI: VELOCITA’ E RIGORE

Pubblicato il 2 novembre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Il premier Silvio Berlusconi Berlusconi accelera. La nuova tempesta che si abbatte sui mercati finanziari costringe il governo a stringere i tempi di messa a punto dei provvedimenti anti-crisi. L’idea è quella di inserire diverse misure nella legge di stabilità già in discussione i Senato, forse con un maxiemendamento o più emendamenti al provvedimento. Il Cav è a Milano, al lavoro. Segue l’evoluzione dei titoli e delle piazze europee tenendosi in stretto contatto con Palazzo Chigi, con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. È l’ennesimo martedì nero. Rassicurare investitori e partner internazionali sull’intenzione dell’Italia a rispettare gli impegni presi diventa prioritario. La Borsa che crolla e lo spread che vola sono segnali inequivocabili. La delicatezza del momento è scandita dalle comunicazioni del governo. Intanto «non vi è dubbio – si sottolinea a Palazzo Chigi – che sull’andamento negativo degli scambi influisca pesantemente la decisione greca di indire un referendum sul piano di salvataggio predisposto dall’Unione europea. Si tratta di una scelta inattesa che innesca incertezze dopo il recente Consiglio europeo e alla vigilia dell’importante incontro del G20 di Cannes». Il premier, comunque, lavora per garantire l’operatività delle misure dell’agenda europea concordate con Bruxelles. «Le scelte del governo – assicura Palazzo Chigi – saranno applicate con la determinazione, il rigore e la tempestività imposti dalla situazione». A metà giornata, però, la «situazione» si fa sempre più pesante. Piazza Affari continua a precipitare e il differenziale fra Btp e Bund tedesco resta alle stelle. Il Cav decide di anticipare il suo rientro a Roma e si precipita a Palazzo Chigi. La Grecia mette in pericolo tutti, in Europa. Così, appena arrivato, il Cav telefona ad Angela Merkel, per condividere con lei un’analisi «della situazione economica e finanziaria che si è venuta a creare a seguito dell’annuncio greco di indire il referendum» e «confermare» al Cancelliere tedesco «la ferma determinazione del governo italiano di introdurre in tempi rapidi le misure definite con l’Agenda europea». I contatti sono febbrili anche con il Quirinale. Berlusconi «aggiorna» Giorgio Napolitano sulla telefonata con la Merkel e soprattutto, «sulle misure che il governo intende adottare in tempi rapidi». La nota del Colle arriva a stretto giro di posta. Il Capo dello Stato evidenzia la drammatricità della crisi e spiega che «dinanzi all’ulteriore aggravarsi della posizione italiana nei mercati finanziari, e alla luce dei molteplici contatti stabiliti nel corso della giornata, considera ormai improrogabile l’assunzione di decisioni efficaci». La nota del Quirinale viene letta con misto di sollievo e allarme a palazzo Chigi. Perché se è vero che il Quirinale da un lato assicura un atteggiamento responsabile da parte delle opposizioni (ciò che da giorni chiede il Cavaliere), dall’altro lancia un monito al governo sottolineando che il Colle non può esimersi dal verificare le condizioni per una «nuova prospettiva di larga condivisione» delle riforme attese. Una postilla che alle orecchie del Cavaliere suona più o meno così: se non varate le misure, cercherò una maggioranza alternativa. Ma è un’opzione che Berlusconi non ritiene praticabile, convinto che alternative all’attuale coalizione non ve ne siano. L’ultimatum del Colle però allarma il Cav tanto quanto i segnali dei mercati. E non perde tempo. Convoca i ministri economici a palazzo Chigi. Sono previsti anche Bossi e Calderoli, ma il Senatùr non verrà: perché impossibilitato, secondo la versione ufficiosa. Per marcare le distanze, secondo i maligni. Sia come sia, il premier non ha scelta: per accelerare il governo decide di inserire parte delle misure concordate con l’Europa nella legge di stabilità, anticipando magari il taglio di tutte le agevolazioni fiscali per fare cassa. Un nuovo vertice è previsto per oggi. L’obiettivo è mettere nero su bianco le misure. Allo studio anche un decreto legge con i provvedimenti più urgenti che, se i tempi lo consentiranno, potrebbero essere varate in un Consiglio dei ministri prima del G20 di giovedì.Il Tempo, 2 novembre 2011

…….Mentre il governo accelera sulla quanto mai difficile situazione economica, l’opposizione fa come i corvi: vola sul corpo agonizzante del Paese in attesa che tiri le cuoia.  Non per fare un torto ai corvi ma per il bene del Paese e degli italiani ci auguriamo che il governo sia davvero veloce e rigoroso e tiri fuori il Paese e gli italiani da questo momento critico e pericoloso. E i corvi prenderanno altre strade. g


EURO, LA “STRANA MONETA” CHE NON COSTRUISCE L’EUROPA

Pubblicato il 30 ottobre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Euro Il presidente del Consiglio ha una caratteristica tutta sua. Riesce spesso a dire cose giuste nei tempi e nei modi sbagliati. È il suo limite ma anche la sua forza dal momento che le sue uscite “politicamente poco corrette” si rivelano quasi sempre in sintonia con la “pancia” della maggior parte (o, comunque, di una parte molto consistente) degli italiani. Sono voci “dal sen fuggite” che, piaccia o non piaccia, molti cittadini comuni sottoscriverebbero, magari non a voce alta ma con un borbottio di fondo.
Il passaggio che Berlusconi ha dedicato all’euro nei giorni scorsi – un passaggio che ha suscitato, al solito, reazioni scandalizzate e provocato la necessità di una precisazione subito polemicamente riportata al rango di una smentita – rientra proprio in questa categoria. Ad analizzarlo, nel dettaglio, quel passaggio non ha nulla di sconvolgente. Quando, infatti, il Cavaliere ha affermato che «l’euro è una moneta strana» e che è, di per sé, più attaccabile di altre dalla speculazione internazionale «non disponendo né di un governo unitario né di una banca di riferimento» non ha fatto altro che fotografare uno stato di fatto.
L’euro ha, ormai, qualche anno sul groppone, tanto che c’è almeno una generazione di italiani la quale non ha neppure conosciuto la lira. Esso, come ben si ricorderà, debuttò sui mercati finanziari nel 1999, ma la sua circolazione monetaria ebbe inizio solo il 1° gennaio 2002. La cosiddetta Eurozona o Eurolandia non coincide con l’Unione Europea perché, a tutt’oggi, dieci dei ventisette Stati membri non hanno adottato l’euro come valuta ufficiale e, anzi, vi è anche chi, Danimarca e Gran Bretagna, gode di una deroga all’obbligo formale di aderire alla moneta comune. Inoltre vi sono altre realtà statuali che, pur non appartenenti all’Ue, hanno adottato l’euro unilateralmente o in virtù di accordi internazionali.
Questa situazione, a ben riflettere, legittima – almeno in certa misura e naturalmente in una accezione più politica che economica – l’espressione berlusconiana secondo la quale l’euro sarebbe «una moneta strana che non ha convinto». Tale moneta, infatti, non si è rivelata un fattore di “costruzione identitaria” dell’Europa, come invece è accaduto e accade per le monete nazionali. Mi spiego. Chi usa la sterlina o il dollaro si sente, automaticamente, inglese o americano. Chi utilizzava la lira o la peseta o il franco francese si sentiva, ipso facto, italiano o spagnolo o francese. Chi, oggi, adopera l’euro non si riconosce, subito, come europeo, ma al più come appartenente a una zona dove circola quella data moneta.
In altre parole, l’euro viene percepito soltanto come uno strumento utile per le transazioni economiche e finanziarie: quella “stranezza” dell’euro come moneta, denunciata da Berlusconi, sta tutta qui, nella mancanza di un “governo unitario” e di una “banca di riferimento” e quindi nella incapacità di essere o diventare un elemento capace di definire una “identità europea” o, se si preferisce, in grado di avviare un processo (potremmo dire parafrasando una celebre espressione del grande storico americano George L. Mosse) di «europeizzazione delle masse».
Il deficit di “capacità identitaria” della moneta unica europea è testimoniato, nel caso italiano (ma, ritengo, che lo stesso discorso valga più o meno per molti paesi dell’Eurozona), dalla convinzione – largamente diffusa e immediatamente percettibile a ogni livello – che l’introduzione dell’euro sia stata pagata un prezzo molto caro, troppo caro, quanto meno in termini di inflazione. Si ha un bel discettare di “inflazione percepita” e di “inflazione reale”.
Rimane il fatto che il potere d’acquisto di uno stipendio normale si è addirittura dimezzato rispetto al periodo precedente, quando circolava la moneta nazionale. I sacerdoti della sacralità dell’euro possono dire quel che vogliono e possono argomentare come credono le loro tesi, ma è sufficiente scendere in strada e rivolgersi all’uomo qualunque, al cittadino comune che deve fare i conti con il proprio bilancio, per avere la conferma della convinzione, giusta o sbagliata che sia, dell’esistenza di una oggettiva “responsabilità” dell’introduzione dell’euro nelle difficoltà economiche che si trova a dover affrontare. Non solo. Si ha la percezione che i vantaggi ottenuti dall’aver preso in corsa il treno della moneta unica non siano stati pari alle attese in termini, per esempio, di armonizzazione delle politiche fiscali o di liberalizzazione dei movimenti di capitale e via dicendo. Insomma, per farla breve, non si è concretizzata una “passione dell’euro” come altra faccia di quella “passione dell’Europa” della quale l’Italia ha dato sempre prova. Si è sviluppata, al contrario, una “psicosi dell’euro” fondata sul timore che la “stabilità monetaria” possa venire messa in forse dalla oggettiva disparità delle economie nazionali e dalla prospettiva di un fallimento della moneta unica o dalla sua sostituzione con un euro forte e un euro debole. O, ancora, dal pericolo del risorgere di forti pulsioni di nazionalismo economico e di velleità egemoniche da parte della Germania e della Francia.
La fiducia è la vera molla dell’economia e, al tempo stesso, è la garanzia della stabilità di un sistema economico. Quando entrano in gioco fattori che incrinano la fiducia nella moneta, il sistema entra in fibrillazione e si apre a scenari che potrebbero rivelarsi pericolosi. Quando Berlusconi ha parlato di un «attacco della speculazione» in qualche modo collegato al fatto che l’euro rappresenterebbe un “fenomeno mai visto” non ha detto nulla di strano o di eretico. Ha fotografato una situazione. La precisazione che egli ha dovuto fare – dopo la lettura distorta, maliziosa, polemica delle sue parole da parte delle sinistre di ogni sfumatura – ha chiarito, in maniera inequivocabile, il suo pensiero.
Berlusconi ha spiegato che l’attacco speculativo all’euro è dovuto al fatto che questa è «l’unica moneta al mondo senza un governo comune, senza uno Stato, senza una banca di ultima istanza». Ed ha aggiunto che «l’euro è la nostra moneta, la nostra bandiera» e che, proprio per la sua difesa, «l’Italia sta facendo pesanti sacrifici». Che le sue dichiarazioni sull’euro potessero essere fraintese, e presentate come un attacco alla moneta unica o addirittura alla stessa costruzione europea, era una eventualità da mettere nel conto in una situazione nella quale le sinistre di ogni sfumatura fanno a gara per leggere in controluce (in controluce negativa) ogni dichiarazione e ogni atto politico del Cavaliere. Da questo punto di vista sono stati, forse, sbagliati tempo e modo delle riflessioni berlusconiane sull’euro. Ma non la sostanza. Perché le questioni sollevate da Berlusconi non sono peregrine. Se si parte dall’idea che la moneta comune europea debba essere un “bene” destinato, per un verso, a migliorare il funzionamento del mercato comune e, per un altro verso, a rafforzare lo “spirito europeo”, cioè l’orgoglio e l’identità dell’essere europei, allora è bene che si apra, davvero, una riflessione approfondita, anche in termini storici oltre che di prospettiva futura, sulla natura e sulle caratteristiche di Eurolandia e del suo rapporto con l’Europa.

Eurolandia ed Europa sono due realtà diverse, tanto che, qualche tempo fa, un finissimo diplomatico, Alberto Indelicato, poté intitolare «Eurolandia contro l’Europa» un suo gustoso pamphlet. È bene non dimenticarlo, perché l’Eurolandia potrebbe anche andare in frantumi, Ma l’Europa, no. Francesco Perfetti, Il Tempo, 30 ottobre 2011

UNA LETTERA DEL PREMIER BERLUSCONI AL “FOGLIO”

Pubblicato il 29 ottobre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Il Foglio di Giuliano Ferrara pubblica oggi in prima pagina una lettera di Silvio Berlusconi che dice la sua sui i “licenziamenti facili” su cui  si sta sviluppando una accesa polemica con minacce di sciopero da parte dei sindacati. Ecco il testo della lettera di Berlusconi.
Gentile direttore, bisogna stare attenti alle parole, come sapete voi del Foglio.

“Austerità” non fa parte del mio vocabolario. Responsabilità sì, autonomia sì, libertà sì, ma austerità no. La polemica sui “licenziamenti facili” è figlia di una cultura ottocentesca che ignora i cambiamenti del mercato mondiale ed è oltraggiosa per l’intelligenza degli italiani: già ora nelle aziende con meno di 15 dipendenti, dove lavora circa la metà degli occupati, non vige la giusta causa.

E se ora il governo si propone di intervenire sui contratti di lavoro, seguendo la strada indicata dal disegno di legge presentato dal senatore dell’opposizione Pietro Ichino, è solo per aumentare la competitività del Paese, aprire nuovi spazi occupazionali per le donne e per i giovani, e garantire a chi perde il lavoro l’aiuto della cassa integrazione per trovare una nuova occupazione. Di fronte al compimento di una fase critica e turbolenta, e dopo che in Europa il nostro e altri governi hanno chiesto e ottenuto impegni finanziari a difesa dell’euro, dando assicurazioni sulle riforme e un calendario impegnativo per la loro realizzazione, si va purtroppo dipanando una campagna fatta di ipocrisie e falsità, che tende a rovesciare come un guanto il senso delle cose.

Ci siamo impegnati per la crescita, per lo sviluppo, per più efficaci regole di concorrenza, di competitività, di mobilità sociale, non per deprimere l’economia e rilanciare la lotta di classe, che come ho detto in Parlamento è finita da un pezzo. La rete di protezione sociale, in specie sul tema del lavoro, è tutto sommato abbastanza solida in Italia, e nessuno vuole sfilacciarla. Il problema è di ridurre le cattive abitudini, scongiurare un’estensione abnorme del lavoro precario, offrire un futuro qualificato ai giovani e alle donne rimuovendo solo e soltanto le rigidità improprie che impediscono l’allargamento della base occupazionale e produttiva, per avvicinarci agli obiettivi del Trattato di Lisbona sulla partecipazione al mercato del lavoro, purtroppo ancora lontani.

Gli imprenditori del XXI secolo non sono i padroni delle ferriere dell’Ottocento, non si svegliano al mattino con l’impulso di liberarsi di manodopera per gonfiare profitti. E i lavoratori sono titolari di forza contrattuale e di diritti, non schiavi sociali. Non dobbiamo sottometterci alla caricatura di noi stessi. Il lavoro è cambiato. Sono cambiati i bisogni e le aspettative sociali. Il lavoro socialmente tutelato ha le sue ragioni, ma gli investimenti in ricerca e in sviluppo, il rischio d’impresa e il ruolo delle politiche pubbliche si misurano con la capacità di competere produttivamente in una dimensione infinitamente più grande e varia che nel passato, di rendere il lavoro un’utilità sociale di cui andare orgogliosi, una scala da salire per vedere meglio l’orizzonte, non un buco in cui ripararsi.

Sono cose che anche la migliore cultura riformista di una grande filiera di tecnici del diritto del lavoro, al di là delle diverse appartenenze, ha sempre coerentemente sostenuto.
Siamo tutti chiamati a un grande senso di responsabilità nell’interesse dell’Italia e dell’Europa. Mi affido al senso della realtà dei sindacati, a una resipiscenza di senso comune nelle opposizioni, e soprattutto all’intelligenza paziente, tendenzialmente infinita, del nostro popolo. Abbiamo un orizzonte stretto e ravvicinato per varare alcuni provvedimenti in favore del lavoro e dello sviluppo, capaci di rimettere in moto la produzione di ricchezza nel manifatturiero e nei servizi, in particolare capace di restituire orgoglio e fiducia al Mezzogiorno italiano, e diciotto mesi di serio e responsabile lavoro prima del compimento della legislatura.

Avvilire il tutto in manovre di concertazione corporativa, in giochi di palazzo e di vecchia politica, non è la soluzione auspicata dalla maggioranza degli italiani.
Possiamo e dobbiamo fare di meglio. Siamo europei e liberi cittadini di un’Unione cha ha battuto un colpo sonoro nell’ultimo vertice di Bruxelles, l’Italia ha dei vincoli ma anche dei vantaggi da sfruttare. Rimettere in moto la macchina demagogica del catastrofismo e del pessimismo può essere l’istinto politicista di pochi, ma non deve essere la pratica dei molti, nella maggioranza e perfino nell’opposizione, che si rendono conto della necessità di crescere. Stimolata a dovere, in un nuovo clima di cooperazione che non ha alternative, l’economia italiana, che dipende dal funzionamento del sistema politico e dal comportamento della società civile, può vincere anche questa sfida. Io ci scommetto fiducioso. Altro che austerità. Cordiali saluti, Silvio Berlusconi, 29 OTTOBRE 2011

ECCO COME SARA’ L’ITALIA DI DOMANI, di Nicola Porro

Pubblicato il 27 ottobre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

L’unica lettera di Berlusconi che l’opposizione avrebbe gradito sarebbe stata quella delle sue dimissioni. La lettera che il governo ha inviato ieri all’Unione Europea (e che pubblichiamo nelle pagine interne) contiene piuttosto un programma di politica economica liberale. A cui il governo si «inchioda» definendo anche i tempi (strettissimi) per la sua realizzazione. Ci si augura che sia la volta buona.

La lettera europea si compone idealmente di due parti. La prima riguarda la tenuta dei conti pubblici italiani. Su questi c’è poco da dire. L’Italia ha fatto meglio di tutti i suoi partner europei: ha tenuto a bada la crescita del debito pubblico (relativamente ai suoi vicini di casa) grazie al contenimento dei deficit annuali. Bene come noi hanno fatto solo i virtuosi tedeschi. Ma ovviamente partivamo da una posizione decisamente peggiore ed è per questo che gli sforzi fatti fino a ora non bastano.

La seconda anima della missiva riguarda la crescita economica. Unica ricetta per bastonare il debito pubblico e dare una speranza di lavoro alle generazioni più giovani. E su questo il governo è stato chiarissimo. Da una parte una forte opera di contenimento della spesa pubblica,dall’altra un’iniezione di libertà nelle imprese e nella società.

La spesa pubblica si può contenere solo andando a toccare i gangli vitali che la alimentano: pubblica amministrazione e previdenza. Il governo si è impegnato formalmente a farlo.

Più decisive ancora sono le misure per lo sviluppo. Il principio è quello di liberalizzare e privatizzare ovunque si possa. Si deve intervenire sul mercato del lavoro rendendolo più libero anche grazie al superamento del tabù dei licenziamenti. Berlusconi ha una certa expertise sulla materia: nel 2003 proprio su questo (mentre nel 1994 il caso fu la riforma delle pensioni che poi fece il suo successore Dini) ingaggiò una battaglia dura con ilsindacato: che di fatto perse.Ora la ripropone con il timbro e l’avallo europeo. In Italia di fatto si può licenziare anche nelle imprese con più di 15 dipendenti: ma il problema è che per farlo tocca portare i libri in tribunale. Non si tratta del modo più efficiente per far girare il mercato.

Ovviamente maggiore libertà di licenziamento da sola non basta. Occorre, come è scritto nella lettera, smontare corporativismi anche nel settore delle professioni. Buona l’idea di considerare le tariffe minime alla stregua di un consiglio. Accanto al piano di liberalizzazioni, è previsto un massiccio intervento di privatizzazioni sia locali sia immobiliari. In bocca al lupo, ma la strada è quella giusta.

L’Europa ha ovviamente apprezzato il compito svolto. E Berlusconi riceverà due ordini di critiche: una da sinistra e l’altra da destra. Partiamo con la prima: si tratta di un libro dei sogni. È vero, ma fino a quando ha una maggioranza parlamentare, sulla carta, avrà la possibilità di realizzarlo. Da destra: nulla si dice sulla riduzione del peso fiscale. Ci auguriamo che sia una prudenza verso l’Europa,che di questi tempi mal sopporta ogni tipo di rilassamento tributario. Sbagliando. Nicola Porro, Il Giornale, 27 ottobre 2011

ACCORDO A BRUXELLES SUL PIANO ANTICRISI: L’EUROPA APPROVA LE MISURE ITALIANE

Pubblicato il 27 ottobre, 2011 in Economia, Politica | No Comments »

Silvio Berlusconi  a Bruxelles La maratona salva-Euro durata oltre dieci ore porta a casa, quasi all’alba, tutti i risultati ormai insperati. I leader dell’Eurozona hanno trovato un accordo su un pacchetto “completo” di misure anti-crisi che metterà in sicurezza le banche attraverso ricapitalizzazioni per 106 miliardi di euro, darà certezza ai Paesi a rischio con un fondo salva-Stati da oltre 1.000 miliardi e salverà la Grecia con nuovi aiuti per 130 miliardi, facendo pagare un prezzo maggiore alle banche esposte con Atene per ridurre il debito del Paese. E anche l’Italia rientra nel piano dell’Eurozona per arginare la crisi dei debiti: gli impegni che ha preso vengono inseriti nelle conclusioni del summit, che plaude alle misure annunciate ma incalza sulla loro applicazione, guardando subito alla prossima tappa, ovvero un piano pensioni definito entro dicembre. Di seguito tutte le “decisioni estremamente importanti del vertice Ue”, come ha sottolineato il presidente della Bce Jean Claude Trichet.
BANCHE L’Europa ha deciso di ricapitalizzare quelle “sistemiche”, già sottoposte agli stress test, cioè 90 in tutto. Significa trovare, entro giugno 2012, 106 miliardi di euro, e per quelle italiane 14,7 miliardi. Gli sforzi serviranno per portare il coefficiente patrimoniale al 9%. Per rifinanziarsi dovranno trovare prima capitali propri, anche attraverso ristrutturazioni e cartolarizzazioni, poi potranno chiedere l’intervento degli Stati e solo in ultima battuta può intervenire il fondo salva-Stati Efsf. Inoltre, quelle in fase di ricapitalizzazione non potranno distribuire dividendi nè bonus. E dovranno essere valutate “le esposizioni al debito sovrano dell’area euro, calcolate ai valori di mercato al 30 settembre 2011″.
FONDO SALVA-STATI L’Efsf aumenterà la sua potenza di fuoco di 4-5 volte, fino a raggiungere i 1000 miliardi di euro. Lo farà attraverso due opzioni: vendendo assicurazioni sui titoli dei Paesi, e con uno strumento ad hoc, lo ’special purpose vehiclè, che attrarrà fondi da investitori esterni (come la Cina a cui Sarkozy ha aperto) e istituzioni (come il Fmi, che ha già dato la sua dipsonibilità).
BANCHE ESPOSTE IN GRECIA L’accordo è per un taglio del valore nominale dei titoli del 50%. Tutti, tranne quelli detenuti dalla Bce. Accettando queste perdite, le banche assicureranno al debito greco di tornare nel 2020 ad un livello sostenibile, ovvero al 120% sul pil. Obiettivo che sarà raggiunto anche grazie ad un contributo ulteriore del programma di aiuti pari a 130 miliardi di euro entro il 2014. La revisione del secondo piano salva-Grecia dovrà essere approvato entro il 2011 e l’operazione sui bond greci dovrà essere realizzata all’inizio del 2012.
L’ITALIA L’Eurozona è soddisfatta degli impegni presentati dall’Italia e chiede a Roma di “presentare urgentemente” un ambizioso calendario per la realizzazione delle riforme. Per quanto riguarda le pensioni, i leader “prendono nota” delle intenzioni italiane e chiedono che entro dicembre venga presentato un piano dettagliato su come raggiungere l’obiettivo. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si è presentato al vertice europeo ben consapevole di essere sotto esame. A garanzia ha portato una lettera di 17 pagine con le misure che l’Italia si impegna ad attuare con annesse scadenze. Così hanno preteso i vertici europei prima ancora che il premier prendesse l’aereo per il Belgio. In quest’ottica, la missiva è stata limata fino all’ultimo secondo sull’asse Roma-Bruxelles, sotto l’occhio vigile e attento del Quirinale. Nel bel mezzo dell’incontro, approfittando di una pausa, il premier si è collegato telefonicamente con Porta a Porta per dire che la posizione italiana è stata “apprezzata da tutti” nell’Eurogruppo anche per i “tempi e i provvedimenti” che sono stati giudicati “efficaci per contrastare la situazione” di crisi. Neppure Berlusconi, tuttavia, può negare che l’Italia rischia di non avere altre prove di appello. “Se non rispettassimo questi impegni – sottolinea il Cavaliere poco prima di lasciare Bruxelles – non saremmo ulteriormente credibili, quindi sono impegni che abbiamo assunto e che come sempre l’Italia, che ha mantenuto tutti gli impegni precedentemente assunti, manterrà anche questa volta”. “Abbiamo presentato – spiega il presidente del Consiglio – un pacchetto di proposte per la ristrutturazione di certi nostri settori e per dare impulso alla nostra economia e sono stati accolti in maniera molto positiva e nella decisione finale c’è stato un ulteriore riconoscimento di questi nostri progetti ambiziosi che adesso aspettano di essere realizzati. Naturalmente abbiamo fornito anche le date entro le quali intendiamo realizzare ogni singola misura e successivamente confermeremo con un elenco completo delle date in cui prevediamo che il nostro Parlamento possa attuare queste riforme”. A dispetto delle apparenze e di certe voci che circolano a Bruxelles, il premier nega che l’Italia sia stata messa sotto monitoraggio e preferisce dire che il governo ha “preso l’impegno di tenere al corrente la commissione via via che il nostro Parlamento approverà le misure”. Si tratterà, specifica, di “vari disegni di legge, ciascuno per ogni singolo settore” che saranno varati “nell’arco di alcuni mesi”. Il Tempo, ottobre 2011

.…..Ed ora Berlusconi può davvero pensare di andare avanti sino al 2013!

E’ MORTO STEVE JOBS, PADRE VISIONARIO DI APPLE

Pubblicato il 6 ottobre, 2011 in Cronaca, Economia, Storia | No Comments »

di Ugo Caltagirone

NEW YORK – Steve Jobs, il ‘visionario della Silicon Valley’ e’ morto a 56 anni. Lo scorso 25 agosto aveva annunciato le sue dimissioni irrevocabili da amministratore delegato dell’azienda che ha fondato e che dall’orlo della bancarotta ha portato nell’Olimpo delle grandi. Quarantun giorni dopo e’ arrivata la tanto temuta quanto attesa notizia. A finirlo e’ stato quel male che per anni lo ha tormentato e lentamente consumato. Ma che non gli ha impedito di continuare a esercitare la sua straordinaria leadership e genialita’.

Caratteristiche che lo hanno portato, con le sue invenzioni, a rivoluzionare la vita di milioni di persone. L’annuncio arriva con uno stringatissimo comunicato del gruppo californiano. Ma in contemporanea sul sito appare una foto in bianco e nero di Jobs con la data di nascita e quella della morte. A seguire un messaggio: ”Apple perde un genio creativo e visionario, e il mondo ha perso un formidabile essere umano”.”Quelli di noi che hanno avuto la fortuna di conoscerlo abbastanza e di lavorare con lui – si legge – hanno perso un caro amico e un mentore ispiratore. Steve lascia una societa’ che solo lui avrebbe potuto costruire e il suo spirito sara’ sempre il fondamento di Apple”’.
A prendere in mano le redini dell’azienda e’ stato gia’ da tempo Tim Cook. Ma Jobs lascia un vuoto incolmabile tra i suoi collaboratori, come tra i milioni di fan. Ora tutti, soprattutto i piu’ giovani, lo conoscono come l’inventore della ‘tavoletta magica’. Con l’iPad e l’iPhone ha infatti rivoluzionato il mondo della tecnologia e delle comunicazioni. Con l’iPod quello della musica. Ma fu lui che nel 1977 – dopo aver creato la Apple insieme all’amico Steve Wozniak – lancio’ il primo personal computer della storia. La marcia era appena cominciata. Lascio’ la Apple nel 1985, in polemica con l’amministratore delegato da lui stesso nominato. Quando fu richiamato nel 1996 l’azienda di Cupertino era in profonda crisi, e Jobs in quindici anni l’ha trasformata nella societa’ piu’ ricca del pianeta. Nel 2007 la rivista Fortune lo ha indicato come l’uomo d’affari piu’ potente del mondo: il suo rivale di sempre, il fondatore di Microsoft Bill Gates, fini’ solo sesto. Nel 2010 – quando gia’ la malattia lo aveva allontanato da ogni ruolo operativo in Apple – il Financial Times ha eletto Jobs uomo dell’anno, riconoscendo la sua capacita’ di riportare in vetta un’azienda raccolta sull’orlo del fallimento.
Con l’iPhone e l’iPad ha realizzato il suo sogno del ‘piccolo schermo’, di un mondo al di la’ del computer e senza Windows. Non a caso il sorpasso sulla rivale Microsoft per valore di mercato e’ oramai da tempo compiuto. Sempre il Financial Times lo defini’ ”la prima rock star dell’industria high-tech” per la sua abitudine – oramai copiata da tutti – di presentare ai suoi fan tutte le novita’ della casa dal palco di un teatro. Ma anche per aver portato Apple in Borsa a soli 25 anni: prima di quanto non abbia fatto Mark Zuckerberg con Facebook. Qualcuno lo ha descritto come un ‘tiranno’ nei confronti dei suoi collaboratori e dipendenti. Ma la verita’ – spiega la maggior parte degli osservatori – e’ che in un momento di grande crisi economica e occupazionale in America, Jobs, a differenza di tutti gli altri Ceo, ha continuato a creare posti di lavoro. E probabilmente la Apple ne continuera’ a creare ancora malgrado la morte del suo ‘genio’, grazie alla sue ultime creature: l’ultimo modello di iPhone, presentato appena ieri, e la terza terza generazione dell’iPad che dovrebbe vedere la luce all’inizio del prossimo anno. ANSA,  6 OTTOBRE 2011